Casella
Postale
17120
Calcio
e dittatura/Quel gol a porta vuota
Cara Redazione,
ho letto con piacere i recenti articoli “a tema calcistico”
di Giovanni Cerutti e Angelo Pagliaro e ho pensato di sottoporre
all'attenzione dei lettori di “A” un episodio storico
ma non sufficientemente ricordato.
Santiago del Cile, settembre 1973. La giunta militare del generale
Pinochet con un golpe (e la complicità degli Stati Uniti)
prende il potere e il presidente Salvator Allende si suicida
per non consegnarsi vivo ai soldati che stanno occupando il
palazzo governativo della Moneda. Nell'ultimo appello dato al
suo popolo per radio, Allende aveva annunciato: “Ho fiducia
nel Cile e nel suo destino [...] Non dubitate che, più
prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali
passa l'uomo libero per costruire una società migliore”.
Con Pinochet capo di stato, inizia subito una caccia spietata
a tutti gli oppositori del regime, e in poche settimane lo stadio
della capitale cilena si trasforma in una sorta di lager dove
vengono rinchiusi un migliaio di dissidenti e gli spogliatoi
diventano camere di tortura e fucilazione.
Il 21 novembre dello stesso anno, all'Estadio Nacional è
previsto il ritorno del match – valido per la qualificazione
ai mondiali di Germania del 1974 – Cile-Urss (0-0 il risultato
dell'andata). Per l'importante evento sportivo le autorità
militari si affrettano a trasferire dagli spalti ad altri “luoghi
della morte” tutti i prigionieri, ma la Federazione calcio
dell'Urss comunica che la propria nazionale non disputerà
nessuna partita in un campo-prigione di dissidenti politici.
Le autorità sportive e governative cilene invece vogliono
che la loro squadra sia in campo, e nel più importante
impianto calcistico del paese, anche per dare un segnale rassicurante
al mondo. E così, quel giorno di novembre del 1973 all'Estadio
Nacional di Santiago, davanti a circa ventimila spettatori,
si consuma una delle pagine più grottesche della storia
del calcio: il Cile si gioca la qualificazione al mondiale senza
avere di fronte avversari. Quando l'arbitro (austriaco) fischia
l'inizio, si avverte una strana atmosfera, poi la roja
allenata da Luis Alamos appronta dei brevi scambi in avanti
finché la palla giunge a Carlos Humberto Caszely. Il
centravanti del Colo-Colo (la Juventus cilena di cui era tifoso
il poeta Pablo Neruda) è tentato di gettare la sfera
oltre la linea laterale in segno di protesta al regime fascista
e alla pantomima a cui stava dando il suo contributo da protagonista,
ma non trova il coraggio e appoggia la palla al capitano Valdés,
il quale si spinge in avanti, per poi arrivare a mettere il
sigillo al più fesso dei gol segnati a porta sguarnita.
La partita Cile contro nessuno è durata meno di due minuti.
Ai sudamericani la Fifa dà la vittoria a tavolino per
2-0 e ignominiosamente stringono in pugno la qualificazione
per Monaco '74. Messo a segno il gol-farsa, Valdés si
rifiuta di giocare “l'amichevole di ripiego” coi
brasiliani del Santos (batteranno i cileni per 5-0) e scappa
negli spogliatoi dove si chiude nel bagno e vomita tutta la
vergogna che si sente addosso. Vent'anni dopo Francisco Valdés
ha ancora la coscienza in subbuglio: decide di mettere nero
su bianco e scrivere una lettera indirizzata (simbolicamente)
a Pablo Neruda. Scrive, tra l'altro: “Querido Don Pablo
[...] Pochi istanti prima di andare in campo, venne il presidente
della federazione cilena. Mi disse: 'Francisco, il gol lo devi
segnare tu'. Mi sentii crollare il mondo addosso, schiacciato
da una responsabilità che non avrei voluto sopportare.
Ma non ebbi la forza di rifiutare. Stavo diventando il personaggio
chiave di una farsa che avrebbe fatto il giro del mondo, me
ne rendevo perfettamente conto, stavo diventando un simbolo
non solo sportivo ma anche politico. Sì, perché
quella partita era soprattutto politica: il regime di Pinochet
voleva dimostrare la sua forza al mondo, il quale condannava
la sua violenza. Ed io ero stato scelto per un gioco più
grande di me.”
Mimmo Mastrangelo
Moliterno (Pz)
Botta.../Che cosa mi suggerite di leggere sull'anarchia?
Cara redazione,
sono uno studente liceale di 18 anni. Vi chiedo di indicarmi
il titolo di qualche saggio, possibilmente non troppo astruso
(ma se lo è, me ne farò una ragione), sulla genesi
e l'evoluzione dell'anarchismo.
In attesa di vostre indicazioni, vi ringrazio.
Giacomo
Gorgonzola (Mi)
...e risposta/Ecco tre titoli, per un primo approccio.
Sono parecchi i testi che potrebbero rispondere alle tue esigenze,
anche perché in questi ultimi tempi la pubblicistica
anarchica e libertaria sta vivendo un momento felice; sono molti,
infatti, i testi di carattere storico, di carattere filosofico,
di storia delle idee che sono venuti ad arricchire il panorama
editoriale.
Fra tutti questi, ti proporrei, come approccio propedeutico
all'anarchismo, alcuni lavori particolarmente appropriati, lasciando
a tempi successivi l'indicazione di altri volumi.
Inizierei con un agile e fortunato volumetto che permette di
entrare con facilità nel pensiero e nella storia dell'anarchismo.
Si tratta di L'anarchia spiegata a mia figlia, scritto
da Pippo Gurrieri e pubblicato recentemente dalla Biblioteca
Franco Serantini di Pisa.
Una sorta di antologia è Gli anarchismi. Una breve
introduzione (La Baronata, 2009) nella quale Francesco Codello
ha raccolto in un lemmario esaustivo e approfondito pressoché
tutte le tematiche che ci interessano.
Per finire, vorrei consigliarti il libro nel quale Ruth Kinna,
un'anarchica inglese, ha condensato in maniera comprensibile
e non troppo “filosofica” la nascita e gli sviluppi
del pensiero anarchico. Si tratta di Che cos'è l'anarchia.
La guida essenziale alla teoria della libertà, pubblicato
da Castelvecchi nel 2010.
Come detto in precedenza, potrebbero essere molti altri i suggerimenti,
ma penso che come primo contatto questi tre volumi potrebbero
essere sufficienti.
Buona lettura.
Massimo Ortalli
No Tav/ I costi della repressione
La presentazione di costituzione di parte civile da parte
della presidenza del consiglio dei ministri, del ministero dell'interno,
del ministero della difesa e del ministero dell'economia e delle
finanze nei confronti di tutti gli imputati rappresenta una
precisa scelta politica volta a colpire duramente ogni forma
di lotta sociale e costituisce un gravissimo precedente nella
repressione del dissenso nel nostro paese.
Il governo non lamenta danni patrimoniali ma solo danni d'immagine,
mentre i vari ministeri presentano il conto dei costi della
repressione: circa un milione e mezzo di euro per rifonderli
dei costi di personale, automezzi e materiali in dotazione.
In pratica dovremmo pagare allo stato la spesa dei manganelli
che ci hanno spaccato in testa e del gas CS che ci hanno fatto
respirare. Probabilmente, se nel 2001 ci fosse stato Monti al
governo, la famiglia Giuliani avrebbe dovuto rifondere allo
stato il costo del proiettile che i carabinieri hanno sparato
in faccia a Carlo.
È veramente ridicola l'affermazione che i “riflessi
negativi registrati nell'opinione pubblica europea” nei
confronti “dell'Italia intesa come Sistema-Paese”
siano dovuti all'esistenza e alla combattività di un
irriducibile movimento popolare che lotta strenuamente contro
la devastazione ambientale del progetto Tav, e non per gli scandali
politici e finanziari, per gli sprechi a vantaggio di pochi
del pubblico denaro, per la connivenza tra potere politico e
potere mafioso.
È chiaro che ai nostri governanti (passati presenti e
futuri) dell'opinione pubblica europea non gliene importi un
accidente, quello che a loro interessa sono solo i potentissimi
partner, governi banche imprese e investitori finanziari, a
cui avevano gabellato una Valle pacificata e sottomessa dove
avrebbero potuto devastare indisturbati e invece si ritrovano
a scavare pochi metri di roccia assediati in un recinto di muri
e filo spinato, sempre illuminato a giorno, presidiato da ingenti
forze militari.
La richiesta di costituzione di parte civile da parte del governo,
sebbene gravissima sulla deriva repressiva che potrebbe assumere,
rende di fatto onore al movimento che è riuscito (e continua)
a metterlo in difficoltà. Il Movimento No Tav è
la “madre di tutte le preoccupazioni”, come ha dichiarato
il ministro dell'interno Cancellieri.
L'accanimento della presidenza del consiglio e dei vari ministeri
è quindi un sintomo evidente di quanto la Val Susa li
spaventi, hanno paura della sua determinazione e dell'esempio
pericoloso che il movimento No Tav costituisce per tutte le
situazioni di lotta e di difesa della salute e del territorio
sparse nella penisola.
Per questo vogliono colpire duro.
La Val Susa paura non ne ha!
I No Tav sotto processo
Si ringrazia Tobia Imperato (Torino) per la segnalazione
|
Arquata Scrivia (Al) - Manifestazione contro
il terzo valico |
Prosegue il dibattito su
“Libertà senza Rivoluzione”
Prosegue il dibattito sul volume Libertà senza Rivoluzione
di Giampietro “Nico” Berti (Piero Lacaita Editore,
Bari 2012), di cui abbiamo ripreso qualche
stralcio in “A” 377 (febbraio). Sul numero
scorso (“A” 378, marzo) sono intervenuti Franco
Melandri e Domenico
Letizia.
Ora è la volta di Luciano Lanza e Andrea Papi. Il dibattito
è naturalmente aperto a chiunque intenda intervenire,
con il limite delle 6.000 battute spazi compresi.
Altri interventi sono già pervenuti e appariranno, sempre
due alla volta, sui prossimi numeri.
Dibattito
Libertà senza Rivoluzione/3
Luciano Lanza/Per chi suona la campana? Per l'anarchismo
L'ultimo libro di Giampietro Berti è soprattutto una
disamina feroce e al contempo appassionata dell'anarchismo contemporaneo.
Una teoria e una pratica in profonda crisi, sostiene l'autore.
Che propone anche alcune ipotesi per costruire una dimensione
in assonanza-dissonanza con la realtà contemporanea del
movimento anarchico: «Ora l'anarchismo, inteso come movimento
storico, non rappresenta altro che se stesso».
A prima vista questa frase estrapolata dall'ultimo libro di
Giampietro Berti (ma tanti lo chiamano Nico) sembra suonare
la campana a morto dell'anarchismo. E che in questi ultimi anni
l'anarchismo e il movimento che lo rappresenta non stiano troppo
bene è cosa purtroppo vera. E anche il titolo del libro
non sembra incoraggiante: Libertà senza Rivoluzione.
L'anarchismo fra la sconfitta del comunismo e la vittoria del
capitalismo (Piero Lacaita editore, 2012).
In 395 pagine Berti analizza la crisi dell'anarchismo. Crisi
che daterebbe dalla sconfitta della rivoluzione nella Spagna
del 1936. Perché l'anarchismo «è sempre
metafisico: è questo il prezzo che paga per essere etico,
e dunque antipolitico e dunque rivoluzionario». E infatti
oggi «l'anarchismo è destinato a una deriva storica
terribile: i rimasugli del suo rivoluzionarismo inghiottiranno
fino in fondo il suo libertarismo».
E poi Berti rincara la dose: «Perché gli anarchici
sono incapaci di fare politica? Sono incapaci perché
l'hanno sempre identificata con la logica del potere, con la
dinamica del comando. Infatti, alla rivoluzione politica, hanno
sempre anteposto la rivoluzione sociale. Questa, nella loro
illusione, una volta posta in essere avrebbe dissolto ogni volontà
e ogni possibilità autoritaria perché la forza
germinativa del sociale sarebbe stata in grado di distruggere
ogni divisione alienante fra società politica e società
civile, rendendo superfluo il problema del politico, ovvero
il problema del potere».
E se non fosse sufficiente Berti aggiunge: «In conclusione
l'anarchismo si trova di fronte a questo aut aut. O coltiva
la sua antropologia storica, chiudendosi in una controsocietà
- che comunque non ha alcun avvenire -, o abbandona ogni idea
socialmente definita di emancipazione umana, con tutto ciò
che questo, politicamente e ideologicamente, comporta. Tertium
non datur». E se il terzo, il quarto, il quinto... invece
ci fossero?
Berti ha una visione «ottocentesca» o «sessantottina»
della rivoluzione e per questo titola così il suo importante
(nonostante le mie critiche) libro e ritiene che «il desiderio
di utopia» sia fuorviante perché irragionevole.
Ma non mi fermo qui: perché la rivoluzione futura (ammesso
che possa realizzarsi) dovrebbe seguire i percorsi classici?
Dove sta scritto che si esprimerà con barricate o sommosse?
Da nessuna parte. E, ancora, dove sta scritto che la ragionevolezza
sia superiore alla volontà desiderante di utopia? Da
nessuna parte.
E molte pagine dopo Berti picchia ancora più duro: «la
Rivoluzione non può che essere intrinsecamente universalista
e quindi anti-relativista, altrimenti verrebbe meno la sua ragion
d'essere […] la rivoluzione non sarebbe mai la Rivoluzione
e non potrebbe mai aspirare al definitivo “totalmente
altro”», e, molte pagine dopo, scrive anche: «L'anarchismo
deve abbandonare ogni filosofia di fine della storia; deve smettere
di pensare in senso poietico; deve uscire dal mito ed entrare
nella realtà; deve eliminare il principio stesso di speranza».
Insomma, per Berti bisogna passare dal principio speranza (Ernst
Bloch) al principio responsabilità (Hans Jonas). Ma domando:
perché i due poli non possano coesistere? Perché
la rivoluzione debba essere universalista e non relativista?
Un dubbio che non sfiora Berti che rincara la dose: «Ecco
dunque l'errore micidiale dei rivoluzionari perché un
atto, qualsiasi atto, che pretenda di essere risolutore è
intrinsecamente irrazionale e, di fatto, totalitario»,
ma, mi sembra doveroso sottolinearlo, non viviamo nell'Ottocento
o nella prima metà del Novecento e non vedo in giro tanti
«rivoluzionari» che vogliano compiere «l'errore
micidiale».
Berti, però, è sicuramente ondivago, così
dopo queste affermazioni perentorie arrivano intuizioni profonde:
«l'anarchismo deve sopprimere qualsiasi configurazione
determinata della società futura in termini economico-sociali
e, più in generale, qualsiasi configurazione “futuristica”
della propria azione». Qui sta il senso del libro di Berti
che viene raffermato proprio nelle ultime righe: «Sono
circa vent'anni che ripeto con forza la necessità di
affrontare questo problema (il problema di una scienza politica
anarchica). Se veramente si pensa che la differenza tra la liberal-democrazia,
le dittature, i totalitarismi, et similia sia solo una
differenza di forma e non di sostanza, allora gli anarchici
si mettano il cuore in pace perché resteranno sempre
subalterni. Se invece vogliono ritornare a incidere sul presente,
devono seriamente – molto seriamente – confrontarsi
con il liberalismo e la democrazia, unico modo per far uscire
l'anarchismo dalla subalternità politica che da settant'anni
lo tiene relegato ai margini della storia».
Insomma, questo di Berti è un libro destinato a lasciare
un segno profondo nelle riflessioni sull'anarchismo di oggi
e, soprattutto, di domani. Sia per chi concorda con le sue analisi
sia per chi le critica più o meno aspramente e anche
chi scrive questa recensione, come credo si sia capito, ha critiche,
si spera non irrilevanti, da muovere alle riflessioni dell'autore,
ma c'è una cosa importante da sottolineare: è
grazie anche a libri come questi che l'anarchismo può
rientrare nel discorso politico-sociale attuale.
Luciano Lanza
Milano
Dibattito
Libertà senza Rivoluzione/4
Andrea Papi/Dall'ontologia alla sperimentazione
Libertà senza rivoluzione, lunga ed energica ricerca
filosofica che cerca d'identificare il nesso profondo che dovrebbe
dar senso e anima allo sviluppo del pensiero anarchico e libertario,
è un libro molto importante, fondamentale per la tenacia
con cui scava a fondo. Pur non condividendolo nella sua essenza,
mi ha profondamente colpito perché ha cercato di addentrarsi
e trascinarci nelle viscere del senso dell'anarchismo. Leggerlo
è stato come immergersi in un viaggio dantesco negli
inferi della sapienza anarchica.
Purtroppo è quasi esclusivamente un'avventura intellettuale-filosofica
che si nutre di pura speculazione. Non poteva che sfociare in
una teoretica di tipo metafisico. Il suo problema principale
è ontologico, studio e comprensione dei fondamentali.
Al pari, aggiungo io, della prova ontologica dell'esistenza
di dio, la ricerca del fondamento concettuale separa dalla terra
e colloca in un empireo lontano. Una specie di ricerca della
verità vera, supposta inoppugnabile. Metodo deduttivo,
dal generale al particolare, sulla spinta del bisogno di affermare
la fondatezza dell'idea, per poi eventualmente accettare nella
pratica le possibilità della libertà anarchica.
Così però viaggia in un iperuranio di puri concetti,
una specie di mondo delle idee. Per la visione che ho delle
cose un tale approccio, invece di avvicinare, non può
che allontanare dall'anarchia.
Alla ricerca dell'“iperuranica incontrovertibile verità”,
Berti dice cose importanti e, anche se intrise di “ontologica
predisposizione”, condivisibili in gran parte. a) La rivoluzione
classista ha fallito e ha preso storicamente la forma del totalitarismo
perché non può non generare la morte della libertà.
b) Il comunismo non è solo un errore, ma anche un orrore,
com'egli stesso dice «un orrore ontologico sconfitto dalla
modernità». c) Agganciandosi al liberalismo che
ha scelto la libertà, il capitalismo ha vinto definitivamente
sul comunismo bolscevico che, agganciandosi invece alla rivoluzione,
ha scelto la non libertà dell'uguaglianza pianificata.
d) Ne consegue, e concordo, che «l'anarchismo va ripensato
come quel pensiero che può costituire realmente una delle
grandi alternative politiche della modernità».
Ma sciaguratamente lo vorrebbe costringere ad un «confronto-incontro
con il liberalismo e la democrazia».
Un libro “fuori tempo”, ho pensato a fine lettura.
Sarebbe stato dirompente qualche decennio fa, quando il problema
principale era ancora l'egemonia marxista all'interno della
sinistra. Mentre parla di un confronto che non si aggancia più
alla dimensione percepita e immaginata della contemporaneità,
nel presente siamo ben oltre le problematiche che pone. Oggi
il problema non è affermare la superiorità del
liberalismo sul “comunismo morto”, ma capire e denunciare
il lato oscuro del liberalismo che annichilisce quella libertà
che teoreticamente afferma in assoluto.
Ciò che condivido cozza purtroppo con uno schema di pensiero
per molti versi schematico, una teoresi che inquadra la riflessione
all'interno di schemi non flessibili. Forse troppo preso dal
bisogno d'identificare la “verità” o la “soluzione
concettuale giusta”, Berti spesso diventa necessitante
e giudicante, stabilendo, vien da dire senza possibilità
di replica, dov'è il bene e dov'è il male, quello
che è necessario fare o non fare. Un ragionare che ho
vissuto tutto interno ad un apparato logico-filosofico che ha
perso d'attualità e si sforza di sopravvivere. I suoi
paradigmi di senso fanno sempre più fatica a interpretare
i movimenti del divenire in atto.
Muovendosi su un piano squisitamente teoretico dentro lo schema
tutto funziona perfettamente. Solo il capitalismo sul piano
economico e la liberaldemocrazia su quello politico, per esempio,
nella modernità avrebbero abbracciato e realizzato la
libertà, ontologicamente opposti al “comunismo”,
identificato (ahimé!) nella sola esperienza giacobino/bolscevica,
che al contrario ha abbracciato la rivoluzione e realizzato
il totalitarismo. Nell'“iperuranio bertiano” è
senz'altro vero, anche se liberalismo e capitalismo, in particolare
nella forma attuale della predominanza finanziaria, nel concreto
ci mostrano un sostanziale costante liberticidio. Affermata
sul piano giuridico, nella realtà fattuale la libertà
è costantemente vilipesa e annichilita, avvilita da regolamentazioni
e restrizioni economiche che rendono impossibile ogni autonomia.
Il problema è che non vuole ammettere che alla prova
dei fatti anche il liberalismo è fallito perché
non ha realizzato le sue promesse. Al pari del comunismo si
sta trasformando in un incubo, massacrando la vita di masse
di persone che rende indigenti e sottomesse.
Fuori da ogni “schematismo ontologico” l'approccio
ermeneutico muta radicalmente. Libero da perentorietà
definitorie fluttua nelle dimensioni problematiche e caotiche
di un reale in costante mutazione, permettendo alle categorie
concettuali di essere polisemiche, come alla fin fine sono sempre
state.
La libertà diventa soprattutto un'esperienza esistenziale,
sentita tale da chi la vive intensamente.
Il comunismo, non più solo espressione storica inchiodata
all'esperienza bolscevica, si trova nel sentire condiviso di
esperienze dove, comunitariamente e volontariamente, si annullano
privilegi imposizioni e differenze di stato per valorizzare
differenze individuali e reciprocità scambievoli.
La rivoluzione esce dall'alveo costrittivo della storicizzazione
per diventare possibilità di un rivolgimento radicale,
dirompente ma non necessariamente violento, processo di mutazione
capace di regalarci una società autenticamente libera
e liberata.
L'anarchismo finalmente diventa sperimentazione. Librandosi
oltre ogni sistemismo si definisce innanzitutto facendosi, mentre
la sua implementazione politica si traduce in un superamento
degli schemi dell'usurata machiavellica modernità.
Una politica della libertà, che se è tale è
anarchica non liberal/giuridica, per sua natura non può
inverarsi secondo gli schemi delle politiche del dominio.
Andrea Papi
Forlì
Botta.../I colonnelli anarchici?
Salve,
leggendo la storia sulla resistenza antifascista di stampo anarchico
e su altri eventi rivoluzionari (come la rivoluzione spagnola
del 1936), mi è sembrato di trovare alcuni elementi secondo
me abbastanza contraddittori e incoerenti sul nostro mondo,
come il ruolo di comandanti o colonnelli anarchici nelle varie
brigate o comunque movimenti rivoluzionari. Lo segnalo senza
nessuna polemica ma solo per documentarmi meglio.
Ecco la mia curiosità e il mio desiderio di informazione
sta nel fatto di ottenere un chiarimento in merito a questa
vicenda e capire se queste persone e queste situazioni possono
ritenersi anarchiche o meno.
Anticipatamente grazie per le risposte che riceverò.
Alberto anarchico siculo
...e risposta/Grazie agli anticorpi libertari
Le contingenze della storia, si sa, possono portare ad effetti
imprevedibili, tali da sovvertire la coerenza di opinioni, credenze,
comportamenti che sembravano profondamente sedimentati.
Come nel caso dei cosiddetti generali anarchici, uomini dediti
alla causa della libertà, dell'antimilitarismo e dell'umanità,
che per forza di cose dovettero trasformarsi, seppur senza gradi
né mostrine, in comandanti militari, in strateghi attenti
alle fredde regole della guerra, in impietosi nemici del fronte
avverso. Ma le regole del gioco, dettate ed imposte da situazioni
eccezionali, non avrebbero potuto essere modificate. Pena danni
materiali e morali ben peggiori.
Non sono poche le vicende che hanno visto anarchici a tutto
tondo diventare comandanti di uomini. E sono tutte vicende di
grande importanza storica, così come furono di grande
importanza storica le figure di questi anarchici. Basterà
citare Nestor Machno, il combattente contadino ucraino che arrivò
a comandare un'intera armata di contadini come lui, combattendo
ora contro la reazione bianca che voleva soffocare la rivoluzione
proletaria, ora contro la reazione bolscevica che pure voleva
soffocare, anche se con altri obiettivi, quella rivoluzione.
E poi Buenaventura Durruti e gli altri anarchici comandanti
di colonne, di brigate, di centurie che, pur avendo assunto,
nel fuoco della guerra spagnola, funzioni militari, riuscirono
a portare i principi e la metodologia anarchica anche sui fronti
di guerra. E i comandanti partigiani che dal 1943 al 1945, rientrati
dall'esilio o usciti dalle galere, divennero dirigenti militari
di grandi capacità tattiche e di altrettanto grandi potenzialità
umane. Basti pensare a Emilio Canzi che fu a capo dell'intero
partigianato piacentino, conquistandosi il rispetto di tutti
i suoi uomini.
E questi sono, anche se fra i più famosi, solo alcuni
esempi. Esempi di come sia possibile, in determinate circostanze
che impongono scelte senza alternative, soprassedere alle proprie
convinzioni e alla propria storia personale.
Certo si potrebbe pensare che una volta accettate contraddizioni
così sostanziali sarebbe potuta iniziare una deriva inarrestabile,
una deroga ai principi, quale si è verificata in altri
campi e in altre circostanze: leaders rivoluzionari trasformati
in autoritari dittatori, organizzazioni sovversive mutate in
cinghia di trasmissione del potere, apostoli dell'idea diventati
pontefici della reazione. Ma così non fu nel caso dei
nostri, e per due motivi: la loro grandezza etica e morale e
il controllo dal basso esercitato da chi era stato da loro comandato
militarmente. Coerenza etica che faceva rifiutare spontaneamente
il principio della delega, e quindi del comando, nel momento
stesso in cui ciò diventava possibile, e volontà
dei “subalterni” a limitare i “danni”
e non essere più tali cessate le esigenze belliche.
Evidentemente, nonostante si fossero accettate o subite scelte
così contraddittorie, gli anticorpi libertari seppero
far fronte all'infezione del militarismo. Senza bisogno di cure
radicali.
Massimo Ortalli
I
nostri fondi neri
|
Sottoscrizioni. Rino Quartieri (Zorlesco
– Lo) in memoria degli anarchici uccisi dal
nazifascismo, 20,00; Piera Codazzi (Calderara di Reno
– Bo) 10,00; Paolo Sabatini (Firenze) 20,00:
Giacomo Dara (Certaldo – Fi) 20,00; Aurora e
Paolo (Milano) ricordando Pio Turroni 31 anni dopo
la sua morte (7 aprile 1982), 500,00; Claudio Venza
(Trieste) saluti a Fulvio Gamerini, cardiologo grande
e solidale, 100,00; Gennaro Gadaleta Caldarola (Molfetta
– Ba) 10,00; Antonello Cossi (Sondalo –
So) 20,00; Nicola Antonio Totaro (Conversano –
Ba) 5,00; Dimo Delcaro (San Francesco al Campo –
To) 20,00; Pietro Mambretti (Lecco) 50,00; Benedetto
Valdesalici (Villa Minozzo – Re) 20,00; Libreria
San Benedetto (Genova) 13,50; Rosanna Ambrogetti e
Franco Melandri (Forlì) 30,00; Salvatore Pappalardo
(Venezia-Marghera – Ve) 50,00; A.L. Pala (Amsterdam
– Olanda) 10,00; Mario Alberto Botta (Ayamavilles
– Ao) 10,00; Romeo Muratori (Rimini) 10,00;
Giorgio Franchi (Ferrara) 10,00; Gianpiero Bottinelli
(Massagno – Svizzera) 10,00; Santi Rosa (Novara)
5,00; Anita Pandolfi (Castel Bolognese – Ra)
20,00; Saverio Nicassio (Bologna) 20,00; Roberto Angelini
(Spoleto – Pg) 60,00; Pino Fabiano (Cotronei
– Kr) ricordando Spartaco, 10,00; Aldo Curziotti
(Sant'Andrea Bagni – Pr) 20,00; Giorgio Franchi
(Codigoro – Fe) 10,00; Angelo Pizzarotti (Borsano
di Calestano – Pr) 20,00: Giglio Frigerio (Lecco)
“Giglio, Marco e Marina uniti da un pensiero
comune”, 15,00; Donata Martegani (Milano) “in
ricordo della mia mamma”, 100,00; Camilla Galbiati
(Robecco sul Naviglio – Mi) 50,00; Luciana Caruso
(Roma) 10,00. Totale € 1.278,50.
Abbonamenti sostenitori. (quando non altrimenti
specificato, trattasi di euro 100,00). Sergio
Loise (Cosenza); Oreste Roseo (Savona) ricordando
Umberto Marzocchi, Ugo Mazzucchelli, Isaac Barba Garcia
e Gaspare Mancuso; Giacomo Ajmone (Milano); Giovanni
Satta (Genova); Gianni Alioti (Genova); Maurizio Guastini
(Carrara – Ms) 200,00; Francesco Martinelli
(Castel del Piano – Gr); Fernando Ainsa (Zaragoza
– Spagna); Massimo Locatelli (Inverigo –
Co); Pietro Masiello (Roma) ricordando Armando Galieti
di Genzano di Roma; Roberto Panzeri (Valgreghentino
– Lc); Andrea Albertini (Merano – Bz)
150,00; Fantasio Piscopo (Milano); Roberto Tozzi (Mercatale
Vernio – Po) 120,00; Matteo Gandolfi (Genova);
Margherita e Giulio (Castano Primo - Mi). Totale
€ 1.770,00
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