Il sistema tecnico, “la Megamacchina”, si impone nella nostra vita attraverso Internet, i sistemi di controllo globali, ma anche mediante la militarizzazione illimitata del mondo, la diffusione di informazioni che sono soltanto propaganda, il cibo trasformato in alicamenti (alimenti che funzionano come medicamenti – ndr) per evitare l’avvelenamento generalizzato dei terreni, dell’aria e dell’acqua, il culto insensato per la velocità e per i motori...
Non vale più la pena di ripercorrere queste vittorie della Megamacchina, perché esse costituiscono la quasi totalità della nostra vita di tutti i giorni. Siamo inondati dalle produzioni tossiche e nocive del sistema tecnico, e una delle migliori vie politiche utopiche consiste precisamente nel tentare di uscirne, producendo da subito e con mezzi propri ciò di cui abbiamo bisogno, il cibo, gli abiti e l’alloggio per cominciare.
Il percorso che ci ha condotti fino al XXI secolo è una lunga sequela di rinunce a certi modi di vivere che ci davano la libertà, la autorizzavano e la rendevano esaltante. L’anarchia, l’abolizione di ogni potere, diventa un’idea più che mai di attualità palese. Ma non ci siamo ancora arrivati; da un lato c’è questa tensione verso l’utopia anarchica e, dall’altro, ci ritroviamo, giorno dopo giorno, in un sistema fondato sulla “cosificazione” del mondo e la reificazione della nostra vita.
Sotto questo apparente trionfo delle cose e dei sistemi si cela la più grave sconfitta del pensiero umano. Lewis Mumford ce ne ha descritto a fondo le fasi in Il Mito della macchina, che possiamo riassumere in questo modo: i primi scienziati, Galileo, Keplero o Cartesio per esempio, hanno dato inizio a una lotta contro la soggettività, contro l’umanità stessa dell’uomo. Nella loro aspirazione alla verità e al superamento della condizione umana, hanno postulato una realtà esterna all’umano, cui l’astronomia ha fornito le basi, poiché consentiva di avvicinarsi a dio. L’astronomia non era in rottura profonda con il mondo religioso, e, nonostante le alte autorità delle Chiese non abbiano apprezzato eccessivamente i primi scienziati, a poco a poco è apparso chiaro che Scienza e Religione discendevano da una medesima Morale globale. I sacerdoti come gli scienziati pretendono di possedere l’unica Verità Vera, e poco importa se non si tratta della stessa verità. Ciò che conta è che gli esseri umani credano a una verità e accettino, in nome della sua gloria, il loro asservimento.
Così il dio degli scienziati non è più quello strano personaggio messo insieme da generazioni di profeti e imbonitori, benintenzionati o meno. A quel punto, si trattava di inventare, di costruire, di inquadrare un dio “oggettivo”, privo di emozioni, che facesse funzionare l’universo come un pendolo, davanti al quale l’essere umano non può che sentirsi piccolissimo, e al tempo stesso, ammirare incondizionatamente coloro che, all’interno del genere umano, riescono a comprendere l’intento divino sotto il disordine apparente. È dal caos che Galileo, Copernico e Keplero hanno tratto le loro favolose scoperte; in questo modo non assursero al livello di dio, ma precipitarono l’umano nell’orrore della sua umanità, così caotica, così imperfetta, così... umana.
Una nuova minaccia
In un secondo tempo divenne palese che la perfezione cui l’uomo, malgrado tutto, mirava – e cui mirano soprattutto coloro che ancora sperano di dominare questo sistema – tenderebbe ad avvicinarlo a ciò che ancora non era, alla specie eletta, al superuomo (che costituisce un incredibile controsenso rispetto alla visione nietzscheana), o meglio il transumano, una sorta di robot che si presume pensante. Un uomo orologio per un universo orologio, un vero e proprio meccanismo, nel quale tutto, assolutamente tutto, si spiega, dalla velocità della luce al funzionamento dei neuroni.
Siamo invitati dai tecnoscienziati ad ammirare in modo incondizionato questa programmazione matematica – nella teoria –, con la conseguenza ineluttabile della presa di coscienza della nostra notoria incapacità di adattarci autenticamente a un simile ordine meccanico. Per questo, abbiamo bisogno di protesi, dal cellulare al GPS. L’adattamento dell’essere umano alla macchina non è una novità. Aldous Huxley l’ha descritto in Il mondo nuovo e i comportamentisti, che postulano il condizionamento del bambino sin dalla più tenera età al fine di renderlo felice in un mondo tecnologico, hanno conferito espressione scientifica a questa teoria totalitaria del comportamento umano. La posta in gioco stava tutta lì: come sottomettere un essere biologico a una Megamacchina che stava per nascere; l’idea comparve in Europa all’epoca dell’Illuminismo, dopo tentativi maldestri di cui non conosciamo a fondo gli annessi e i connessi, che si presume abbiano avuto luogo nell’Egitto dei faraoni e nella Cina imperiale, definiti da Karl Wittfogel “despoti idraulici”. A partire dal XVIII secolo la Megamacchina si impose a poco a poco in Europa, e sapienti e tecnici le fornirono gli strumenti tecnologici, militari, industriali ecc., necessari a estenderla a tutto il mondo, fino allo stadio attuale.
Ma l’apogeo della Megamacchina non significa la certezza della sua vittoria. Nella fase in cui stiamo vivendo oggi, problemi essenziali come la fame nel mondo, la voglia di democrazia, l’idea di perpetuarsi attraverso i figli e altre “stupidaggini biologiche” non sono risolte, mentre costituiscono i temi fondamentali dell’umanità. Ancora e sempre. Ancora e sempre degli esseri umani non sopportano che altri esseri umani muoiano di fame, mentre la Megamacchina promette l’abbondanza per tutti. Non sopportano oltre di essere privati del monopolio circa l’uso che fanno della propria vita, mentre la Megamacchina promette la democrazia a ogni piè sospinto. Alcuni non tollerano l’idea che un giorno il mondo in cui vivranno i loro figli sarà così diverso da quello in cui sono vissuti loro, e che gli appare come potenzialmente pericoloso. Altri non rinunciano all’utopia di un mondo migliore, di una vita “degna” o esaltante per tutte e tutti, esuberante e libera; essi cercano di aprire il futuro alla tensione utopica.
Da poco tempo una nuova minaccia scuote il sistema tecnico: la “crisi” finanziaria. Dimentichiamo spesso che questa crisi fu possibile grazie alla tecnologia di Internet che consente movimenti istantanei di capitali. Questi capitali hanno un bell’essere virtuali: in questo mondo, il virtuale equivale al reale, “il falso è un momento del vero”, come diceva l’Internazionale situazionista. Di colpo la crisi diventa del tutto reale e noi la viviamo, dobbiamo sopportarla ogni giorno. L’istantaneità di Internet e l’ubiquità generalizzata degli attori finanziari costituiscono i principali fattori che aggravano tale crisi, e ciò spiega in gran parte la sua diffusione estremamente veloce all’insieme del sistema finanziario globale.
Ebbene, di fronte alla “crisi” dei debiti sovrani, i politici non sanno più gestire i loro popoli; i greci sono in piazza, come gli spagnoli, gli italiani e domani i francesi o gli irlandesi? I tecnocrati, finanzieri ed esperti di tutti i tipi, che sono a priori i più zelanti servitori della Megamacchina, sono letteralmente costretti a esporsi in prima persona per “prendere il potere”, poiché i politici non sono più in grado di controllare le masse.
In Italia, Mario Monti succede a Berlusconi; il sinistro premier se ne è andato, e tanto meglio così. Colui che lo sostituisce è di natura del tutto differente: tecnocrate puro, mai eletto, semplice ingranaggio, certo di grado assai elevato, del sistema finanziario mondiale. In questo modo, i tecnocrati si trovano senza paraventi: eccoli costretti ad assumere direttamente il potere politico, mentre soltanto qualche mese prima in Italia o in Grecia, i politici assolvevano ancora la loro funzione, facendo credere che la democrazia esisteva e avrebbe resistito alla crisi finanziaria. Sappiamo bene che la democrazia non era già più granché, ma ormai, “il re è nudo” e i tecnocrati devono stare in prima fila.
È una contraddizione interessante e che può costare cara alla Megamacchina. L’evoluzione più probabile è la scomparsa a brevissimo termine di ciò che resta della democrazia: Berlusconi si è spinto già molto avanti su questa strada, ancor più avanti di Sarkozy in Francia, ma anche quest’ultimo si sta impegnando in questa direzione! Il vero problema non è quello di sapere se l’Italia o la Francia o l’Unione europea saranno retrocesse o meno da Standard and Poor’s, ma se la transizione verso una dittatura sempre più aperta si realizzerà senza contrasti.
La Megamacchina sembra all’apogeo, ma l’apogeo annuncia il declino.