letture
Contro la disuguaglianza
di Roberto Marchionatti
È recentemente uscito, per Elèuthera, L' Anarchia
selvaggia di Pierre Clastres, sottotitolo “Le società senza
stato, senza fede, senza legge, senza re”. Riportiamo ampi stralci della
prefazione di Roberto Marchionatti.
La riflessione sulla libertà selvaggia
Pierre Clastres ha lasciato alla sua prematura morte, più
di trent'anni fa, il 29 luglio del 1977, un'opera inevitabilmente
incompiuta ma, come ha ben scritto Marcel Gauchet, «densa
e capitale», capace di trasformare radicalmente il nostro
sguardo sulla società e la storia e che non cessa di
sorprendere per la sua forza di rinnovamento intellettuale nel
campo dell'antropologia e della filosofia politica.
Nato il 17 maggio 1934 a Parigi, egli studiò filosofia
prima di dedicarsi all'antropologia, verso la fine degli anni
cinquanta, nel contesto del fermento critico tra gli intellettuali
francesi a seguito della crisi del 1956 e sotto l'influenza
del pensiero di Claude Lévi-Strauss. L'incontro con gli
indiani amerindiani, che saranno il suo campo di studio, avvenne
inizialmente leggendo, non solo gli studi etnografici contenuti
nel monumentale Handbook of South American Indians, ma,
soprattutto, le cronache e i resoconti dei primi viaggiatori:
“Prima che nella foresta tropicale, Clastres ha incontrato
gli indiani nei libri e nelle cronache degli antichi viaggiatori
e missionari; con una lucida e ispirata immaginazione decifrando
quei dati a cui la pagina spesso alludeva senza individuare,
quando non li dissimulava.”
Così scrive Claude Lefort nel suo scritto in memoria
dell'amico (in «Libre», 4/1978, p. 51). Su quei
testi – da Hans Staden ad André Thevet, da Jean
de Léry ai gesuiti – si forma il pensiero di Pierre
Clastres, prima del tempo dei viaggi, che l'esperienza e le
riflessioni seguenti serviranno ad arricchire. I testi degli
esploratori e dei missionari offrivano un immenso materiale
su di un'epoca precedente la colonizzazione, e parlavano di
«genti del tutto nuove». A essi avevano già
attinto due filosofi, fondamentali nel formare il pensiero di
Clastres: Michel de Montaigne ed Étienne de La Boétie.
Lo spazio epistemologico entro cui si muoveva quel pensiero
scettico offre la «disponibilità» all'altro,
ma anche la consapevolezza dell'enorme distanza, meglio sarebbe
dire discontinuità, tra noi – i civilizzati –
e loro – i selvaggi –, la possibilità di
un dialogo e l'impossibilità, forse, di una comprensione
totale. Da questi autori deriva a Clastres il modo di affrontare
il problema della storia, antitetico a quello marxista ed evoluzionista,
giudicando quel che c'è stato dopo in rapporto a ciò
che c'era prima: che ne è delle società post-primitive?
Perché sorsero la diseguaglianza, la divisione sociale,
il potere separato? E sono questi gli autori il cui pensiero,
insieme a quello dei filosofi che tra il sedicesimo e il diciottesimo
secolo, levarono le loro voci in difesa dei popoli primitivi,
costituì il fondamento dell'opposizione alla ratio
descartiana, che portava, con la sua netta separazione tra la
ragione e ciò che essa non è, il silenzio tra
la cultura occidentale e i selvaggi. Opposizione presto sconfitta.
Se un ponte tra le culture è ancora possibile, pensava
Clastres, è ora l'antropologia a renderlo possibile,
sulle fondamenta gettate da autori quali, soprattutto, Lévi-Strauss,
un pensatore che ha saputo «prendere sul serio»
i selvaggi. Di qui parte il viaggio antropologico di Pierre
Clastres.
Il problema del politico
L'indagine della dimensione politica nella società rappresenta
il cuore della speculazione di Clastres, il luogo intorno a
cui ruota la sua interpretazione delle società primitive.
Indagine antropologica che giunge a porsi una questione che
travalica il campo specifico: da dove viene il potere dell'uomo
sull'uomo? da dove viene il potere politico?
Etnologia e problema del potere
In relazione al problema del potere, avverte Clastres, l'etnologia
ha fatto ruotare le culture primitive intorno alla cultura occidentale,
senza prendere sul serio le forme politiche primitive: società
senza Stato secondo la concezione tradizionale delle società
primitive – «l'assenza di Stato ne segna l'incompletezza,
lo stato embrionale della loro esistenza», come scrive
Clastres nel breve ma essenziale La question du pouvoir dans
les sociétés primitives. Analoga per molto
tempo è stata la situazione riguardo alle forme economiche:
un criterio fondamentale applicato tradizionalmente alle economie
primitive è stato quello di economia di sussistenza,
solo recentemente criticato a partire dall'opera capitale dell'antropologo
americano Marshall Sahlins, del cui Stone Age Economics
Clastres scrisse un'importante introduzione all'edizione francese.
La medesima prospettiva che fa considerare i primitivi come
uomini viventi miseramente, scrive Clastres, determina altresì
il senso e il valore del discorso corrente sulla politica e
il potere. La cultura occidentale pensa il potere politico in
termini di relazioni gerarchiche e autoritarie di comando e
obbedienza, ovvero una relazione di coercizione: ne deriva che
le società primitive sono senza, mancanti di, potere
politico.
Questo legame potere-coercizione è rifiutato da Clastres,
che in un celebre saggio del 1969, Copernic et les Sauvages,
poi primo capitolo di La Société contre l'État,
scrive:
“Non è possibile dividere le società in
due gruppi: con o senza potere.
Riteniamo al contrario [...] che il potere politico sia universale,
immanente al fatto sociale [...] ma che si realizzi in due modi
principali: potere coercitivo e potere non coercitivo; [...]
Il potere politico coercitivo [...] non è il modello
del vero potere, ma semplicemente un caso particolare [...]
Anche nelle società in cui l'istituzione politica è
assente [...] anche là la politica è presente;
anche là si pone il problema del potere: [...] nel senso
in cui [...] qualche cosa esiste nell'assenza [...] Non è
pensabile il sociale senza il politico: in altre parole non
vi sono società senza potere.”
Ciò che differenzia le società non è la
presenza o l'assenza del potere politico, ma la relazione tra
sfera politica e società. Il compito di un'antropologia
politica è così individuato e si articola in due
interrogativi: che cos'è il potere politico? e come e
perché si passa dal potere politico non coercitivo al
potere politico coercitivo?
Il ruolo della sfera politica nelle società primitive
Il primo scritto edito di Clastres, Echange et pouvoir: philosophie
de la chefferie indienne, del 1962 (poi in La Société
contre l'État), un anno prima della sua ricerca sul
campo tra i Guayaki, contiene, in relazione alle società
amerindiane, l'enunciazione del problema e le linee essenziali
della sua interpretazione. Sulla base delle informazioni disponibili
a partire dal sedicesimo secolo, appare che «è
la mancanza di stratificazione sociale e di autorità
del potere, che si deve considerare come il tratto pertinente
dell'organizzazione politica della maggioranza delle società
amerindiane». Ciò che si tratta di comprendere
è «la strana persistenza di un potere pressoché
impotente, di capi senza autorità». Il senso di
ciò, scrive Clastres, risiede mascherato sul piano della
struttura. La sua comprensione sta nell'indagine della relazione
tra sfera politica e sfera dello scambio.
L'idea secondo la quale il principio di reciprocità,
legge che fonda e regge la società, determini anche il
rapporto tra potere e società è, sostiene Clastres,
insufficiente. Infatti, soltanto apparentemente il potere è
fedele a quella legge: guardando al triplice fondamentale movimento
di scambio – scambio di beni, di donne, di parole –
si scopre che la circolazione di questi beni avviene a senso
unico, dal gruppo verso il capo (donne) e dal capo verso il
gruppo (beni e parole), non è mai reciproca. Valori di
scambio non regolati dal principio della reciprocità,
questi flussi cadono «fuori dell'universo della comunicazione»
nelle società primitive. Relazione privilegiata del potere
con gli elementi il cui movimento reciproco fonda la struttura
della società primitiva, ma relazione che fonda la sfera
politica come esterna alla struttura della società. In
quanto esterna, essa non può svilupparsi effettivamente:
«Il rigetto di questa [sfera politica] all'esterno della
società è il mezzo stesso per ridurla all'impotenza»,
così spiegando l'impotenza del capo selvaggio.
Qual è la ragion d'essere di questa separazione tra sfera
politica e società? Queste società, risponde Clastres,
costituiscono la loro sfera politica in funzione di un'intuizione:
che il potere è nella sua essenza coercizione. La trascendenza
del potere racchiude per il gruppo un rischio mortale, ed è
l'intuizione di questa minaccia che conferisce profondità
alla loro filosofia politica. Con questa tesi di una filosofia
politica selvaggia anti-statalista viene rifiutata quell'immagine
sbiadita di un'incapacità a risolvere il problema del
potere politico che offriva la teoria etnologica tradizionale.
La filosofia politica anti-statalista è parte del sapere
dei selvaggi: esso si costituisce attraverso le forme del mito,
modo di espressione del pensiero selvaggio, e si trasmette attraverso
i discorsi e i canti di capi e sciamani e attraverso i riti.
Situando la propria origine nel tempo mitico del pre-umano,
la società si rappresenta a se stessa immodificabile,
perché insieme di regole e linguaggi voluti dai grandi
antenati, dagli eroi culturali. Il pensiero indiano disloca
gli antenati in un tempo prima del tempo: tempo degli accadimenti
del mito, dove si svolgono, accadono, i vari atti e momenti
della creazione della cultura; questa società remota
del tempo del mito è continuamente rammentata nei quotidiani
racconti e canti di sciamani e capi, i signori della parola,
e nelle pratiche rituali. I riti, in particolare i riti di iniziazione,
sono un fondamentale veicolo del sapere.
Nel rituale iniziatico la società imprime il suo marchio
sul corpo dei giovani – il corpo è «una memoria»
– e detta la sua legge ai propri membri: «Tu non
vali meno di un altro, tu non vali più di un altro».
La legge primitiva è così «un divieto di
disuguaglianza».
Il sapere selvaggio esprime una filosofia politica anti-statalista:
ragion d'essere dell'esistenza di un capo senza potere effettivo,
come pure di altri fenomeni tipici delle società primitive,
uno dei quali è argomento capitale dell'ultimo Clastres:
la guerra selvaggia, di cui egli indaga il senso.
[...]
Testimone d'un antichissimo sapere
Pierre Clastres ha dato un contributo fondamentale alla riflessione
sul problema della libertà: attraverso l'etnologia, ponendo
il problema del politico nelle società selvagge in termini
da cui nessun ricercatore dopo di lui può più
prescindere. Una ricerca la sua che, a partire dallo studio
della realtà amerindiana, ha teso a essere un contributo
di valore generale – «non rifletto soltanto sulle
società primitive amerindiane, ma sulla società
primitiva in generale: luogo astratto dove si raccolgono e identificano
tutte le singole società primitive», scrive in
un saggio del 1977.
Grande chroniqueur, Clastres ha saputo, come pochi altri,
dare spazio alla parola dell'altro. Erede di una grande tradizione
culturale, quella che da Montaigne arriva a Lévi-Strauss,
egli ha fatto della sua etnologia, con una lucidità teorica
e una passione rara, quel che si era prefisso: la testimonianza
di un antichissimo sapere, testimonianza di alternative, prima
che l'ombra mortale si stenda «sull'ultimo cerchio di
quest'ultima libertà». Una ricerca e un compito
tragicamente interrotti, una lezione assolutamente viva.
Roberto Marchionatti
Gli stralci della prefazione qui riportati sono privi di
note e riferimenti bibliografici, per la versione integrale
si rimanda al libro di Pierre Clastres.
L'anarchia
selvaggia
L'indagine sulla dimensione politica è il cuore della
speculazione etnologica di Clastres: da dove viene il dominio
dell'uomo sull'uomo? come si afferma la coercizione politica?
Per rispondere a queste domande cruciali Clastres interroga
quelle società “selvagge” che – smantellando
un consolidato pregiudizio etnocentrico – non considera
affatto come insiemi sociali immaturi che per uscire dalla loro
arretratezza socio-culturale devono evolvere nella direzione
della divisione sociale e dunque della gerarchia. Al contrario,
queste società indivise resistono coscientemente a qualsiasi
accumulazione del potere al proprio interno che possa insinuare
la diseguaglianza nel corpo sociale. E lo fanno ponendo i propri
capi tribali sotto il segno di un debito verso la comunità
che impedisce al loro desiderio di prestigio di trasformarsi
in desiderio di potere. Sono appunto questi capi senza potere
che esprimono compiutamente la filosofia politica del pensiero
selvaggio, il suo essere in realtà non senza ma contro
lo stato. Pierre Clastres (1934-1977), prematuramente morto
in un incidente stradale che interrompe la sua innovativa ricerca
sul campo, ha insegnato Etnologia alla École Pratique
des Hautes Études di Parigi. Allievo prediletto di Claude
Lévi-Strauss, ha condotto le sue ricerche sulle dinamiche
del potere, la guerra e la violenza in Sud America, in particolare
presso le popolazioni dei Guayakí, dei Guaraní
e dei Chulupi.
L'anarchia selvaggia
(le società senza stato, senza fede, senza legge,
senza re)
Elèuthera, 2013, Milano,
pp. 120, € 12,00 |
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