dossier Piazza
Fontana & dintorni
3. 1969: dal 25 aprile al 12 dicembre
Nel corso dell'anno 1969 si contarono in Italia 145 attentati
dinamitardi. Le forze dell'ordine avevano la tendenza ad attribuire
tali atti violenti a organizzazioni e movimenti della sinistra
extra-parlamentare. È stato poi stabilito che la maggior
parte di quegli attentati furono invece opera dell'estrema destra
allo scopo di suscitare la psicosi della sovversione che avrebbe
giustificato la conseguente involuzione autoritaria. Per alcuni
osservatori l'escalation di attentati faceva parte di un piano
ben preciso culminato con la strage milanese del 12 dicembre.
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Sciopero
della fame dell'anarchico Michele Comiolo, in solidarietà
per gli anarchici arrestati |
Il 25 aprile 1969, alla Fiera campionaria di Milano, nel padiglione
della FIAT, esplose una bomba che ferì venti persone.
Poco prima delle 21:00 dello stesso giorno, sempre a Milano,
alla stazione Centrale, all'ufficio cambi della Banca Nazionale
delle Comunicazioni, esplose un altro ordigno. Su questi episodi
indagarono il commissario Luigi Calabresi, il suo capo Antonino
Allegra e il giudice Antonio Amati. I tre imboccarono subito
la pista anarchica: il giorno degli attentati è sì
una ricorrenza partigiana, ma gli obbiettivi erano simboli del
capitalismo. Vennero fermati una quindicina di anarchici e alcuni
di loro furono trattenuti: nel 1971 vennero però tutti
assolti.
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Al
centro, Pietro Valpreda |
Nella notte tra l'8 e il 9 agosto, su dieci treni, otto bombe
esplosero e due vennero trovate inesplose. Risultato: dodici
feriti tra viaggiatori e ferrovieri. Le prime indagini puntarono
sul terrorismo altoatesino, perché i treni presi di mira
erano quelli delle grandi direttrici del turismo tedesco. Tale
ipotesi resse poche ore, prima di lasciare spazio alle accuse
contro gli anarchici. Gli inquirenti tentarono, con non poche
difficoltà, di stabilire in quali stazioni gli attentatori
avevano deposto gli ordigni. In tre casi parve trattarsi di
Venezia, in un altro vi era l'incertezza tra Venezia e Milano
e in tre casi si pensò che gli ordigni fossero stati
posizionati a Roma. Era stato un attacco simultaneo a più
obbiettivi e quindi doveva avere alle spalle una complessa organizzazione.
Il giudice Amati procedette all'incriminazione di quattro anarchici,
poi assolti.
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Pasquale
“Lello” Valitulli durante il suo sciopero
della fame |
Il processo si basò essenzialmente sulla testimonianza
di due testi: Rosemma Zublena e l'esperto balistico Teonesto
Cerri. La prima, ex amante di Paolo Braschi, uno degli anarchici
fermati, risultò completamente inattendibile durante
gli interrogatori. Sostenne che Braschi le aveva parlato dell'impresa
dinamitarda. Incalzata dagli avvocati difensori, che ne misero
in luce le dichiarazioni contraddittorie, cercò di indicare
in Giuseppe Pinelli, ferroviere appartenente alla croce nera
anarchica e al circolo Ponte della Ghisolfa, la fonte delle
sue informazioni. Infine, messa alle strette, rivelò:
«Io non ho fatto che ripetere quello che sapeva Calabresi».
Cerri, invece, ipotizzò un furto di esplosivo alla cava
di Grone, un furto non denunciato, che i responsabili della
cava negarono anche durante il processo.
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Milano,
protesta anarchica davanti al Palazzo di Giustizia
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Il presidente del tribunale non tenne conto di un documento
pubblicato all'inizio di dicembre del 1969 dai quotidiani inglesi
«The Observer» e «The Guardian». Si
trattava di un documento segreto inviato al primo ministro greco,
Georgios Papadopulos, in cui erano riportati i risultati della
campagna provocatoria attuata dal governo di Atene in Italia
con la collaborazione di alcuni gruppi fascisti. Nel documento
si leggeva: «Le azioni che era stato previsto fossero
realizzate prima non è stato possibile realizzarle che
il 25 Aprile. La modifica dei nostri piani ci fu imposta dal
fatto che era difficile penetrare nel padiglione della FIAT.
Entrambi i fatti hanno prodotto effetti considerevoli».
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Milano,
12 dicembre 1969. L'attentato alla Banca Nazionale
dell'Agricoltura di Piazza Fontana
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Nella fatidica giornata del 12 dicembre la bomba alla Banca
Nazionale dell'Agricoltura non fu l'unica, ma ce ne furono altre
quattro.
Una fu posizionata alla sede centrale della Banca Commerciale
Italiana, in Piazza della Scala a Milano. Qualche minuto prima
dell'esplosione di Piazza Fontana un commesso della Banca Commerciale
si accorse di una borsa lasciata incustodita, la sollevò
per portarla insieme agli altri oggetti smarriti, ma restò
colpito dal peso. La aprì e intravide all'interno una
cassetta metallica. Nella borsa vi erano anche una bustina di
plastica vuota e un dischetto nero graduato da 0 a 60. Intanto
giunse la notizia della strage.
Gli inquirenti arrivarono alla Commerciale e analizzarono la
scatola metallica: nessun ticchettio, ma era possibile che si
trattasse comunque di un ordigno già innescato. La bomba
inesplosa era un indizio fondamentale per gli investigatori.
La cassetta fu sotterrata in un giardino interno della banca
per renderla meno pericolosa. Ma i periti, invece di disinnescare
la bomba e analizzare come era stata preparata, la fecero brillare
intorno alle 21:00. I frammenti furono raccolti e repertati.
Parecchie settimane dopo, qualcuno fece spuntare fuori, tra
i reperti, un frammento di vetro colorato analogo ai vetri colorati
utilizzati per confezionare lampade liberty in un laboratorio
di Roma dove lavorava tale Pietro Valpreda, ballerino anarchico.
Una manciata di minuti dopo le bombe di Milano, altre esplosioni
avvennero a Roma.
Alle 16:55 un ordigno esplose nel passaggio sotterraneo che
collegava la sede della Banca nazionale del Lavoro a una dépendance
situata dall'altra parte della strada: al momento dello scoppio
erano presenti una ventina di impiegati, quattordici riportarono
ferite. Come per Piazza Fontana, in un primo momento nessuno
pensò a un attentato ma all'esplosione dell'impianto
di riscaldamento.
Altre due esplosioni chiusero la giornata: alle ore 17:22, alla
base del pennone alzabandiera dell'Altare della Patria e alle
17:30, sui gradini della porta di accesso al Museo Centrale
del Risorgimento. Ci furono altri quattro feriti, seppure in
forma lieve.
L'indomani tutti i quotidiani concordarono nel dire che i cinque
attentati avevano una regia comune. Per alcuni non c'era dubbio:
gli attentati avevano colpito simboli del capitalismo e della
patria e quindi gli autori andavano cercati in chi disprezzava
il sistema, e cioè nell'estrema sinistra.
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