dossier Piazza
Fontana & dintorni
«Erano le 16.30 circa di venerdì 12 dicembre 1969.
Nel salone centrale della Banca Nazionale dell'Agricoltura di
Milano si stavano svolgendo per antica consuetudine le contrattazioni
dei fittavoli, dei coltivatori diretti e dei vari imprenditori
agricoli ivi convenuti dalla provincia per discutere i loro
affari commerciali ed attendere al compimento delle operazioni
bancarie presso gli sportelli, allorché vi echeggiava
il fragore dell'esplosione di un ordigno di elevata potenza.
Ai primi accorsi da Piazza Fontana, che dà accesso al
salone, l'interno della Banca offriva subito dopo un raccapricciante
spettacolo: sul pavimento del salone, che recava al centro un
ampio squarcio, giacevano, fra calcinacci e resti di suppellettili,
vari corpi senza vita ed orrendamente mutilati, mentre persone
sanguinanti urlavano il loro terrore [...]. Quattordici erano
i morti (aumentati a sedici entro il 2 gennaio con il decesso
dei feriti Scaglia Angelo e Galatioto Calogero, morti per le
gravi ferite riportate) [...]. Gravemente feriti restavano all'interno
della sede bancaria altri quarantacinque clienti.
Vari feriti contava anche il personale della banca: tredici
elementi che lavoravano al pianterreno nel salone; quattordici
al primo piano, cinque al secondo piano; uno al terzo.
Gli effetti dell'esplosione riguardavano anche l'esterno dell'istituto.
Riportavano, infatti, lesioni personali sette persone che si
trovavano sul marciapiede di Piazza Fontana e due persone nell'interno
del ristorante “L'Angelo” sito dietro l'edificio
bancario».
Così i giudici della Corte d'Assise di Catanzaro, nella
sentenza del 23 febbraio 1979, descrissero lo scenario di quella
sera del 1969, che ci sembra oggi così lontana. Dal 1979
al 2005 si sono svolti ben nove processi per tentare di giungere
alla verità, ma non si è arrivati a una verità
giudiziaria.
Era dalla fine della seconda guerra mondiale che non accadeva
un simile massacro di cittadini inermi, intenti in una normale
attività quotidiana nella seconda città del paese.
Il 15 dicembre, quattordici bare sfilarono tra le vie di Milano
per dare l'ultimo saluto a familiari, amici e cittadini accorsi
in Piazza Duomo. Tutta la città si tolse il cappello
man mano che il corteo funebre avanzava. C'erano studenti, pensionati,
impiegati, operai usciti in anticipo dalle fabbriche e donne
pie che veloci si facevano il segno della croce.
A organizzare la strage ed altri attentati fu una cellula veneta,
operante a Padova, di «Ordine Nuovo», un'organizzazione
estremista di stampo neonazista. Franco Freda e Giovanni Ventura,
appartenenti alla cellula terroristica padovana, non vennero
condannati per la strage di Piazza Fontana, nonostante l'inchiesta
del giudice Salvini, negli anni Novanta, abbia portato alla
luce nuove prove a loro carico. I due imputati erano stati dichiarati
responsabili della strage e condannati all'ergastolo dalla Corte
d'Assise di Catanzaro nel 1979. Tale verdetto venne ribaltato
in appello nel 1981: Freda e Ventura furono assolti per insufficienza
di prove dall'accusa di strage. Il 10 giugno 1982 la Corte di
Cassazione annullò la sentenza ma nel 1985 a Bari la
Corte d'Assise d'Appello dichiarò nuovamente l'assoluzione
degli imputati per insufficienza di prove. Questa sentenza fu
confermata definitivamente nel 1987 dalla Cassazione.
Il principio ne bis in idem, ovvero che le stesse persone
non possono essere giudicate due volte per lo stesso reato quando
sono state assolte con una sentenza passata in giudicato, ha
consentito a Freda e Ventura di rimanere impuniti.
Vennero accertati i depistaggi portati avanti da alcuni membri
dei servizi segreti. Furono condannati Gianadelio Maletti, dal
1971 al 1975 capo dell'ufficio D del Sid (Servizio Informazioni
della Difesa) e Antonio Labruna, ufficiale dei carabinieri in
forza al Sid, per l'azione di depistaggio e occultamento di
prove.
La strada per la verità fu ulteriormente intralciata
dal continuo spostamento del processo che riguardava la strage
milanese tra le varie procure italiane e la mancata unificazione
con processi che interessavano questioni ad essa collegate causando
un continuo andirivieni di materiale che dilaterà i tempi
dei processi.
L'espressione «strage di stato», utilizzata per
indicare l'attentato del 12 dicembre 1969, deriva dal fatto
che ci fu una collusione tra alcuni settori degli apparati statali
e gli attentatori.
L'obbiettivo di coloro che compirono la strage era cercare di
sovvertire l'ordine pubblico, in modo da creare le condizioni
per una involuzione autoritaria della politica italiana. A tale
scopo bisognava fare attribuire la strage all'estrema sinistra
in modo che l'opinione pubblica accettasse una vasta azione
repressiva.
La nebbia di Milano non ha ancora restituito la pace a quelle
famiglie che aspettano di sentire i nomi di coloro che progettarono
e attuarono questa carneficina che si portò via i loro
cari. Forse nomi sentiti troppe volte, ma mai accompagnati dall'aggettivo
«colpevole».
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