anarchici
“Tentare è un nostro dovere”
di Gianfranco Ragona
L'ostinata speranza di Gustav Landauer, anarchico controcorrente, una delle figure più stimolanti e attuali, e al contempo meno note, dell'anarchismo internazionale dello scorso secolo.
Questo saggio è la premessa al volume appena edito da Elèuthera.
Un
romantico tedesco. Gli studi sulla figura e il pensiero
di Gustav Landauer (1870-1919), pur limitati nel numero e talvolta
parziali nel contenuto, sono riusciti nel complesso a valorizzare
il suo contributo alla teoria anarchica e alla vicenda dell'anarchismo
tedesco tra Otto e Novecento, (1) e questo
a dispetto della mancanza di un'edizione critica dei suoi scritti.
In alcuni casi, sulla base di un procedimento accettabile soprattutto
in ambito accademico, cioè lo studio della formazione
intellettuale e la ricerca delle fonti d'ispirazione, è
stato sottolineato (forse con enfasi eccessiva ma correttamente)
come il romanticismo, o meglio il neoromanticismo che attraversò
la cultura tedesca a cavallo tra i due secoli, abbia costituito
il brodo di coltura delle sue idee politiche. A questo proposito,
è significativo il passaggio di uno dei saggi qui tradotti,
in cui Landauer, riferendosi alla musica di Beethoven, in particolare
alla Sinfonia n. 9, che segna l'ingresso del sommo compositore
nel pieno romanticismo, interpreta lo schilleriano Inno alla
Gioia come un elogio della fratellanza:
E non dobbiamo neppure dimenticare le parole del poema di
Schiller, messe in musica da Beethoven: «Tutti gli uomini
diventano fratelli, là dove il tuo dolce soffio si posa».
Non è vero quello che vogliono farci credere in questi
tempi fiacchi e privi di sentimento a causa della loro debolezza,
che a cagione della decadenza si vergognano dell'amore e della
dedizione, e cioè che per noi la fratellanza sia diventata
una parola vuota. Noi uomini dovremmo di nuovo imparare a proclamare
con forza e decisione, prima e dopo la rivoluzione, che tutti
gli uomini sono fratelli. (2)
Il romanticismo rappresenta effettivamente uno degli elementi
costitutivi del pensiero landaueriano, benché non sia
certo l'unico o quello preponderante. Esso si manifesta tanto
nel richiamo alla mistica, almeno per quanto essa serva a mettere
in rapporto l'individuo con il tutto, quanto nel riferimento
alla cultura völkisch, nazional-popolare, che però
in Landauer, invece di indulgere alla rivalutazione dei miti
degli antichi germani, come accadde in vasti settori dell'intelligencija
tedesca coeva, inclinava al recupero di un'idea dell'uomo quale
essere comunitario, impensabile cioè nei termini dell'isolata
singolarità e sempre frutto delle sue relazioni con gli
altri.
Il peso del romanticismo sulle concezioni landaueriane si nota,
infine, nell'impiego reiterato del termine Geist, che
solo approssimativamente può essere reso nella nostra
lingua come “spirito”. Landauer lo usava per lo
più nel senso di una sintesi di sapere, sentire e volontà
orientata a uno scopo, staccandosi, come altri intellettuali
del tempo, da ogni forma di scientismo positivista applicato
alla politica: rivalutava in tal modo il ruolo della soggettività
nel processo storico, senza scivolare nell'adorazione liberale,
ma poco libertaria, dell'individualismo esasperato.
L'insistente riferimento allo spirito ha causato alcuni problemi
postumi all'anarchico, soprattutto in epoche traumatizzate dagli
esiti nefasti dei fascismi europei, considerati sul piano ideologico
e culturale figli dell'irrazionalismo. È pure comprensibile
che il discorrere di spirito abbia ancora di che disturbare
la nostra cultura politica, permeata di più, non certo
meno, dal culto della tecnica e sottomessa all'autorità
dei suoi sacerdoti, legittimati dall'alto e perciò irresponsabili,
appunto i tecnici: della politica, dell'economia, della
cultura ecc.
Dev'essere sottolineato, però, come nel discorso landaueriano
il linguaggio che fa perno sullo spirito coincida con quello
adoperato da Max Weber per descrivere lo Spirito del capitalismo,
a sua volta risalente al dibattito sulle Geisteswissenschaften,
cioè le scienze della cultura, impostato da Dilthey alla
fine del secolo XIX. Landauer rielabora questa concezione dello
spirito nei termini di ragione umana, che si dispiega in tutte
le sue potenzialità, soprattutto quelle legate alla passione
e allo slancio entusiastico verso un fine. Insomma, la parola,
negli scritti di Landauer, non ha nulla a che fare con il mistero
religioso o con un alcunché di sovrumano.
Egli sferzava anarchici e socialisti e talvolta, anche adottando
un lessico ricercato e provocatorio, si prendeva gioco di loro,
perché si dimostravano senza coraggio quando, per esempio,
pensavano alla rivoluzione come un risultato dello sviluppo
delle forze produttive o dell'evoluzione della specie, o del
progresso della Storia con la maiuscola. Il che ai suoi occhi
rischiava di condurre (come di fatto almeno in parte accadde)
interi settori del movimento rivoluzionario, socialista e socialdemocratico,
persino molti anarchici, (3) alla passività
o peggio all'integrazione nel sistema. Per contro, il ricorso
allo «spirito» evocava la necessità di ricercare
e mettere a punto un insieme condiviso di ragioni di vita, di
obiettivi assai concreti, di desideri e utopie; esprimeva, insomma,
il bisogno di un nuovo clima culturale, che non avrebbe generato
nulla da sé, ma senza il quale l'azione collettiva per
la trasformazione sociale, ossia l'attività politica,
nel senso più nobile d'impegno nella creazione di exempla
di vita buona, non avrebbe potuto produrre nulla di stabile
e duraturo. Si trattava di un approccio eminentemente dialettico,
coerente con lo spirito del tempo.
Il suo
grande amico Martin Buber
Il destino di un eretico. La presente raccolta di scritti
politici intende contribuire a colmare una lacuna nel panorama
editoriale italiano. Infatti, l'unica opera di Landauer ad oggi
tradotta è La rivoluzione, cui si accompagna qualche
saggio ospitato sulle pagine di riviste lungimiranti. (4)
La disattenzione per una delle figure più brillanti del
pensiero politico tedesco a cavallo tra Otto e Novecento non
riguarda soltanto l'Italia, e non è certo il prodotto
di alcuna congiura del silenzio. Solo in epoca recente sono
apparse traduzioni francesi e inglesi di alcuni dei suoi contributi
più originali e interessanti e anche in patria egli ha
dovuto attendere la fine del primo decennio del XXI secolo affinché
vedesse la luce un'ampia raccolta di Scritti scelti,
organizzata in diversi volumi. (5)
Per spiegare l'oblìo o il disconoscimento calati per
molto tempo su Landauer, si sarebbe tentati di ricorrere a una
spiegazione, per così dire, linguistica, giacché
il suo tedesco è ricco, ricercato e spesso ostico, quindi
difficile da tradurre; tuttavia, la contestuale difficoltà
a trovare e leggere le sue sparpagliate opere perfino nella
lingua madre suggerisce di ampliare il raggio di ricerca. (6)
Dopo la sua uccisione per mano di un plotone di guardie bianche
durante la repressione della Repubblica dei consigli di Baviera,
di cui era stato uno dei principali protagonisti ricoprendo
per un breve momento anche l'incarico di Ministro della Cultura,
si pose il problema di curare la sua memoria e di valorizzare
il suo contributo teorico. Le basi per una riflessione e un
lavoro in tal senso furono gettate dal suo grande amico Martin
Buber, celebre studioso del chassidismo e filosofo del dialogo,
che negli anni Venti radunò in volume le conferenze,
gli articoli letterari, quelli sull'anarchismo e sul socialismo,
e mise a disposizione una gran parte della corrispondenza. (7)
Dopo la sua morte avvenuta nel 1965, le nuove pubblicazioni,
quando non riproducevano pedissequamente le edizioni buberiane,
si rivelarono nel complesso insoddisfacenti, (8)
soprattutto sotto il profilo scientifico, se si eccettua la
pregevole raccolta di documenti del periodo rivoluzionario approntata
da Ulrich Linse. (9) Gli studi e l'impegno
filologico vennero ripresi un decennio più tardi, con
la stampa di alcuni scritti giovanili predisposta da Ruth Link-Salinger:
sebbene anche in questo caso mancasse una solida interpretazione
storica, il lavoro era pionieristico e illuminava un momento
fino ad allora trascurato del percorso di Landauer.
Misconosciuto?
Era un pensatore anarchico
Sulla stessa traccia si mosse Siegbert Wolf in un'antologia
del 1989 consacrata agli scritti sull'anarchismo, in cui accluse
alcuni dei principali articoli giovanili. (10)
Tali contributi favorirono la ripresa della discussione: anche
grazie alla nuova documentazione, infatti, furono organizzati
simposi internazionali che stimolarono l'ulteriore avanzamento
degli studi. (11) Nel 1997, Rolf Kauffeldt
e Michael Matzigkeit, nel rispetto di solidi criteri di scientificità,
diedero alle stampe un gruppo omogeneo di opere dedicate alla
critica culturale e letteraria, (12) e nello
stesso anno apparve il primo volume delle Opere complete,
incentrato sugli scritti e i discorsi sulla letteratura, la
filosofia e l'ebraismo: il progetto non è stato portato
a termine e i volumi annunciati per il 2000 sono restati sulla
carta. (13) In compenso, in tempi recenti,
ancora Wolf ha dato alle stampe i primi volumi degli Scritti
scelti, qui già menzionati.
È trascorso quasi del tutto un intero secolo dalla sua
scomparsa, eppure la storia della ricezione delle opere e del
pensiero di Landauer si riassume in poche decine di righe. Alcune
considerazioni possono aiutare a spiegarne le ragioni.
In primo luogo, Landauer era un anarchico, e nel Novecento l'idea
di un ordine sociale senza Stato e senza autorità ha
perduto presto ogni dignità d'esistenza, tacciato senza
esitazione di utopismo, nel senso deteriore di ciò che
non sarà mai in vece di ciò che ancora
non è. In secondo luogo, egli era un rivoluzionario,
e la storia novecentesca del pensiero politico europeo, dopo
l'Ottobre russo e il Biennio rosso europeo, è la storia
del progressivo tramonto dell'idea stessa di rivoluzione, un
declino interrotto solo episodicamente e momentaneamente nel
secondo Novecento e per lo più in contesti extraeuropei,
fino a giungere addirittura ad associare ogni tentativo di dare
un ordine radicalmente nuovo alla vita in società al
pericolo, pressoché ineluttabile, del totalitarismo.
Infine, Landauer era un ebreo, certo laico, ma che della cultura
d'origine portò con sé un afflato messianico,
valutato con scetticismo e sospetto da quei contemporanei colti
o compagni impegnati, che si erano formati in un'epoca ancora
contrassegnata dal culto assolutizzante delle scienze.
Tutte le dimensioni dell'identità politica ed esistenziale
di Landauer non si presentarono mai allo stato puro, ma confluirono
in una forma articolata dell'eresia: egli fu eretico in quanto
rivoluzionario, persuaso che la rivoluzione non fosse certo
«quel che pensano i rivoluzionari»; lo fu in quanto
anarchico, non stancandosi mai di biasimare compagni e sodali
per la loro incapacità di affrontare i problemi “politici”
generali o, per esempio, per il loro disprezzo plebeo nei confronti
dell'azione culturale, non riconoscendo che in quest'ambito
non era possibile alcuna democrazia; e fu eretico in quanto
ebreo, collocandosi in quella corrente dell'intellettualità
ebraico-tedesca che coniugava il messianesimo escatologico con
la dimensione utopico-libertaria della trasformazione sociale,
come ha puntualmente messo in luce Michael Löwy, accostando
la figura di Landauer a quelle di Benjamin, Bloch, Scholem,
Mühsam e Buber. (14)
Tutto ciò può contribuire a spiegare il “caso
Landauer”, portatore di un pensiero che aveva tutti le
caratteristiche dell'eterodossia.
Quale
rapporto tra libertà e uguaglianza
Il pensiero politico. Gli elementi “eretici”
che caratterizzano la figura intellettuale e politica di Landauer
s'innestano sul suo pensiero politico. (15)
La riflessione risulta condensata in tre scritti principali,
sviluppandosi intorno ad alcuni temi portanti (il cooperativismo,
la rivoluzione, il rapporto tra anarchismo e socialismo), e
procede parallelamente alla militanza attiva.
Le prime riflessioni sul complesso rapporto tra l'anarchismo
e il socialismo (16) maturarono all'interno
delle discussioni che agitavano il mondo del socialismo internazionalista,
nel quale Landauer conquistò presto una posizione di
rilievo, partecipando ai congressi della Seconda Internazionale
di Zurigo (1893) e di Londra (1896). Benché proprio nella
capitale britannica si fosse consumata un'insanabile rottura
tra l'anarchismo e le correnti politiche del socialismo, egli
continuò sempre a definirsi un «anarco-socialista»,
persuaso che il concetto di anarchismo (inteso nei termini di
assenza di dominio e di Stato e, contestualmente, di riconoscimento
e protezione del singolo dalle interferenze di ogni altra forma
di potere) potesse integrarsi perfettamente con il concetto
di socialismo, quale comunanza tra gli uomini dei beni necessari
alla vita.
Si tratta naturalmente del problema, vecchio ma non invecchiato,
del rapporto tra libertà e uguaglianza, questione che
sottende l'intera trattazione del cooperativismo, il primo pilastro
del suo pensiero. Nel suo principale contributo al tema, uno
scritto pubblicato in forma anonima a Berlino nel 1895 con il
titolo Una strada per la liberazione dei lavoratori,
(17) Landauer avanzava una visione propositiva
dell'anarchismo, in anni in cui era ancora vitale la «propaganda
del fatto», una strategia che nei decenni finali dell'Ottocento
aveva affascinato alcune correnti del movimento, inclini a giustificare
omicidi politici, attentati a capi di Stato e di governo e a
funzionari di polizia, o più in generale disposte a praticare
una vera e propria “politica delle bombe” per seminare
terrore nei luoghi di ritrovo delle classi privilegiate.
Il volumetto esprimeva senza incertezze l'opzione antiparlamentarista
del giovane anarchico e parallelamente riconosceva un primato
all'azione economica quale strada per la liberazione del lavoro
attraverso l'edificazione di associazioni di produttori, autonome
dal capitalismo ma situate entro i confini della società
esistente. Si trattava di una visione che, da un lato, era debitrice
della lezione di Pierre-Joseph Proudhon – il pensatore
francese aveva strenuamente difeso l'ipotesi di creare nel presente
«banche del popolo» dispensatrici di «credito
gratuito» –, ma che, da un altro lato, per gli accenti
economicisti che manifestava, anticipava gli sviluppi futuri
del sindacalismo rivoluzionario, che in Germania, in effetti,
si sarebbe affacciato solo alcuni lustri più tardi.
Landauer delineava la sua prospettiva in modo assai chiaro,
respingendo ogni velleità legata alla conquista del potere
politico, un atto che tutt'al più avrebbe rimpiazzato
una classe dominante con i «cosiddetti rivoluzionari,
che in modo dilettantesco, con decreti dittatoriali, tentano
di far emergere la società socialista dal nulla».
(18) I lavoratori, per contro, avrebbero
dovuto conquistare passo dopo passo un potere sociale, organizzandosi
in comunità di produzione, di consumo e culturali. Dapprima
sarebbe stato necessario dar vita a cooperative di consumo,
poi, sulla base dei risparmi realizzati aggirando i diversi
livelli d'intermediazione del commercio, sarebbero sorte anche
cooperative di produzione, il che avrebbe consentito ai lavoratori
di affrancarsi dallo sfruttamento, dando prova concreta della
possibilità di regolare la produzione e la distribuzione
dei beni in armonia con i princìpi del mutuo appoggio,
della solidarietà e dell'uguaglianza. Egli non intendeva
fomentare l'illusione che questa strategia fosse in grado da
sola di abbattere il sistema generando d'incanto una società
perfetta, ma riteneva che una proposta seria di “transizione”
non potesse limitarsi a evocare quasi magicamente l'alba di
un giorno nuovo, capace di illuminare le macerie lasciate da
un atto rivoluzionario improvviso e violento: il futuro doveva
essere preparato nelle condizioni del presente creando “colonie”
a base cooperativa nel seno di ogni Stato. L'immagine della
società che ne scaturiva non era immobile, fuori dal
tempo e dallo spazio, perché si trattava di organizzare
comunità articolate sulla base della divisione sociale
del lavoro e dei compiti, nel rispetto delle diverse competenze
di ciascuno e delle esigenze collettive. Landauer respingeva
così sia l'apologia della rivolta distruttrice di massa
esaltata in passato da Bakunin, sia il carattere determinista
e scientista del socialismo socialdemocratico, contrapponendo
una concezione etica del mutamento che non attendeva nulla dallo
“sviluppo”, ma richiamava l'intervento attivo degli
uomini nella storia.
Su queste fondamenta gettate in età giovanile, Landauer
costruì nel tempo il secondo pilastro del suo pensiero,
una teoria della rivoluzione dai tratti decisamente originali.
Il saggio in cui sintetizzava le sue concezioni, La Rivoluzione,
fu redatto tra il 1906 e il 1907, nel pieno di una fase politica
in cui la maggioranza delle forze socialiste organizzate d'Europa
aveva ripudiato l'idea stessa che la rivoluzione fosse non solo
possibile ma persino auspicabile. A cavallo tra Otto e Novecento,
il Partito socialdemocratico tedesco aveva riposto in un cassetto
ogni progetto del sovvertimento radicale degli assetti sociali
dominanti: il dilaniante dibattito sul revisionismo della dottrina
di Marx, con la critica della teoria della caduta tendenziale
del saggio di profitto (il capitalismo per Eduard Bernstein
e seguaci non era affatto destinato a crollare) e dell'ipotesi
dell'immiserimento crescente dei lavoratori (che anzi nei decenni
avevano visto migliorare le proprie condizioni materiali di
vita), aveva aperto la strada a politiche d'integrazione del
movimento operaio in un sistema che, se democratizzato, sarebbe
evoluto nel socialismo. Non per caso in quel periodo
i socialdemocratici, che esercitavano un ruolo egemonico anche
nella Seconda Internazionale, leggevano e facevano leggere –
forzandone l'interpretazione – il celebre testamento politico
di Friedrich Engels, l'Introduzione del 1895 alle Lotte
di classe in Francia di Karl Marx, nel quale l'autorevole
“co-fondatore” del materialismo storico giudicava
che l'accesso al potere da parte del proletariato sarebbe potuto
avvenire pacificamente e nel rispetto della democrazia formale,
grazie alla mediazione di un potente partito di massa. Si trattava
di opinioni che mal celavano una smisurata fiducia nella storia
e nel progresso, di cui si scorgeva una direzione, il fatale
esaurimento della spinta propulsiva del capitalismo accompagnata
dalla necessità di socializzare i mezzi di produzione,
almeno nelle compagini nazionali più sviluppate.
La rivoluzione
come processo
Nella socialdemocrazia tedesca e nel socialismo internazionale
le posizioni erano certo più articolate, ma sia gli scritti
di Rosa Luxemburg – in particolare quello celebre del
1906, Sciopero generale, partito e sindacati, concentrato
sulla rivoluzione russa dell'anno precedente, che per un momento
aveva dato l'impressione di poter riaprire quel ciclo lungo
della trasformazione socialista del mondo arrestatosi nel sangue
della Comune parigina del 1871 –, sia i pronunciamenti
di Landauer, che nella Rivoluzione impiegava e sviluppava un
lessico comune alle opposizioni di sinistra del tempo, rappresentavano
l'espressione teorica di esigue minoranze.
La rivoluzione non era un atto, ma un processo, che conteneva
una dimensione spirituale orientata a una vasta riforma intellettuale
e morale. (19) Landauer valorizzava gli
uomini quali soggetti attivi della storia, non meri strumenti
nelle mani della provvidenza, quand'anche essa si presentasse
sotto le vesti delle Spirito assoluto, chiamato di volta in
volta, Ragione, Libertà, Progresso. Ma, soprattutto,
il saggio era fonte di scandalo per l'inedita lettura della
modernità che prospettava: la rivoluzione, contrariamente
a quanto avevano sempre creduto i rivoluzionari, non era un
fatto bensì un'epoca, una lunga transizione inaugurata
col tramonto del medioevo e la riforma protestante, ma non ancora
compiuta. In questa visione, il singolo evento rivoluzionario,
sempre ricorrente nella modernità, veniva ridotto a un
«miracolo d'eroismo», in cui si manifestavano provvisoriamente
le possibilità dell'avvenire sino a quel momento latenti,
in attesa dell'autentico «spirito della rigenerazione».
Tale spirito, ossia la comunanza di ideali, di ragioni di vita,
di obiettivi alti, sarebbe apparso solo quando si fosse incominciato,
anche in piccolo, a edificare nella realtà ostile non
tanto oasi felici nascoste allo sguardo del potere e del mercato,
ma tasselli di un grande mosaico ideale, il socialismo. Landauer
manifestava in questo modo la sua etica di emancipazione: la
prefigurazione razionale della città futura, espressa
in termini di desiderio e di possibilità, doveva consentire
di derivare coerentemente i mezzi dell'azione collettiva. Lo
spirito si sarebbe concretato perciò in istituzioni comunitarie,
capaci di produrre in forma cooperativa e armonica valori d'uso
necessari alla vita di ciascuno. Sulla scorta delle intuizioni
di Buber, egli non immaginava tali comunità come presociali,
anzi il contrario: si trattava d'inedite forme di convivenza
contrapposte alla società borghese e capitalistica, in
cui la maggioranza era abbassata a mero ingranaggio di un meccanismo
totale di sfruttamento e oppressione da parte di minoranze organizzate.
Landauer intendeva riportare a galla l'essenza comunitaria del
singolo, non considerato mai una potenza autonoma in lotta con
potenze uguali e contrarie, senza inclinare, per altro, verso
un'idea di comunità come una sorta di “superindividuo”:
la comunità costituiva una relazione sociale basata sull'eguaglianza,
la solidarietà e la vita in comune, in un contesto in
grado di valorizzare le specificità di ciascuno. Un decennio
più tardi, avrebbe creduto di scorgere nei consigli degli
operai, dei contadini e dei soldati, nati nel vortice della
rivoluzione tedesca, una manifestazione tangibile di questo
archetipo:
Io vedo in quel che è iniziato (e si chiama con termini
rivoluzionari: Consigli degli operai, dei soldati, dei contadini,
come in tutte le rivoluzioni), vedo l'articolazione di tutto
il popolo in corporazioni organiche, vedo in tutto questo il
rinnovamento di un parlamentarismo decaduto, deprecabile e indegno,
che è scomparso, morto e sepolto, sconfitto dalla rivoluzione
e che non riapparirà sotto nessuna forma [...]. (20)
Infine, nel 1911, Landauer diede alle stampe l'Appello al
socialismo. (21) Lo scritto, per molti
versi, tradiva il proprio carattere originario: un'appassionata
conferenza pronunciata nel 1908 da un oratore d'indiscusso talento,
ma disorganica e frammentaria; d'altro canto, però, riassumeva
assai bene e approfondiva le antiche idee sul carattere coessenziale
dell'anarchismo e del socialismo, costruendo così, sulle
basi gettate negli anni precedenti, il terzo pilastro del suo
pensiero politico.
Il volume proponeva prima di tutto un ragionamento articolato
sulle principali cause della servitù nella società
capitalista, tra esse la proprietà privata della terra,
che strappava ai più la possibilità di accedere
a uno dei presupposti essenziali della produzione, costringendoli
a un legame di dipendenza economica dai proprietari. Landauer
non si fermava a tale constatazione, ma esaminava anche il meccanismo
della circolazione delle merci: in un'economia caratterizzata
dallo scambio capitalistico, l'accesso ai beni, sia per il consumo
diretto sia per la produzione, era limitato dal possesso di
denaro, una merce del tutto particolare perché poteva
aumentare di valore nel tempo, sicché i ricchi godevano
del privilegio di limitarne e controllarne la circolazione,
riproducendo il sistema sempre uguale a se stesso. Ispirandosi
all'economista völkisch Silvio Gesell, proponeva
quindi l'introduzione di una moneta che si deprezzasse col tempo,
in modo tale da favorire un più rapido impiego della
ricchezza prodotta socialmente. Non trascurava, infine, di esaminare
il plusvalore, termine con il quale, però, egli definiva
lo scarto tra il prezzo di vendita di una merce e il suo valore
effettivo, prendendo le distanze dalla concezione marxiana,
secondo cui esso si realizzava nel processo di produzione di
merci a causa delle condizioni determinate dai rapporti di classe,
non certo nel processo di circolazione.
Landauer interpretava la società del capitale come totalità,
che permeava sia le condizioni sociali della vita sia la politica.
Lo Stato svolgeva un compito essenziale nel garantire le condizioni
dello sfruttamento, stabilendo le norme dello scambio e dell'accesso
alla proprietà della terra e agli strumenti di lavoro.
Ma cosa intendeva egli con il termine capitale? A suo giudizio,
si trattava di «spirito comune» (Gemeingeist),
ossia un'accumulazione di sapere e saper fare finalizzata all'appagamento
tanto dei bisogni primari quanto di quelli intellettuali, tramandati
nel tempo e patrimonio della comunità; pertanto non respingeva
tout court l'utilità del capitale, in quanto si
trattava di una relazione tra gli uomini, ossia di uno «spirito
che unisce, nella sua realtà economica». In questo
senso, il socialismo lo avrebbe conservato, istituendo un sistema
nel quale ciascuno avrebbe lavorato per sé, ma senza
sfruttare il lavoro altrui, ricevendo integralmente il frutto
del proprio sforzo e godendo liberamente dei prodotti derivanti
dalla divisione del lavoro e dallo scambio. Per mettere in scacco
il sistema vigente, tuttavia, i lavoratori avrebbero dovuto
innanzitutto sottrarsi alla presa del potere economico e politico
incominciando a costruire una sorta di “controsocietà”:
un elemento questo che raccordava l'Appello non solo
allo scritto sulla Rivoluzione, ma anche al vecchio opuscolo
sul cooperativismo.
In questo contesto, invece di designare un soggetto sociale
specifico capace di farsi carico di questa grande trasformazione,
Landauer riteneva che tutti gli individui decisi a «incominciare»
e i gruppi capaci di unirsi nelle cooperative di consumo e di
produzione avrebbero costituito le prime cellule di un «popolo
nuovo», portatore dello spirito comunitario e della rigenerazione.
Si trattava d'inaugurare un complesso «percorso»
di fuoriuscita dalla società esistente e di recupero
di un rapporto con la terra e la natura, che – ipotizzava
– avrebbe ricostruito il legame sociale su basi solidaristiche
e comunitarie. Una strada che non poteva certo incrociarsi con
il marxismo dominante all'epoca, che presentava il socialismo
quale prodotto dello sviluppo «dialetticamente»
necessario del capitalismo, e neppure con il debole anarchismo
tedesco d'inizio secolo. Per questo dal 1909 al 1915 s'impegnò
in prima persona nella costruzione di un'autonoma organizzazione,
l'Alleanza socialista (Sozialistischer Bund), che all'apice
della sua attività raccolse alcune centinaia di militanti
e simpatizzanti in tutta la Germania, con l'obiettivo di creare
comunità: nascoste allo sguardo del potere, funzionando
in forma cooperativa e articolandosi secondo una struttura federalista,
esse sarebbero state capaci di presentare un modello del tutto
alternativo del vivere insieme.
Il recupero
del concetto di “patria”
Sul limitare del baratro. La frenetica attività
pubblicistica, la mole di discorsi, la messe di lettere inviate
e ricevute negli anni in cui animò il «Sozialist»,
giornale che costituiva l'organo ufficiale dell'Alleanza Socialista,
rimandano a un tema classico della retorica rivoluzionaria,
quello del rischio d'implosione della civiltà fondata
sul Capitale e sullo Stato, che Landauer raccolse in un passaggio
cruciale dell'Appello per il socialismo: «Forse
nessuna epoca come la nostra ha avuto dinanzi agli occhi quello
che si suol chiamare il tramonto del mondo». (22)
Il tema, che la storiografia del e sul socialismo ascrive per
ragioni classificatorie alla declinazione soggettivista del
socialismo internazionale, era comparso nitidamente nel celebre
Manifesto marx-engelsiano del '48, in cui veniva presentata
una visione drammatica della storia quale storia di conflitti
fra classi, che potevano concludersi con «la comune rovina»
delle forze in lotta. Su questa visione faceva perno l'esigenza
dell'impegno politico del proletariato, incitato a organizzarsi
nella forma del partito, perché in sé e per sé
lo sviluppo delle forze produttive non garantiva affatto la
nascita del socialismo, anzi il contrario. Detto altrimenti,
e sfruttando la celebre variazione sul tema proposta da Rosa
Luxemburg con la fortunata formula d'inizio secolo, «Socialismo
o barbarie», il socialismo non era destinato a realizzarsi
per la forza delle cose: lo sviluppo contraddittorio del capitalismo
conduceva a un accrescimento inaudito delle risorse a disposizione
dell'umanità e nel contempo, a causa della proprietà
privata dei mezzi di produzione, anche alla concorrenza spietata
sui mercati, all'impiego irrazionale delle risorse e a una polarizzazione
rovinosa delle ricchezze. Quindi, di fronte a un dilemma obiettivo
– o una svolta di civiltà sotto le insegne del
socialismo, o il suo tramonto, tramite crisi e guerre fratricide
– s'imponeva una scelta di natura etica, o per usare il
lessico di Landauer, una svolta di natura spirituale:
Siamo come uomini primitivi di fronte all'indescritto e indescrivibile,
non abbiamo niente davanti a noi, ma tutto solo dentro di noi:
dentro di noi la realtà ovvero la forza non dell'umanità
a venire, bensì dell'umanità già esistita
e per questo in noi vivente e consistente, in noi l'operare,
in noi il dovere che non ci travia, che ci conduce sul nostro
sentiero, in noi l'idea di ciò che deve diventare realtà
compiuta, in noi la necessità di uscire da sofferenza
e umiliazione, in noi la giustizia che non lascia nel dubbio
o nell'incertezza, in noi la dignità che esige reciprocità,
in noi la razionalità che riconosce l'interesse altrui.
In coloro che provano questi sentimenti nasce dalla più
grande sofferenza la più grande temerarietà; coloro
che vogliono tentare, malgrado tutto, un'opera di rinnovamento,
orbene, si devono unire. (23)
La fine della civiltà sembrava una possibilità
concreta e veniva espressa in un linguaggio che si rannodava
al clima intellettuale complessivo del tempo: il tramonto della
civiltà o dell'Occidente, come avrebbe detto Spengler
pochi anni più tardi. (24) Quest'eventualità
avrebbe poi assunto forme reazionarie nella cosiddetta «rivoluzione
conservatrice» e nel nazismo, ma non certo per necessità
naturale: anzi, essa avrebbe potuto approdare nell'opposta consapevolezza
del compito emancipatore e liberatorio di un «popolo nuovo»,
dando origine a un'inedita configurazione egualitaria dei rapporti
sociali.
Il popolo, dal punto di vista strettamente sociologico, non
fu mai pensato da Landauer come un tutto indifferenziato, bensì
articolato in gruppi e strati sociali molteplici e conflittuali.
Il fatto che egli non fosse un classista, almeno nel senso del
marxismo politico, non significa affatto che non riconoscesse
l'esistenza delle classi, ma attesta solo il rifiuto di attribuire
a una classe specifica l'onere e il privilegio di una fantomatica
transizione per mezzo dello Stato: solo «quando si saranno
individuate le pietre angolari più adatte alla costruzione,
potremo individuare anche gli architetti» (25).
Come l'idea di popolo, anche l'idea di patria e quella di nazione,
concetti appropriati dalla destra conservatrice, in Landauer
furono recuperati con un segno del tutto opposto: la patria
era quella ideale, socialista e libertaria, e la nazione era
quella in cui ciascuno poteva riconoscersi in forza di una condivisione
della lingua, della cultura, del folclore, della mentalità,
trascendendo naturalmente i confini statali.
|
Il
calvario dell'anarchico ebreo tedesco Erich Mühsam
in un disegno di George Grosz |
L'anomalia
anarchica di Landauer
Stato e libertà. L'Appello costituiva
anche il compendio di un metodo di lavoro: la voce, il discorso,
la riflessione, l'agitazione che lo attraversavano, rappresentano
l'espressione paradigmatica di un modo d'essere insieme politico
e impolitico. Impolitico, per un verso, perché era sulle
relazioni tra gli uomini in tutti gli aspetti della vita che
Landauer puntava per inaugurare un'epoca del tutto nuova: una
vera e propria mutazione antropologica. Etico-politico, per
un altro verso, perché egli continuava a credere in forme
forti di azione collettiva, collocate al di fuori della sfera
d'influenza dello Stato ma orientate a un fine dai contenuti
spiccatamente universalisti: l'uguaglianza, la pace e, in esse
e grazie a esse, la libertà.
Lo Stato costituisce una realtà per chiunque nella modernità
s'interessi della vita civile, della polis, e perciò
Landauer non accettava di chiudere gli occhi davanti ai parlamenti
e ai governi, magari limitandosi a sfuggire le divise e i doganieri
cullandosi nell'illusione che bastasse rifiutare l'obbedienza
perché il re apparisse in tutta la sua nudità.
Benché apprezzasse la denuncia morale di Étienne
de la Boétie – un'invettiva rivolta contro i sudditi
che cedono a quel vizio mostruoso rappresentato dall'abitudine
a servire –, quest'anomalo anarco-socialista tedesco non
arretrò di fronte all'esigenza di fornire un'interpretazione
originale dello Stato, considerato un surrogato dell'antico
spirito comunitario, ormai spento. Non quindi un oggetto che
dall'esterno coartava individui e gruppi, ma un rapporto sociale
corrispondente a una fase dello sviluppo della modernità,
in cui gli uomini non erano ancora in grado di dare soddisfacimento
ai loro bisogni in maniera autonoma. Lo Stato, però,
si perpetuava invadendo i campi dell'autogoverno comunitario
ogni qualvolta pretendeva di occupare spazi che le comunità
erano in grado di gestire autonomamente nell'interesse collettivo.
In questo senso, sul crinale che separava lo Stato legittimo
dallo Stato in eccesso (sono espressioni buberiane) (26)
si collocavano i «precursori» che, resistendo alle
pressioni contrarie, tentavano di spingere sempre più
avanti la linea di confine tra il socialismo effettivo e quello
possibile, operando nella realtà per rendere lo Stato
superfluo, non per distruggerlo. Solo riconoscendone l'effettività,
e in un certo modo la legittimità, sarebbe stato possibile
sottrarre allo Stato il terreno sotto i piedi.
L'anomalia anarchica di Landauer risalta anche nel modo in cui
affrontò il tema della libertà: «Mi chiedo
– scriveva sempre nell'Appello – se siamo
sicuri di essere in grado di sopportare tutto quello che adesso
comincia a imperversare al posto dello spirito mancante, fra
istituzioni coercitive che lo sostituiscono, se saremo capaci
di sopportare la libertà senza lo spirito, la libertà
dei sensi, la libertà del piacere scevro da responsabilità».
(27) La libertà poteva ridursi pericolosamente
a una vuota frase, a una vana parola blandita dallo stesso potere
autoritario. Egli era ben conscio di essere un provocatore quando
attaccava le «scatenate e sradicate femminelle»,
(28) ma non gli riusciva di vedere alcun
atto di libertà nell'individualistica liberazione dei
costumi, paventando che una mal intesa libertà non comunitaria
potesse approfondire le crepe del corpo sociale, con la perdita
di legami autentici, in un mondo che, pur trovandosi al limitare
del baratro, sopravviveva così com'era proprio a causa
del progressivo allentamento di ogni vincolo tra gli uomini.
Un popolo delle libertà sans phrases non poteva
che essere portatore del peggiore di tutti i mali: l'individualismo
atomistico, dove il singolo era più facilmente alla mercé
del pensiero dominante e dello Stato. Nello stesso tempo, Landauer
richiamava un'idea alternativa di libertà, che da sola
non era nulla, ma poteva assurgere a supremo principio, se accompagnata
dall'uguaglianza, dal rispetto dell'altro, dalla condivisione.
In tal senso, si potrebbe dire, l'individuo è comunità
– perché la porta in sé dalla nascita, la
sviluppa nell'apprendimento e nella crescita, nel lavoro e nella
riproduzione –, e l'appartenenza comunitaria garantisce
a tutti la tanto anelata libertà.
Incominciare. Durante la Prima guerra mondiale Landauer
fu tra i pochi intellettuali tedeschi che tentarono di attivare
un movimento pacifista in Germania. (29)
Per anni aveva denunciato i pericoli della guerra dalle colonne
del «Sozialist», e continuò in questo senso
finché gli riuscì di tenerlo in vita. (30)
Poi, fu attivo nell'effimera esperienza del Forte-Kreis
(Circolo di Forte) al quale per un breve momento si accostò
anche Romain Rolland; militò nel Bund Neues Vaterland
(Lega della nuova patria), associazione pacifista di maggiore
respiro, di cui fecero parte tra gli altri Albert Einstein e
Kurt Eisner, il futuro leader della Repubblica dei consigli
di Baviera; infine aderì al Zentralstelle Völkerrecht
(Ufficio centrale per il diritto delle genti), guidato dal democratico
Ludwig Quidde, Premio Nobel nel 1927, che predicava una pace
senza annessioni.
Un altro
mondo è possibile. Qui e ora
Negli anni del conflitto Landauer non si stancò di
pronunciarsi sui fondamenti della sua etica, denunciando la
stridente contraddizione tra l'immagine chiara e serena di una
possibile umanità unita in pace e le condizioni reali
del presente. Solo così, richiamandosi ai «fondamenti»,
gli apostoli di un'epoca nuova avrebbero potuto ritrovarsi e
creare un'alleanza non compromessa con i partiti o il movimento
di classe. In un discorso pronunciato durante il congresso del
Forte Kreis, disse in maniera eloquente:
Profeti, mistici, filosofi, poeti, artisti, uomini di buon
cuore di tutti gli strati sociali del popolo e, inoltre, singoli
eruditi, in sempre maggior numero, concordano pienamente sul
fatto che la condotta reciproca dell'umanità e le corrispondenti
istituzioni devono e possono essere rese armoniche grazie alla
giustizia, alla bontà, alla dignità e alla convinzione
che albergano in noi. (31)
A chi altri appellarsi, del resto? Il movimento anarchico tedesco
era silente o su posizioni ambigue, tanto che lo stesso Landauer
espresse tutto il suo disappunto di fronte alle posizioni di
Kropotkin, schieratosi precocemente in appoggio delle forze
dell'Intesa, persuaso che una vittoria della Francia avrebbe
riaperto un ciclo di progresso e rivoluzione per tutti i popoli
d'Europa: «Egli ha assolutamente torto [...]. Non è
mai successo che la guerra, la guerra vittoriosa, abbia condotto
alla libertà». (32) E la sinistra
socialdemocratica, ugualmente, non lo convinceva, tanto che,
quando l'amico Erich Mühsam lo sollecitò a prendere
contatti con quella parte dell'opposizione, che all'epoca comprendeva
anche il vecchio Bernstein, e a spendere il suo nome in difesa
di Karl Liebknecht, arrestato il 1° maggio 1916, oppose
un diniego, tormentato ma onesto:
Ciò che per molti anni la socialdemocrazia ha trascurato
e rovinato e sotterrato, non si può far resuscitare durante
una guerra. Nutro la più profonda stima per il coraggio
personale di Liebknecht e ho sincera compassione per il suo
destino. Ma pensando alla bancarotta della socialdemocrazia
è molto significativo che tutto il materiale rivoluzionario
infiammabile si vanifichi nelle sterili esplosioni di un singolo
uomo [...]. (33)
Malgrado il rispetto per Liebknecht, insomma, i riformatori
sociali autentici dovevano esigere chiarezza e “distinguo”
sui punti decisivi della rivoluzione e del socialismo del futuro.
Peraltro, la sinistra socialdemocratica invocava la rivoluzione
quale atto di rottura politico, il che strideva con gli intenti
libertari di Landauer e le sue priorità: l'urgenza del
momento era la pace, non la conquista del potere.
Ciononostante, nello stesso 1915 egli scrisse un articolo destinato
al movimento e ai singoli socialisti, che presentava un appello
all'unione e all'azione nel solco dell'antica prospettiva ideale:
Il socialismo è una rappresentazione da veggenti che
scorgono chiara innanzi la possibilità di trasformare
il tutto. Esso comincia però come gesto degli uomini
d'azione che si separano dal tutto, così com'è
oggi, per salvare la propria anima, per servire il proprio Dio.
L'affermazione: «Noi siamo socialisti» rappresenta
la nostra convinzione che il mondo, gli spiriti, gli animi devono
trasformarsi completamente, se si trasformano le basi sociali
[...]. La scoperta di essere costretto in condizioni indegne
costituisce il primo passo per la liberazione da queste stesse
condizioni. (34)
Prevedendo le difficoltà del dopoguerra e intravvedendo
in anticipo i bisogni di cambiamento che sarebbero sorti, avvertiva
l'esigenza di chiarire i compiti e gli obiettivi finali dei
socialisti:
Il socialismo è innanzitutto opera dei socialisti,
opera che sarà tanto più difficile, quanto più
esiguo sarà il numero di coloro che osano tentarla [...].
Socialista, assolvi adesso, una volta per tutte, ai tuoi compiti!
Per le masse, per i popoli, per l'unità, per la trasformazione
della storia, per la giustizia nei rapporti economici, nella
vita in comune, fra le generazioni e nell'educazione, tu non
hai bisogno immediatamente delle vaste masse, bensì in
primo luogo di precursori. Solo così è possibile
incominciare. (35)
In questo periodo, pertanto, i timori, il senso della crisi
di civiltà, l'impotenza di fronte alla terribile carneficina
bellica, non generarono in Landauer alcuna interruzione dell'impegno,
e neppure si attenuò in lui il desiderio e la volontà
di contribuire a costruire un mondo migliore, nell'antica consapevolezza
che uno spirito di edificazione sarebbe nato e avrebbe mosso
gli uomini, quando questi si fossero posti all'opera.
E proprio nella parola cominciamento alberga il lascito
più autentico di Landauer, l'anarco-socialista, l'ebreo,
il romantico tedesco: immune dai sacri brividi patriottici che
giustificavano o esaltavano l'«orrendo massacro»,
egli riuscì ad associare alla cupa consapevolezza che
un altro mondo fosse necessario, l'ostinata speranza ch'esso
fosse anche possibile, qui e ora. Il che, nel dopoguerra,
fece di lui una delle menti più appassionate della Rivoluzione
tedesca.
Gianfranco Ragona
Note
- Segnalo in particolare: Wolf Kalz, Gustav Landauer.
Kultursozialist und Anarchist, Meisenheim am Glan,
Verlag Anton Hain, 1967; Charles B Maurer, Call to Revolution.
The Mystical Anarchism of Gustav Landauer, Detroit, Wayne
University Press, 1971; Eugen Lunn, Prophet of Community.
The Romantic Socialism of Gustav Landauer, Berkeley-Los
Angeles-London, University of California Press, 1973; Siegbert
Wolf, Gustav Landauer zur Einführung, Hamburg,
Junius, 1988. In italiano rimando a G. Ragona, Gustav Landauer.
Anarchico, ebreo, tedesco, Roma, Editori Riuniti UP, 2010.
- Cfr. La nascita della società, p. 126.
- Alcuni dei primi compagni anarchici che con Landauer animarono
all'inizio degli anni Novanta lo stanco movimento tedesco,
rientrarono più tardi tra i ranghi della socialdemocrazia
o nei sindacati che alla SPD erano legati: tra essi, ad esempio,
Eugen Ernst (1864-1954) che, una volta recuperato, fu dirigente
del Partito per moltissimi anni, prima di aderire alla Partito
comunista alla fine dell'esperienza nazista; Paul Kampffmeyer
(1864-1945) e Hans Müller (1867-1950), esponenti dell'Unione
dei Socialisti Indipendenti, formazione libertaria nata nel
1891 dalla convergenza tra esponenti dell'anarchismo berlinese
e fuoriusciti dal Partito socialdemocratico.
- G. Landauer, Die Revolution, Frankfurt a.M., Rütter
& Loening, 1907, tr. it. a cura di Ferruccio Andolfi,
Reggio Emilia, Diabasis, 2009 (una prima versione italiana
apparve all'inizio degli anni Settanta a cura di Anna Maria
Pozzan, Assisi, Carucci, 1970). Si veda inoltre: G. Landauer,
Attraverso la separazione verso la comunità,
«La Società degli Individui. Quadrimestrale di
teoria sociale e storia delle idee», X, n. 30, 2007/3,
pp. 123-140, traduzione del saggio landaueriano Durch Absonderung
zur Gemeinschaft, apparso originariamente in Heinrich
und Julius Hart et al., Die neue Gemeinschaft, ein
Orden vom wahren Leben, Leipzig 1901, pp. 45-68. Esiste
poi un'antica versione italiana, imprecisa e lacunosa, dello
scritto Von Zürich bis London, Pankow bei Berlin,
Verlag von Gustav Landauer, 1896: Da Zurigo a Londra,
«Biblioteca di Studi Sociali» (Forlì),
n. 1, 16 pp.
- Cfr. G. Landauer, La Communauté par le retrait
et autres essais, traduits et présentés
par Charles Daget, Paris Éditions du Sandre, 2008 e
Id. Un Appel aux poètes et autres essais, traduits
et présentés par Charles Daget, Paris Éditions
du Sandre, 2009; in inglese si veda G. Landauer, Revolution
and other Writings. A Political Reader, Edited and translated
by Gabriel Kuhn, Oakland, CA, PM Press, 2010; in tedesco,
dal 2008, sono in corso di pubblicazione le Ausgewählte
Schriften, a cura di S. Wolf, Lich/Hessen, Verlag Edition
AV: sono attualmente stati pubblicati i volumi: Anarchismus
(2008), Internationalismus (2009), Antipolitik
(in due tomi, 2010), Nation, Krieg und Revolution (2011);
Skepsis und Mystik (2011).
- Questo osservava alcuni anni or sono Rudolf De Jong, Gustav
Landauer und die internationale anarchistische Bewegung, in
Gustav Landauer im Gespräch. Symposium zum 125. Geburtstag,
a cura di Hanna Delf e Gert Mattenklott, Tübingen, Niemeyer
Verlag, 1997, p. 221. Sul linguaggio di Landauer, cfr. l'intervento
di Nino Muzzi, infra, pp. 31-38.
- Cfr. G. Landauer, Shakespeare. Dargestellt in Vorträge,
a cura di Martin Buber, 2 voll., Frankfurt a.M., Verlag Rütten
& Loening, 1920; Id., Der werdende Mensch. Aufsätze
über Leben und Schrifttum, a cura di M. Buber, Potsdam,
Gustav Kiepenheuer Verlag, 1921 (nuova edizione con il titolo
Der werdende Mensch. Aufsätze über Literatur,
con un saggio di Arnold Zweig, Leipzig/Weimar, Gustav Kiepenheuer
Verlag, 1980); Id., Beginnen. Aufsätze über Sozialismus,
a cura di M. Buber, Köln, Marcan-Block-Verlag, 1924 (ristampa
anastatica Wetzlar, Verlag Büchse der Pandora, 1977);
Gustav Landauer. Sein Lebensgang in Briefen,
a cura di M. Buber, 2 voll., Frankfurt a.M., Rütten &
Loening, 1929.
- Cfr. G. Landauer, Zwang und Befreiung. Eine Auswahl aus
seinem Werk, a cura di Heinz-Joachim Heydorn, Köln,
Verlag Jakob Hegner, 1968; Entstaatlichung. Für eine
herrschaftslose Gesellschaft, a cura di Hans-Jürgen
Valeske, Telgte-Westbevern, Büchse der Pandora, 1976;
Erkenntnis und Befreiung. Ausgewählte Reden und Aufsätze,
a cura di Ruth Link-Salinger (Hyman), Frankfurt a.M., Suhrkamp
Verlag, 1976.
- Gustav Landauer und die Revolutionszeit 1918/19. Die
politische Reden, Schriften, Erlasse und Briefe Landauers
aus der November-Revolution 1918/19, a cura di Ulrich
Linse, Berlin, Karin Kramer, 1974.
- Signatur: g.l. – Gustav Landauer im “Sozialist”.
Aufsätze über Kultur, Politik und Utopie (1892-1899),
a cura di Ruth Link-Salinger, Frankfurt a.M., Suhrkamp Verlag,
1986; G. Landauer, Auch die Vergangenheit ist Zukunft.
Essays zum Anarchismus, a cura di S. Wolf, Frankfurt
a. M., Luchterhand Literaturverlag, 1989.
- Oltre al volume Gustav Landauer im Gespräch
cit., segnalo: Gustav Landauer (1870-1919). Eine
Bestandsaufnahme zur Rezeption seines Werkes, a cura di
Leonhard M. Fiedler et al., Frankfurt a.M., Campus Judaica,
1995; “Die beste Sensation ist das Ewige”.
Gustav Landauer: Leben, Werk und Wirkung, a cura di Michael
Matzigkeit, Düsseldorf, Theatermuseum, 1995.
- G. Landauer, Zeit und Geist. Kulturkritische Schriften,
1890-1919, a cura di Rolf Kauffeldt e M. Matzigkeit, München,
Boer, 1997.
- Gustav Landauer, Werkausgabe, Vol. III, Dichter,
Ketzer, Außenseiter. Essays und Reden zu Literatur,
Philosophie, Judentum, a cura di Hanna Delf, Berlin, Akademie
Verlag, 1997.
- Si veda: M. Löwy, Redenzione e utopia. Figure della
cultura ebraica mitteleuropea (1988), Torino, Bollati
Boringhieri, 1992; L'anarchico e l'ebreo. Storia di un
incontro, a cura di Amedeo Bertolo, Milano, Elèuthera,
2001. Landauer influenzò, in misura diversa, tutti
i personaggi menzionati, ma esercitò un influsso particolare
su Erich Mühsam, che gli fu accanto nella rivoluzione
baverese: cfr. E. Mühsam, Dal cabaret alle barricate,
a cura di Alessandro Fambrini e Nino Muzzi, Milano, Elèuthera,
1999.
- La questione della morale, che rappresentò per Landauer
una porta di accesso ai temi tipici dell'anarchismo, non viene
affrontato direttamente in questo profilo introduttivo: rimandiamo
però ai due articoli, invero assai chiari, tradotti
nel presente volume: Qualcosa sulla morale (1893),
L'immorale ordine del mondo (1895). Essi sviluppavano
un discorso unitario e omogeneo, benché scritti a distanza
di tempo, a causa di un periodo di detenzione che Landauer
dovette scontare dal 1° novembre 1893 al settembre 1894,
vittima di una severa campagna antianarchica messa in atto
dal governo.
- Nella presente raccolta si riferiscono a questo tema –
che pure ritorna in molti altri – gli scritti: Anarco-socialismo
(1895); Da Zurigo a Londra (1896); Anarchismo e
socialismo (1896).
- [G. Landauer], Ein Weg zur Befreiung der Arbeiterklasse,
Berlin, Verlag von Adolf Marreck, 1895, pp. 30; dichiarò
di essere l'autore dell'opuscolo in Arbeiter aller Länder,
vereinigt euch!, «Der Sozialist», V, n. 7,
28 settembre 1895, p. 39. Il testo costituiva anche l'inquadramento
teorico della cooperativa di consumo berlinese «Befreiung»
(Liberazione), nata a Berlino il 1° ottobre 1895.
- [G. Landauer], Ein Weg zur Befreiung der Arbeiterklasse
cit., p. 8.
- Il saggio che proponiamo in questo volume col titolo Trenta
tesi socialiste costituisce la premessa logica ed etica
del volume sulla Rivoluzione, così come quello
intitolato La nascita della società rappresenta
un estratto, lievemente rielaborato, dell'opera principale.
- Si veda il discorso La Germania, la guerra e la rivoluzione
tedesca, p. 168.
- G. Landauer, Aufruf zum Sozialismus, Berlin, Verlag
des Sozialistischen Bundes, 1911. In questo volume ne proponiamo
un estratto, che ci sembra significativo per la valorizzazione
della soggettività che emerge, ma anche per l'idea
che accompagna l'intero saggio, ossia l'esigenza «di
edificare in grande iniziando dal piccolo». Cfr. infra,
p. 128.
- Cfr. Appello per il socialismo, infra, p. 133.
- Oswald Spengler, Il tramonto dell'Occidente. Lineamenti
di una morfologia della storia mondiale (1923), Milano,
Longanesi, 1957 (e successive ristampe).
- Cfr. La nascita della società, infra, p. 122.
- Cfr. M. Buber, Pfade in Utopia, Heidelberg, L. Schneider,
1950; prima ed. in inglese: Paths in Utopia, New York,
Macmillan, 1950. Nuova edizione tedesca, a cura di Abraham
Schapira, Heidelberg, Verlag Lambert Schneider, 1985. Traduzione
italiana di Amerigo Guadagnin, Sentieri in utopia,
Milano, Edizioni di Comunità, 1967; nuova traduzione
a cura di Donatella Di Cesare: Sentieri in utopia. Sulla
comunità, Genova, Marietti 1820, 2009.
- Cfr. infra, p. 132.
- Ibidem.
- Parallelamente tentò di mettere le basi per un intervento
attivo dei lavoratori, con lo sciopero contro la guerra, una
mobilitazione che immaginava dovesse essere preparata dal
basso, senza l'intermediazione di partiti e sindacati. In
quest'ottica pubblicò in opuscolo il dialogo L'abolizione
della guerra, redatto in forma intellegibile a beneficio
dei lavoratori, e che venne immediatamente confiscato dalle
autorità. Cfr. infra.
- Il giornale cessò le pubblicazioni nel marzo 1915.
Per una lista dei numerosi interventi pubblicati nel periodo
rimando a Gustav Landauer. A Bibliography (1889-2009),
Edited with an Introduction by G. Ragona, Roma, Edizioni di
Storia e Letteratura, 2011.
- L'intervento è conservato in AAFL, fascicolo 24;
ora pubblicato in C. Holste, Der Forte-Kreis cit.,
pp. 278-280, e in Sieben Thesen Gustav Landauers für
einen Bund der Aufbruchsbereitens, vortragen am 10. Juni
1914 auf der Gründungstagung des Forte-Kreis, in
“Die beste Sensation ist das Ewige” cit.,
pp. 251-253.
- Landauer a Hugo Warnstedt, 4 novembre 1914, in Gustav
Landauer. Sein Lebensgang in Briefen cit., vol. II, p.
11.
- Landauer a Mühsam, 16 giugno 1916, in ivi, pp.
142-146: la citazione è a p. 145. Mühsam annotò
nel suo diario i termini generali della discussione con Landauer
e il suo disappunto: cfr. E. Mühsam, Tagebücher,
1910-1924 München, Deutscher Taschenbuch Verlag,
1994, p. 178. La vicenda è riportata anche da E. Lunn,
Prophet of Community cit., pp. 247-248.
- Cfr. Rialzati socialista!, infra, p. 154-155.
- Ivi, p. 156.
Nel
1999 è uscita (ed è tuttora disponibile),
sempre presso Elèuthera, l'antologia di Erich Mühsam
Dal cabaret alle barricate (pagg. 224,
euro 14,00),
a cura di Alessandro Fambrini
e Nino Muzzi.
Erich Mühsam (Berlino, 1878-Oranienburg,
1934) nasce in una famiglia della borghesia ebraico-tedesca.
Poco
più che ventenne abbandona l'ambiente familiare
e inizia l'attività di giornalista e scrittore.
Nel 1902 si trasferisce nel quartiere bohémien
di Friedrichshagen, dove esordisce come cabarettista e
dove conosce e fa sue le idee anarchiche.
Da allora al 1933 si divide fra la scrittura e l'impegno
politico.
È, tra l'altro, uno dei leader della Rivoluzione
dei consigli
a Monaco nel 1918. Nel 1933 viene immediatamente
arrestato dalle SA naziste
e un anno dopo viene
torturato e ucciso nel lager di Oranienburg.
|
|