dossier America
Latina. 1
Lettera dal Sud America
del Laboratorio libertario (Montevideo)
Al recente Incontro internazionale di Saint-Imier (agosto 2012) è stata presentata questa relazione sulla situazione in America Latina. Ne pubblichiamo ampi stralci.
(...)
Questa sinistra non ha potuto
conquistare il potere politico con le armi, suo obiettivo strategico;
ma lo ha ottenuto decenni dopo, dopo anni di carcere, di morti
e di desaparecidos, grazie a processi elettorali e complicate,
e a volte contraddittorie, alleanze politiche, eticamente impossibili
da concepire, e spiegate generalmente con la pragmatica argomentazione
secondo la quale “l'unione fa la forza”.
Questa sinistra che gestisce il potere politico, fedele alle
linee economiche del capitalismo globale, non è capace
di fare autocritica riguardo la sua trascorsa militanza, l'uso
e la strumentalizzazione dei movimenti di base in accordo con
i propri interessi di partito, già che ha gerarchizzato
e separato il politico dal sociale e ha debilitato i movimenti
privandoli dei loro migliori militanti, reclutati nell'apparato
militare. Ebbene sì, ha costruito un apparato militare,
con tutto quello che questo vuole dire, per opporlo a un altro
apparato, all'esercito e alle forze repressive dello Stato.
Un'istituzione contro l'altra, concepite con le stesse forme
e le medesime gerarchie. Erano talmente uguali che, in alcuni
paesi, le forze della guerriglia sono andate a integrare l'esercito
nazionale.
Questa posizione ha permesso agli ideologi, che oggi cercano
di giustificare il terrorismo di Stato, di elaborare la “teoria
degli opposti estremismi”. E in questa teoria degli opposti
estremismi oggi è coinvolta molta gente, perché
i militanti che non facevano parte di queste organizzazioni,
i simpatizzanti, i sindacalisti, i padri, le madri, gli amici
e i semplici cittadini, hanno subito anche loro il carcere,
la tortura, la desaparición e perfino la morte,
e sono stati definiti cittadini di serie B e di serie C, non
veniva permesso loro di studiare o di lavorare; oggi però,
se non si hanno fatto parte di nessuna organizzazione, non vengono
riconosciute loro le conseguenze di quanto hanno vissuto; c'è
una legge che con tutti i suoi difetti è in fondo riparatoria,
che rende lo Stato responsabile del terrorismo, ma lascia fuori
chi è stato imprigionato in quell'immenso carcere che
era il paese durante la dittatura, senza poter lavorare, studiare
o incontrarsi. Ci stiamo riferendo al caso dell'Uruguay. Se
ci soffermiamo sull'Uruguay, è necessario ricordare che
molta gente sta ancora lottando per i diritti umani (riferiti
a quell'epoca), per la verità, per la giustizia. Rimane
ancora molto da fare, l'impunità continua a prosperare
sotto il sole, qualche militare d'alto rango è stato
arrestato (in carceri VIP, riservati esclusivamente a loro),
ma molti altri continuano a camminare in mezzo a noi, come se
non fossero responsabili di nulla, e non si è riusciti
sapere nient'altro, come e dove sono scomparsi i compagni, perché
loro, arrestati o a piede libero che siano, non parlano, nonostante
sappiano bene cosa è successo. E la colpa non è
loro, ma delle autorità a cui rispondevano, ergo ci sono
responsabilità nell'attuale governo.
Negli ultimi tempi questa stessa sinistra è stata sconfitta
alle elezioni da genocidi dell'estrema destra, come nel caso
del Guatemala, mentre nel Salvador il Fronte Farabundo Martí
ha perso la maggioranza parlamentare contro un partito dell'estrema
destra noto per il suo fascismo.
In Cile ha vinto la destra, e i sostenitori di Pinochet sono
tornati al potere sotto mentite spoglie. Quando si promuove
come un aspetto della presunta democrazia l'alternanza al potere,
in realtà ci si sta ingannando, perché si retrocede
a processi più autoritari, preservando sempre il sistema
capitalista. In questo modo non si portano avanti cambiamenti
profondi ed è impossibile trasformare la società.
Aggiungiamo poi questa situazione ai colpi di Stato appoggiati
dall'impero, come nel caso dell'Honduras, e ora del Paraguay.
Con un popolo che per un certo periodo ha resistito, come in
Honduras, mentre in Paraguay si è vista una resistenza
solitaria, sempre la solita resistenza solitaria, quella dei
contadini e degli indigeni. In Paraguay gli USA stanno già
installando basi militari, che l'Argentina ha ritirato nel Chaco.
Dopo
le dittature
La novità di questi ultimi decenni, dopo l'ecatombe
dei governi militari che hanno applicato la “dottrina
della sicurezza nazionale” per provare a impiantare un
nuovo ordine economico, è stata l'esplosione in America
Latina di inaspettati, svariati e imprevedibili movimenti sociali.
Alcuni di questi hanno resistito agli aggiustamenti neoliberali
e al taglio delle libertà pubbliche. Queste resistenze,
inoltre, hanno reso più difficile l'applicazione dei
piani di ristrutturazione capitalistica e hanno delegittimato
il cosiddetto “pensiero unico”. Hanno aperto delle
brecce attraverso le quali sono sorte nuove forme di pensare
e di cambiare il mondo.
I movimenti sono riusciti a far retrocedere le privatizzazioni,
hanno fatto cadere diversi presidenti e, nel caso boliviano,
hanno dato vita ad azioni insurrezionali che avrebbero potuto
portare a forme organizzative appoggiate di autogoverno, radicate
nelle comunità e nell'autogestione.
Negli ultimi anni questi movimenti, che hanno avuto un ruolo
sociale importante come le organizzazioni sociali sopravvissute
alle dittature militari, hanno affrontato delle difficoltà,
hanno perso spazi d'intervento, sono stati messi da parte e
in alcuni casi subordinati o cooptati dai nuovi governi. Non
tutto però è andato perduto; quanto è avvenuto
è penetrato in profondità, ci sono stati cambiamenti
che hanno aperto nuove strade, si sono creati nuovi modi di
agire, nuove sensibilità, etc.
Non ci sono governi “buoni” che appoggiano e che
siano favorevoli ai movimenti sociali che si battono per la
propria libertà, che costruiscono autonomamente il proprio
senso della vita, che lottano per l'emancipazione sociale. Questo,
indubbiamente, non vuol dire che non ci sia nessuna differenza
tra un governo e l'altro: una dittatura o un governo di destra
non sono la stessa cosa di un governo progressista o di “sinistra”.
In definitiva però i governi e gli Stati non si possono
permettere l'esistenza di realtà che non controllano
o non gestiscono, realtà che stiano al di fuori, che
si pongano da una parte.
È bene ricordare che la situazione dell'America Latina
rientra nella stessa instabilità in cui si trova il capitalismo
globale. Invasioni, truppe d'occupazione, militarizzazione dei
territori ricchi di materie prime strategiche, come il petrolio,
l'acqua, i generi alimentari (il Paraguay, la triplice frontiera
tra l'Argentina, il Paraguay e il Brasile, il “Piano Colombia”),
pressioni di diverso tipo e perfino la possibilità di
una riformulazione delle frontiere come è avvenuto nell'ex
Jugoslavia, sono temi all'ordine del giorno e possono fare affidamento
sulla struttura logistica degli Stati Uniti e sulle forze di
repressione “nazionali”. La destra continua a cercare
di riprendersi i governi perduti, –si veda ad esempio
l'offensiva dell'oligarchia agraria in Argentina, i tentativi
separatisti in Bolivia, e quanto menzionavamo prima a proposito
dei golpe dell'Honduras e del Paraguay–, stanno sperimentando
nuove forme d'azione. La novità, un modello non condannato
dagli USA, è un colpo di Stato che non è un colpo
di Stato, tutto rimane all'interno della difesa costituzionale.
A noi uruguaiani ricorda il governo di Pacheco, tra il 1968
e il 1971, definito una dittatura costituzionale (...)
I movimenti
sociali
In tutta l'America latina i governi precedenti avevano applicato
le ricette neoliberali con gravi conseguenze, che hanno gettato
ampi settori della popolazione nella miseria più atroce.
I più poveri non hanno potuto fare altro che imparare
a organizzare la propria sopravvivenza per continuare a vivere.
Ma sono riusciti anche a organizzare la propria ribellione esprimendosi
in importanti movimenti in tutto il continente, come ad esempio
il “caracazo” in Venezuela, gli zapatisti in México,
gli indigeni in Ecuador, i coltivatori di coca e i “guerras
del agua y del gas” in Bolivia, i Sem Terra in Brasile,
i “piqueteros” e quelli delle fabbriche rimesse
in funzione in Argentina, il movimento mapuche in Cile.
Ultimamente i popoli amazzonici del Perù si stanno mobilitando
contro l'applicazione del Trattato del Libero Commercio con
gli Stati Uniti destinato a favorire la commercializzazione
della terra e delle sue risorse a favore delle corporazioni
transnazionali.
Alcuni pensano che l'esistenza di questi governi di sinistra
con maggior sensibilità sociale dia alle classi deboli
la possibilità di consolidarsi e di ottenere conquiste
fino ad oggi mai raggiunte con i governi di destra. Questo può
essere vero a breve termine, ma alla lunga tutti i governi,
compresi quelli che vogliono perseguire una migliore ridistribuzione
sociale, tendono inevitabilmente a strumentalizzare, conquistare
e istituzionalizzare i movimenti di base. Le politiche sociali
dei nuovi modi di governare hanno una maggiore capacità
di trascinare dietro di sé i movimenti, impadronendosi
delle loro bandiere e facendo proprie alcune delle loro rivendicazioni.
Sbarcano con i loro funzionari e tecnici sociali, molti dei
quali sono militanti del sociale, e compiono sondaggi, contano,
registrano, neutralizzano e controllano. Ma soprattutto spingono
un nuovo stile di lavoro sociale, in cui stimolano organizzazioni
sociali consociative ed “autonome”. Le spronano
ad agire all'interno dello Stato, riconoscendo loro una rappresentazione
istituzionale, cooptando così i movimenti che passano
a definire questi governi come “popolari”.
I nuovi modi di governare hanno bisogno di controllare i movimenti,
poiché sono creatori di incertezza sociale dato che con
le loro rivendicazioni mettono in dubbio la natura e la struttura
degli Stati in ricostruzione e spaventano gli investitori.
Nuove
forme di sviluppo, mega imprenditorialità
e traffico di droga
Bisogna evidenziare che i nuovi governi progressisti sorti
negli ultimi tempi in America latina (alcuni dei quali sono
già stati cambiati con governi di destra) hanno preso
a modello di sviluppo economico l'estrazione delle risorse naturali,
come il petrolio, il gas, i minerali, quelli vecchi e altri
di nuovi, la cellulosa con grandi piantagioni di alberi, che
attaccano l'agricoltura, depredando il medio ambiente e la natura.
Anche se questo avviene da sempre, la domanda oggi è
ancora maggiore e quindi l'estrazione di suddette risorse è
molto superiore a prima; inoltre vengono utilizzate nuove tecnologie
per ottenere una rendita maggiore, e i progetti sono enormi,
con tutto quello che questo implica.
Tutto ciò ha dato vita a movimenti di resistenza nei
confronti di suddetto modello, che sorgono in difesa della terra
in cui abitano, (da cui vengono espulsi e dislocati in luoghi
in cui non hanno risorse per sopravvivere, facendo in modo che
alla lunga intere civiltà scompaiano), dell'acqua che
in un modo o nell'altro viene sempre contaminata dalla suddetta
produzione, quando non definitivamente prosciugata, e del medio
ambiente, risorse non rinnovabili che hanno un impatto diretto
con la sopravvivenza della comunità e dell'intero pianeta.
Questi movimenti, con una visione più profonda e non
meramente economica, hanno messo in dubbio la logica del modello.
Dietro al monito della crescita economica, dell'attrazione degli
investitori e della promozione delle esportazioni, i governi
dell'America latina sostengono, afferma Eduardo Gudynas, che
“lo Stato capta parte di quella ricchezza per mantenere
sé stesso e finanziare programmi di lotta contro la povertà”.
Afferma il sociologo che “la sinistra al governo non sa
che farsene dei temi ambientali”, e finisce per interpretarli
in maniera contraria, e non si spinge oltre alle vaghe allusioni
alla questione ecologica e riesce perfino a interpretare erroneamente
la Pacha Mama, che diventa un ostacolo per la crescita economica
e, pertanto, “un freno per la riproduzione dell'apparato
statale e dell'assistenzialismo economico a chi ne ha più
bisogno”. Assistenzialismo che rende i governi sempre
più dipendenti dall'esportazione delle materie prime.
E queste politiche assistenzialiste riproducono la dipendenza
e la distribuzione diseguale dei beni.
In America latina il modello estrattivo patrocinato dai governi
di sinistra e di destra è definito da Raúl Zibechi
come “appropriazione diretta o indiretta dei beni comuni
per trasformarli in merce”.
Come afferma Tadeu Breda, “con alcune minime caratteristiche
che cambiano da paese a paese, è sempre più chiaro
che i governi della 'nuova sinistra' e le loro politiche del
neo-sviluppo non riescono a correggere le disuguaglianze più
profonde presenti nella nostra società. Non offrono reali
alternative di sviluppo e di benessere. Per questa ragione,
i popoli si stanno organizzando e stanno alzando sempre più
la voce. È necessario ascoltarli”.
Un altro tema che dobbiamo affrontare, se si parla di alternative
e di resistenza, è il narcotraffico e le sue conseguenze
che riguardano tutta l'America, con governi fortemente implicati
come quello di Uribe, e i suoi diversi strati, che come sempre
vanno a detrimento dei ceti più vulnerabili della società.
Quando si compiono analisi politiche, questo è un tema
che non viene realmente affrontato, perché distoglie
l'attenzione da altri argomenti e perché non si sa bene
come farlo. In realtà è un problema che riguarda
anche il mercato e il capitale, ma che tocca in modo allarmante
i giovani, e riproduce molta violenza, sia per chi vive direttamente
questo problema e per la sua famiglia, sia quando è preso
come pretesto per riflettere sulla violenza di stato con tutta
la sua forza, ma anche a proposito dei narcotrafficanti, e il
Messico ne è un esempio.
Il Messico e gli USA sono implicati in una guerra non solo perché
sono Stati confinanti ma per accordi geopolitici e militari
come ad esempio l'iniziativa Merica (un accordo stipulato tra
Bush e Calderón nel 2007) nella quale gli Stati Uniti
in tre anni hanno investito 1.400 milioni di dollari.
A partire da questa guerra il Messico è un paese completamente
militarizzato e para-militarizzato, che, secondo le stime del
governo, dal 2010 al settembre 2011, ha visto arrivare a 47?500
il numero delle vittime, incluso un migliaio di bambini, cifra
a cui devono aggiungersi le diverse migliaia di scomparsi. Con
il pretesto di questa guerra contro il narcotraffico si copre
la repressione dei movimenti popolari di resistenza.
Ci è arrivata qualche testimonianza di esperienze nella
selva colombiana delle comunità che vivono, – da
notare la contraddizione –, in lotta con la violenza.
Queste popolazioni si sostengono con quello che loro stesse
producono, e alcuni vanno a lavorare in altri paesi. Lì
non entra nessuno che appoggi la guerriglia, che abbia contatti
con i narcos o con i militari. In queste comunità si
verificano di frequente persecuzioni e assassinii, sia per mano
dei narcos che dei militari. La loro vita è molto dura,
in contatto permanente con la morte. Sono il pretesto per giustificare
mattanze che generalmente avvengono da parte dell'esercito.
Sono i falsi positivi per i quali familiari e comunità
hanno marciato in diverse opportunità, denunciando da
molto tempo quanto sta avvenendo.
Anche se la Colombia è il paese che da più anni
subisce questa problematica, il Messico non ha avuto nessun
tipo di controllo, e nelle popolazioni di frontiera con gli
USA, dove il traffico è molto intenso, gli assassinii,
il terrore e i massacri sono il pane quotidiano.
Il problema c'è anche per paesi come il nostro, nonostante
siano più piccoli, che fanno i conti con un consumo del
residuo della coca che contiene elementi corrosivi come i diluenti,
essendo così più economica. In Argentina viene
chiamata “paco” e qui in Uruguay “pasta base”.
Questo traffico è preso come pretesto di repressione
massiccia nei quartieri che in Uruguay vengono chiamati “mega
operativi”, giustificando così la violenza sui
giovani, e si attribuiscono ai minori tutte le cause della delinquenza,
senza vedere le vere ragioni profonde e ricorrenti. Si è
arrivati a sostenere pertanto di abbassare l'età dell'impunibilità,
e rendere complice una popolazione spaventata di questi attacchi
ai giovani, ai minori e agli esclusi.
Una scommessa per riflettere e ripensarci con autonomia e con
un pensiero critico, di fronte a una difficoltà abbastanza
nuova. Nonostante il tema della “sicurezza” non
sia nuovo, gli agenti scatenatori sono gli stessi di sempre:
fame, esclusione, dipendenza del sapere e del pensiero, ma le
conseguenze sono decisamente più nuove.
I
bassifondi che si muovono
I movimenti dei popoli nativi o degli indigeni sono sicuramente
uno dei tratti più evidenti di questi tempi. Forse stanno
portando avanti il processo di decolonizzazione che in questi
paesi non è mai stato portato a termine. In Ecuador,
in Colombia e in Perù si sono scontrati duramente con
le transnazionali del petrolio.
In Cile e in Argentina i mapuche hanno resistito alle
imprese del legname e della cellulosa. In Cile il governo della
socialista Bachelet li ha duramente criminalizzati grazie alla
Legge contro il terrorismo (emanata da Pinochet). Il movimento
di lotta del popolo mapuche si batte contro le multinazionali
che si impadroniscono delle terre indigene per sviluppare affari
in campo agricolo, e combatte per l'autonomia e la gestione
comunitaria del territorio, senza l'ingerenza dello Stato cileno.
In Bolivia la lotta per l'acqua e per il gas e per la nazionalizzazione
degli idrocarburi ha visto in prima fila le comunità
indigene e contadine quando nell'ottobre del 2003 hanno fatto
cadere il governo e quando, tra il maggio e il giugno del 2005,
si sono trovate a un passo dal far destituire il presidente
Eduardo Rodríguez e organizzare un autogoverno; Evo Morales
e il suo partito, il MAS (Movimiento al Socialismo),
hanno negoziato e ottenuto che il movimento insorgente concedesse
una tregua al governo, aprendo nuovamente la via elettorale
che ha portato l'aymará Evo Morales alla presidenza
della Bolivia. Rivendicare la nazionalizzazione del gas e del
petrolio, imporre la sovranità su queste industrie organizzate
secondo il modello centralizzato statale, significa far entrare
un'altra volta il parlamentarismo e lo Stato come interlocutori
validi nel conflitto.
In Ecuador i popoli nativi promuovono uno stato multiculturale
e multirazziale. Nel caso dell'Ecuador, già in passato
i popoli indigeni avevano stretto alleanze in questo senso con
i partiti e i candidati governo che poi li hanno traditi. Forse
è possibile la costruzione di un nuovo Stato in cui riescano
a entrare le culture indigene, sempre che non si metta in discussione
il mercato capitalista.
In Bolivia gli aymará propongono l'autogoverno
delle comunità, rivendicano la costruzione della “nazione
aymará” contrapponendola all'idea di conquistare
lo Stato.
Da diversi mesi anche i popoli nativi dell'Amazzonia peruviana
difendono i loro territori e la loro maniera di vivere mobilitandosi
contro i governi neoliberali per arrestare la mano predatrice
della borghesia nativa e transnazionale, che non dubita nemmeno
un momento quando si tratta di sfruttare le ricchezze degli
idrocarburi e dei minerali, anche se questo vuol dire distruggere
intere comunità e il “polmone dell'umanità”,
tutto in nome del Trattato del Libero Commercio e del progresso.
In Argentina il movimento piquetero è stato debilitato
ed è stato inserito in gran parte nelle politiche governative
del governo di Néstor Kirchner. Tuttavia, alcuni settori
piqueteros, le fabbriche autogestite, le assemblee dei
cittadini, continuano ad affermare i propri legami e a costruire
autonomamente la propria vita, producendo e commercializzando
in un modo diverso, autogestito, subendo permanentemente le
aggressioni dello Stato e del capitale. Organizzazioni sociali
e assemblee comunali stanno portando avanti movimenti di resistenza
contro il mega sistema di estrazione minerario in difesa della
vita e del medio ambiente.
Il chavismo in Venezuela è un movimento promosso
dal governo e ha come massimo leader il proprio presidente.
Questo rappresenta il suo maggior limite fin dalla nascita,
un cordone ombelicale che lo unisce fortemente allo Stato. “La
gente deve prendere il potere”, questo è il motto
di Chávez, secondo quanto scrive entusiasta il libertario
statunitense Michael Albert. Ma che significato può avere
una simile proposta quando viene offerta da chi esercita realmente
il potere, la stessa persona che costruisce il partito unico
PSU (Partido Socialista Único), per dirigere i
destini della “rivoluzione bolivariana”, e di cui
è il massimo leader? Un potere popolare programmato dall'alto
dai funzionari del governo può solo servire a rafforzare
il potere dei funzionari, di Chávez e dello Stato. È
che il socialismo del XXI secolo si ispira a quel miraggio chiamato
socialismo cubano: “Il potere ha bisogno di ridurre la
nostra forza d'intervento proprio per esercitare il suo potere
su di noi”. Non c'è modo migliore per far perdere
la potenzialità d'azione ai movimenti che integrarli
nello spazio del governo, istituzionalizzando le nuove forme
di partecipazione nate tra la base del chavismo.
Chávez ha voluto affermare il suo potere, non il potere
popolare, attraverso un referendum boicottato dallo stesso movimento
chavista. Per questo è necessario operare una
distinzione tra Chávez e il movimento che lo appoggia.
I Sem Terra del Brasile, legati nel momento della loro nascita
alle comunità ecclesiastiche e politicamente al PT (Partido
dos Trabalhadores), oggi hanno preso parzialmente le distanze
dal partito di Lula per le posizioni discordanti riguardo la
riforma agraria e la coltivazione degli organismi transgenetici.
Il Movimento Sem Terra è sicuramente uno dei più
potenti dell'America Latina, ma è anche il più
strutturato e il più verticale. Forse questo deriva dall'aver
unito le posizioni della Chiesa progressista con quelle di una
sinistra marxista piuttosto ortodossa, che aspira alla costruzione
di uno stato popolare.
Un movimento molto combattivo e con una base molto partecipativa
negli accampamenti e nelle occupazioni di terra, ma che smette
di esserlo man mano che sale nella struttura, dato che si regge
sul centralismo democratico.
In questo periodo il movimento zapatista è stato quello
ad aver avuto maggior influenza sul movimento libertario e anche
quello che più ha inciso nella ricerca di un cambiamento
nel pensiero emancipatore in America latina. Tuttavia, nell'ultima
fase, gli zapatisti hanno smesso di guardare verso il basso
come avevano fatto finora, per attraversare il Messico, ma lo
hanno fatto guardando in basso a sinistra. Ciò li colloca
in uno spazio politico, quello della sinistra radicale, più
o meno ortodossa e leninista, in cui vengono reiterate le politiche
che gli stessi zapatisti hanno criticato nel tempo. Inoltre,
trovarsi non in basso ma in basso a sinistra, vuol dire continuare
ad avere una categoria vincolata alla forma Stato che serve
alla sua riproduzione.
Sempre in Messico il movimento indigeno e popolare di Oaxaca
organizzato nell'APPO (Asamblea Popular de los Pueblos de
Oaxaca, Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca) e in un
movimento ancora più ampio, noto come la Comune di Oaxaca,
sono stati i protagonisti della resistenza contro il governatore
Ulises Ruiz, per anni espressione di corruzione e repressione.
Flores Magón, anche lui di Oaxaca, aveva riscontrato
nelle comunità indigene il fondamento delle sue proposte
libertarie.
In Uruguay, i movimenti visibili non sono altro che strutture
verticali, prive di vita. Le forze che in qualche momento furono
presenti in queste strutture, sono state soffocate dai requisiti
della legalità, legalità che gli stessi membri
aderenti hanno accettato correndo dietro alla carota della democrazia
partecipativa e alle facilitazioni promesse dal “progressismo”,
che d'altronde non sono certo gratuite. Queste forze si sono
diluite nei meandri del potere, più occupate a perseguire
approvazioni legali, a integrarsi nel sistema, più che
a costruire le loro proprie realtà. Ma, al di là
degli intenti, l'apparato burocratico dei movimenti sociali
continua a funzionare e a riprodursi per inerzia.
Tuttavia stanno sorgendo altri movimenti di resistenza, (si
definiscono come apartitici: produttori, industria agro-pastorile,
sindacati, studenti, docenti, ricercatori, associazioni di cittadini
e altri gruppi) che si mobilitano contro le mega imprese, le
piantagioni di cellulosa e il sistema di sfruttamento minerario,
che hanno riscontrato un relativo appoggio.
Esiste anche un movimento invisibile, disperso e imprevedibile,
che partendo dalle proprie realtà e dai propri desideri,
persegue quell'autonomia e crea a partire dalla differenza le
realtà che desidera; si fa a carico dell'alimentazione,
dell'istruzione, della sanità, sottraendosi alla legalità
per poter avere un luogo in cui vivere, dove far crescere i
generi alimentari... vivendo giorno dopo giorno l'avventura
(in maggior o minor misura) di costruire insieme quella realtà
che ci renda possibile vivere più sani e liberi.
Fino all'arrivo della sinistra, in Uruguay il sistema sanitario
si articolava in tre maniere: sanità privata (tipo mutuale,
che ai suoi inizi ha avuto una base solida facendosi poi via
via sempre più commerciale), le assicurazioni private
(per le persone facoltose) e la sanità pubblica, poverissima
e per i più indigenti. Le rispettive risorse umane ricevevano
stipendi abissalmente diversi. Con l'arrivo del Frente Amplio
si è instaurato un sistema che pretende di integrare
la sanità privata con quella pubblica, si sostiene con
un'assicurazione che viene scalata dai salari dei lavoratori.
Continua a essere un sistema ingiusto (anche se la sanità
pubblica è un po' migliorata) e si è reso insostenibile;
la popolazione è ricorsa alle strutture private, intasandole,
e queste non hanno migliorato le proprie risorse, né
quelle tecniche né quelle umane, e la sanità pubblica
ha grandi difficoltà, giacché alle sue strutture
non vengono destinate le stesse entrate di denaro che ricevono
quelle private. I lavoratori nelle loro assemblee richiedevano
che la sanità del sistema Stato fosse solamente pubblica,
con uguali condizioni per tutti. Inoltre questo sistema, come
sempre è stato, non ha considerato la salute mentale
e l'assistenza agli anziani (in un paese di geronti).
Oggi la crisi nella sanità si acutizza, aumenta il tasso
di mortalità infantile, gli ospedali pubblici si sono
visti sovraccaricati di persone e si tagliano i letti per mancanza
di personale.
L'istruzione mostra una situazione deplorevole: locali inadeguati,
salari di maestri e professori che non raggiungono i livelli
minimi di sussistenza, i contenuti che non cercano nemmeno di
sviluppare un pensiero critico. Docenti e alunni dell'istruzione,
amministrativi e i pazienti del sistema sanitario continuano
la loro lotta per migliorare i contenuti e le forme.
Sono centinaia di migliaia le case vuote e le masse sono senza
casa. La mancanza di abitazioni è molto grave, non sono
accessibili ai lavoratori e aumentano le baraccopoli.
Si pianifica di abilitare la distribuzione della marihuana nello
Stato e allo stesso tempo si rende possibile l'internamento
compulsivo.
Nuovi
contesti, nuove capacità
Uno sguardo critico sui movimenti, sulla loro fragilità,
non implica un giudizio negativo. Poiché da questa fragilità,
dalla crisi di referenti, dalle incertezze nasce quel desiderio
di creazione e di ricerca di nuovi significati per le nostre
vite.
I movimenti non sono puri, sono eterogenei, ibridi, sono un
miscuglio di differenze con diversi tipi di impurità,
ma da questi incontri, da questo meticciato possono nascere
le trasformazioni. Dall'omogeneo, dal puro, nascono solo ripetizioni
autoreferenziali, mai creazioni.
Tuttavia, in America Latina alcuni movimenti di base continuano
a essere intrisi di quella logica leninista, secondo la quale
la politica di partito è un'istanza superiore della politica,
che separa il sociale dal politico, affermando in questo modo
il suo ruolo di cinghia di trasmissione delle decisioni prese
nelle istanze superiori; e quando non è così,
molti di loro non vanno più in là di rivendicazioni
corporative o di pratiche clientelari.
La crisi della rappresentatività e dell'avanguardismo
non sfocia automaticamente nello sviluppo di azioni autonome
e nell'autoorganizzazione. All'interno dei nuovi gruppi della
sinistra radicale, molti rivendicano strumentalmente l'autonomia
degli organismi di base, ma è un'autonomia costruita
al servizio di una strategia di potere. Si gioca con il concetto
di indipendenza di classe e autonomia, confondendo le due cose.
In Uruguay negli anni sessanta e settanta l'indipendenza di
classe significava l'indipendenza dello Stato, dei governi di
turno, e dei partiti borghesi, ma non dei partiti e dei gruppi
di sinistra. E questa è l'autonomia che si cerca di far
passare.
La strategia del potere implica l'unione e qual è il
luogo per eccellenza, secondo questa strategia, dell'unione
politica se non il partito o l'organizzazione politica?
Per i movimenti sociali, non solo quelli che si limitano a fare
richieste allo Stato in una posizione subalterna, ma soprattutto
per quelli che non vogliono rimanere impigliati nelle reti delle
istituzioni statali, sembra chiaro che non si può continuare
a combattere nello stesso modo di prima di questi governi, come
se non fosse successo nulla.
Non è tutto uguale e la situazione attuale, che è
più complessa, rende necessaria l'invenzione di nuove
forme che evitino tanto la cooptazione quanto l'emarginazione
dei movimenti, o sarà che giustamente dobbiamo fomentare
la marginalità stessa, nel senso che stiamo ai margini
di un sistema da cui vogliamo uscire?
È un conteso nuovo che ci sfida e che richiede, a noi
anarchici, di creare di nuovi concetti e pratiche, nuove capacità,
che chiami a raccolta l'allegria della nostra potenza creatrice
ed emancipatrice.
Laboratorio libertario
Montevideo (Uruguay)
Traduzione di Arianna Fiore
Questa relazione riprende in parte il documento
pubblicato su “A” 337 (estate 2008) al quale
rimandiamo per approfondire tematiche e aspetti non presenti
in questi stralci. |