neofascisti
Cuore nero e dintorni
di Saverio Ferrari
Le edizioni BFS pubblicano un documentato libro sul neofascismo milanese negli ultimi anni. Ne è autore Saverio Ferrari, dell’Osservatorio democratico sulle nuove destre. Un capitolo è dedicato alla contestata sede di Cuore Nero: ne riproduciamo la prima parte.
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«Due sedie e la metà d’un tavolino. Sono rimasti pochi, anneriti brandelli d’arredo» Così il «Corriere della Sera», giovedì 12 aprile 2007, nella pagina milanese, dava conto di ciò che restava della sede di Cuore nero al 311 di viale Certosa, dopo l’attentato che attorno alle 2.50 di notte ne aveva devastato i locali. Una casetta di 70 metri quadrati, a un piano, un tempo un negozio di lapidi e tombe, a due passi dal cimitero Maggiore. Dalle feritoie che davano sulla strada gli attentatori avevano versato taniche di benzina e atteso che i vapori saturassero i locali. Poi l’accensione di una miccia che aveva originato un’esplosione. Le saracinesche, sventrate, si piegarono verso l’esterno, il pavimento in parte sprofondò e metà del soffitto crollò, scoperchiando il tetto. Solo dopo un’ora i vigili del fuoco riuscivano ad avere ragione del rogo che aveva anche seriamente minacciato gli edifici vicini.
Abortiva in questo modo, ancora prima di nascere, a sole 48 ore dall’inaugurazione quella che i promotori avevano definito «uno spazio aperto ad iniziative culturali ricreative, musicali e sociali», una «sede rigorosamente politica e di destra», che sarebbe stata animata «da un gruppo di giovani camerati milanesi, amici e militanti di vecchia data, provenienti da esperienze politiche e organizzative», intenzionati a costituire un «punto di riferimento per tutte le realtà della composita ed eterogenea comunità ideale della destra lombarda» (1).
Alla cerimonia di apertura era stato anche ufficialmente invitato l’intero gotha del neofascismo italiano: Roberto Fiore di Forza nuova, Pino Rauti del Movimento idea sociale, Luca Romagnoli della Fiamma tricolore, Francesco Storace de La Destra, Adriano Tilgher del Fronte sociale nazionale, Alessandra Mussolini di Azione sociale e Nello Musumeci di Alleanza siciliana.
Dietro Cuore nero, l’associazione culturale Aurora boreale, costituitasi il 1° gennaio 2007, grazie ad alcuni vecchi personaggi già incontrati nelle bande naziskin o nelle curve degli ultrà, come Norberto Scordo, Giuseppe Locatelli e soprattutto Alessandro Todisco, a capo degli Irriducibili insieme al fratello Franco, già condannato a un anno e un mese nel 2001 per istigazione all’odio razziale nel processo a Azione skinhead, dove si appurò anche un suo ruolo di primo piano nella struttura clandestina dell’associazione, denominata Gruppi d’azione sicurezza (2).
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Milano. Il gruppo de La Fenice a una manifestazione
della Maggioranza Silenziosa nei primissimi anni Settanta.
Da sinistra Giancarlo Rognoni, Angelo Angeli (“il bombardiere
nero”) e, penultimo sulla destra, Pierluigi Pagliai, di lì
a qualche anno con Stefano Delle Chiaie al servizio
della polizia segreta nel Cile di Pinochet. (Archivio privato) |
“Impiccali più in alto!”
Tra i soci fondatori dell’associazione culturale Aurora boreale, figurava anche Roberto Jonghi Lavarini, il Barone nero, aderente alla Fondazione internazionale generale Augusto Pinochet, per anni collaboratore dell’agenzia investigativa Tom Ponzi, per la quale si era occupato soprattutto di «infedeltà e devianze» (3). Presidente nel biennio 1997-1998 per Alleanza nazionale del consiglio di zona 3, era passato alle cronache per aver esercitato il suo mandato istituzionale con un ritratto di Mussolini in uniforme e con il braccio teso nel saluto romano in bella mostra nel suo ufficio, oltre che per aver inutilmente tentato di rimuovere all’entrata dello stesso consiglio una lapide in memoria dei caduti partigiani e dei «deportati antifascisti ed ebrei nei campi di sterminio nazisti». Organizzatore dei «festeggiamenti fascisti» per la Marcia su Roma e dei «torpedoni neri» per Predappio, in un suo blog, proprio nel 2007, Roberto Jonghi Lavarini non esitava a vantarsi di aver intrattenuto, nel corso degli anni, rapporti con i neonazisti tedeschi e «contatti ufficiali» con le destre sudamericane, cilene e paraguaiane, ma anche in Sudafrica con i razzisti boeri di Eughen Terreblanche (4). Un personaggio decisamente sopra le righe, amico personale della famiglia La Russa, passato dal Fronte della gioventù, di cui fu anche segretario provinciale agli inizi degli anni Novanta, ad Alleanza nazionale, per finire, prima, nella Fiamma tricolore (si candiderà a presidente alla Provincia di Milano nel 1999 in un cartello comprendente anche la Lega nazionale Istria-Fiume-Dalmazia e la Lega d’azione meridionale-Lista Cito), e poi nel Movimento sociale europeo dell’eurodeputato Roberto Bigliardo. Sua la sigla Destra per Milano, fondata nel 2000. E se a portare la solidarietà dopo l’attentato in viale Certosa si distinsero l’on. Paola Frassinetti di An e il capogruppo in consiglio comunale Carlo Fidanza, fu proprio Jonghi Lavarini a far la parte del leone. Parlò di «terrorismo comunista», attaccando il quotidiano «Liberazione» e Rifondazione comunista come «mandanti morali e politici» dell’attentato. Sostenne anche la tesi che «in uno Stato serio i responsabili sarebbero stati impiccati» (5).
Uno stile non tra i più sobri, riconfermato poche settimane dopo in un altro comunicato, in cui tra l’altro dichiarò che «Aveva ragione la buonanima del generale Augusto Pinochet, i comunisti buoni sono solo quelli sotto due metri di terra» (6).
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Milano, 25 aprile 1978. Scritte fasciste sui muri
della scuola ebraica (foto Almasio Cavicchioni) |
La galassia
La tendenza alla frammentazione nella destra radicale è da sempre un dato di fatto. Anche a Milano. Al punto che per un qualsiasi osservatore, ma anche per gli stessi militanti d’area, non risulta affatto così agevole districarsi tra le continue scissioni, le liti furibonde e i tentativi di ricomposizione.
Solo nei dieci anni, o poco più, che avevano preceduto quel 2007, sulla piazza milanese, erano comparse e spesso svanite nel nulla, una miriade di sigle politiche, a volte animate da poche decine di persone, in alcuni casi ancora meno. Proviamo ad elencarle: Comunità politica di avanguardia (in prima fila l’avvocato Ernesto Tangari), Destra Lombarda (con l’avvocato Piero Porciani), Destra per Milano (il gruppo di Jonghi Lavarini), Forza nuova (diretta da Duilio Canu) (7), Fronte sociale nazionale (in prima fila Walter Maggi), La Destra (rappresentata da Alberto Arrighi e Luciano Buonocore), Libertà d’azione-Lista Alessandra Mussolini (con Roberto Giacomelli e Lino Guaglianone), Movimento Fascismo e Libertà (a lungo sotto l’egida di Angelo Martorana), Movimento idea sociale (il gruppo di Rauti, rappresentato a Milano da Sergio Cingolani), Movimento Nazional-Popolare-Costituente per l’Unità (sostenuto da Tomaso Staiti di Cuddia), Movimento sociale continuità ideale (meglio conosciuta come Legione autonoma, animato da Tullio Trapasso), Movimento sociale-Fiamma tricolore (capeggiato dall’italo-argentino Attilio Carelli), Nuovo Msi-Destra nazionale (una delle tante creature di Gaetano Saya), Nuovo ordine nazionale (una microscissione del Movimento Fascismo e Libertà), Movimento dei socialisti nazionali (a cui era approdato, prima di morire, Walter Maggi, nell’orbita di Rinascita nazionale e di Piero Sella editore della rivista «L’Uomo Libero»).
Per un quadro completo, bisognerebbe anche aggiungere le associazioni dei reduci repubblichini (a partire dall’Unione nazionale combattenti della Rsi), oltre ad altre realtà, più spurie, come gli Hammerskin, di cui abbiamo già abbondantemente parlato, il Fronte cristiano (con Angelo Baraggia), la Guardia d’onore Benito Mussolini (organizzata a Milano da Dario Macchi, presidente milanese dell’Associazione nazionale paracadutisti d’Italia), il Circolo Terza via di Rho (con Gennaro Demango, alias Rino Banana), la rivista «Orion» e lo Spazio Ritter (di Maurizio Murelli e Marco Battarra).
Il progetto di Cuore nero, nome tratto dal verso di una canzone dei 270bis di Marcello De Angelis («Ma io ho il cuore nero e me ne frego e sputo in faccia al mondo intero!»), ovvero di una casa comune del neofascismo milanese, si muoveva dunque nella direzione di una ricomposizione dell’area almeno sul piano dell’iniziativa politica e culturale. Ancor prima, l’unico momento di coordinamento era stato rappresentato dal Comitato per Sergio Ramelli, alias I Camerati, dicitura con cui solitamente si firmavano i manifesti, una sorta di intergruppi costituitosi per le celebrazioni in ricordo del giovane del Fronte della gioventù ucciso nel 1975, presieduto, dopo la morte di Nico Azzi, da Luca Cassani, detto Kassa.
Il tentativo era di dar vita a una presenza sul modello di Casa Pound a Roma, in principale centro sociale dell’estrema destra capitolina, superando l’esperienza della Skinhouse, con poca politica, qualche concerto e soprattutto grandi bevute di birra.
Il lancio di Cuore nero, anche per questo, era stato a lungo preparato, con incontri in particolare con Gabriele Adinolfi, uno dei fondatori di Terza posizione, gruppo eversivo della seconda metà degli anni Settanta, nei fatti disciolto dalla magistratura con decine di mandati di cattura per associazione sovversiva e banda armata, la mente pensante proprio di Casa Pound. Nei mesi precedenti l’inaugurazione, non a caso, Gabriele Adinolfi, era stato più volte notato a Milano, insieme al figlio Carlomanno, spesso ospite a casa di Maurizio Murelli a Cusano Milanino.
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Milano, 12 aprile 1973. L’attimo in cui
viene lanciata la bomba che ucciderà
l’agente di polizia Antonio Marino.
(Dall’opuscolo “Indagine su un movimento
al centro di ogni complotto” edito dalla
Federazione milanese del Pci, senza data) |
Tra il sogno di Rohan, il campo x e Quarto Oggiaro
La scelta della zona dove far vivere Cuore nero, periferia a nord-ovest di Milano, non fu casuale. Qui, a poche centinaia di metri, in via Vilfredo Pareto, Alessandro Todisco aveva già aperto verso la fine del 2005 un negozio, punto di ritrovo di tutti i naziskin milanesi, Il sogno di Rohan (nome tratto dalla saga del Signore degli Anelli, il racconto tolkeniano fatto proprio dai fascisti degli anni Settanta), adibito alla «vendita militante» di magliette e accessori da stadio prodotti dalla linea Calci e Pugni dello stesso Todisco. Sulle t-shirt la scritta «Nel dubbio mena!» o immagini di mazze da baseball incrociate.
Si è anche a due passi dal cimitero Maggiore. Non lontani dal Campo X, posto sulla destra, a poche decine di metri dall’ingresso principale, divenuto nel corso degli anni in una sorta di sacrario per il neofascismo, una meta per i nostalgici. Qui riposano le spoglie di quasi un migliaio di repubblichini, tra loro anche ss italiane, numerosi militi della Decima Mas, ma soprattutto alcune figure tra le più importanti dell’ultima storia tragica del fascismo: da Alessandro Pavolini, il capo delle Brigate nere, a Francesco Maria Barracu, fucilato a Dongo il 28 aprile 1945 insieme agli altri gerarchi catturati al seguito di Mussolini in fuga sul lago di Como, da Francesco Colombo, il comandante della Legione Muti, ad Armando Tela, il vice di Pietro Koch, il torturatore di Villa Triste in via Paolo Uccello a Milano.
Ma soprattutto qui non si è lontani da Quarto Oggiaro, quartiere popolare nato agli inizi degli anni Sessanta per accogliere l’immigrazione meridionale, oggi con una popolazione in gran parte anziana e la presenza storica della malavita organizzata. Fino alla metà degli anni Novanta da queste parti imperversavano clan famosi, come gli Arena e i Tatone. Forte è sempre stata anche la presenza dei fascisti. Reciproci i favori. Più volte è accaduto che le sentinelle dello spaccio e della mala «curassero» nelle campagne elettorali in particolare i manifesti di Alleanza nazionale. Due, nel 2006-2007, le sedi aperte da An: il comitato elettorale di via De Roberto, e, insieme all’Ugl (l’ex Cisnal), un locale in mezzo alle case popolari di via Pascarella, con luoghi di ritrovo come il Garden in via Lopez, un ristorante-pizzeria gestito dai fratelli tarantini Francavilla, referenti di Giancarlo Cito a Milano, ex sindaco di Taranto nei primi anni Novanta, condannato definitivamente per concorso esterno in associazione mafiosa, il bar Quinto tra via Pascarella e via Satta, il circolo Il Faro, sempre in via Lopez, meta degli aderenti all’associazione Amici di Quarto Oggiaro, legata a commercianti della zona ma soprattutto a un gruppo di custodi delle case popolari vicini ad Alleanza nazionale.
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Milano, 18 gennaio 2001. Nico Azzi davanti all’aula-bunker
di via Filangieri il giorno del suo
interrogatorio nell’ultimo
processo per strage di piazza Fontana. (© Almasio Cavicchioni) |
L’ultima impresa del camerata Jimmy Bua
Indicativa di questa realtà, a mezzo tra politica e criminalità, fu una vicenda di fine gennaio 2008, quando una quarantenne milanese che aveva avuto il solo torto di accettare un invito da uno sconosciuto incontrato in un bar del Ticinese, fu sequestrata in un appartamento in via Pascarella, a Quarto Oggiaro, drogata, seviziata e ripetutamente violentata. Una violenza durata più di dodici ore, nel corso della quale la vittima riportò diverse lesioni, a causa dalle percosse ricevute, soprattutto al volto. A chiamare la Polizia furono alcuni vicini di casa allarmati dalle grida della donna. La notizia occupò per qualche giorno le pagine dei principali quotidiani milanesi. Meno noto il fatto che l’aggressore, Giuseppe Bua, detto Jimmy, 62 anni, con precedenti per violenza sessuale, lesioni e spaccio di droga, fosse nel quartiere uno dei principali referenti di Alleanza nazionale.
La storia di Jimmy Bua si era intrecciata già negli anni Settanta con quella dei sanbabilini, in particolare con il gruppo fascio-criminale di Rodolfo Crovace, detto Mammarosa, uno dei più pericolosi picchiatori di quel tempo, poi boss del traffico di eroina a Milano, finito ammazzato in uno scontro a fuoco con i carabinieri nel luglio 1984. Di origini siciliane, Jimmy, si era successivamente legato ad altri noti delinquenti comuni, tra i quali (citiamo i nomignoli), Nazi Naza e Mario Moffa, sberla in palermitano, due importantissime figure della malavita milanese. Si vantava anche di essere amico personale, guarda caso, del «mostro del Circeo», Angelo Izzo, conosciuto in carcere.
Giuseppe Bua fece anche da guardaspalle per diversi anni a Emilio Santomauro, consigliere comunale di Alleanza nazionale alla fine degli anni Novanta, poi nell’Udc, vittima nel gennaio 2000 di un misterioso attentato mentre usciva dal suo studio di consulenza amministrativa-legale in via Santa Tecla, dietro l’Arcivescovado. Fu raggiunto da un colpo di pistola al ginocchio sparato da uno sconosciuto con un giubbotto scuro e un casco integrale in testa con la visiera abbassata. L’aggressore, prima di fare fuoco, quasi appoggiò l’arma al ginocchio di Santomauro. Restò un mistero. I magistrati che indagarono esclusero sempre la pista politica ma non si arrivò mai a capo di nulla.
Bua, negli ultimi anni, aveva anche avuto stretti rapporti con Antonio Catena, detto Little Tony, un ex pugile di 25 anni della palestra Doria di via Mascagni, che il 26 novembre del 2006, in via delle Ortensie, a due passi da via Lorenteggio, uccise, dopo un festino a base di droga, un altro ragazzo con un fendente al petto sferrato con un coltello da cucina.
All’ombra di Ignazio
In Lombardia Alleanza nazionale è sempre stata, fino al momento della sua confluenza nel Popolo della libertà, un feudo di Ignazio La Russa. Sintomatica la vicenda dell’estate del 2005, quando il partito in Lombardia fu commissariato e l’europarlamentare Cristiana Muscardini venne d’autorità nominata reggente da Gianfranco Fini, dopo la famosa vicenda della «Caffetteria», ovvero l’incontro segreto, scoperto da un giornalista, in un bar di Roma tra alcuni colonnelli di An, presente La Russa, in cui ad alta voce si proferirono pesanti critiche nei confronti del presidente del partito. Alla nuova coordinatrice, imposta dall’alto, si impedì nei fatti di esistere. I cinque membri del direttivo regionale, eletti a scrutinio segreto, furono tutti indicati dallo stesso La Russa. Tra loro anche Gianni Stornaiuolo, una sorta di fedelissimo segretario-autista tuttofare. Non solo, alla prima assemblea regionale si stabilì anche che l’onorevole Muscardini non dovesse interferire nel lavoro di rappresentanza esterna di An. Un intermezzo di breve durata. Il tutto ritornò alla normalità, anche formale, nel giugno 2007 con la nomina di Massimo Corsaro, fedelissimo di La Russa, a coordinatore lombardo.
Alleanza nazionale in Lombardia, come in tutto il nord, subì, tra la seconda metà degli anni Novanta e il Duemila, un veloce processo di istituzionalizzazione, trasformandosi in un partito «leggero», modellato quasi unicamente sulle scadenze elettorali. Ma è proprio qui, più che altrove, che forti si manifestarono i segni di resistenza, in modo sordo, al cammino intrapreso da Gianfranco Fini verso una destra conservatrice di stampo europeo. È in Lombardia, non casualmente, che nelle elezioni regionali del 2005, temendo la concorrenza di Alternativa sociale di Alessandra Mussolini e Roberto Fiore, i vertici del partito non esitarono a candidare Lino Guaglianone, l’ex terrorista nero degli anni Settanta, presenziando ufficialmente all’inaugurazione del suo comitato di sostegno, infarcito di bombaroli pluricondannati. Ed è qui, a Milano, che An propose di intestare una piazza a Giorgio Almirante, in contrapposizione all’ex sindaco e comandante partigiano Aldo Aniasi.
Emblematica, in questo senso, per anni, anche la presenza al cimitero Maggiore, ogni 1° di novembre, di esponenti di Alleanza nazionale alle cerimonie in onore dei caduti repubblichini. Nel 2007, tra labari e bandiere con il gladio o l’aquila di Salò, fece capolino anche Franco Maria Servello, il presidente dell’assemblea nazionale, il massimo organo rappresentativo del partito. Al suo fianco Umberto Maerna, presidente della federazione cittadina, vicesindaco di Segrate, colto dai giornalisti in un saluto romano (8). Una tradizione evidentemente mai abbandonata.
Ancor prima, lo stesso anno, Ignazio La Russa, all’epoca presidente del gruppo parlamentare di An alla Camera, rispondendo a una domanda di un giornalista del «Corriere della Sera» su cosa avesse fatto il 25 aprile, dichiarò: «Ho trascorso la ricorrenza nel solito modo, al Campo 10 del cimitero Maggiore, dove ci sono i giovani caduti per la Repubblica Sociale italiana» (9).
A Milano e in Lombardia, questo è un dato di fatto, il vecchio Msi non cessò mai di esistere, assumendo solo opportunisticamente le spoglie di Alleanza nazionale, mantenendo una linea di costante apertura verso il pulviscolo dell’estrema destra, intrecciando con essa relazioni politiche, garantendo coperture e protezioni.
A muoversi lungo questo confine, assai labile, si impegnarono diverse figure anche istituzionali, come l’onorevole Paola Frassinetti e Carlo Fidanza. Con una funzione di cerniera, anche Roberto Jonghi Lavarini, a lungo su posizioni ambigue, dentro e fuori An (verrà ancora candidato come indipendente nelle comunali del 2006). A volte, il tutto, con qualche vantaggio elettorale. Quasi incredibile la vicenda dell’aprile 2008, quando poco prima del voto, nelle elezioni politiche, si registrò l’appello in favore del Popolo della libertà al Senato, lanciato in una conferenza stampa a Montecitorio da parte di alcuni dirigenti nazionali de La Destra, convinti dell’impossibilità di superare il quorum dell’8%.
Tra loro anche Luciano Buonocore, un tempo leader della cosiddetta Maggioranza silenziosa nei primi anni Settanta a Milano, arrestato più volte per attentati e scontri di piazza. In un blog comparve, tempo dopo, la notizia dell’avvenuto incontro tra lo stesso Buonocore, La Russa e l’avvocato Piero Porciani, a sua volta transitato ad An, in un noto ristorante di Milano, Il Galeone, posto dietro alla sede della storica federazione missina di via Mancini. Nell’occasione, secondo una denuncia di Roberto Jonghi Lavarini, rilasciata in uno dei forum d’area, si sarebbe discusso di un consistente appalto di MilanoSport, controllata da An, a uno dei figli di Buonocore per favorire queste dichiarazioni (10). (…).
Saverio Ferrari
Note
- Cuore nero – Politica OnLine Forum, http://www.politicaonline.net/forum, 18 febbraio e 30 marzo 2007.
- Corte di Cassazione, Prima sezione penale, Sentenza n.341, Roma, 28 febbraio 2001.
- «Jonghi in comune», http://www.partecipami.it, 25 giugno 2007.
- Ibidem.
- C. Dragotto, Solidarietà bipartisan contro l’attentato. Ma i neofascisti accusano Rifondazione, «Il Giorno», Cronaca Milano, giovedì 12 aprile 2007 e G. Bassi Uno Stato come si deve avrebbe impiccato i responsabili dell’attentato a Cuore nero, «E Polis Milano», 13 aprile 2007.
- Cuore nero-Comunicato stampa, http://www.robertojonghi.it/blog, 11 maggio 2007.
- La sigla Forza nuova comparve per la prima volta a Milano nel dicembre del 1991 per iniziativa di Walter Maggi, vicesegretario del Fronte della gioventù, che dopo una scissione dall’organizzazione giovanile missina, all’epoca guidata da Riccardo De Corato, costituì insieme ad Andrea Leghesa una formazione così denominata, per poi confluire nella Lega nazional popolare di Tomaso Staiti di Cuddia e Stefano Delle Chiaie. Nulla a che vedere con la successiva organizzazione di Roberto Fiore.
- Da. C., Per duecento nostalgici mattinata a braccio teso, «La Repubblica», 2 novembre 2007.
- M. Cremonesi, Lupi: è stata aperta una strada tra un anno ci saremo anche noi. La Russa: mai in Piazza, «Corriere della Sera», 26 aprile 2007.
- In Politica OnLine Forum «Indiscrezioni su Luciano Buonocore» (Dal Blog di Nello Musumeci), 24 maggio 2006, http://www.nellomusumeci.it/?p=270#comments.
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