In genere si analizza una pubblicazione
cartacea quasi esclusivamente per i suoi contenuti: articoli,
prese di posizione, argomento messo in copertina, temi “bucati”,
ecc.. Varrebbe maggiormente la pena, a volte, prestare attenzione
anche alle modalità tecniche, a “come”
e dove la rivista viene prodotta, ecc.. L’Ai lettori
del n. 38 (maggio 1975) è dedicato proprio a questi
aspetti.
A
partire da questo numero – si legge – la
rivista cambia tipografia. D’ora in poi sarà
stampata presso la tipografia “Il Seme” di Carrara,
che due compagni anarchici hanno impiantato lo scorso anno
e che da alcuni mesi già stampa – tra l’altro
– il settimanale della F.A.I. Umanità Nova
e la rivista bimestrale Volontà. Più
di una ragione ci ha spinto al trasferimento tipografico.
Le prime due ragioni indicate erano il minor costo e la tecnologia
offset rispetto al piombo del precedente (e vetusto) sistema
tipografico. Più interessante la terza ragione: Vi
è infine in tutti noi la coscienza e la soddisfazione
di poter così contribuire al successo di un’iniziativa
positiva come quella intrapresa dai nostri compagni tipografi
a Carrara: un’iniziativa che è nata e vuole svilupparsi
in seno al movimento anarchico.
In effetti le cose sono andate un po’ diversamente.
La copertina di quel numero 37 è rimasta l’unica
stampata a Carrara, perché la sua stampa fu di così
bassa qualità che decidemmo subito di riportarne la
stampa nella “vecchia” tipografia di Milano, quella
in cui abbiamo iniziato a stampare la rivista nel 1971 e nella
quale tuttora la facciamo stampare (e da anni anche confezionare).
Sì, perché l’intensa stagione di collaborazione
con i due compagni tipografi di Carrara (Alfonso
Nicolazzi, verbanese, scomparso qualche anno fa’ e Corrado
“Dino” Mosca, triestino ora tornato nella città
natale, e poi con i tanti che si sono succeduti fino al livornese
Donato Landini, che da anni ormai manda avanti la Cooperativa
Tipolitografica che ha preso il posto de “Il Seme”)
si chiuse nel luglio 1985, dopo 10 anni, per problemi tecnici,
organizzativi e anche di relazioni umane, che ci spinsero
– non senza sofferenza – a trasferire a Milano
l’intero ciclo produttivo, separando la fotocomposizione,
la ricerca iconografica e la realizzazione grafica (affidata
da allora agli amici Erre&Pi, con una parentesi di pochi
anni ad Amber) dalla stampa ritornata all’impresa tipografica
della famiglia Sabaini (con le sue varie ragioni sociali,
succedutesi nel tempo).
Non si chiuse bene, la nostra esperienza tipografica di cui
sul n. 37 salutavamo l’inizio. L’essere passati
da una struttura “di movimento” ad altre “commerciali”
è sempre stata vissuta da noi anche come una sconfitta.
Ma una cosa sono le idee e i progetti, un’altra ben
diversa è la pratica di vita e di lavoro quotidiano.
Sono considerazioni anche amare, ma necessarie, quelle che
a quasi trent’anni dalla fine di quella stagione ancora
ci ritroviamo a fare. Ci piace però concludere questa
puntata di “amarcord” con le immagini di quelle
giornate di lavoro comune con Alfo, Gilbè, Dino, Ferro,
Carletta, Gaetano, Denny, Franco e i tanti/e con cui si è
lavorato, non senza contrasti anche pesanti, nel mondo comune
della comunicazione libertaria. O, se vogliamo, della comunicazione
libertaria come apparve erroneamente in un titolo a piena
pagina, che nessuno notò se non a rivista stampata.
Perché chi lavora nel campo della stampa sa che il
nemico si cela anche dietro questi errori. Errori di stumpa
amava dire l’indimenticato Umberto Del Grande, il più
spiritoso dell’ambito anarchico milanese da cui nel
febbraio 1971 nacque “A”. Quello che meglio accomunava,
nel suo allegro esprimersi, Malatesta e Totò.