in direzione
ostinata e contraria 9
Non è la rosa, non è il tulipano
Interviste a Giulio Marcon e Gianni Novelli
di Renzo Sabatini
Dalla Guerra di Piero a Girotondo, dalla Ballata dell'eroe a Maria nella bottega d'un falegname: la critica alla guerra, con tutto ciò che comporta, è un tema che attraversa tutta l'opera di De André. Ce ne parlano due rappresentanti delle correnti laica e cattolica del pacifismo italiano.
Premessa
Da vecchio antimilitarista, quando ho avviato la serie radiofonica
sui personaggi delle canzoni di De André ho pensato di
cominciare proprio con La guerra di Piero.
Poiché in Italia, a differenza di altri paesi, il
movimento pacifista si distingue da sempre nelle due componenti
“laica” e “cattolica”, mi è parso
importante raccogliere la testimonianza di entrambe.
È finita così che, in una stessa settimana
dell'autunno australe, mi sono ritrovato a conversare piacevolmente
con due attivisti di lunga data del movimento pacifista italiano,
Giulio Marcon, portavoce della campagna Sbilanciamoci, e Gianni
Novelli, francescano, fondatore del Centro Interconfessionale
per la Pace.
Mettere a confronto le due testimonianze mi sembra il modo
migliore per offrire un quadro più rappresentativo della
complessa galassia del pacifismo italiano, ma anche per vedere
come Piero, il Pescatore e Bocca di Rosa siano stati punti di
riferimento per percorsi di vita anche assai diversi fra loro
eppure allo stesso tempo simili.
Intervista a Giulio Marcon
Nel 1999 eri sul palco, a Roma, accanto a Pietro Ingrao,
nella prima manifestazione contro l'intervento Nato in Kosovo.
In quella occasione ci fu chi distinse fra varie forme di pacifismo,
dicendo che quello era un intervento giusto, necessario. Tu
che tipo di pacifista sei?
Sono sempre stato contrario alle guerre, per diversi motivi.
Innanzitutto per una questione etica: la guerra è distruzione,
produce sofferenza, è la principale violazione, a mio
giudizio, dei diritti umani, riduce le persone a vittime. Ci
sono anche motivi di natura politica: credo che la guerra, soprattutto
negli ultimi vent'anni, sia stata utilizzata da molti paesi
come strumento di politica estera, è stata uno strumento
della geopolitica moderna, ma è uno strumento criminale
perché produce distruzione e morte e non risolve i problemi.
Tutte le guerre hanno sempre acuito i conflitti, non hanno mai
portato ad una soluzione vera i problemi che sostenevano di
voler risolvere.
Ti sei sempre dedicato alla pace e gli episodi da ricordare
sarebbero tanti. Cito, ad esempio, la tua partecipazione alle
catene umane a Gerusalemme e alla carovana della pace entrata
nella Sarajevo assediata. Per concentrarci sulle tue esperienze
più recenti, sei stato a lungo presidente dell'Ics, sei
Presidente di Lunaria e coordinatore della campagna Sbilanciamoci.
Puoi descriverci brevemente cosa sono queste tre realtà
del tuo impegno pacifista?
Ics1 è nata nel 1993,
durante la crisi determinata dalla guerra nella ex Jugoslavia,
come coordinamento dell'azione umanitaria di un centinaio di
organizzazioni che hanno cercato così di darsi degli
strumenti comuni per portare aiuti alle popolazioni colpite
dalla guerra. L'Ics si è impegnato sia sul fronte umanitario,
per portare aiuti, soccorrere i profughi, organizzare attività
di volontariato, sia sul fronte politico, collaborando con chi,
in ex Jugoslavia, si opponeva alla guerra e al nazionalismo
e cercava di trovare soluzioni possibili di pace e riconciliazione,
per porre fine al conflitto. Quindi l'Ics era un'organizzazione
pacifista sia umanitaria che politica, nel senso di condurre
un'azione non solo di aiuto materiale ma anche di affiancamento
a chi, sul posto, si opponeva alla guerra. Attualmente Ics interviene
in ex Jugoslavia, in Iraq, in Palestina, in vari paesi dell'ex
Unione Sovietica e anche in Italia, come sostegno all'attività
di accoglienza e tutela dei diritti dei rifugiati e richiedenti
asilo.
Lunaria,2 nata nel 1992, si occupa
di educazione alla pace e alla solidarietà mediante il
volontariato internazionale, muovendosi soprattutto attorno
ai temi di quella che oggi viene definita “altreconomia”,
cioè sulle esperienze di finanza etica, commercio equo
e solidale, scambi non monetari, gruppi di acquisto solidale;
insomma tutte quelle esperienze che cercano di costruire forme
diverse di economia basate su valori che non siano quelli del
profitto e del mercato, ma valori di solidarietà, giustizia,
scambi equi.
Sbilanciamoci3 è nata
nel 2000 su iniziativa di un gruppo di organizzazioni della
società civile, con l'obiettivo di costruire una critica
comune alle politiche economico finanziarie dell'Italia, individuando
e proponendo concretamente delle alternative, specialmente in
occasione del varo delle leggi finanziarie. Ogni anno inoltre
Sbilanciamoci organizza una sorta di “Controcernobbio”.
A Cernobbio, dal 1975, si organizza un workshop che rappresenta
una sorta di piccola Davos, in cui si incontrano manager, finanzieri,
industriali, leader politici. Ogni anno Sbilanciamoci, nelle
stesse date, organizza un evento che cerca di proporre un punto
di vista diverso, critico ma anche propositivo rispetto alle
discussioni che si fanno a Cernobbio, che sono tutte improntate
ai temi del neoliberismo e a un'idea di economia che mette al
centro il profitto, il mercato e il privato.
Mi fa piacere però ricordare anche il mio lungo impegno
con il Servizio Civile Internazionale4,
il movimento di volontariato per la pace fondato nel 1920 dall'obiettore
di coscienza svizzero Pierre Ceresole, con cui ho cominciato
il mio percorso di pacifista.
Passando a De André, canzoni come La
guerra di Piero e La ballata dell'eroe,
scritte nei primi anni sessanta, sono state spesso bollate come
espressioni di antimilitarismo romantico, ingenuo, non applicabile
nella realtà. Tu pensi che fossero ingenue? Esistono
il pacifismo ingenuo e quello realista?
Quelle canzoni rispecchiavano un senso comune, una cultura,
una sensibilità che stava nascendo fra i giovani. La
guerra in Vietnam e le tante altre guerre che colpivano varie
parti del mondo avevano effetto sulle giovani generazioni e
De André si faceva interprete, poeticamente, del rifiuto
della guerra, del militarismo e della violenza che è
sorto in quegli anni. Sono gli stessi anni in cui in Italia
si sviluppa, in modo visibile, il fenomeno dell'obiezione di
coscienza (la prima legge che riconosce ai giovani italiani
la possibilità di fare un servizio civile alternativo
al militare è del 1972). Quindi credo che quel tipo di
pacifismo, antimilitarista, che rifiutava la guerra sotto la
spinta di una forte sensibilità personale, etica, ideale,
entrava a pieno titolo nell'idea di un pacifismo che è
andata poi sviluppandosi nel corso del tempo e che, a partire
dagli anni ottanta, è divenuto di massa, in cui gli elementi
del rifiuto della violenza, dell'uso delle armi, di una certa
ideologia militarista diventavano tratto distintivo del pacifismo
italiano. Non era quindi un pacifismo ingenuo, tanto è
vero che l'obiezione di coscienza poi è diventata un
fenomeno di massa e anche oggi, che non esiste più l'esercito
di leva, abbiamo comunque un servizio civile nazionale che coinvolge
migliaia di ragazzi e ragazze.
Ma quelle canzoni, secondo te, oltre ad essere interpreti
di una generazione, sono anche servite a conquistare qualcuno
alla causa della pace? Quelle riflessioni potrebbero aver fatto
cambiare idea a qualcuno?
Secondo me sì. Soprattutto per i giovani le canzoni sono
un potente strumento di influenza, di contaminazione, rispetto
al proprio vissuto personale, alle idee che si formano, ai convincimenti.
Alcune canzoni aiutano a formare la sensibilità e la
cultura di intere generazioni. E le generazioni che sono cresciute
negli anni sessanta e settanta, che hanno sviluppato questa
sensibilità pacifista, antimilitarista e comunque di
impegno ideale lo hanno fatto anche grazie alle canzoni. Pensiamo
anche agli Stati Uniti: Woodstock, la musica degli anni sessanta,
Bob Dylan... In Italia, grazie ad alcuni cantautori e ad alcuni
complessi musicali, la musica ha avuto un grandissimo ruolo
e De André è stato sicuramente il più importante
da questo punto di vista. Credo che quella generazione debba
molto alla musica, alle canzoni di quel periodo: uno spessore
etico e ideale che successivamente, a mio giudizio, non è
stato eguagliato. In quegli anni c'era l'idea, che nei decenni
successivi si è attenuata, che era possibile cambiare
il mondo, la società. Ossia c'era un'idea forte di trasformazione.
C'era anche un'attesa per un mondo diverso, c'erano speranza
ed ottimismo rispetto alla possibilità che si potessero
veramente cambiare le cose. Io credo che quei cantanti e quelle
canzoni abbiano aiutato molto a far maturare questo tipo di
sentimento.
Un sostenitore schivo
Quindi per gli attivisti del movimento, quelli che sfilavano
per le strade, quelle canzoni hanno avuto un significato forte?
Sì, assolutamente. Io le ho ascoltate in tutti i momenti
delle manifestazioni pacifiste di quegli anni: nei cortei, nelle
manifestazioni di ogni tipo. Accade sempre che prima di iniziare
una manifestazione si ascolti della musica e De André
era uno di quelli che non potevano mancare e tutt'oggi viene
utilizzato in questi eventi. Canzoni come La guerra di Piero
rimangono nell'immaginario del movimento pacifista in modo permanente.
Colpisce molto che ci siano ancora oggi, nei cortei, giovani
di quindici o sedici anni che conoscono a memoria il testo di
quella vecchia ballata, come se fosse una canzone di oggi, mai
invecchiata.
De André è sempre stato molto schivo, non
lo si vedeva in piazza, però ultimamente è venuto
fuori che finanziava anche delle iniziative. Negli ultimi anni
della sua vita aveva preso molto a cuore Emergency. Pare che
aiutò anche l'Ics durante la guerra in Jugoslavia. Ci
puoi raccontare quell'aneddoto?
Sì, nel 1993, grazie a Stefano Benni, organizzammo un'iniziativa
di raccolta fondi per i nostri interventi in soccorso dei profughi
in Bosnia. Stefano Benni si prese molto a cuore questo progetto
e organizzò a Milano un'iniziativa che coinvolse tantissimi
artisti: Dario Fo, Franca Rame, Beppe Grillo, Paolo Rossi, Luca
Carboni, Enzo Jannacci, i Nomadi, alcuni comici come Bisio e
tanti altri. Un'iniziativa a passerella, in cui ognuno faceva
un pezzo e passava il testimone all'artista successivo. Fu una
manifestazione di successo, con molti soldi raccolti. De André
non poté partecipare ma accadde un episodio inaspettato:
qualche giorno dopo ricevemmo una telefonata di De André,
molto schivo, che mi disse: “ho saputo da Benni che avete
fatto quest'iniziativa, io non sono potuto venire ma vorrei
comunque darvi un aiuto, vorrei pagare il service dell'evento,
se mi dici dove devo mandare l'assegno...” Ecco, in modo
molto asciutto, ma anche molto sensibile da parte sua, per le
cose che poi mi disse durante quella telefonata, De André
ci mandò molti soldi (erano cinque milioni di lire) senza
apparire, senza voler rivendicare un ruolo. Mi colpì
molto perché c'erano stati tanti artisti che avevano
fatto la loro parte sul palcoscenico, ma lui volle dare il suo
contributo in modo privato. E io credo che nessuno poi lo abbia
saputo al di fuori del nostro ufficio, questa è probabilmente
la prima volta che lo riferisco in un'intervista. Gli altri,
certo, si esibirono gratuitamente, ma lui mise concretamente
mano al portafogli e forse non è giusto che, nella storia
dell'intervento pacifista in ex Jugoslavia, non si sappia che
De André ha dato un contributo, che per noi in quel momento
è stato molto importante, e lo ha fatto in questo modo
schivo.
De André negli anni novanta con La domenica
delle salme ha parlato di una “pace terrificante”,
una pace in cui gli uomini non hanno più voglia di protestare
e non si accorgono dei grandi drammi che li circondano. In quella
occasione aveva anche detto che contro questo tipo di pace preferiva
combattere. Non si tratta forse di una contraddizione? Questa
pace terrificante è come una guerra o è peggio
di una guerra?
No, lui aveva ragione. Io sono convinto che la pace non significa
assenza di lotte, assenza di conflitto. Il conflitto fa parte
della quotidianità, delle relazioni umane. Il conflitto
è necessario. Potrei ricordare le parole di Ghandi o
di Capitini da cui emerge che la nonviolenza non è passività,
è comunque lotta, conflitto, impegno per la trasformazione
delle cose. Di fronte a una pace terrificante, che possiamo
definire “pax romana” quando si parla di relazioni
internazionali o “status quo” quando ci si riferisce
alle relazioni sociali – comunque una pace non accettabile
– bisogna lottare. Ricordo le parole molto belle di Gunther
Anders, filosofo che, per anni, dopo l'esplosione delle bombe
atomiche in Giappone, si è impegnato per il disarmo.
Parole durissime che rivendicano persino l'uso della violenza
per trasformare le cose. Lo stesso Ghandi ammetteva la possibilità
di ribellarsi anche con la violenza in casi estremi, pur di
non accettare il sopruso e l'ingiustizia. La pace terrificante
di cui parla De André credo che vada assolutamente combattuta.
L'ingiustizia, la sopraffazione, la violazione dei diritti umani
non possono essere tollerati sulla base di un uso sbagliato
del termine nonviolenza, o del termine pace, perché questo
significherebbe tollerare un'ingiustizia e una violenza più
grandi e questo i pacifisti non possono sicuramente accettarlo.
Lo sforzo che fanno i pacifisti, però, è quello
di fare in modo che questa lotta, questo conflitto, questo impegno
a cambiare le cose avvenga, per quanto possibile, attraverso
strumenti che possono essere considerati pacifici, con la massima
riduzione dell'uso della violenza, perché in ogni caso
la violenza è un disvalore. Detto questo, è ovvio
che in situazioni significative e importanti, come quelle dei
popoli che lottano per la loro liberazione, si debba riconoscere
a questi popoli il diritto di utilizzare gli strumenti a loro
disposizione per liberarsi dalla tirannia e dall'oppressione.
La guerra di Piero da tanti anni ha trovato posto
nelle antologie scolastiche. Secondo te c'è un motivo
per cui questo testo viene scelto più spesso di altri?
Conta più l'estetica del verso o i contenuti?
Sono importanti entrambi. Ci sono tante canzoni con dei testi
che potremmo definire politicamente corretti, che hanno una
chiarezza espositiva e contenutistica. Canzoni che sono dei
veri e propri proclami. Però sono dei testi che spesso
non sono accompagnati da un altrettanto efficace valore estetico.
Potrei citare molte canzoni politiche, molto cantate e utilizzate
nel corso degli anni settanta e ottanta, canzoni che però
non sono rimaste, perché erano dei testi politici efficaci,
ma non erano delle belle canzoni. Il valore estetico è
importante e la canzone di De André unisce questi due
aspetti: ci dice qualcosa di importante dentro un involucro
poetico e per questo vivrà nel tempo.
De André ha fatto anche un collegamento forte fra
la figura di Gesù e un pacifismo di tipo radicale. Ne
La Buona Novella si dice che la croce è
destinata a: “chi guerra insegnò a disertare”.
Pensi che questo possa essere servito ad aprire una breccia
in certi ambienti cattolici sul tema della pace?
Sì, anche se nel mondo cattolico ci sono diverse anime:
c'è Pax Christi, ma c'è anche l'Azione Cattolica.
Ci sono i Beati Costruttori di Pace ma c'è anche la Compagnia
delle Opere, Comunione e Liberazione. Recentemente il direttore
di un settimanale importante come “Famiglia Cristiana”
ha affermato che l'obiezione alle spese militari è una
cosa giusta, cui i cristiani dovrebbero aderire. Contro questa
affermazione c'è stata una levata di scudi non solo da
parte della forze politiche ma anche da parte di esponenti della
gerarchia ecclesiastica: una rivista che va nella case, nelle
famiglie, che fa l'elogio di un'azione illegale... insomma questo
tipo di pacifismo radicale che tu ricordavi, che può
essere associato all'opera di Gesù, in alcuni ambienti,
che fino a qualche anno fa potevano essere considerati tradizionali
e legati alle gerarchie ecclesiastiche, trova uno spazio. C'è
però una parte consistente del mondo cattolico che questo
messaggio non lo ha recepito e intende la pace come un valore
un po' generico che non fa presa sulle coscienze e non ispira
un'azione radicale. Io sono sempre più convinto che la
vera differenza nel valutare come si intende questo valore è
nei fatti e non nelle parole; nei gesti, nelle cose che si fanno
nella quotidianità, nella coerenza dei propri comportamenti.
Questo differenzia oggi un comportamento pacifista nonviolento
serio e vero da uno che non fa presa sulle coscienze e non cambia
la realtà.
Ma come sono oggi, in Italia, i rapporti fra laici e cristiani
impegnati nella pace?
Sono generalmente buoni, ma va detto che non c'è un unico
pacifismo, ci sono diverse ispirazioni del movimento pacifista
italiano. Il pacifismo cattolico è forse più legato
a comportamenti che richiamano il valore della testimonianza,
dell'impegno individuale, del valore educativo delle azioni.
Quindi è forse un pacifismo vissuto maggiormente in prima
persona e se ha un deficit è quello della politica, ovvero
della capacità di avere una visione complessiva delle
dinamiche che portano alle situazioni di guerra, della necessità
non solo di un'azione per la pace ma anche di una politica per
la pace, quindi di azioni che cercano di cambiare le condizioni
che creano situazioni di conflitto, di guerra, di militarismo
diffuso. Il pacifismo laico, che potrei anche definire di sinistra,
ha invece la caratteristica di guardare ai processi, alle cause
economiche, di analizzare il quadro generale di contesto, per
poi affermare la necessità di un cambiamento radicale,
nella politica, nell'economia, nelle relazioni internazionali,
per costruire le premesse di una condizione di pace duratura.
Va detto che ho illustrato due generalizzazioni, quindi ovviamente
ci sono poi differenze ed eccezioni nei due campi. Però
individuerei le diversità proprio in questi due approcci
diversi.
Se verrà la guerra...
Prendiamo in esame un'altra delle canzoni storiche di
De André: Girotondo, del 1967, nella
quale si parla del rischio dell'annientamento totale a causa
di una guerra nucleare. Pensi che sia un tema ancora attuale?
Oggi abbiamo un rischio nucleare diverso da quello degli anni
del dopoguerra. Oggi non sono solamente le superpotenze ad essere
in possesso dell'arma nucleare. Ci sono altri paesi che ce l'hanno
o la stanno costruendo. Questo rischio riguarda non solo i conflitti
locali ma una dinamica che può portare a conflitti generalizzati
che non è stata ancora superata. Ma c'è anche
il tema dell'annientamento del mondo che invece deriva da processi
che sono sotto i nostri occhi, che riguardano la devastazione
ambientale, processi che stanno portando il mondo a diventare
una sorta di bomba a orologeria rispetto alla sostenibilità
dell'attuale sviluppo, dei consumi e delle relazioni internazionali
rispetto alle dinamiche economiche tra le varie aree del mondo.
Credo cioè che il rischio di annientamento oggi non sia
solo legato alla possibilità di una guerra nucleare globale,
che comunque potrebbe cominciare con un effetto di trascinamento,
senza necessariamente avere uno scontro totale, dichiarato e
da subito manifesto. Oltre a questo abbiamo un rischio di annientamento
che deriva da una situazione più complessiva del nostro
pianeta e che riguarda la sottovalutazione dei rischi ambientali,
lo sviluppo dell'economia e le relazioni tra nord e sud del
mondo.
Se avessi ancora la possibilità di parlare con
De André, da vecchio pacifista a vecchio cantautore,
cosa gli diresti?
Lo esorterei a riprendere con forza quella vena pacifista che
ha messo in tutta la sua opera poetica ma che nella prima parte
della sua produzione artistica ha maggiormente evidenziata.
Purtroppo la guerra, la violenza, il militarismo, sono dei mali
che si estirpano con grande difficoltà e oggi sono presenti
più che mai. Quindi è sempre importante, attraverso
la musica, la poesia, l'impegno artistico, testimoniare la propria
contrarietà alla guerra, cercando anche di fare un'opera
di svelamento delle ipocrisie. Ecco, io forse lo avrei invitato
a riflettere e scrivere sulle grandi contraddizioni di questi
ultimi anni, in cui si usano definizioni come “guerra
umanitaria” o “guerra giusta” quando si usano
gli aiuti, gli interventi umanitari o i diritti umani per legittimare
le guerre. Sarebbe stato interessante un suo approfondimento
musicale e poetico su queste nuove ipocrisie che i governi e
gli uomini potenti del pianeta utilizzano per giustificare le
guerre. Un altro modo di intendere la pace terrificante di cui
aveva parlato lui, riferendosi ad altro.
In età avanzata De André aveva anche perso
la speranza che il mondo potesse effettivamente cambiare. In
una delle ultime interviste, citando La guerra di
Piero e altre sue canzoni disse: “Della guerra
ne ho parlato tanto ma mi sono reso conto che potrò forse
essere riuscito a scuotere leggermente la coscienza di qualcuno,
ma non è servito assolutamente a niente”. Tu cosa
ne pensi: è servito a qualcosa oppure aveva ragione lui,
non è servito assolutamente a niente cantare contro la
guerra?
Secondo me è servito. Devo dire che anche io mi interrogo
sul pessimismo e l'ottimismo. Dopo la stagione degli anni settanta
e parte degli anni ottanta, quando c'era grande speranza in
una trasformazione, è seguito un periodo di pessimismo.
Oggi viviamo un periodo cupo in cui è difficile vedere
degli spiragli. Questa però è una caratteristica
di noi europei, noi occidentali, perché io in questi
anni, andando a Porto Alegre ai forum sociali, ho visto che
gli attivisti latinoamericani sono invece pieni di entusiasmo,
ottimismo, speranza di cambiare il mondo. Lo stesso vedo con
gli attivisti di molti movimenti africani. Quindi su cosa significa
oggi essere ottimisti o pessimisti sarebbe interessante fare
una riflessione specifica. Io credo che le canzoni di De André
siano servite a creare una consapevolezza, una maggiore coscienza
nelle persone. Le cose sono anche cambiate in parte in positivo:
molti paesi nel mondo si sono liberati da dittature, in molte
situazioni i diritti umani sono oggi, per la prima volta, garantiti.
Quindi anche in un contesto preoccupante e cupo ci sono però
dei segnali che indicano che alcune cose sono effettivamente
cambiate, grazie alla presa di coscienza di molte persone, grazie
all'impegno, grazie all'opera di trasformazione che molti hanno
intrapreso. Si tratta però di un'opera incessante, continua,
infinita. Nel contesto di una trasformazione che pure in parte
è avvenuta, rimangono delle fortissime preoccupazioni
e un pessimismo che certe volte prevale in tutti noi rispetto
a ciò che può accadere. Dall'11 settembre in poi
questo pessimismo è aumentato. Però le canzoni
di De André sono servite a inserire un granello in un
meccanismo che deve essere ostacolato, fermato perché
porta il mondo verso una deriva di morte, distruzione, ineguaglianza
e ingiustizia per tante persone. Noi abbiamo sempre l'idea che
possa arrivare una trasformazione globale, definitiva, in cui
ci sia il segno conclusivo dell'opera avviata. Sono ormai rassegnato
a pensare che non è così, che noi possiamo costruire
una trasformazione continua, graduale, che deve essere radicale
e che ci chiama all'opera fino alla fine dei nostri giorni.
Forse De André era deluso dal fatto che la sua speranza
non si era realizzata come auspicava. Però molte cose
sono cambiate e per alcune persone quelle canzoni sono servite
a far maturare una sensibilità nuova che è poi
quella che il 15 febbraio 2003 ha portato più di cento
milioni di persone nel mondo a manifestare per la pace, contro
la guerra in Iraq e ha portato a manifestare più di tre
milioni di persone in Italia, per gli stessi motivi. Molti fra
quei tre milioni conoscono De André e sicuramente per
tanto tempo ancora porteranno quella musica e quelle parole
nel loro cuore e nella loro mente. Quelle canzoni sono servite
a molti per maturare una sensibilità pacifista che speriamo
possa servire a cambiare le cose.
Intervista a Gianni Novelli
Cristiano e pacifista da una vita, con una profonda connessione
tra questi due aspetti. Come ti collochi nel panorama del pacifismo
italiano?
Il mio approdo al pacifismo è avvenuto grazie all'incontro,
nel corso degli anni settanta, con tanti testimoni che venivano
dall'ambito del francescanesimo e facevano della pace non un
semplice slogan, come quelli scritti sopra i monasteri: erano
suore e monaci impegnati in prima fila nell'opposizione, nella
resistenza contro la guerra nel Vietnam; lanciavano l'allarme
contro la corsa agli armamenti, che leggevano non solamente
come un pericolo per la loro sopravvivenza personale ma come
una sorta di sacrilegio, una distruzione dell'opera di Dio.
Tutto questo l'ho scoperto soprattutto negli Stati Uniti, dove
c'era maggiore informazione e sensibilità e dove proprio
la guerra nel Vietnam aveva creato una fortissima opposizione
a questo sistema strutturale che connette economia, industria
degli armamenti e ricerca delle risorse petrolifere, come una
sorta di garanzia della nostra vita a spese di quella dei poveri
del mondo. Tutto questo, coniugato con il Vangelo, soprattutto
il discorso della montagna dove Gesù dice: “beati
i costruttori di pace”, diventa una sorta di investitura
che deriva dall'essere cristiano e, per me, anche dalla condizione
di sacerdote.
Nel 1982 hai fondato a Roma il Cipax5,
Centro Interconfessionale per la Pace. Come nasce e cosa fa
il Cipax?
In quegli anni cominciava l'installazione di una nuova generazione
di missili a testata nucleare che si aggiungevano alle altre
migliaia di bombe sparse per il mondo e cambiavano la qualità
perché erano incontrollabili, acceleravano la possibilità
di guerre nucleari scoppiate anche per errore. Cominciai a sentire
la difficoltà della diffidenza che c'era nel mondo cattolico,
che accusava i pacifisti di essere strumentalizzati dai comunisti,
di essere utili idioti, malati di antiamericanismo, e così
via. Cominciai quindi a portare le informazioni, con l'intento
di far crescere la partecipazione dei cristiani, dei cattolici,
alle iniziative del movimento per la pace, che erano molto più
forti negli Stati Uniti, in Germania, in Belgio e in altri paesi
dove i cristiani, le suore (sono state loro le mie maestre),
erano in prima fila in questa resistenza. Quindi si è
trattato di un lavoro di informazione, di contatti, di traduzione
di documenti che in Italia non erano conosciuti e diffusi. Basti
pensare che i pochi che si erano impegnati su questa linea,
don Milani, padre Balducci, mons. Bettazzi, erano notevolmente
ostacolati, sia politicamente che religiosamente.
Passando a De André, canzoni come La
guerra di Piero e La ballata dell'eroe,
scritte nei primi anni Sessanta, sono state spesso bollate come
espressioni di antimilitarismo romantico, ingenuo, non applicabile
nella realtà. Tu pensi che fossero ingenue? Esistono
il pacifismo ingenuo e quello realista?
L'espressione “ingenuo” è una di quelle che
mi sono sentito attribuire tante e tante volte e probabilmente
è anche bello perché significa avere un occhio
più pulito, non ideologizzato. Significa saper cogliere
alcuni frammenti di realtà profonde che vengono molto
nascoste. Io sono stato innamorato de La guerra di Piero
e lo sono ancora. Ci trovo la profondità di cogliere
l'uomo nel soldato, da una parte e dall'altra. Vedere gli occhi
sotto la divisa. Vedere l'amore che è stato soffocato,
quello di Ninetta nel caso di Piero, ma anche l'altro soldato
avrà avuto una donna che l'aspettava. Insomma ci trovo
la capacità di cogliere l'umanità che non viene
divisa fra amici e nemici perché appartiene a tutta la
famiglia umana. Chiaramente De André non è stato
un analista di strategie militari, di economia militare, di
schieramenti, di tecnologie. Ha colto invece la profonda umanità
di queste persone, come di tanti altri suoi personaggi, umili,
sofferenti, emarginati, ma che esprimono una ricchissima umanità.
In questo senso si coglie proprio la vena anarchica di De André,
quella passione anarchica che rifiuta le schematizzazioni che
dall'alto dividono l'umanità.
Considerato il tuo particolare osservatorio pensi che
quelle canzoni, capitate proprio a ridosso del Concilio, abbiano
fatto breccia nell'ambiente cattolico di quegli anni? Hanno
fatto avvicinare qualche cattolico al movimento pacifista?
Credo di sì. Ti basti pensare che Il Pescatore
la cantiamo ancora oggi qui, nella comunità di San Paolo6,
durante la celebrazione dell'Eucaristia: è uno dei canti
che utilizziamo durante la messa. Fabrizio una volta, rispondendo
alle domande di un giornalista, aveva usato queste parole: “la
canzone è un miracolo. Certo non è paragonabile
alla moltiplicazione dei pani e dei pesci. Ma, Cristo! Come
si fa a spiegare un'emozione, soprattutto se riesci a comunicarla?”.
Ebbene io penso che invece quelle canzoni si possano proprio
paragonare alla moltiplicazione dei pani e dei pesci. Sono canzoni
che continuano ancora a scuotere la coscienza, anche se forse
appartengono a una specifica generazione, non tanto intesa in
senso cronologico, ma in senso ideale, nel senso che richiedono
una certa maturità. Ho scoperto infatti che, fra i giovani
di diciassette, diciotto anni con cui lavoro, De André
è quasi sconosciuto, se non fra quelli che hanno già
sviluppato una certa sensibilità, che sono più
consapevoli, già impegnati nel volontariato, nell'attività
per la pace.
Nel 1970, con La Buona Novella, De
André ha fatto un collegamento forte fra la figura di
Gesù e un pacifismo di tipo radicale. Nel suo testo si
dice che la croce è destinata: “a chi guerra insegnò
a disertare”. Più avanti ha detto che: “Gesù
è stato il più grande rivoluzionario dell'amore
che donna abbia mai messo al mondo”. Come ti trovi in
queste definizioni?
Mi trovo molto bene, sono piene di una intuizione profonda,
piene di spirito evangelico, anche se poco ecclesiastiche, ma
c'è una grande differenza fra lo spirito evangelico e
quella che è poi la pratica religiosa. Dico questo in
particolare per la difficoltà che le istituzioni religiose
hanno a cogliere e capire queste grida di rivolta, di insorgenza.
Mi riallaccio qui a don Milani, che fu il primo a difendere
gli obiettori di coscienza, che scrisse la sua lettera: L'obbedienza
non è più una virtù e che per la sua
difesa degli obiettori fu processato e condannato, dopo la morte,
per apologia di reato. Io allora vedo la Bocca di Rosa di De
André come un personaggio davvero dirompente, perché
“metteva l'amore sopra ogni cosa”, e “portò
l'amore nel paese”. Anche lei mi pare piena di spirito
evangelico. So che questo parallelismo potrà fare arricciare
il naso a qualcuno ma... lo trovo molto bello! In tutto questo
ritrovo, ancora una volta, la grande vena anarchica di De André,
figlio di un antifascista che dovette darsi alla macchia per
sfuggire ai fascisti che lo braccavano e che poi ha avuto questo
grande incontro con gli anarchici che sono stati determinanti
per la sua vita, che lo hanno accompagnato e da cui ha certamente
appreso il grande senso positivo della critica radicale alle
istituzioni politiche, economiche, ecclesiastiche, quella capacità
di svelarne le ipocrisie e anche di deriderle.
Segni di “pace terrificante”
Oggi com'è il rapporto tra laici e cristiani
impegnati nella pace? C'è una differenza di impostazione?
Sì, direi che ci sono molte differenze di articolazione
di pensiero, di obiettivi. Però c'è anche una
forte consapevolezza comune della ineludibilità della
necessità di costruire la pace, di salvaguardare l'ambiente,
di cercare la giustizia sociale, di lavorare in solidarietà
con i poveri del mondo, con le vittime delle guerre in atto.
Ci sono anche molte manifestazioni che si fanno insieme, che
per me sono motivo di gioia. All'inizio venivo fortemente ostacolato,
adesso invece c'è una grande cooperazione, basti pensare
alle marce Perugia-Assisi affollate di scout o alle grandi manifestazioni
del 1993 contro la prima guerra del Golfo, che hanno visto sfilare
anche tante suore e preti o ancora alla partecipazione dei francescani
alle manifestazioni a Comiso, dove nel 1982 vennero installati
i primi 115 missili “Cruise” d'Europa con la testata
nucleare. Voglio ricordare in particolare don Tonino Bello7,
che è stato il nostro più grande maestro e grande,
indimenticabile esempio nel far sì che i cattolici in
Italia diventassero membri attivi, partecipi, assieme a tante
altre donne e uomini di buona volontà, di tutte le iniziative
per la pace.
De André negli anni novanta con La domenica
delle salme ha parlato anche di una “pace terrificante”,
una pace dove la gente non ha più voglia di protestare
e dove non si accorge dei grandi drammi che la circondano. In
quella occasione aveva anche detto che contro questo tipo di
pace preferiva combattere. Non si tratta forse di una contraddizione?
Questa pace terrificante è come una guerra o è
peggio di una guerra?
Raccolgo questa intuizione perché in quegli anni, dopo
la caduta del muro di Berlino, era venuto meno l'equilibrio
del terrore, era diminuita la contrapposizione globale Est-Ovest
e molti movimenti pacifisti si concentravano di più su
altri fenomeni negativi legati a situazioni economiche e politiche.
Davano l'impressione di essersi un po' seduti. Finita la minaccia
nucleare, ci si poteva godere una pacifica tranquillità
dimenticando tutte le guerre in atto: pensiamo a quelle in Africa,
nell'America Latina, nei Balcani. Guerre lontane dai nostri
confini e dai nostri teleschermi ma non per questo meno violente
e distruttive. Avevamo raggiunto una certa tranquillità,
ma non era certo la pace. Era il silenzio sulle decine di situazioni
di guerra nel mondo. Non vedere i volti delle vittime faceva
credere che non ce ne fossero e non ce ne sarebbero state più.
La pace invece deve essere indivisibile e universale. Deve essere
frutto della giustizia e la giustizia è frutto di lotte,
a volte anche pagate a carissimo prezzo. Rimuovere i conflitti,
lasciarli lontani, non farsi coinvolgere, non rimboccarsi le
maniche e pagarne anche i costi, non è vera pace; è
ipocrisia, è codardia, è porre le premesse per
future violenze. Il pacifismo vero si impegna costantemente
a costruire la pace. È impegno, è sacrificio,
è cambiare la nostra vita perché tutti abbiano
possibilità di vita vera.
Hai appena detto che la giustizia viene prima della pace
e questo mi porta a ricollegarmi con l'opera di De André.
Penso a canzoni come Fiume Sand Creek e
Sidùn, dove si parla di massacri
di interi popoli, di diritti negati. Pensi che questa necessità
di coniugare pace e giustizia sia ormai un dato acquisito dal
movimento pacifista?
Sì, difatti l'impegno pacifista, in questo momento, in
Italia, è molto più concentrato sul tema della
costruzione di un tipo di giustizia, di economia diversa. Penso
all'impegno per l'ambiente, a iniziative come il commercio equo,
i bilanci di giustizia e tante altre. C'è molta sensibilità
su questo terreno della giustizia, forse si potrebbe affermare
che questo è prevalentemente il campo di impegno del
movimento per la pace, in questo momento in Italia: la promozione
di una economia di giustizia e di eguaglianza. Questo proprio
perché il nostro privilegio è tutelato dalle armi
ed è intrinsecamente origine di guerre. Pensiamo all'Iraq,
dove siamo intervenuti per garantirci le nostre risorse petrolifere.
In contrapposizione con questa economia di guerra i pacifisti
propongono una economia di austerità e redistribuzione
in modo che vi sia possibilità di sostentamento per tutti.
Questi elementi sono collegati in una dimensione più
profonda e globale del pacifismo.
Con Girotondo, nel lontano 1967,
De André ha affrontato il tema del rischio dell'annientamento
totale a causa di una guerra nucleare. Pensi che sia un tema
ancora attuale?
Nei contenuti è senz'altro ancora attuale, anche se in
quel momento c'era proprio la corsa all'armamento nucleare che,
a causa della contrapposizione Est-Ovest, costituiva una minaccia
enorme. Oggi il rischio di annientamento non è prevalentemente
quello della catastrofe nucleare ma è di altra natura:
ecologica, economica, per l'esaurimento delle risorse. Però
rischi di catastrofe globale ce ne sono ancora. Quindi quel
Girotondo, nel suo simbolo e nel suo messaggio, lo ritengo ancora
attuale.
Se avessi avuto la possibilità di parlare con De
André, da vecchio pacifista a vecchio artista, cosa gli
avresti detto?
Io gli avrei detto un “grazie” molto sentito, perché
l'ho sentito molto amico, compagno di strada; con la sua ricchezza,
con le sue doti, le sue intuizioni, la sua spiritualità.
Grazie per aver gettato dei fasci di luce in notti che erano
molto tenebrose ed aver così indicato delle strade che
con lui, con altri, ho avuto la gioia di percorrere.
Da anziano De André sembrava aver perso la speranza
che il mondo potesse effettivamente cambiare. In una delle ultime
interviste, proprio parlando della Guerra di Piero
e di altre sue canzoni a tema pacifista disse: “Della
guerra ne ho parlato tanto ma mi sono reso conto che, potrò
forse essere riuscito a scuotere leggermente la coscienza di
qualcuno, ma non è servito assolutamente a niente”.
Tu pensi che sia servito oppure aveva ragione lui, non è
servito a niente cantare contro la guerra?
Su giudizi di questo tipo pesano un po' tutte le esperienze
dolorose di una vita. E devo dire che personalmente credo che
in realtà il pacifista ben poco possa fare per fermare
le guerre. Sono macchine talmente forti, mastodontiche, inarrestabili…
il pacifista può agire però sul livello delle
coscienze e in questo senso De André ha fatto moltissimo.
Se avessi potuto gli avrei detto questo, nella speranza di dargli
motivo di essere più ottimista: le guerre non le ferma
nessuno, però le coscienze liberate possono diventare
motore di cambiamento e in questo percorso sono importantissime
queste iniezioni di energia spirituale che ci vengono dagli
artisti, dai profeti, dai poeti, da questi grandi che abbiamo
la fortuna di incontrare sul nostro cammino.
Renzo Sabatini
Note
- Ics: Italian Consortium of Solidarity. Oggi è una ong
idonea ai sensi della legge 49/87 sulla cooperazione allo sviluppo.
- www.lunaria.org
- www.sbilanciamoci.org
- www.sciint.org
– www.sci-italia.it
- http://www.cipax-roma.it
- Storica comunità cristiana di base a Roma. Per approfondimenti
vedi: www.cbditalia.it
e www.cdbsanpaolo.it
- Tonino Bello (1935-1993), vescovo di Molfetta, animatore
di Pax Christi, protagonista di molte iniziative per la pace
(www.dontonino.it)
(interviste realizzate via telefono nel marzo 2005; registrate
presso gli studi di Rete Italia – Melbourne. Andate in
onda nell'ambito della trasmissione radiofonica settimanale:
“In direzione ostinata e contraria”, dedicata ai
personaggi delle canzoni di Fabrizio De André)
In
direzione ostinata e contraria
Con
queste due interviste, prosegue la pubblicazione su “A”
di una parte significativa delle 27 interviste radiofoniche
realizzate da Renzo Sabatini e andate
in onda in Australia nel programma “In direzione
ostinata e contraria” sulle frequenze di Rete Italia
fra il maggio 2007 e l’agosto 2008. In tutto si
è trattato di sessanta puntate (ciascuna della
durata di circa quaranta minuti, per un totale di quasi
40 ore di trasmissioni), nel corso delle quali sono state
trasmesse le 27 interviste e messe in onda tutte le canzoni
di Fabrizio De André. Si tratta dunque della più
lunga e dettagliata serie radiofonica mai dedicata al
cantautore genovese.
Se proponiamo questi testi,
è innanzitutto per dare ancora una vlta spazio
e voce a quelle tematiche e a quelle persone che di spazio
e voce ne hanno poco o niente nella “cultura”
ufficiale. E che invece anche grazie all’opera del
cantautore genovese sono state sottratte dal dimenticatoio
e poste alla base di una riflessione critica sul mondo
e sulla società, con quello sguardo profondo e
illuminante che Fabrizio ha voluto e saputo avere. Con
una profonda sensibilità libertaria e – scusate
la rima – sempre in direzione ostinata e contraria.
Precedenti interviste
pubblicate: a Piero
Milesi (“A” 370, aprile 2012), a Carla
Corso (“A” 371, maggio 2012), Porpora
Marcasciano (“A” 372, maggio 2012), Franco
Grillini (“A” 373, estate 2012), Massimo
(“A” 374, ottobre 2012), Santino
“Alexian” Spinelli (“A” 375,
novembre 2012)); Paolo
Solari (“A” 376, dicembre-gennaio 2012-2013); Gianni Mungiello,
Armando Xifai, Alfredo Franchini (“A” 377, febbraio
2013).
la redazione di “A” |
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