movimenti
Sollevazioni, rivolte e comunità autogestite
di Andrea Staid
Una lettura sulle possibilità dei movimenti sociali
grazie ai “ribelli” in una nuova collana di Manni
editori.
Da poche settimane è uscita una nuova collana per Manni editore dal nome Sollevazioni, curata da Franco Berardi Bifo e Carlo Formenti, grafica essenziale, contenuti che scoppiano e soprattutto tutte opere in creative commons.
Il
primo titolo uscito è di Franco Berardi Bifo, La sollevazione.
Collasso europeo e prospettive di movimento, un titolo che
parte dall'analisi della crisi economica, dal collasso del sistema
bancario e del debito in occidente. Nel testo l'autore è
“ottimista” dal suo punto di vista il neoliberismo
in forte crisi si trova attaccato da diverse tipologie di rivolta,
da movimenti mosaico come quello degli indignados che non segue
una linea precisa ma rinegozia continuamente metodi e le prospettive
di lotta. La sollevazione è iniziata adesso bisogna capire
come portarla avanti, come farla evolvere e renderla più
efficace far in modo di rimettere in circolo nella sensibilità
collettiva le energie della solidarietà, dell'empatia,
del desiderio di condivisione.
Il secondo titolo molto interessante è del poliedrico David Graeber, La rivoluzione che viene. Come ripartire dopo la fine del capitalismo” che esce in questi mesi con altri due titoli in Italia uno per Elèuthera “Critica delle democrazia occidentale” e l'altro per il Saggiatore, “Debito. I primi 5000 anni”.
La rivoluzione che viene è una raccolta di scritti che ha curato lo stesso David Graeber per una pubblicazione greca. I temi trattati sono molti; politica, economia, violenza, movimenti di protesta, alienazione e creatività tutto alla ricerca di tracce di speranza nei luoghi più inattesi. Questi scritti sono il prodotto di un confuso periodo di transizione vissuto dall'autore in prima persona tra le lotte contro la globalizzazione e l'inizio della crisi economica degli ultimi tre anni.
La raccolta si apre con il capitolo “Lo shock della vittoria”, per l'autore molto spesso i militanti dei movimenti sociali non si rendono conto di aver raggiunto la vittoria velocemente e cadono in un empasse non riuscendo a uscirne, per esempio ci parla del movimento di Seattle o di quello antecedente contro il nucleare, che una volta raggiunte le prime vittorie cominciano le faide interne e la disgregazione.
Altro capitolo molto interessante è “Speranza in comune” dove si spinge ancora oltre e analizza un capitalismo ossessionato dal dover garantire che non c'è nessuna alternativa al neoliberismo.
Uno
sguardo alla realtà ci dimostra che è tutto il contrario,
viviamo in un sistema terribile, in cui anche le nazioni più
ricche non possono assicurare alla maggior parte dei cittadini
il soddisfacimento di necessità primarie come la salute
e l'istruzione; il sistema funziona male ma ci vogliono convincere
che è l'unico possibile.
Per fortuna sono sempre di più nel mondo i movimenti che hanno compreso che non possiamo riporre le nostre speranze in uno stato, di qualsiasi tipo esso sia, rosso, nero o bianco. In alcune parti del mondo, i governi e i loro rappresentanti hanno perso gran parte del loro controllo sul territorio, ci sono intere zone dell'Africa o del Sud-est asiatico e probabilmente anche nelle Americhe, in cui la presenza dello stato e del capitalismo è minima, quasi inesistente.
In altre zone, l'ultimo decennio ha visto lo sviluppo di migliaia di forme di associazioni di mutuo soccorso a dispetto dei governi e del capitalismo; molte di queste realtà non sono neanche state rilevate dal radar dei media globali. Gli esempi che possiamo fare sono molti, da piccole cooperative e associazioni, a esperimenti anticapitalisti ad ampio raggio, arcipelaghi di fabbriche occupate in Paraguay o Argentina e piantagioni di the e aziende per la pesca autogestite in India, organizzazioni autonome in Corea, intere comunità ribelli in Chiapas o in Bolivia, associazioni di contadini sem terra, cittadini senza casa che creano alleanze di quartiere in molte città occidentali. Tutte queste esperienze potrebbero non avere quasi nessuna unitarietà dal punto di vista ideologico e spesso non sono nemmeno a conoscenza le une delle altre ma sono comunque tutte caratterizzate da un desiderio comune, quello di rompere con le logiche del capitalismo. Secondo Graeber siamo al punto in cui possiamo iniziare a percepire come queste realtà possano unificarsi a livello globale, creando nuove forme di comuni mondiali per creare una civiltà ribelle e spontanea.
Altro capitolo interessante è: “Rivoluzione al
contrario” dove si considera la posta in gioco di questa
guerra per l'immaginazione ad un livello più profondo.
Lavoro
costante tra la gente
L'idea di rivoluzione comunque sia concepita, non può
scomparire completamente, perché la nozione di un futuro
di riscatto rimane l'unico modo con cui possiamo dare senso
al presente. Possiamo comprendere il valore di quello che ci
circonda solo dalla prospettiva di un mondo immaginario di cui
non potremo mai intuire i contorni, anche se ci trovassimo al
suo interno.
Il sistema capitalista si sta piegando su se stesso, quello
che rimane è solo ciò che riusciamo a prometterci
a vicenda, direttamente, senza la mediazione di burocrazie economiche
o politiche.
È proprio questo il punto, la rivoluzione inizia con
il chiedersi: che tipo di promesse fanno gli uomini e le donne
libere e come possiamo costruire un mondo nuovo attraverso queste
promesse.
La nostra (per i libertari) concezione ordinaria di rivoluzione
ha un carattere insurrezionalista: l'idea è di spazzare
via le realtà di violenza esistenti rovesciando lo stato,
per poi liberare il potere dell'immaginazione popolare e della
creatività per superare le strutture che creano l'alienazione
Dopo il XX secolo è finalmente diventato chiaro che il
vero problema è come istituzionalizzare questa creatività
senza far nascere nuove strutture ancora più violente
ed alienanti, ricreare gli effetti di quei momenti di insurrezione
su base continua.
Questo
problema ce lo siamo posti anche nel 2010 come asperimenti
in un seminario dal nome Rivoluzione?; nel libro che
riporta gli interventi (scaricabile dal blog asperimenti.noblogs.org)
scriviamo che è fondamentale per un rivoluzionario il
lavoro costante tra la gente per combattere il dominio, cioè
quel sistema di potere che è monopolio solo di una parte
della società; è necessario un lavoro lungo e
profondo di delegittimazione dell'autorità, per riuscire
a rompere le asimmetrie nelle relazioni funzionali scatenando
dal basso un inizio di mutazione culturale sotto forma di resistenza
e attacco. Perché abbattere lo stato, (ammesso di riuscire
a capire come fare) non risolverebbe il problema del dominio,
dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, sugli animali e sulla
terra. Senza un profondo e continuo lavoro di mutazione culturale
nelle reti di rapporti fra esseri umani si ricreerebbe un nuovo
dominio solamente con una veste nuova, come è successo
in tutte le rivoluzioni del 900, che hanno avuto un intento
totalizzante e si sono affidate a modelli di mutamento sociale
autoritari e statuali.
Un
processo non un evento
Dobbiamo essere noi a cominciare; cominciare a creare un nuovo
linguaggio, un nuovo sentire comune su ciò che definisce
le persone e ciò che sarebbe ragionevole aspettarsi dal
mondo e da ciascuno di noi.
Il terzo titolo che ci può aiutare nella comprensione
delle lotte contemporanee è “Come si fa, tecniche
e prospettive di rivoluzione”, un volume curato da
Franco Berardi Bifo e Valerio Monteventi”. Anche in questo
testo si sostiene che i movimenti di protesta si stanno diffondendo
in tutto il mondo ma con meno ottimismo perché per i
curatori le battaglie di opposizione al sistema non hanno ancora
trovato gli strumenti per un'azione efficace. Obbiettivo finale
del saggio è cercare di capire il passato, non rimanerci
bloccati per riuscire a riformulare una forma nuova e adeguata
della rivoluzione oggi. Dal mio punto di vista come scrivevo
in “Rivoluzione?” non dobbiamo attendere
il giorno della rivoluzione, o meglio dobbiamo vedere la rivoluzione
come qualcosa in perenne movimento e aperta al cambiamento durante
il suo percorso. Una concezione della rivoluzione come processo
e non come evento.
Andrea Staid
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