storia Carlo
Cafiero 1
“Simpatico, distinto, aristocratico”
di Franco Schirone
La figura e il ruolo di Carlo
Cafiero nella storia del primo movimento socialista e anarchico
in Italia. Un DVD a lui dedicato è stato recentemente
presentato a Benevento.
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Il periodo qui
analizzato comprende gli anni 1871-77, precisamente la fase
che precede l’esperimento del Matese per spiegare le
condizioni del paese e quelle dell’Internazionale attraverso
la sua evoluzione teorica e pratica. Costituita in Italia
nel 1868, l’Associazione Internazionale dei Lavoratori,
dopo un periodo di attività, sembra eclissarsi; l’arrivo
di nuove forze giovanili le darà impulso per rinascere
ed ampliarsi attraverso la partecipazione attiva nella questione
sociale.
È nel programma dell’Internazionale di penetrare
in qualsiasi associazione che avesse natura o sembianza operaia,
di partecipare a qualunque congresso in cui si discutesse
di questioni sociali, per far prevalere i principi dell’Associazione
o per affermarli e spiegarli pubblicamente.
Questo spiega, per esempio, la partecipazione e l’intervento
di propri delegati internazionalisti al 12° Congresso
Generale Operaio (Roma, novembre 1871), che in realtà
di “operaio” non ha che il nome dal momento che
la quasi totalità dei delegati sono avvocati e membri
della borghesia. In quella sede viene approvato un Ordine
del Giorno col quale il Congresso Operaio proclama solennemente
i principi politici e sociali di G. Mazzini, come quelli che
condurranno più prontamente ed efficacemente alla vera
emancipazione dell’operaio.
Per l’occasione gli Internazionalisti contestano l’O.d.G.
approvato, ritenendo tali principi contrari ai veri interessi
della classe operaia e al progresso dell’umanità
ed abbandonano clamorosamente il Congresso lasciando alla
sua maggioranza tutta le responsabilità del fatto e
delle conseguenze. Queste parole sono pronunciate dai
tre internazionalisti intervenuti e precisamente da Carlo
Cafiero (delegato della sezione di Girgenti dell’Associazione
Internazionale dei Lavoratori), De Montel (delegato della
Fratellanza Artigiana Livornese) e A. Tucci (delegato della
Sezione Internazionale di Napoli). I tre, con altri dissidenti,
organizzano un Congresso alternativo a Roma (aprile 1872)
in cui auspicano una unione fra tutti gli operai d’Italia
e d’Europa con il comune scopo di risolvere le questioni
che interessano esclusivamente gli artigiani.
A maggio 1872 saranno le società operaie piemontesi
a riunirsi e proporre la necessità per gli operai
ad unirsi nell’Associazione Internazionale dei Lavoratori
per procedere alla soluzione delle più importanti questioni
sociali coi grandi principi dell’universale fratellanza
(1).
Nello stesso anno comincia a concretizzarsi l’organizzazione
e l’unione delle diverse sezioni e federazioni per agire
concordemente sulla base di un comune programma e scopo, considerando
che fino a questo momento hanno vissuto in maniera isolata.
Le sezioni dell’Internazionale (ispirate da Bakunin)
sorte nel napoletano e in Sicilia grazie all’opera di
Fanelli e Cafiero, iniziano ad intendersi con le sezioni sorte
in Emilia, in Toscana e nelle Romagne per l’opera di
A. Costa e Pescatori. Si avviano così una serie di
comunicazioni che hanno come riferimento Firenze che diventa
il centro del movimento e dove viene pubblicato “La
Rivoluzione Sociale”, un foglio clandestino che propugna
i principi dell’Internazionale.
Nei primi mesi del 1872 sono più di cento le sezioni
affiliate, loro scopi dichiarati sono la distruzione di ogni
privilegio, l’uguaglianza sociale e il rifiuto dell’elettoralismo
poiché qualunque governo autoritario è opera
di privilegiati a danno delle classi diseredate.
Il programma di Rimini
L’opera di tessitura e di collegamento continua nel
corso dell’anno e in agosto viene organizzata una conferenza
a Rimini dove si costituisce definitivamente la Sezione Italiana
dell’Internazionale e dal dibattimento emergono contenuti
comuni ed un programma accettato da tutte le sezioni.
Del programma di Rimini, che rappresenta l’atto di nascita
del movimento, è essenziale ricordare alcuni principi:
- Considerando che l’emancipazione dei lavoratori
deve essere opera dei lavoratori stessi;
- che la lotta per l’emancipazione dei lavoratori
non è lotta per privilegi e monopoli di classe, ma
per l’eguaglianza dei diritti e dei doveri e per l’abolizione
di ogni regime e distinzione di classe;
- che l’assoggettamento economico del lavoratore
a chi ha il monopolio dei mezzi di lavoro, cioè delle
sorgenti della vita, è causa prima di tutte le forme
di servitù: la miseria sociale, l’avvilimento
intellettuale e la dipendenza politica;
- che l’emancipazione economica del lavoratore
è perciò il grande fine al quale ogni movimento
politico deve essere subordinato;
- che l’emancipazione del lavoro non è
problema locale o nazionale, ma sociale;
- che il movimento il quale riappare fra i lavoratori
dei paesi più industriosi, mentre risveglia nuove speranze,
dà solenne avvertimento di non ricadere nei vecchi
errori e di unire senza indugio gli sforzi fino ad ora isolati.
Per queste ragioni:
- la Federazione Italiana dell’Associazione Internazionale
dei Lavoratori è stata costituita.
- Essa dichiara che tutte le Federazioni, Società
ed individui ad essa aderenti riconosceranno a base di condotta
fra di loro e verso gli uomini tutti, senza distinzione
di colore, di credenza e di nazionalità, la Verità,
la Giustizia e la Morale; Nessun dovere senza diritto, nessun
diritto senza dovere… (2)
Il Congresso di Rimini è presieduto da Carlo Cafiero,
Andrea Costa ne è segretario. Viene anche deciso di
rompere ogni rapporto con il Consiglio Generale di Londra
(Marx e Engels) ritenuto autoritario e di non inviare alcun
rappresentante al Congresso Generale de L’Aia (settembre
1872) convocato dal Consiglio di Londra. Si comprende bene
che la scelta de L’Aia come sede del congresso agevola
il compito del Consiglio di Londra, che può facilmente
inviarvi delegati ad esso devoti, ma allo stesso tempo rende
difficile l’intervento delle Federazioni lontane e dello
stesso Bakunin.
Un secondo motivo di dissidio con Londra è rappresentato
da una circolare segreta in cui Marx attacca Bakunin e l’Alleanza
Internazionale della Democrazia Socialista con la subdola
accusa di lavorare alla distruzione dell’Internazionale.
Alla circolare risponde la Federazione Italiana che accusa
invece Londra di voler imporre a tutta l’Internazionale
una dottrina speciale, autoritaria che è esattamente
quella del Partito Comunista tedesco, dottrina che rappresenta
la negazione del sentimento rivoluzionario del proletariato
italiano. Senza contare l’utilizzo di mezzi indegni,
come la calunnia e la mistificazione, con lo scopo di ridurre
l’Internazionale alla dottrina del comunismo autoritario,
una prassi che ha determinato l’opposizione rivoluzionaria
dei belgi, dei francesi, degli spagnoli, degli slavi, degli
italiani e degli svizzeri.
Su queste motivazioni viene dichiarata la totale rottura con
Marx e contemporaneamente viene indetto un Congresso alternativo
a quello de L’Aia da tenersi a Saint-Imier nel settembre
1872 dove poi parteciperanno in qualità di delegati
per la Sezione italiana, Bakunin, Cafiero, Fanelli, Costa,
Malatesta, Nabruzzi.
A Saint-Imier l’ala antiautoritaria dell’Internazionale,
oltre a confrontarsi sullo stato del movimento e a respingere
le risoluzioni de L’Aia come incompatibili con l’autonomia
e l’indipendenza delle Federazioni e Sezioni operaie,
decide di creare una Commissione di Corrispondenza per comunicare
regolarmente e direttamente senza dipendere da un organismo
autoritario di qualsiasi genere.
Altri temi affrontati riguardano l’azione politica del
proletariato e l’organizzazione della resistenza del
lavoro contro il capitale. Per quanto riguarda l’azione
politica, le decisioni prese lasciano ad ogni Federazione
il diritto incontestabile di seguire una linea di condotta
più consona alla propria realtà, ritenendo come
primo dovere del proletariato la distruzione di ogni potere
politico e adottando la libera federazione di tutti i produttori.
Infine, sull’organizzazione della resistenza del lavoro
contro il capitale, viene dichiarato lo sciopero generale
come mezzo di lotta importante per preparare i lavoratori,
attraverso i conflitti economici parziali, alla più
grande e definitiva riscossa rivoluzionaria. A tale proposito
si ritiene opportuno costruire un progetto di organizzazione
universale della resistenza.
Miseria e tumulti
Le due conferenze (Rimini e Saint-Imier) hanno, dunque, una
fondamentale importanza: l’antica Internazionale di
Marx – specie nei paesi latini – non esiste più,
essa viene sostituita dall’Internazionale antiautoritaria
e bakuniniana che include nel proprio programma le vie di
fatto e la rivoluzione.
Da questo momento le idee dell’Internazionale si diffondono
più radicalmente nel popolo lavoratore e le Sezioni
si moltiplicano. È, questa, una fase in cui il popolo
italiano è economicamente allo stremo, stanco del governo
dal quale ha inutilmente e vanamente sperato un po’
di benessere.
Nel 1873 le condizioni di vita diventano più gravi
e dolorose, i raccolti non sono sufficienti a sfamare, il
caro-viveri sfianca ancora di più le masse e le previsioni
per l’inverno sono nere e preoccupanti per i poveri,
per i contadini, per gli operai. È la miseria che spinge
ai tumulti, alla protesta, agli scioperi a cui ricorrono gli
operai facendo proprie le parole e le tematiche dell’Internazionale.
È tutta la penisola a protestare contro il caro-viveri:
condizioni e situazione non più sopportabili. Esercito
e forza pubblica sono messi in campo contro gli scioperanti,
la situazione è talmente grave da apparire pericolosa
al governo e ai suoi giornali che invocano a gran voce immediati
interventi: non per migliorare le condizioni economiche ma
per combattere gli internazionalisti e schiacciare la terribile
associazione.
Un movimento che impressiona e fa paura al governo e alle
classi dirigenti che corrono ai ripari.
Sulla scia della Francia che punisce e reprime gli aderenti
all’Internazionale con una apposita legge, anche l’Italia
si adegua e fa di più. Inizia con l’emanazione
di un decreto di scioglimento dell’Internazionale di
Napoli, una delle più attive sezioni, che però
riprende con più intensità le sue attività
e pubblica “La Campana”, un giornale redatto soprattutto
da Carlo Cafiero e Tito Zanardelli.
La repressione, aggravata dalla sfacciata persecuzione contro
l’Internazionale, continua in maniera iniqua: nel 1873
il decreto di scioglimento colpisce molte sezioni (Firenze
e Roma...) e vengono effettuati arresti, ma tutto questo non
basta a fermare la volontà di essere presenti e lottare
per un mondo migliore; il movimento ha la capacità
di riprendere l’attività, tanto da organizzare
(marzo 1873) il secondo Congresso Federale Italiano e continuare
gli impegni presi a Rimini e a Saint-Imier per riaffermare
la verità, la giustizia sociale e propugnare (come
A. Costa scrive nella circolare di convocazione) l’unione
spontanea delle forze operaie nell’anarchia e nel collettivismo.
Sempre in tema di repressione, il secondo congresso si sarebbe
dovuto svolgere a Mirandola ma il governo impedisce la riunione
sciogliendo per decreto quella Sezione, arrestando gli internazionalisti
e sequestrando atti e statistiche. Molti delegati sono arrestati
durante il viaggio e ancora arresti a Bologna dove, vista
la situazione, si è pensato di dirottare il congresso.
Sessanta delegati riescono a sfuggire ai controlli e agli
arresti, ricongiungendosi nelle campagne nei pressi di Bologna
per un incontro clandestino e i cui atti vengono pubblicati
su “La Rivoluzione Sociale”, giornale anch’esso
clandestino. Seguono altri arresti (Cafiero, Malatesta,…)
e sciolte altre Federazioni e Sezioni.
Saranno le persecuzioni poliziesche a spingere l’Internazionale
verso una iniziativa insurrezionale organizzata sempre da
Cafiero, Malatesta e Costa con un apposito Comitato che proclama
l’inizio della lotta armata, della quale Cafiero sarà
il finanziatore.
Entrata in clandestinità, la Sezione Italiana prepara
le prossime iniziative organizzando in ogni città e
nelle campagne dei nuclei di lavoratori pronti ad una generale
rivolta nel giorno prestabilito e annunciato da un manifesto
rivolto “A tutti i proletari Italiani” a firma
del “Comitato Italiano per la Rivoluzione Sociale”
(agosto 1874).
Il manifesto, che rappresenta il segnale dell’insurrezione,
dopo aver ricordato le agitazioni popolari spontanee contro
il caro-viveri e la paura procurata alla borghesia, così
continua: …Ciò che incominciaste bisogna
finirlo; non si tratta di venire a patti coi nostri padroni
per avere il pane a miglior mercato, si tratta di aver per
noi l’intero prodotto delle nostre fatiche, noi dobbiamo
lottare e lottare fino alla morte per l’abolizione di
ogni privilegio, per la completa emancipazione del genere
umano…
Il piano dell’insurrezione prevede la scintilla a Bologna,
per poi espandersi in Romagna, nelle Marche, in Toscana e
nel Meridione. Il movimento non riesce, sono molti gli arrestati
nelle diverse regioni e la repressione si riaccende furiosa.
Azione insurrezionale e collettivismo
Due anni dopo, scontate le pene e mutate le condizioni politiche
per l’arrivo della Sinistra al governo, l’attività
riprende in pieno e viene organizzato un congresso per il
22 ottobre 1876. Anche sotto il governo della Sinistra l’incontro
viene impedito con la forza, i locali occupati militarmente
e si procede all’arresto del maggior numero possibile
di internazionalisti convenuti a Firenze. In breve il programma
viene cambiato, si trova un luogo fuori dal controllo poliziesco
e chi è riuscito a sfuggire agli arresti si incontra
in un villaggio lontano 30 Km. da Firenze. Per arrivarci occorrono
nove ore di marcia, sotto la pioggia, attraversando strade
di campagna e di montagna, braccati dalla forza pubblica.
L’incontro si tiene, ma è ancora interrotto dai
carabinieri. Nuovo trasferimento lungo i boschi, in una radura,
per proseguire i lavori di notte e approvare le risoluzioni
finali.
L’importanza di questo incontro sta nelle decisioni
prese che determineranno l’azione futura: per l’azione
insurrezionale e contro la tattica elettorale, per la comunione
delle materie prime, degli strumenti di lavoro e dei prodotti
del lavoro.
In tutto questo Carlo Cafiero ha un ruolo determinante, nella
organizzazione e nelle risoluzioni. E lui che scrive e rende
pubblica la dichiarazione di solidarietà verso gli
arrestati prendendo atto delle persecuzioni governative perché
essere questa la via che fatalmente devono percorrere tutti
i governi, dalla Repubblica più radicale all’assolutismo
più dispotico (e gli internazionalisti) se ne rallegrano
perché sanno che le persecuzioni scavano sempre più
profondo l’abisso fra gli oppressi e gli oppressori
ed avvicinano sempre più il giorno della Rivoluzione.
In questa nuova fase la Federazione italiana indica a tutta
l’Internazionale la via da seguire: l’azione insurrezionale
e il collettivismo dei prodotti del lavoro. Ed è qui
che nasce anche la teoria della “propaganda del fatto”
che, come ben sottolinea Pier Carlo Masini, con queste
parole si intende attribuire alle iniziative rivoluzionarie
come scopo primario non più quello politico-militare
di abbattere le istituzioni, ma quello morale-pedagocico di
scuotere le masse e di far loro pervenire un messaggio politico
avvolto in gesti clamorosi e significativi (3).
E si pensa ad un’azione clamorosa nel Matese per la
primavera del 1877, storia che viene narrata nel documentario
che viene per la prima volta presentato a Benevento.
Ricordiamo che durante la detenzione a Santa Maria Capua Vetere,
Cafiero traduce e compendia, primo in Italia, “Il Capitale”
di Carlo Marx, poi pubblicato dall’editore Bignami nel
1879 col titolo Il Capitale di Carlo Marx, brevemente
compendiato da Carlo Cafiero. Libro primo. Sviluppo della
produzione capitalista, annunciato dal giornale “La
Plebe” con queste parole: è l’opera
brevemente compendiata da un italiano, cioè da uno
dei nostri più intelligenti e operosi compagni, di
cui siam dolenti di non poter dire il nome, perché
vuole mantenere l’anonimo. E’ un lavoro fatto
colla esattezza e colla coscienza del più scrupoloso
ammiratore e cultore del socialismo.
Cafiero, nel considerare il suo lavoro scrive: …Io devo
solamente guidare una turba di volenterosi seguaci per la
strada più facile e breve al tempio del capitale; e
là demolire quel dio. Onde tutti possano vedere coi
propri occhi e toccare con le proprie mani gli elementi dei
quali si compone; e strappare le vesti ai sacerdoti, affinché
tutti possano vedere le nascoste macchie di sangue umano,
e le crudelissime armi, con le quali essi vanno, ogni giorno,
immolando un sempre crescente numero di vittime (4).
L’edizione è un successo e contribuisce a riaccendere
l’interesse verso le idee del Socialismo.
Questo lavoro avrà innumerevoli edizioni nel corso
del Novecento, ne ricordiamo alcune.
Nel 1908 la rivista «L’Università Popolare»
lo ripropone in forma ridotta a puntate. Nel 1913 esce una
seconda edizione, a distanza di oltre trent’anni, per
conto dell’Istituto Editoriale “Il Pensiero”
e per la “Controcorrente” di Firenze con prefazione
di Luigi Fabbri che ricorda di offrire al pubblico un’altra
opera da gran tempo dimenticata e divenuta rara anche per
i più diligenti bibliografi (5).
Fino all’avvento del fascismo ci saranno almeno 4 edizioni.
Nel 1945 viene ripubblicato per conto della “Libreria
dell’800 Editrice” e nello stesso anno altre tre
edizioni appaiono a Milano, Padova e Torino; poi ancora nel
1950 per la Universale Economica con una lunga prefazione
di Giulio Trevisani; nel 1970 sarà la volta della Samonà
e Savelli con cinque edizioni, nel 1976 della Garzanti e nel
1996 dell’editrice Demetra.
Nel corso del 2009 saranno ben due le edizioni.
Nella prima, per le “Edizioni dell’asino”,
vengono riproposti e curati da Carlo De Maria (come introduzione
al Compendio) i testi e le note di Luigi Fabbri, James Guillaume,
Robert Michels, Gianni Bosio e Pier Carlo Masini. L’ultima
edizione è quella curata dalla Biblioteca Franco Serantini
di Pisa, con introduzione e note critiche di Franco Bertolucci
ed una biografia di Carlo Cafiero curata da Pier Carlo Masini
(6).
Questi cenni bibliografici riguardano solo alcune edizioni,
in quanto nel solo Novecento le edizioni del Compendio di
Cafiero assommano ad almeno 18, con una tiratura complessiva
di oltre cento mila copie, un vero e proprio record6, senza
contare le edizioni in francese, spagnolo, tedesco e greco.
Concludo questo breve e incompleto percorso sulla figura e
l’azione del grande personaggio apulo-napoletano, trasmettendo
il ricordo che di lui hanno lasciato uomini di ogni fede politica.
Un corrispondente del giornale «Satana» che si
pubblica a Cesena e che conosce bene Cafiero, nel 1877 lo
descrive come un bel giovane, simpatico, distinto, aristocratico.
Parla poco, ascolta molto, riflette sempre. I capelli e la
barba lunga e bionda danno al suo volto una viva espressione
di un ispirato e a vederlo si direbbe che ha una missione
da compiere (7).
Per Pietro Kropotkin è un idealista del tipo più
alto e più puro. Ha donato alla causa un considerevole
patrimonio senza domandarsi come avrebbe vissuto il domani;
un pensatore assorto nelle sue speculazioni filosofiche; un
uomo che non odiò mai nessuno (8).
L’espressione del viso non ha in sé niente di
fanatico, né di eroico, scrive Robert Michels. È
il quadro di uno scienziato e passionato, con tutta la sua
serietà, la sua profondità, ma anche la sua
impraticità e timidezza…Un’anima dotata
di altruismo e di spirito di sacrificio fino all’eroismo,
così da meritare di essere tenuto come un santo. La
caratteristica principale di Cafiero è stata la smisurata
bontà, chi lo ha avvicinato subisce la soggezione di
quest’anima semplice e buona, ma pure nobile e grande.
È l’incarnazione della nobiltà d’animo,
avverso a qualsiasi lusso, parco fino all’esagerazione,
per i suoi pasti si accontenta di pane e latte, vegetariano
per qualche tempo (9).
Un’anima sensibilissima, ricorda Filippo Turati, è
stato uno dei primi e dei più veri eroi del socialismo
in Italia al quale ha consacrato intelletto, cuore e la vasta
fortuna, con un disinteresse e una coerenza da antico apostolo
cristiano. Resta di lui una memoria dolcissima della sua figura
nel cuore dei suoi fedeli amici (10).
Tipo di vero apostolo – ha scritto lo Stiavelli –,
apostolo umanitario, quale lo ritrarranno gli storici avvenire
dell’idea socialista. Aveva studiato scienze sociali
e letto tutte le opere degli scrittori socialisti tedeschi,
inglesi, francesi (11).
Nello Rosselli lo definisce anima semplice e generosa, mentre
A. Lucarelli conclude la sua biografia con queste parole:
Con Carlo Cafiero noi sentiamo nell’animo nostro tutto
lo strazio di due mondi: l’uno che volge al tramonto
fra sinistri bagliori, l’altro che sorge all’oriente
nel sereno, lusinghiero sorriso dell’alba (12).
“Il nostro ideale rivoluzionario”
Sono trascorsi 120 anni dalla scomparsa di Cafiero, 140 anni
dalla fondazione dell’Internazionale antiautoritaria
e 148 dalla Prima Internazionale proudhoniana, ma sono sempre
attuali le sue parole: Il nostro ideale rivoluzionario
è l’antico ideale di tutti coloro che non vollero
rassegnarsi all’oppressione ed allo sfruttamento, e
si compone per noi, come per i nostri predecessori, dei due
non meno antichi termini: Libertà ed Eguaglianza...Edotti
dalla storia del passato, che ci mostra gli infiniti inganni,
messi in opera dai reazionari di ogni specie e di ogni tempo,
per diminuire, alterare e falsare il valore reale della libertà
e dell’eguaglianza, cioè della rivoluzione stessa,
noi ci siamo avvisati di mettere accanto all’espressione
di queste due monete, tante volte falsificate, la cifra esatta
del valore che esse devono realmente contenere, per essere
da noi accettate per buone monete.
Ora, il valore reale della libertà e dell’eguaglianza
noi lo esprimiamo con i due termini: Anarchia e Comunismo...
La sottomissione dei nullatenenti, grande maggioranza dell’umanità,
agli accaparratori delle materie di lavoro e dei mezzi di
lavoro, piccola minoranza, è la causa prima di ogni
oppressione e sfruttamento, di ogni ineguaglianza, dispotismo
e abbrutimento umano. Rivendicare alla comunità umana
le materie ed i mezzi di lavoro, sorgenti della vita di tutti,
è rivendicare la libertà e l’eguaglianza
di tutti gli uomini. Ma a guardia del tesoro rapitoci trovasi
lo Stato con tutte le sue autorità costituite e la
sua forza armata, ostacolo che dobbiamo abbattere se vogliamo
mettere la mano sul nostro bene. E per conseguenza, benchè
gemelli siano i due termini della nostra rivoluzione, l’anarchia
è destinata per la prima ad uscire dall’alvo
materno, e fare la strada al comunismo... (13)
Questi concetti sono stati scritti sulla bandiera delle classi
e dei popoli di tutto il mondo. quella delle rivolte soffocate,
delle insurrezioni represse e delle rivoluzioni tradite. Su
quella delle libere comunità sperimentali, delle lotte
dei lavoratori per le otto ore, delle Camere del Lavoro. Su
quella delle masse affamate a cui è stato dato piombo
al posto del pane, sul manifesto per la liberazione della
donna e su quella degli antimilitaristi. Sulla bandiera del
sindacalismo di Azione Diretta e della capacità dei
lavoratori di gestire direttamente la produzione e la sua
distribuzione: come nei primi Soviet traditi, come in Italia
nel ’20, nella Spagna del ’36. Su quella di tutti
gli oppositori ad ogni forma di tirannia, della massa anonima
dei lavoratori in lotta, dei resistenti, della gioventù
ribelle in tutte le epoche e fino ai giorni nostri.
Il seme è stato gettato nella storia dell’umanità.
E sta crescendo, qui, sotto i nostri occhi!
Franco Schirone
Note
- A. Angiolini, Cinquant’anni di Socialismo in Italia,
Nerbini, Firenze, 1908.
- Vedi «Volontà», rivista anarchica bimestrale,
La rivolta antiautoritaria, numero speciale per il
centenario della Conferenza di Rimini, ed. RL, Pistoia, 1972.
- P. C. Masini, Cafiero, Rizzoli, 1974.
- In P. C. Masini, Cafiero, Rizzoli, 1974.
- L. Fabbri, prefazione al libro di Carlo Cafiero, Il
Capitale di Carlo Marx, brevemente compendiato, con cenni
biografici ed appendice di James Guillaume, seconda edizione,
Firenze, Ist. Edit. “Il Pensiero”, 1913.
- F. Bertolucci, Carlo Cafiero. Compendio del capitale,
BFS edizioni, Pisa, 2009.
- «Satana», Cesena, 1877, anno VI, n. 4, ora in
A. Lucarelli, Carlo Cafiero, Trani 1947.
- P. Kropotkin, Memorie di un rivoluzionario.
- R. Michels, Storia del marxismo.
- F. Turati, «Critica Sociale», 1892, a. II, n.
15.
- G. Stiavelli, «Avanti!», 19 settembre 1906.
- A. Lucarelli, Carlo Cafiero, Trani 1947.
- G. C. Maffei, Dossier Cafiero, Bibl. Max Nettlau
editrice, Bergamo, 1972.
“Il
principio è affermato”
di
Massimo Ortalli
Una
vita complessa, una finestra, un bel DVD
Pochi, come
Carlo Cafiero (1846-1892), hanno saputo interpretare,
tanto nella propria biografia quanto nell’immagine
popolare creatasi intorno alla loro figura, lo spirito
ascetico e messianico del socialismo delle origini. E
pochi sono stati amati e rispettati in vita e affettuosamente
ricordati da morti, come l’anarchico barlettano.
Figlio di una famiglia di possidenti, appartenente a una
borghesia conservatrice e fermamente chiusa alle urgenze
della nuova Italia, ribelle al ruolo, destinatogli per
nascita e per censo, del proprietario insensibile alle
sofferenze degli affamati “cafoni” delle sue
terre, dedicò tutta la propria breve, felice e
tormentata esistenza, al progetto di emancipazione morale
e materiale delle plebi italiane. Fra i fondatori della
Internazionale con Andrea Costa ed Errico Malatesta, figura
autorevole e di riferimento per la generazione di entusiasti
sostenitori della causa popolare che si affacciano sulla
scena sociale dell’Italia unitaria, lo troviamo
protagonista delle prime e audaci imprese degli internazionalisti
italiani. Per le quali subirà, come tutti i suoi
compagni, carcere e repressione.
È alla sua limpida figura che si ispira il bel
documentario con il quale Ezio Aldoni e Massimo Lunardelli
(Carlo Cafiero, il figlio del sole, Brescello,
Studio Digit, 2011) hanno raccolto, dopo tanti anni, l’accorato
appello di Pier Carlo Masini e Ugo Ronfani che già
nel 1954, dalle pagine di «Cinema Nuovo» si
chiedevano se mai ci fosse qualche regista interessato
a portare sullo schermo la figura dell’anarchico
barlettano: C’è in Italia un regista
che, senza affidarsi a comode divagazioni della fantasia,
voglia trarre dalla biografia di Cafiero un film che sia
un quadro di quel tempo, dei cafoni del Matese, degli
operai di Napoli e Milano, degli amici di Cafiero, delle
donne che affollano il dramma; un film che sia una visione
della nostra terra, dalla Puglia bruciata al carsico Matese?
Noi vogliamo sperarlo.
Appello raccolto, dunque! E con la puntuale ricognizione
dei tratti essenziali della avventurosa e incomparabile
esistenza di Cafiero, i due autori ne hanno fatto riaffiorare
il senso profondo, con una partecipazione emotiva ed ideale
che, pur venendo naturale in chi affronti la biografia
di questo straordinario interprete dell’800 italiano,
ne rende ancora più interessante e coinvolgente
il lavoro.
Nel documentario, recentemente presentato in una affollatissima
sala di Benevento (se ne parla in un’altra parte
della rivista) vengono ripercorse le principali tappe
dell’esperienza politica e sociale di Cafiero, riportandoci
nei luoghi dove queste si svolsero. Non si poteva iniziare,
pertanto, che da Locarno dove Peter Schrembs, esponente
del locale gruppo anarchico “Carlo Vanza”,
mostrando i luoghi del primo, fondamentale, incontro,
nel 1872 con Bakunin, riassume la storia della Baronata,
la villa nella quale fu accolto il Russo, esule e ricercato
dalle polizie di mezza Europa. Come si sa, le vicende
legate a questa villa affacciata sul lago di Lugano, tra
l’altro gravata da una sinistra fama jettatoria,
se furono esaltanti per la vita della composita e cosmopolita
comunità che la frequentò, lo furono molto
meno per le tasche di Cafiero, che avendo messo generosamente
a disposizione del russo le sue doviziose finanze (sottratte
al controllo della famiglia fermamente contraria a come
le disperdeva il figlio “perduto”) rimase
praticamente quasi in miseria. È a Lugano, comunque,
che Cafiero sposa – per permetterle di uscire dalla
Russia zarista e riparare in Svizzera – Olimpia
Kutusoff, la nichilista russa che, nonostante l’aspetto
platonico di quel singolare matrimonio, sarà sempre
e comunque vicina a colui che, in una lettera del 1883,
scovata da chi scrive in un negozio di antiquariato, e
riprodotta nel documentario, definisce mestamente come
il “suo sfortunato marito”.
Dalla ricca Locarno, gli autori ci portano, con il commento
di Vincenzo Argenio e Bruno Tomasiello, cultori locali
della memoria di Cafiero e della sua compagnia di rivoluzionari,
nelle povere, sperdute terre dei monti del Matese, fra
la Campania e il Molise. Là dove nel 1877 Carlo,
Malatesta, Ceccarelli, Papini, e un manipolo di avventurosi
internazionalisti, in gran parte imolesi, marchigiani
e toscani, si scontrarono con i carabinieri, abbatterono
i contatori daziari posti alle macine dei mulini per la
riscossione della tassa sul macinato, distrussero in un
falò gli archivi comunali che conservavano memoria
degli odiati balzelli e, acclamati anche dai diseredati
preti locali, dichiararono decaduta la monarchia e proclamarono
la Rivoluzione Sociale. Dove non dovevano più esserci
schiavi e padroni, dove la proprietà privata cedeva
il passo al comunismo anarchico. Ecco dunque la locanda
da cui partirono, il campo nel quale si scontrarono con
i carabinieri, la finestra del municipio di Letino dalla
quale Malatesta rovesciò gli archivi e arringò
una folla più incuriosita che partecipe, e infine
la masseria sperduta nel carsico altopiano dove, circondati
dal piccolo esercito inviato dal governo impressionato
da tanta audacia, gli Internazionalisti si arresero, sconfitti
ma consapevoli di aver dato impulso alla causa dell’emancipazione
delle masse popolari. Non a caso il processo alla Banda
del Matese, svoltosi a Benevento nell’agosto del
1878 e nel quale gli imputati proclamarono orgogliosamente
la grandezza del progetto anarchico, li vide tutti assolti
fra le acclamazioni del pubblico. Tra l’altro la
lunga permanenza di Cafiero in attesa del processo nel
carcere beneventano, non lo costrinse affatto all’inattività,
perché fu lì che scrisse il famoso Capitale
di Carlo Marx brevemente compendiato che nelle sue
innumerevoli edizioni rappresentò una sorta di
utile breviario per un proletariato affamato di sapere.
Dopo il Matese, Imola, un altro dei luoghi topici della
tormentata esistenza di Cafiero. È nel locale manicomio,
infatti, che nel 1883 la sua influente famiglia, una della
più facoltose dell’intera Puglia, dopo averlo
interdetto, lo farà relegare per quasi due anni,
dopo che a Firenze aveva manifestato i primi segni di
quella che sarà definita la sua pazzia. Qui uno
dei curatori dell’Archivio Storico della Fai mostra
gli spazi di quell’edificio, oggi sede della locale
Asl ma allora struttura manicomiale fra le più
avanzate e attente ai bisogni dei ricoverati. Felice Accame,
metodologo e storico collaboratore di questa rivista,
nel descrivere i cosiddetti sintomi maniacali di Cafiero,
si interroga opportunamente se quella fosse veramente
pazzia o non i segni evidenti del profondo turbamento
di un’anima che, nel denudarsi e nel farsi abbracciare
dal sole, nel creare un contatto fisico con gli elementi
della natura, voleva dare corpo, finalmente, al sogno
della propria completa realizzazione. Ma evidentemente,
per chi lo tenne rinchiuso in manicomio lunghi anni, altro
non doveva essere che un processo di psichiatrizzazione
coatta.
Dal manicomio di Imola Cafiero fu trasferito, successivamente
in quello meno avanzato di Nocera Inferiore, dove comunque
il teorico del comunismo anarchico poteva ricevere le
visite dei vecchi compagni, fra questi Amilcare Cipriani
e Paolo Schicchi. Anche qui vengono mostrate le sale e
le stanze che videro lo stanco trascinarsi di quest’uomo
ormai vicino alla morte prematura e del quale non si poté
conservare neppure la tomba, perché, come viene
ricordato, il suo povero corpo fu gettato nell’ossario
comune del cimitero di Nocera Superiore.
Una vita infelice, non compiuta, dunque la sua? Non si
direbbe, anzi, sicuramente no! È lui stesso, infatti,
che al medico che lo visita quotidianamente, spiegherà
il senso della propria esistenza: Io sono felice:
ho menato vita errabonda, ho sciupato un grosso capitale,
mi sono ridotto a una modestissima pensione, ma sono contentissimo
perché mi si è aperta la luce e ho conosciuto
la ragione prima di tutte le cose esistenti. E che
questa sua lucidità, nonostante le apparenze, lo
abbia sempre accompagnato, lo vediamo ancora una volta
proprio a Imola. Là, in quella villa nelle campagne
romagnole dove, di quando in quando, una facoltosa famiglia
di possidenti, attratta dalla sua figura, lo ospitava
sottraendolo saltuariamente dalla vita manicomiale. Stanno
tornando a piedi da Castelbolognese a Imola, gli internazionalisti
imolesi che hanno celebrato, il 18 marzo1888, la Comune
parigina. E sfilano, con le bandiere rosso e nere sotto
i muri della villa che si affaccia sulla via Emilia. Cafiero
li guarda dalla finestra e ne ricambia il saluto dicendo:
Il principio è affermato. È proprio
in quella parola, principio, che si compendia
la figura di Carlo Cafiero. Principio come dovere morale,
come impegno civile, come manifestazione della volontà,
non come un arido processo materialisticamente determinato.
Come ricorda Pier Carlo Masini, il sentimento d’amore
di cui Carlo fu così splendido esempio.
Devo ammettere che è stato emozionante sostare
proprio sotto quella finestra!
Massimo
Ortalli
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