politica
Per chi gioca Mario Monti
di Antonio Cardella
Dalla conferenza-stampa di fine dicembre 2012 il Professore bocconiano ha iniziato la propria campagna elettorale, sostenuto dai “poteri forti“ dell'Unione Europea, dalla Chiesa e da....
Con l'apparizione improvvisa
al gruppo dei popolari europei, il pallido narciso che appassisce
sulla poltrona di presidente del consiglio italiano conclude
il giro delle istituzioni europee mirato a sollecitare il buon
viatico per il futuro della politica in Italia. Il tour è
stato proficuo, tutti i massimi esponenti delle istituzioni
europee hanno dato atto al sobrio bocconiano di avere svolto
diligentemente il mandato europeo, (che già aveva pesantemente
condizionato l'ultimo periodo dell'era Berlusconi-Tremonti)
ponendosi in continuità sostanziale con gli indirizzi
di quel governo, senza ereditarne la manifesta impresentabilità
morale e istituzionale.
Certo, adesso c'era molto altro da fare. I tempi erano cambiati
da quell'autunno del 2011 quando sembrava che le ricette di
Bruxelles non avessero alternative. Adesso la recessione erodeva
la carne viva di intere popolazioni in tutto il Continente ed
era sempre più evidente che l'intero sistema politico
ed economico-finanziario non partoriva alcuna idea praticabile
per uscire dal tunnel. Le politiche di austerità, il
rigore senza equità, i diritti negati e le autonomie
concusse ad ogni livello delle strutture statali e delle autonomie
locali, ponevano in crisi l'assetto sociale dei singoli Stati
e ne scuotevano gli assetti democratici laddove ancora resistevano.
Nel sud del Continente, il più penalizzato dalla crisi,
cominciavano ad emergere forze organizzate in opposizione ai
diktat dell'Unione, forze che negavano la necessità di
salvare il sistema a discapito del benessere e della vita stessa
dei cittadini. Bisognava quindi intervenire prima che il temporale
si trasformasse in uragano. La Grecia, un Paese relativamente
piccolo e non determinante negli equilibri della politica europea,
era il territorio ideale per sperimentare e collaudare le misure
che si sarebbero poi estese in tutto il Continente.
L'indebita
e spregiudicata ingerenza dell'Unione Europea
Si giustifica così la relativa elasticità delle
misure che, di volta in volta, saranno prese a carico del governo
ellenico: oggi si nega un prestito che domani invece si concede;
si allunga o si accorcia il termine per il pareggio di bilancio;
si nega e poi si eroga un contributo per evitare il fallimento
delle banche.
Dove, invece, si interviene col piede teso è nel salvaguardare
la persistenza di un governo centrale amico, che non metta in
discussione la logica ed i contenuti delle pesantissime misure
imposte al popolo ellenico.
Così si spiega l'indebita e spregiudicata ingerenza dell'Unione
e di tutti gli apparati palesi e occulti a lei riconducibili,
fuori e dentro gli ambiti nazionali, per determinare l'esito
delle elezioni dello scorso maggio. Il partito dell'attuale
presidente, condizionato dalle pressioni della trojka e sostenuto
da una campagna dominata dalle tensioni e dalla paura, è
riuscito a prevalere, ma tallonato da un raggruppamento di progressisti
che, con il 27%, ha sfiorato la maggioranza relativa.
Nata agli inizi dell'anno in corso, Syriza (questo è
il nome che si è data) è una coalizione di 13
formazioni politiche del versante di sinistra, accomunate dalla
decisa opposizione alle politiche di macelleria sociale attuate
dal governo dell'Unione. Il suo leader, il giovane Alexis Tsipras,
rilancia una politica fiscale che penalizzi le grandi ricchezze,
tassi le transazioni finanziarie, combatta la dilagante corruzione
e attui una moratoria sul pareggio del bilancio pubblico con
la sospensione del debito sino ad un rapporto sostenibile con
la produzione di ricchezza reale.
L'agenda di Syriza è solo la più esplicita elencazione
di provvedimenti che molte altre forze politiche in tutti i
Paesi dell'Unione ritengono urgenti per porre un argine al crollo
dell'economia reale registrabile con dati di inconfutabile gravità.
È vero: la recessione investe tutto il mondo occidentale.
Il debito pubblico – se si fa eccezione per i Paesi del
nord Europa che godono di condizioni geodemografiche incomparabili
ed una tradizione consolidata di welfare virtuoso – è
un peso spesso insopportabile per le aspettative di una crescita
della ricchezza reale, non drogata dalle evoluzioni della finanza
speculativa. Ma la strada scelta dalla istituzioni europee per
abbattere questa gigantesca muraglia che preclude le prospettive
di un futuro meno precario del presente, non è mirata
a soccorere le popolazioni in grave disagio, ma a sostenere
l'apparato finanziario che ha provocato il disastro. Così
si buttano sul lastrico le famiglie, si tagliano le risorse
per i servizi essenziali, si precarizza il lavoro, si riducono
i diritti dei cittadini e la sfera delle autonomie locali, tutto
per riempire di soldi il sistema bancario, minato da attività
speculative e indisponibile ad offrire sostegno all'apparato
produttivo ed ai nuclei familiari in difficoltà.
Contro questa profonda insensibilità verso la sofferenza
diffusa, cominciano a insorgere, dovunque in Europa, nuclei
di resistenza sempre più consistenti.
Della Grecia abbiamo già detto, ma il malessere sembra
diffondersi in Spagna, in Irlanda, in Portogallo e persino nella
Francia felice e nella ricca Germania. Ancora, comunque, nulla
di sconvolgente per i Palazzi di Bruxelles e Francoforte. Ma
se la pandemia dovesse estendersi all'Italia le cose cambierebbero
e non di poco.
L'Italia è nello stesso tempo un pilastro e un fronte
esposto sul versante geopolitico della difesa della moneta unica
e dell'eurozona nel suo complesso. Fragile politicamente, con
una struttura industriale che perde pezzi ogni giorno, è,
dal punto di vista strategico, insostituibile per la difesa
degli assetti economici e politici, non solo del Vecchio Continente,
ma dell'intero Occidente. Non a caso il Fmi e la stessa amministrazione
statunitense ci stanno con gli occhi addosso. Basta, infatti,
sfogliare un comune atlante per capire come un semplice raffreddore
che insorgesse tra le Alpi e la Sicilia potrebbe evolvere in
polmonite in un' area molto più vasta.
Con la Spagna e la Francia – ma molto più incisivamente
di loro – siamo interlocutori naturali con i Paesi africani
che si affacciano sul Mediterraneo; ad est, un piccolo tratto
di mare ci separa da un Medioriente in rapida evoluzione e fondamentale
per gli equilibri in estremo Oriente. Se, per avvicendamenti
politici indesiderati, il fronte occidentale dovesse perdere
il controllo completo di quella gigantesca portaerei naturale
che è la Penisola italica, l'intero sistema di difesa/offesa
posto in essere per far fronte a qualsiasi evenienza bellica
potrebbe essere fortemente indebolito. Ricordiamoci che molti
sono nel nostro Paese i siti di istallazioni militari a portata
strategica che godono del diritto di extraterritorialità,
non si sa bene a quale titolo se nella nostra Costituzione è
esplicito il ripudio della guerra.
Neanche
Gesù Cristo fu così arrogante...
In questo quadro, la missione che è stata affidata
dai vertici europei a Mario Monti è quella di sparigliare
le carte in quel gioco elettorale che potrebbe portare Bersani
alla presidenza del consiglio in Italia. C'è la preoccupazione
che le tensioni in atto nei Paesi più duramente colpiti
dalla recessione, come la Grecia e, soprattutto, la Spagna,
si saldino con le strategie di stampo socialdemocratico già
prevalenti in Francia e, prevedibilmente, prossime ad affermarsi
qui da noi se dalle urne dovesse sortire il PD, partito di maggioranza
relativa. Il dato inequivocabile che emerge nell'attuale situazione
è che la politica del rigore, dei pareggi di bilancio,
della drastica riduzione delle risorse da destinare ai servizi
per i cittadini e della ulteriore precarizzazione del lavoro
non ha alternative se si vuole salvare, con il sistema finanziario
esistente, anche le logiche di controllo sociale e politico-repressivo
dell'area.
Qualsiasi digressione dal disegno complessivo creerebbe brecce
che sarebbe poi difficile per il sistema rattoppare. Per questo
si son fatte le carte false per salvare dal fallimento la Grecia
o si continua a elargire cifre incredibili per ricapitalizzare
banche decotte. Quindi, per sopravvivere, il sistema si blinda
e sguinzaglia i suoi uomini per presidiare le posizioni più
esposte.
Monti, appunto, è uno dei personaggi di punta chiamato
a scongiurare in Italia una possibile deriva eversiva rispetto
al percorso obbligato intrapreso dai vertici della Comunità
europea. Il bilancio del suo mandato di Presidente del Consiglio,
esposto da Monti il 23 dicembre scorso di fronte ai suoi ministri
e alle più alte cariche dello Stato, con la sua irritualità,
lasciava trasparire chiaramente il suo essere portatore di un
messaggio compilato altrove. Intanto l'inopportunità
istituzionale di cogliere l'occasione di un doveroso redde
rationem delle cose fatte dal suo governo e di quelle mancate,
per lanciare una sua candidatura alla testa di uno schieramento
che competerà nelle prossime elezioni. Poi la volgarità
oggettiva, in quella sede, di tranciare giudizi sferzanti sui
suoi futuri avversari. Infine quel richiamare a sé il
popolo di quanti si riconoscono in una agenda arrogantemente
compilata su suggerimenti dei suoi ispiratori bruxelliani e
con l'inchiostro dell'onnipresente Pietro Ichino. Neanche Gesù
Cristo fu così arrogante con i dodici apostoli.
Avrete capito che a me Monti non piace, non mi piace come uomo,
prima che come politico. Non è solo freddo nei confronti
delle sofferenze altrui: è indifferente. Crede che la
missione di cui si sente investito travalichi i più elementari
sentimenti umani. Sorride soltanto quando esercita la sua ironia
a danno dei suoi simili. E questo è un bruttissimo segno,
e richiama stagioni buie.
Antonio Cardella
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