Barcellona.2
Tempi duri a Barcellona
di Laura Orlandini
Tempi duri per chi non sta alle regole del gioco, per chi si oppone concretamente ai governi di centro-destra (catalano e nazionale).
E si trova a contatto con i Mossos, “i ragazzi della squadra.”.
A Barcellona ultimamente tira
un brutta aria. La città più “italiana”
d'Europa, mito frivolo del turismo di massa, meta d'emigrazione
di tutta una generazione di giovani laureati in cerca di futuro,
sta vedendo nubi fosche e nere addensarsi pericolosamente sui
suoi cieli. Quest'anno la primavera si è presentata con
un volto repressivo e cupo, e la piazza partecipata e piena
dell'anno scorso, quell'assemblea permanente che aveva trasformato
Plaza Cataluña in una piattaforma di dibattito e creatività,
è sembrata in questi mesi un ricordo lontano. Qualcosa
di insidioso e sottile come la paura è entrato a far
parte ormai del dibattito pubblico, molti segni lasciano presagire
l'inizio di un'orchestrata offensiva contro tutte le forme di
partecipazione politica e di dissidenza.
Il turista che si fosse trovato a passeggiare per la capitale
catalana nei primi giorni di maggio, durante il vertice della
Banca Centrale Europea, sarebbe incappato in un'atmosfera surreale
come solo puó essere quella di una cittá sotto
assedio. Vedendo spuntare forze dell'ordine in tenuta antisommossa
ad ogni vicolo del centro, passando a fianco a file di camionette
asserragliate lungo i grandi viali, avrebbe forse notato una
mancata corrispondenza con le patinate immagini da cartolina
con le quali la città vende se stessa: la Barcellona
in infradito e costume da bagno dove vige l'eterna spensieratezza,
città europea e all'avanguardia, “civile”
e culturalmente vivace, dove c'è festa e c'è posto
per tutti. Evidentemente, qualcosa in questa immagine sfavillante
si é incrinato, e se il turista potrà affogare
il malessere in qualche caraffa di sangría nei bar della
Rambla, chi vive la città sa ormai di dovere fare i conti
con un potere che ha deciso di mostrare il suo volto più
duro.
Gli squilli di tromba sono cominciati il 29 marzo scorso, quando
la Spagna intera è scesa in sciopero per protestare contro
la riforma del lavoro imposta dal governo di Mariano Rajoy.
Barcellona è stata teatro di disordini e scontri di cui
la stampa si è occupata con meticolosa dedizione, ma
se vetrine rotte e cassonetti incendiati sono stati enumerati
e segnalati con rigorosa puntualità, il silenzio sull'azione
brutale delle forze dell'ordine è stato pressoché
totale. Pare proprio che la polizia abbia voluto mettere in
atto l'ormai collaudata tattica di “lasciare fare”
prima di attaccare, lasciare che alcuni gruppi sfondassero le
vetrine delle principali sedi bancarie disseminando una scia
di cassonetti incendiati, per poi avere materiale sufficiente
per delegittimare ed aggredire la manifestazione autorizzata
del pomeriggio. Dopo una giornata confusa e tesa, con numerosi
picchetti in movimento per il centro ed una partecipata manifestazione
dei sindacati, doveva partire alle 18 un corteo da Plaza Cataluña
organizzato da una piattaforma che la stampa locale definisce
come “alternativa”, ovvero non riconducibile a partiti
e sindacati e legata al movimento degli Indignados. Col
pretesto di dover proteggere le vetrine del centro commerciale
che campeggia sulla piazza (simbolo piuttosto significativo,
senza dubbio), i Mossos d'Esquadra hanno iniziato un'offensiva
che ha di fatto tagliato le gambe all'intero corteo, aggredendolo
da più parti ed impedendogli di avviarsi lungo il percorso
autorizzato. La piazza affollata e piena è stata messa
in trappola, attaccata da due lati dalle cariche dei Mossos,
e sgomberata infine con la famigerata “cavalleria”
delle furgonette lanciate a velocità contro la folla,
pratica tristemente comune nella capitale catalana.
|
Barcellona,
15 giugno 2011 – I Mossos d'Esquadra in tenuta antisommossa
durante le proteste di fronte al Parlamento catalano (foto
Steven Forti) |
Quel
fucile a pallettoni di gomma
I Mossos catalani, i “ragazzi della squadra”,
hanno tra le mani un giocattolo che li rende particolarmente
pericolosi, un'arma che in pochi paesi d'Europa è permessa
e che gode invece in Spagna di una impunità esemplare:
il fucile a pallettoni di gomma, arma d'ordinanza della tenuta
antisommossa registrata tra quelle “poco dannose”
ed utilizzata senza riserva alcuna. È previsto che la
palla di gomma venga puntata a terra, che raggiunga di rimbalzo
la prima fila dei “facinorosi” di turno colpendola
“lievemente” all'altezza delle gambe, eppure la
normativa viene costantemente ignorata e la palla di gomma volante
ha la capacità di seminare il panico e di causare danni
gravi. Le immagini del 29 marzo mostrano più volte i
Mossos avanzare con i fucili puntati in avanti, sparare a ripetizione
contro i manifestanti, fare il tiro a segno contro qualche ciclista
di passaggio, minacciare l'occhio della telecamera. La palla
di gomma spara nel mucchio, colpisce a caso, eppure sembra avere
un'ottima mira: due persone il 29 marzo hanno ricevuto un proiettile
direttamente in faccia, hanno perso un occhio e la vista, mutilate
per sempre per aver commesso l'errore d'essersi trovate nel
posto sbagliato, al momento sbagliato. Il caso ha voluto che
fossero entrambi italiani: niente di strano in una città
che vanta la comunità di emigrati italiani più
numerosa d'Europa, eppure l'incidente è stato pretesto
per rievocare nelle pagine della stampa conservatrice il fantasma
del “sovversivo” anarcoitaliano (è stato
definito proprio così) giunto dal Belpaese a seminare
disordine e dissidenza nella capitale catalana.
Così che questa turbolenta giornata ha riportato alla
ribalta una serie di questioni che da tempo s'agitavano in sordina:
una volta fatto il conto dei feriti e degli arrestati, si è
cominciato a tirare le somme, a ricomporre i tasselli degli
ultimi avvenimenti per poter fare un po' di luce sull'operato
e le intenzioni delle forze di polizia.
I gravissimi episodi delle due persone mutilate di un occhio
non hanno trovato nessuno spazio nei quotidiani, se si esclude
un unico articolo comparso sul Periodico e gli approfondimenti
di alcuni settimanali indipendenti come La Directa e
Diagonal. Eppure, guardandosi indietro nella storia recente
delle manifestazioni barcellonesi, emerge un dato molto inquietante:
dal 2009 ad oggi, gli “occhi rubati” dai Mossos
d'Esquadra sono ormai sette, come registra l'associazione Stop
Balas de Goma che da due anni si batte per la proibizione
di quest'arma. Sette persone senza un occhio, bersagli casuali
in mezzo alla folla, sette persone che non hanno potuto risalire
all'identità del loro aggressore perché i Mossos
d'Esquadra, sistematicamente, agiscono senza indossare la targa
di riconoscimento. Il bilancio è così grave da
far pensare che ci sia tra i Mossos qualcuno che abbia la particolare
inclinazione di mirare al volto, qualche “cacciatore d'occhi”
che si diverte a prendere la mira (il fucile d'ordinanza è
provvisto di mirino, d'altronde) sapendo d'essere protetto da
un'impunità totale. Nonostante il continuo mancato rispetto
delle regole, infatti, nessuna figura istituzionale ha chiesto
ai Mossos di rispondere del loro operato, né le vittime
hanno mai trovato una spiegazione “ufficiale” in
risposta alle loro richieste. Proprio come se gli incidenti
non fossero avvenuti, o meglio, come se non fossero affatto
incidenti, ma prassi ordinaria.
I disordini del 29 marzo sono diventati pretesto per delegittimare
sia le realtà legate al movimento degli Indignados,
sia l'azione e la rappresentanza dei sindacati, completamente
tagliati fuori dal dibattito sulla riforma del lavoro. Agli
arresti di due studenti universitari nella giornata dello sciopero,
catturati da Mossos in borghese durante un picchetto, s'è
aggiunta la scioccante notizia della detenzione di Laura Gomez,
segretaria del sindacato CGT di Barcellona. Il 23 aprile, Laura
Gomez è stata vittima di una spettacolare azione di polizia,
circondata e ammanettata mentre camminava per strada, condotta
in carcere con l'accusa di sedizione, disordine pubblico e incendio
doloso. Il giudice ha confermato la detenzione preventiva causa
rischio di “fuga e occultamento delle prove”, nonostante
si tratti di un volto riconosciuto, con una posizione istituzionale,
un lavoro, una famiglia. Laura Gomez, che si trova tuttora in
carcere in attesa di processo, ha partecipato nel giorno dello
sciopero generale a un'azione simbolica di fronte alla sede
della Bolsa de Barcelona, una performance teatrale dove sono
stati anche incendiati degli scatoloni di cartone: da questo
episodio dovrebbe essere scattata la denuncia e l'arresto, e
la campagna di mobilitazione in suo favore non ha finora ottenuto
risposta. Il manifesto di protesta firmato da tutti i sindacati
(compresi la CNT, Solidaridad Obrera e la UGT) dichiara senza
reticenze di considerare l'arresto della Gomez come parte di
una “strategia di persecuzione contro ogni forma di dissidenza
sindacale, sociale e politica”, dimostrazione della volontà
di “generare un clima autoritario per distruggere i diritti
fondamentali dei lavoratori, per criminalizzare e intimidire
tutta la popolazione”. Difficile interpretare in altro
modo un episodio che si colloca perfettamente nella linea politica
dichiarata dalla voce ufficiale e dalle forze governative, ovvero
l'intenzione di mostrare il pugno duro per sgomberare il cammino
dai possibili ostacoli, spianando la strada alle politiche di
demolizione dei diritti del lavoro e tagli alla spesa pubblica.
|
Barcellona,
sciopero generale 29 marzo 2012 |
Un'apnea
surreale
Di fatto, a distanza di una settimana dallo sciopero generale,
l'allarme “guerriglia urbana” era già indiscusso
protagonista delle pagine dei quotidiani e del dibattito politico.
Il ministro dell'Interno, Jorge Fernandez Díaz, ha annunciato
l'intenzione di “modificare profondamente” il codice
penale per fronteggiare la “spirale di violenza”
che ha travolto la Spagna: la proposta va dall'applicare la
legge speciale antiterrorismo (pensata per fronteggiare l'ETA
nei paesi baschi) in caso di atti vandalici, al dichiarare reato
– imputabile di quattro anni di reclusione – ogni
forma di resistenza passiva. Insomma, violenta o meno, sarà
la protesta in sé ad essere considerata criminale: come
sostiene Felip Puig, Ministro degli Interni catalano, l'obiettivo
è che d'ora in poi “la gente abbia più paura
del sistema”. Più chiaro di così.
In questo clima è arrivata la festa dei lavoratori, sotto
l'ombra lunga del vertice della BCE previsto per i giorni dal
2 al 4 di maggio. La città ha vissuto giorni di apnea
surreale, presidiata da uno spiegamento impressionante di forze
dell'ordine e allarmata dalle ripetute allusioni a possibili
pericoli per l'ordine pubblico. Nessuna manifestazione è
stata convocata in protesta al vertice, eppure dalle pagine
dei quotidiani non s'è parlato d'altro che di sicurezza
e di guerriglia urbana. La revoca del trattato di Schengen,
gli arresti preventivi alle frontiere, le immagini di cecchini
appostati sugli edifici per prevenire attentati: tutto ben disposto
per fare presagire l'apocalissi, aumentare il clima di pressione
e prevenire qualsiasi tentativo di dissidenza. I cortei del
primo maggio sono sfilati in mezzo a cordoni di Mossos in tenuta
antisommossa, circondati da fila di camionette blindate, in
una atmosfera tesissima ancor più inasprita dallo sberleffo
dei Mossos “travestiti” da manifestanti appostati
in gruppi ben riconoscibili lungo tutto il corteo. Eppure, si
è trattato di un primo maggio davvero molto partecipato,
si è registrato il doppio delle presenze rispetto all'anno
scorso, e nonostante la pressione e le perquisizioni a cui i
manifestanti sono stati soggetti in più punti della città
durante tutta la giornata, si può dire che la gente abbia
risposto bene, scendendo in piazza, alzando la voce senza cascare
i provocazioni facili, nonostante tutto.
Quantomeno, le tensioni di questa primavera hanno fatto emergere
con evidenza disarmante tutti i lati oscuri di un sistema di
forze dell'ordine che agisce di fatto indisturbato, mascherandosi
dietro la facciata della Barcellona “civile” e “libertaria”:
il contrasto si è fatto più stridente e non si
può più evitare di ammettere che, al di là
degli spazi di democrazia che può offrire la vita cittadina,
a Barcellona esiste ed opera un corpo di polizia le cui azioni
brutali sono protette e giustificate dal potere, le cui intenzioni
sono dichiaratamente repressive e che sa di poter scavalcare
impunemente e a piacimento le leggi dello Stato.
Si è visto bene lo scorso 9 maggio, quando i Mossos hanno
sgomberato la casa occupata La Rimaia, sede di una biblioteca
popolare e di una Universitat Lliure, centro sociale
e culturale riconosciuto del quartiere del Raval. Nessuno ha
mai reclamato l'edificio della Rimaia, abbandonato da più
di vent'anni, nessun ordine di sgombero è stato ufficialmente
promulgato e la casa “okupa” partecipava attivamente
all'associazione degli abitanti del vicinato: eppure, alle sette
del mattino, senza preavviso, i Mossos si sono presentati ed
hanno sgomberato la casa dei suoi occupanti e chiuso le saracinesche,
agendo nella totale illegalità. Alle ripetute domande
degli avvocati, che chiedevano da quale giudice fosse partito
l'ordine di sgombero, è stato risposto “se lei
è avvocato, dovrebbe sapere chi comanda qui”. L'iter
legale dello stato di diritto è insomma un ostacolo scomodo
all'attività dei Mossos, che appena possono dimostrano
di farne volentieri a meno. Niente di strano, dunque, che abbiano
messo in moto attraverso il loro sito (nella sezione “Servizi
e pratiche”) un vero e proprio “Wanted” con
le foto di decine di “facinorosi” dell'ultimo sciopero
non ancora identificati, accompagnato all'invito a collaborare
ed aiutare le forze dell'ordine ad individuare i banditi. Prima
ancora di esserne al corrente, il giovane “antisistema”
si trova dunque già esposto e condannato, giudicato colpevole
per una foto che lo ritrae mentre lancia un sasso a una vetrina,
denunciato dalla buona volontà di qualche buon vicino
di casa che ne riconosce le sembianze.
|
Barcellona,
manifestazione del Primo Maggio 2012 |
Plaza
Catalaña, un simbolo riconosciuto
Un pezzo alla volta, le diverse “anomalie” dell'azione
dei Mossos stanno venendo alla luce. Le illegalità delle
azioni del 29 marzo si affiancano ormai a una serie di episodi
chiaramente inseriti in un progetto politico ben preciso. Lo
sciopero generale del 29 settembre 2010 e lo sgombero dell'acampada
di Plaza Cataluña del 27 maggio 2011 avevano presentato
infatti modalità analoghe nell'azione dei Mossos, soprattutto
per quel che riguarda gli arresti indiscriminati e le violenze
arbitrarie. Ad ognuno di questi episodi è legato un gruppo
che si batte per ottenere giustizia, così che si è
deciso ora di ricucire i pezzi, mettere insieme le diverse rivendicazioni,
giacché la battaglia è comune e avrà bisogno
dell'impegno di tutti. Insieme anche all'associazione Stop
Balas de Goma queste diverse realtà hanno creato
una piattaforma contro la repressione, che tenterà di
lavorare su diversi piani, dall'assistenza legale dei detenuti
alla comunicazione attraverso i media, nel tentativo di costituirsi
come gruppo di pressione. È emersa per ora la battaglia
per l'identificazione dei Mossos colpevoli di reati, ed il rifiuto
di qualsiasi dibattito sull'opportunità della violenza:
la priorità è ora quella di ottenere giustizia
e poter dichiarare un'altra versione dei fatti oltre a quella
unanimemente rifilata alla stampa; si spera che il progetto
riesca a crescere e farsi sentire, diventare un punto di riferimento.
Sono tempi duri, ma Barcellona ha sulle spalle un lungo percorso
di lotte, che possono far ben sperare per il futuro. L'acampada
di Plaza Cataluña s'è frammentata nelle varie
assemblee di quartiere, che sono andate a saldarsi con i comitati
storici del vicinato e con i vari movimenti di rivendicazione
studentesca e sindacale. Realtà sociali e politiche differenziate
che soprattutto in quest'ultimo anno hanno imparato a lavorare
insieme, a ricucire i percorsi, a creare anche conflitto, nella
totale assenza di dialogo con la politica istituzionale. Di
fronte alla crisi e allo scadere delle ipoteche, le assemblee
di quartiere stanno provando a mettere in piedi reti di solidarietà,
la risposta è immediata quando qualche famiglia perde
la casa, il discorso politico collettivo ha imparato a individuare
le colpe e le responsabilità. Si comincia daccapo, dal
mutuo soccorso, dalla cassa comune, e non potrebbe essere che
così.
Plaza Cataluña, da quando ha avuto gli occhi del mondo
puntati addosso nel maggio del 2011, da quando è stata
teatro di un accampamento partecipato e insolito, è diventata
un simbolo riconosciuto: il luogo dell'assemblea permanente,
della “rivoluzione spagnola”, il posto dove un popolo
seduto con le mani alzate ha discusso di politica, ha provato
a riprendersi la politica; si può dibattere sullo spessore
e sui risultati di questo esperimento, resta indubbio però
il valore simbolico del luogo, piazza solitamente anonima circondata
di centri commerciali e banche che é diventata ad un
tratto un punto vissuto e condiviso. Anche quando è vuota,
ormai Plaza Catalunya esiste, resta lì a fare da monito.
Forse è proprio a causa della potenza di questo simbolo
che i Mossos si sono accaniti su quella piazza il 29 marzo,
per dimostrare che il vuoto di potere che aveva permesso l'acampada
un anno fa non dovrà più ripetersi, che oramai
le cose sono cambiate. Ed è per lo stesso motivo che
la manifestazione del 12 maggio, curiosa celebrazione del “primo
compleanno” della Spanish Revolution (chiamata
comunemente 15 M, quindici maggio, come la sua data di nascita),
ha concluso il suo percorso proprio nella piazza in cui maggiormente
si riconosce. Dopo questa primavera di tensioni, il “ritorno”
degli Indignados é stata una boccata d'aria fresca, il
lunghissimo e vivace corteo ha sfilato per i viali del centro
rivendicando la sua presenza e il suo diritto a esistere, fino
a che non si é ritrovato in Plaza Cataluña, dove
di nuovo è ritornato a sedersi. L'assemblea è
ricominciata, è ripartita da lì, come se questo
lungo anno non fosse passato, come se la piazza non si fosse
mai davvero svuotata. L'assemblea diventa ora la creazione di
gruppi di pressione, una giornata di azioni in occasione del
15 maggio, il “processo popolare” alle banche, il
confronto e la coordinazione tra comitati diversi che si occupano
dei temi più caldi: il diritto alla salute, i pignoramenti
delle banche, gli abusi della polizia. Staremo a vedere.
Laura Orlandini
Barcellona, 15 maggio 2012
|