Leggere l'anarchismo 3
Malatesta
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di
Massimo Ortalli
Leggere
l'anarchismo 3
La
storia, le storie, il pensiero
(2009-2012)
Ed
eccoci alla terza puntata di Leggere l’anarchismo,
che comprende i libri pubblicati dal 2009 a tutto il 2012.
Come si può vedere, la rassegna dei titoli è
particolarmente ricca, a dimostrazione del fatto che l’interesse
per le tematiche dell’anarchismo, intese in senso
lato, non accenna affatto a diminuire. Anzi…! Sono
infatti più di 250 i titoli inseriti in questo
supplemento di «A Rivista anarchica», e molti,
lo registro con piacere, di notevole qualità sia
letteraria sia scientifica.
Sono numerose le tematiche prese in considerazione, alcune
particolarmente affollate rispetto alle precedenti edizioni,
altre che vedono invece ridursi notevolmente la varietà
e la quantità dei titoli. Ma soprattutto va registrato
come alcuni ambiti tematici, in particolare di carattere
storico, registrino un inalterato interesse, e conseguentemente
un significativo numero di titoli, nonostante il passare
degli anni e l’accresciuta lontananza temporale.
Rispetto ad alcuni argomenti, mi preme segnalare che,
a differenza delle due precedenti edizioni di Leggere
l’anarchismo, ho scelto questa volta di inserire
anche lavori di limitata diffusione e dal forte carattere
militante, sia perché di particolare interesse,
sia perché è stato soprattutto il movimento
specifico a trattarne. Va detto, a questo proposito, che
l’utilizzo sempre più frequente delle nuove
tecnologie favorisce la pubblicazione di testi autoprodotti,
fatti circolare non solo in versione cartacea ma anche
via web.
È possibile che alcuni titoli mi siano sfuggiti
(spero pochi), sia perché non ne ho ancora avuto
conoscenza, sia perché non sono riuscito a prenderne
visione, quindi mi riprometto di porvi rimedio in un prossimo,
auspicabile, quarto numero di Leggere l’anarchismo.
Per finire, desidero esprimere la consapevolezza che,
in non rarissimi casi, la mia interpretazione può
rivelarsi soggettiva e, forse, anche non del tutto equilibrata.
Lo ammetto, ma altrimenti dove sarebbe la libertà
dell’autore?
Massimo Ortalli
massimo.ortalli@acantho.it |
MALATESTA
C’è una costante nella produzione bibliografica
sul movimento e il pensiero anarchico, e questa costante è
Errico Malatesta. La presenza dell’anarchico
campano, infatti, si ripresenta puntualmente e massicciamente
a testimoniare l’importanza e la centralità di
questo grande personaggio dell’anarchismo italiano e internazionale,
che tanta parte ha avuto, più in generale, nella storia
sociale dell’Otto e Novecento. Lo dimostra non solo la
riproposta puntuale di alcuni suoi classici, ma soprattutto
un progetto straordinario sia per l’ampiezza degli obiettivi
sia per il rigore scientifico e l’accuratezza editoriale.
Si tratta della pubblicazione in corso d’opera delle Opere
complete di Malatesta, un piano editoriale in
dieci volumi reso possibile grazie al prezioso e incessante
lavoro dello studioso Davide Turcato. Lo sforzo
congiunto di due editrici, Zero in Condotta
di Milano e La Fiaccola di
Ragusa, ha reso possibile l’uscita, nel
2011 e nel 2012, dei primi due volumi di tale progetto, “Un
lavoro lungo e paziente…”. Il socialismo anarchico
dell’Agitazione (1897-1898), arricchito
dal denso saggio introduttivo di Roberto Giulianelli, e “Verso
l’anarchia”. Malatesta in America 1899-1900,
corredato dal saggio introduttivo di Nunzio Pernicone.
Davide Turcato sta raccogliendo, con la pazienza di chi deve
cercare in mille rivoli sparsi per mezzo mondo, tutti gli scritti
di Malatesta, dalle innumerevoli riedizioni degli opuscoli più
famosi al breve trafiletto nascosto tra le pieghe di qualche
numero unico apparso chissà quando e in quale paese.
Insomma, tutti i testi editi firmati o ispirati da Malatesta,
e tutti gli scritti che ne riportano gli interventi sparsi e
d’occasione: i resoconti delle conferenze, le difese nei
tribunali, gli echi dei suoi comizi e via dicendo. Come può
capire chi conosce la vita e l’attività rivoluzionaria
di Malatesta, si tratta di un lavoro infinito, che scoraggerebbe
il ricercatore più determinato e che invece Turcato sta
portando a compimento nel modo migliore, come già dimostra
l’uscita di questi primi due volumi (che in effetti sono
il terzo e il quarto secondo il piano cronologico dell’opera).
Sono queste le ragioni per cui, contrariamente al taglio ormai
tradizionale di queste tracce bibliografiche, ho deciso di dedicare
uno spazio particolarmente ampio a questa pubblicazione, che
rappresenta sicuramente una pietra miliare nel campo dell’editoria
anarchica, accostabile ad altri lavori di carattere manualistico
quali i repertori di Leonardo Bettini e il Dizionario Biografico
degli Anarchici Italiani. Con scelta coerente, il primo
volume è dedicato alle pagine e agli anni dell’«Agitazione»
anconetana, perché è su quelle pagine e nel contesto
di quegli avvenimenti che la riflessione malatestiana, dopo
un lungo processo intellettuale, acquisisce la sua definitiva
maturità, portando gradualmente la parte più consistente
del movimento anarchico di lingua italiana sulle posizioni dell’anarchismo
sociale ed organizzatore ancora oggi così attuali. Il
secondo volume, che raccoglie gli scritti apparsi su «La
Questione Sociale» di Paterson, mostra come questa riflessione,
evidenziata dall’aspra polemica con Ciancabilla e gli
antiorganizzatori italoamericani, sia ormai giunta a un punto
di non ritorno, sedimentandosi nella coscienza e nell’azione
sociale di gran parte del movimento. Devo poi segnalare la cura
redazionale e la bellissima veste grafica dei volumi, curata
da Fuori Margine di Verona.
|
Errico
Malatesta |
Come si può immaginare, molti sono stati (e continueranno
ad essere) i collaboratori di Turcato, ma va qui ricordato almeno
Tomaso Marabini che, grazie alle sue capacità e competenze,
ha contribuito per molti versi a rendere realizzabile questa
opera.
Ma di Malatesta, come dicevamo, nell’intervallo di tempo
trascorso dalla pubblicazione di Leggere l’anarchismo
2, sono uscite altre edizioni di testi già largamente
presenti nell’editoria anarchica. Per quanto mi risulta,
sono infatti ben cinque le nuove edizioni malatestiane. Nel
2009 la piccola editrice romana Edup ha pubblicato, in un unico
volume della collana Le Murene, due testi fondamentali, L’Anarchia,
uscito in prima edizione nel 1891, e Il nostro programma,
fatto proprio dall’Unione Anarchica Italiana negli anni
’20 e ancora oggi base programmatica della Federazione
Anarchica Italiana. Il Programma Comunista Anarchico
Rivoluzionario è riprodotto anche nell’opuscolo
edito nel 2012 dalla Organizzazione
AnarcoComunista Napoletana, che in appendice riporta
le Risoluzioni del Congresso di Saint Imier
del 1872, i principi ispiratori dell’anarchismo che fa
sempre bene rileggere e meditare.
La casa editrice di Camerano, in provincia
di Ancona, Gwynplaine, con il titolo Dialoghi
sull’anarchia, ripropone nel 2009, Fra
contadini e Al caffé, i due famosi dialoghi
che contribuirono, con le loro frequenti ristampe, a diffondere
i principi base del pensiero anarchico. Accompagnano il volume
una cronologia e una bibliografia curate da Orlando Micucci.
È del 2010 la pubblicazione di un altro
importante testo malatestiano, Programma e Organizzazione
dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori,
uscito la prima volta sulle pagine della fiorentina «Questione
Sociale» e solo oggi riproposto in una seconda edizione
(la prima in forma di opuscolo) per le Edizioni della
Mela Marcia di Roma, a cura di Franco
Di Sabantonio. Come ricorda Giorgio Sacchetti nella introduzione,
è dal 1884 che questo testo non rivedeva la luce, e le
motivazioni di questo non casuale oblio vanno cercate nella
progressiva evoluzione del pensiero malatestiano che da lì
a poco avrebbe ampiamente rivisto e reso parzialmente superate
le basi teoriche di tale scritto. Sempre nel 2010
l’editrice Ortica, di Aprilia,
ripropone, in una edizione essenziale priva di apparato bibliografico,
il dialogo sull’anarchia Fra contadini,
pagine ancora fresche e attuali, nonostante siano state scritte
più di cento anni or sono. Per finire, una ristampa de
L’Anarchia è uscita
nel 2011 per i tipi di Barbès
Editore di Firenze. Corredato da una
traccia biografica e dalla introduzione di Tommaso Gurrieri,
questo piccolo capolavoro condensa, nelle sue ottanta pagine,
non solo l’essenza del pensiero e del progetto anarchico,
ma anche la profonda umanità che caratterizzò
questa grande figura di rivoluzionario.
Un altro contributo alla bibliografia su Malatesta si deve a
Davide Turcato che pubblica, nel 2010,
per le edizioni Bruno Alpini di Imola,
Leggere Malatesta, un breve e denso
saggio nel quale l’autore accosta il pensiero di Errico
Malatesta a quello dei modernissimi Merton, Nozick, Hayek, Popper
e di altri capisaldi del pensiero liberal-libertario, realizzando
un interessante e convincente esperimento di attualizzazione.
Di tutt’altro segno, certamente molto singolare, Non
ho bisogno di stare tranquillo, Milano,
Elèuthera, 2012, una sorta di biografia romanzata
con la quale Vittorio Giacopini ricostruisce
gli ultimi anni di Malatesta, quelli dell’esilio domiciliare
romano al quale lo aveva costretto, per rancorosa vendetta,
Mussolini. Sono anni difficili per Malatesta, apparentemente
segnati da un senso di sconfitta e di abbandono, che comunque
lo vedono, nella libera ricostruzione di Giacopini, mai rassegnato,
ma al contrario sempre più convinto di avere speso la
propria vita come meglio non avrebbe potuto. Un omaggio tanto
originale quanto sincero al grande Errico.
CLASSICI
ITALIANI
Non è solo Malatesta ad essere riproposto all’attenzione
di quanti sono interessati al pensiero libertario, come dimostrano
i molti titoli dedicati ai “classici” dell’anarchismo
italiano. Prendiamo l’avvio da Carlo Pisacane,
da molti considerato fra i precursori del pensiero libertario.
L’editore torinese Baldini Castoldi Dalai
ha promosso, nel centocinquantenario dell’Unità
d’Italia, una piccola collana, «150°»,
dedicata alle principali figure del Risorgimento. E naturalmente,
fra i vari D’Azeglio, Mazzini e Garibaldi, troviamo anche
la Vita e scritti scelti dell’“eroe
di Sapri”. Accanto a una breve traccia biografica e bibliografica,
sono riprodotti alcuni brani tratti dal suo maggior lascito
intellettuale, quel Saggio sulla rivoluzione
nel quale il patriota napoletano sostiene la indissolubilità
del legame fra rivoluzione nazionale, quella che sta avanzando
in molti paesi d’Europa, e rivoluzione sociale, indispensabile
corollario per la vera riuscita della prima. Come si vede, più
che un abbozzo del pensiero libertario, il testo rappresenta
già l’aperta affermazione di principi quali la
messa al bando della proprietà privata, la socializzazione
dei mezzi di produzione, l’eguaglianza di tutti i cittadini
e così via.
|
Barberis
e Mantegazza, La spedizione
di Sapri. Pisacane assalito dai contadini
furibondi. Da Jessie White Mario,
Della vita di Giuseppe Mazzini |
Proseguendo in ordine cronologico, un nuovo Compendio
del Capitale di Carlo Cafiero
esce per i tipi della Biblioteca Franco Serantini (Pisa,
2009). Gli editori non si limitano a riproporre questo
classico ottocentesco (scritto nel carcere di Benevento dopo
i fatti del Matese), definito da Marx come il miglior sunto
della sua monumentale opera, ma ne rendono maggiormente fruibile
la lettura con l’ottima introduzione di Franco Bertolucci,
la biografia di Cafiero di Pier Carlo Masini, una antica prefazione
di Luigi Fabbri, un preziosissimo indice per argomenti e un
indice ragionato dei nomi.
|
Carlo
Cafiero |
Indubbiamente il valore ancora fortemente attuale di questo
testo meritava un apparato così denso e completo.
Dopo Cafiero, un altro esponente della Prima Internazionale,
e un altro figlio del meridione, l’avvocato ed economista
Francesco Saverio Merlino. Impegnate a promuovere
le riedizioni dei classici dell’anarchismo, sono sempre
le Edizioni BFS a riproporre Politica
e magistratura in Italia (Pisa, 2011),
che vide la luce nel 1925, quando Merlino da tempo militava
nelle file del socialismo riformista. L’attualità
di questo testo consiste nell’analisi sulla pretesa indipendenza
della magistratura dal potere politico, una vexata quaestio
che allora come oggi non trova altra risposta se non nell’impossibilità
di una vera indipendenza della prima dal secondo. Egregiamente
curato sul piano grafico e redazionale, come è consuetudine
delle Edizioni BFS, il volume presenta l’ottima introduzione
di Giampietro Berti, già autore di un’opera fondamentale
sul pensatore napoletano. Un’altra riedizione di Merlino
è quella curata dalla casa editrice Una Città,
di Forlì, che ha pubblicato nel 2012
L’Italia qual è, unico
fra i testi merliniani ad aver visto la sola edizione francese
nel 1890. Un ritratto fortemente critico della nazione, perché,
come scrive nell’introduzione Massimo La Torre, «a
trent’anni dall’impresa dei Mille, epopea popolare
e libertaria, ciò che resta ancora è il fumo e
il sangue delle fucilazioni di Bronte […] e la condizione
delle masse popolari, di quelle meridionali soprattutto, è
peggiorata, niente affatto migliorata». A Merlino è
stato anche dedicato un importante convegno tenutosi a Imola
nel 2000, organizzato dall’Associazione Arti e Pensieri,
nel corso del quale numerosi studiosi, appartenenti a diverse
scuole di pensiero, hanno analizzato e riproposto all’attenzione
di un vasto pubblico l’attualità delle considerazioni
merliniane sulla radicale revisione del marxismo in direzione
libertaria e umanista. Gli atti, La fine del socialismo?
Francesco Saverio Merlino e l’anarchia possibile,
sono stati pubblicati nel 2010 dal Centro
Studi Libertari “Camillo di Sciullo” di
Chieti e la loro accuratissima pubblicazione
è stata resa possibile dal tenace lavoro del curatore
Gianpiero Landi.
Le edizioni Samizdat di Pescara
hanno pubblicato, di Giuseppe Sarno, L’anarchia
dedotta criticamente dal sistema hegeliano. Si
tratta di una edizione del 2004 di cui diamo
conto solo oggi poiché “sfuggita” alle precedenti
edizioni di questo repertorio bibliografico. Il testo, di carattere
giuridico-filosofico, ebbe una certa notorietà anche
per la polemica ingaggiata dall’autore con il filosofo
napoletano Giovanni Bovio, e fu ristampato solo nel 1946 con
l’introduzione di Benedetto Croce, che dell’autore
fu amico e condiscepolo.
Nel gennaio 2011 si è svolto a Pisa, organizzato dalla
Biblioteca Serantini, un importante convegno di studi dedicato
alla figura di Pietro Gori. Il numero 5 della collana «Quaderni
della Rivista Storica dell’Anarchismo», ne raccoglie
oggi gli atti curati da Maurizio Antonioli, Franco Bertolucci
e Roberto Giulianelli: Nostra patria è il
mondo intero. Pietro Gori nel movimento operaio e libertario
italiano e internazionale, Pisa, Edizioni
Bfs, 2012. Un contributo doveroso per riscoprire l’importanza
di questa figura che a suo tempo fu fra le più significative
dell’anarchismo italiano e per restituirne un’immagine
sottratta a quell’alone di romanticismo che l’ha
troppo caratterizzata negli anni. In concomitanza, le Edizioni
BFS hanno voluto ricordare l’amatissimo poeta
e agitatore anarchico con la pubblicazione della sua inedita
tesi di laurea, La miseria e i delitti,
nella quale Gori lasciava già intravedere quale sarebbe
stato il percorso umano e sociale della sua vita, tanto intensa
quanto breve. Quello della BFS è un omaggio sincero e
affettuoso allo «studioso, avvocato, propagandista, militante
politico, poeta e autore teatrale» e, a significativo
corredo di questo testo impregnato della cultura positivista
di fine Ottocento, figura un importante saggio a quattro mani,
di Maurizio Antonioli e Franco Bertolucci,
Pietro Gori. Una vita per l’ideale,
che può essere considerato lo studio più completo
e puntuale sulla vita e sull’opera del «cavaliere
dell’ideale» dopo la sua biografia, opera sempre
di Maurizio Antonioli, uscita alcuni anni fa per gli stessi
tipi della BFS.
Negli anni immediatamente successivi al trionfo della rivoluzione
d’Ottobre, numerose furono, com’era lecito aspettarsi,
le analisi sulla natura del nuovo Stato rivoluzionario e sulle
dinamiche maturate nel corso del processo di quel profondo rivolgimento
sociale. Sul versante dell’anarchismo resta famoso il
saggio di Nikolaj Bucharin (uno dei maggiori
teorici bolscevichi, fatto poi fucilare da Stalin come molti
suoi “colleghi”) sui rapporti fra anarchismo e marxismo.
Altrettanto famosa, e particolarmente lucida, la risposta di
Luigi Fabbri al rivoluzionario russo. Nel 2009
le Edizioni Zero in Condotta ripubblicano entrambi
i saggi già usciti negli anni Settanta per le edizioni
Altamurgia, sotto il titolo Anarchia e Comunismo
Scientifico. Un teorico marxista ed un anarchico a confronto,
un volume particolarmente importante per capire le differenze
sostanziali fra il progetto rivoluzionario cosiddetto “scientifico”,
condizionato da un ineliminabile e necessario autoritarismo,
e quello libertario, improntato ai principi dell’autogestione
e del rifiuto di qualsiasi delega, fosse anche quella al “mitico”
partito.
|
Camillo
Berneri |
Luigi Fabbri è stato uno dei massimi teorici e divulgatori
del pensiero anarchico del Novecento, e accanto a lui, come
importanza e profondità, sta Camillo Berneri. Se in questi
ultimi anni è stato ripubblicato solamente un suo breve
saggio (Camillo Berneri, Il cristianesimo
e il lavoro, Carrara, Cooperativa Tipolitografica,
2011), introdotto da Susanna Berti Franceschi, sono
però usciti due corposi volumi dedicati alla vita e all’opera
di questo importante teorico e militante: AA. VV.,
Un libertario in Europa. Camillo Berneri: fra totalitarismi
e democrazia, Reggio Emilia, Biblioteca
Panizza e Archivio Famiglia Berneri - Chessa, 2010; Stefano
D’Errico, Il socialismo libertario
ed umanista oggi fra politica ed antipolitica. Attualità
della revisione berneriana del pensiero anarchico,
Milano, Mimesis, 2011. Il primo, curato da
Giampietro Berti e Giorgio Sacchetti, raccoglie gli atti del
convegno dedicato a Camillo Berneri tenutosi ad Arezzo nel maggio
del 2007, al quale sono intervenuti molti fra i più accreditati
studiosi al’anarchico lodigiano. Il volume riflette la
complessità della vita e della riflessione intellettuale
di Berneri, non mancando di registrare il forte dibattito, a
tratti anche piuttosto polemico, che la rilevanza e l’attualità
dell’argomento non hanno mancato di suscitare. Il volume
di Stefano D’Errico riprende, in sostanza, la relazione
tenuta dall’autore nell’ambito del convegno, e fin
dal titolo, che fa esplicito riferimento alla revisione del
pensiero anarchico, lascia intuire quale ne sia l’impostazione
di fondo. Del resto Berneri, nell’enorme mole di scritti
che ha lasciato, ha concesso ampio spazio a diverse interpretazioni,
proprio perché portatore di un pensiero talmente libero
e aperto alla realtà del presente che la sua lettura
può trovare di volta in volta corrispondenza nell’approccio
individuale di ciascun esegeta. Ciò nulla toglie all’importanza
e alla lucidità del suo pensiero e della sua azione,
che risultano anzi avvalorati dall’attualità di
nuove riletture, reinterpretazioni, discussioni.
L’Archivio Famiglia Berneri - Aurelio Chessa e la Biblioteca
Panizzi di Reggio Emilia nel 2008 hanno organizzato un convegno
di studi dedicato a Giovanna Caleffi Berneri,
compagna di vita di Camillo Berneri e successivamente animatrice,
con Cesare Zaccaria, della ripresa del movimento anarchico nel
secondo dopoguerra. A lungo protagonista della vita culturale
e militante del movimento, Giovanna Caleffi Berneri fu fondatrice,
nel 1946 della rivista «Volontà», uno dei
più importanti e longevi contributi intellettuali alla
cultura libertaria di questi decenni. Gli organizzatori del
convegno ne hanno pubblicato gli atti nel volume Giovanna
Caleffi Berneri e la cultura eretica di sinistra nel secondo
dopoguerra, Reggio Emilia, Biblioteca
Panizzi e Archivio Famiglia Berneri - Aurelio Chessa, 2012,
che contiene i saggi di una dozzina di studiosi e gli intensi
ricordi personali di chi l’ha conosciuta.
Per terminare questa sezione, citiamo alcune opere in ordine
sparso. La piccola editrice Gwynplaine, di
Camerano, ha pubblicato Emile Henry,
Aforismi di un terrorista, 2010,
una raccolta di appunti scritti nel carcere parigino dal giovanissimo
attentatore in attesa di essere ghigliottinato. Il volumetto
è corredato da un breve saggio, La qualità dell’ingovernabile,
di Carmine Mangone. Restando nell’ambito di “anarchismo
e delitto”, eccoci ad una nuova edizione di Cesare
Lombroso, Gli anarchici,
Milano, La Vita Felice, 2009. Si tratta della
ennesima riproposta del testo con il quale l’esponente
positivista pretendeva di inchiodare il pensiero anarchico e
i suoi esponenti agli improbabili dettami della nascente scienza
dell’antropologia criminale. Lodevole, comunque, l’intenzione
dell’editore che, nel giudicare le tesi lombrosiana, le
definisce «nemmeno lontanamente scientifiche», e
desidera «rendere un omaggio anche a quegli anarchici
che furono pre-giudicati, condannati sommariamente per i loro
lineamenti, colpevolizzati da una società che rifiutò
di capire la tragedia dei loro gesti». Certo, se ci fosse
stato anche un ampio apparato critico alle tesi di Lombroso,
non sarebbe stato male!
Di tutt’altro tono la riedizione di due testi famosi ma
quasi sconosciuti di Giovanni Rossi “Cardias”,
Cecilia. Comunità anarchica sperimentale.
Un episodio d’amore nella Colonia “Cecilia”,
Aprilia, Ortica, 2011. Si tratta del resoconto
di un tentativo sperimentale condotto nell’Ottocento,
quando un gruppo di anarchici in prevalenza toscani e lombardi
fondarono in Brasile una comunità agricola basata sui
principi dell’anarchia, della libera sperimentazione e
dell’autogestione, seguito da una sorta di racconto breve
nel quale Giovanni Rossi, fondatore della Colonia Cecilia, descrive
la vita quotidiana proprio come vi si svolgeva, soprattutto
riguardo all’aspetto rivoluzionario del libero amore.
CLASSICI STRANIERI
Restando ai classici dell’Ottocento ritroviamo, sempre
attuale, uno dei padri nobili del pensiero libertario, l’eclettico
economista e filosofo Pierre Joseph Proudhon,
di cui Elèuthera ha pubblicato nel 2009
un’interessante antologia, curata da Giampietro Berti,
Critica della proprietà e dello Stato,
nella quale vengono evidenziati ed analizzati «gli elementi
forti, di stimolo alla riflessione attuale: il federalismo,
l’autogestione, la dialettica irrisolta degli opposti,
il pluralismo metodologico e progettuale». Un’altra
antologia dedicata al pensatore di Besançon, nell’ambito
delle celebrazioni del centocinquantenario dell’Unità
italiana, è quella curata nel 2010 da
Antonello Biagini e Andrea Carteny,
Contro l’Unità d’Italia,
della casa editrice torinese Miraggi. Si tratta
di una raccolta di articoli in parte inediti in Italia, fortemente
critici nei confronti di Mazzini e Garibaldi, accusati di «aver
sacrificato i loro ideali e le loro lotte sull’altare
dell’Unità, svendendosi a un re conservatore».
Come si può capire, scritti provocatori ma anche capaci
di indurre a una riflessione critica sulle vicende risorgimentali.
Gli stessi temi, e in parte gli stessi saggi, ma questa volta
in forma più completa, quelli che compaiono nella raccolta
curata dal Circolo Anarchico Umbro “Sana Utopia”,
Il federalismo e l’unità in Italia,
Perugia, 2011, un lavoro di cui i curatori
sono dichiarati e grati debitori alle ricerche storiche avviate,
a suo tempo, da Luigi Di Lembo.
In una collana dedicata ai testi sulla montagna, ricompare,
a sorpresa, un grande classico dell’Ottocento, Élisée
Reclus, Storia di una montagna,
Verbania, Tararà Edizioni, 2008, curato
da Claude Raffestin e tradotto dalla studiosa Marcella Schmidt
di Friedberg. Reclus è stato l’inventore della
moderna geografia, e la sua intuizione che lo studio della terra
dovesse coincidere con quello di chi la abita, si è sposata
felicemente alla sua profonda sensibilità sociale che
ne ha fatto uno dei più importanti pensatori e attivisti
anarchici dell’Ottocento. Di lui si era già occupato
recentemente Federico Ferretti, che torna ora
a dedicarsi al geografo con un nuovo lavoro, Anarchici
ed editori. Reti scientifiche, editoria e lotte culturali attorno
alla Nuova Geografia Universale di Élisée Reclus,
Milano, Zero in Condotta, 2011. Sembrerebbe
un testo destinato agli specialisti della materia, ma la scorrevolezza
della scrittura e l’interesse dell’argomento offrono
uno scorcio molto interessante sullo sviluppo della nuova geografia
sociale e sugli interessi non solo economici ad essa legati.
Un ottimo risultato questo di Ferretti, oggi fra i più
apprezzabili studiosi della materia.
|
Frontespizio
de L'Homme et la Terre |
Pietro Kropotkin è stato, forse, il
pensatore più letto e celebrato nella storia del movimento
anarchico. Di suo, come di alcuni altri “grandi”,
si continuano a pubblicare molti dei testi più attuali;
uno di questi è La morale anarchica
(Prato, Piano B Edizioni, 2011) un piccolo
gioiello nel quale il grande russo compendia l’essenza
dell’anarchismo, quello spirito etico che ne sta alla
base, altrettanto imprescindibile della concezione fortemente
solidale che alberga in ogni libertario. Un altro classico,
anche se meno conosciuto, è pubblicato nel 2008
da Galzerano Editore di Casalvelino
Scalo, arricchito dalla bibliografia delle opere kropotkiniane
edite in italiano dal 1887 ad oggi. Si tratta de Lo
Stato, «un saggio ancora oggi di notevole
valore sulla statolatria e sul ruolo dello Stato, nel quale
l’autore dimostra come l’istituzione dello Stato,
che è la guerra, la miseria, l’oppressione, lo
sfruttamento, la menzogna, non ha favorito alcuna emancipazione
sociale».
|
Pëtr
A. Kropotkin |
Infine, la riproposta, dopo una sessantina d’anni, di
un’opera fra le più amate e pubblicate in passato,
La conquista del pane, Aprilia,
Ortica, 2012, nella quale il pensatore russo descrive
il processo rivoluzionario, la «conquista del pane»
appunto, nel suo divenire, attraverso i passaggi che saranno
resi necessari per la realizzazione della società anarchica.
Dopo aver detto di Kropotkin, e quindi dell’anarchismo
di matrice russa, bisogna dire che forse nemmeno lui avrebbe
trovato la strada per sviluppare il proprio pensiero se prima
non ci fosse stato Herzen, il grande intellettuale
che può essere considerato il padre spirituale della
generazione di rivoluzionari che contribuirono a mettere in
crisi il regime autocratico per eccellenza, quello zarista.
Il volume di cui parliamo (Alexander I. Herzen,
Dall’altra sponda, Aprilia,
Ortica, 2011) può essere considerato come il
primo esempio di pensiero critico nel mondo slavo, e senz’altro
un pilastro sul quale si appoggeranno rivoluzionari come Bakunin,
scrittori come Turgenev e Dostoevskij, pensatori come Bielinskij,
militanti come l’intera generazione dei nichilisti.
In questi anni l’editoria non si è interessata
solo ai cosiddetti “grandi” dell’anarchismo,
ma ha dedicato la propria attenzione anche a pensatori solo
apparentemente marginali rispetto al pensiero anarchico classico.
Di Etienne De La Boetie, ad esempio, l’umanista
cinquecentesco francese già noto in ambito libertario,
sono uscite due riedizioni del Discorso sulla servitù
volontaria (Milano, La vita felice, 2007
e Chiarelettere, 2011), un gioiello di logica
stringente nel quale si pone in discussione, forse per la prima
volta e sicuramente in maniera molto efficace, la legittimità
dello Stato a governare. Una legittimità lucidamente
analizzata nel suo punto più debole, quel consenso passivo
che gli uomini affidano al Potere. Un testo di cui andrebbe
raccomandata la lettura in ogni ordine di scuola, perché
aiuterebbe a capire quanto potrebbero essere di argilla le fondamenta
di un leviatano che conculca la libertà.
Dalla Francia del Cinquecento alla Russia di Tolstoj,
il grande scrittore molto amato dagli anarchici. Il suo fu,
indubbiamente, un anarchismo di un tipo particolare, sempre
che la sua filosofia di vita possa essere definita anarchica,
ma quel che è certo è che la profondità
e l’afflato solidaristico del suo pensiero hanno spesso
coinvolto e affascinato il mondo libertario. La pisana BFS
ha pubblicato nel 2010 una piccola antologia,
La schiavitù del nostro tempo,
ottimamente curata e commentata da Bruna Bianchi. È non
solo una critica durissima alle miserrime condizioni di vita
delle masse popolari sul finire dell’Ottocento, ma anche
una efficace analisi della disumanità di una struttura
sociale che basa la propria potenza sulla disperazione e la
costrizione dell’individuo.
|
Henry
David Thoreau |
Un’altra figura ottocentesca eclettica e non classificabile
è quella di Henry David Thoreau, elemento
di spicco di un pensiero autenticamente liberal, antesignano
dell’ecologismo sociale, alieno da ogni simpatia nei confronti
dello Stato e sicuro punto di riferimento per quella corrente
di pensiero così vivace negli Stati Uniti, che vede nella
forma statale un male necessario al quale, però, vanno
quanto più possibile tarpate le ali. Il suo famosissimo
La disobbedienza civile (Milano,
Corriere della Sera, 2010, con prefazione di Dario
Antiseri e Aprilia, Ortica, 2011), è
una sorta di vera e propria bibbia per i teorici della resistenza
passiva e nonviolenta, e del resto l’altrettanto famoso
incipit: «Il governo migliore è quello che governa
meno», lascia capire quanta affidabilità concedesse
l’uomo di Walden all’esercizio del potere. Un altro
interessante lavoro sul filosofo americano è Il
re barbaro. Un ritratto di Henry David Thoreau,
Roma, Edizioni dell’Asino, 2012, di Robert
Louis Stevenson, un breve saggio ancora inedito in
italiano, nel quale l’autore del Dottor Jekyll e Mister
Hyde mette l’accento sul «suo richiamo alla
responsabilità individuale nella protesta contro ogni
forma di ingiustizia sociale».
Stirner (pseudonimo di Johan Kaspar Schmidt)
viene considerato, alla stregua di alcuni autori appena citati,
uno dei precursori dell’anarchismo, e indubbiamente la
sua concezione dell’individuo, come Unico, entità
a sé stante e autonoma dalle regole e dai vincoli sociali,
ha influenzato parte del movimento anarchico, a partire dagli
ambiti individualisti di inizio ‘900 fino ai suoi confusionari
lettori, assertori di un “superomismo” che tanto
poco ha fatto per lo sviluppo del nostro movimento e molto,
al contrario, per farne una macchietta avulsa dalla realtà.
Ma proprio perché il suo pensiero è più
complesso di come avrebbero voluto ridurlo molti dei suoi “seguaci”,
viene utile di Ferruccio Andolfi, filosofo
della storia, il lavoro Il non uomo non è
un mostro. Saggi su Stirner, Napoli, Guida,
2009, nel quale l’autore si propone di «collocare
Stirner all’interno del dibattito sull’umanesimo
che si sviluppò negli anni ’40 dell’Ottocento».
Restando in Germania parliamo ora di Gustav Landauer
ed Erich Mühsam, due intellettuali e militanti
anarchici accomunati tanto dalla originalità del pensiero
quanto dalle tragiche vicende che ne hanno segnato l’esistenza.
Ancora Ferruccio Andolfi ha curato la riedizione
del saggio più famoso di Landauer, La rivoluzione,
Reggio Emilia, Diabasis, 2009. È un
testo problematico, critico nei confronti di un concetto salvifico
e definitivo del processo rivoluzionario, sempre aperto a degenerazioni
autoritarie se non accompagnato dalla ricostituzione di una
comunità collettiva e spirituale. In appendice il discorso
con cui Martin Buber, nel 1919, commemorò Landauer, ucciso
a Monaco di Baviera dai corpi franchi incaricati di seppellire
l’esperienza della Repubblica Consiliare Bavarese. Di
Gianfranco Ragona, è l’unica biografia
italiana dedicata a Gustav Landauer, anarchico ebreo
tedesco, Roma, Editori Riuniti, 2010,
un corposo volume particolarmente prezioso perché permette
di conoscerne a fondo la dimensione critica e riflessiva, fra
le più originali e meno conosciute in campo anarchico.
Accanto alle note biografiche Ragona sviluppa un’analisi
accurata e interessante dell’impostazione teorica di Landauer
consentendo, in tal modo, di apprezzarne l’importanza.
Importanza che emerge in pieno dalla lettura della raccolta
di alcuni suoi testi curati sempre da Gianfranco Ragona: Gustav
Landauer, La comunità anarchica. Scritti politici,
Milano, Elèuthera, 2012. Asse portante
del suo pensiero è il concetto che il processo rivoluzionario
non può essere soltanto il portato di determinate condizioni
economiche e rivolgimenti sociali, ma deve essere anche il superamento
del concetto di individuo avulso dalla comunità; solo
l’individuo comunitario potrà portare a termine,
infatti, la realizzazione del sogno rivoluzionario, individuo
comunitario «in quanto frutto delle sue relazioni con
gli altri».
|
Gustav
Landauer |
Anche per Erich Mühsam, l’anarchico arrestato dopo
l’incendio del Reichstag e “suicidato” nel
1934 in uno dei primi lager nazisti, si registra da tempo la
rinascita di interesse. Attivo militante, acuto intellettuale
ed estroverso poeta, figura di spicco, con Landauer e Ernst
Töller nella Repubblica Bavarese dei Consigli, Mühsam
è una delle personalità più originali ed
eclettiche dell’intellettualità tedesca del primo
dopoguerra, e la sua statura esce a tutto tondo dalla pubblicazione
di alcuni suoi testi, raccolti e annotati da Leonhard Schäfer
(Erich Mühsam, Anarchismo e comunismo,
San Casciano Val Di Pesa, 2009) e da Andrea
Chersi (Erich Mühsam, Ascona,
Monte Verità e Schegge, Brescia,
Chersilibri, 2008), in una bella e accurata edizione
arricchita dalla riproduzione di alcuni dei disegni “fantastici”
del poeta. Una biografia, a corredo di una ampia raccolta delle
sue poesie, è quella scritta da Leonard Schäfer,
Erich Mühsam. C’era una volta un rivoluzionario,
Brescia, Chersilibri, 2010, molto interessante,
anche per la ricchezza della documentazione iconografica, per
apprezzare l’originalità di questa figura tanto
importante quanto, relativamente, poco conosciuta. Basta leggere
alcuni dei suoi versi, ad esempio il bellissimo Il canto
dei soldati, per capire quanto dovessero temerlo i nemici,
prima la socialdemocrazie e poi il nazismo.
Friedrich Nietzsche non può certo essere
considerato un pensatore anarchico anche se, soprattutto nei
primi anni del ’900, non furono pochi gli individualisti
che si lasciarono affascinare dalle sue affermazioni di potenza
e volontà. Resta il fatto che furono ben altre le dottrine
politiche che attinsero a piene mani a quella sua visione di
una società nella quale dovessero essere i “superuomini”a
emergere, a discapito degli altri. Appare curioso, quindi, questo
libro di John Moore e Spencer Sunshine,
Non sono un uomo, sono dinamite. Friedrich Nietzsche
e la tradizione anarchica, Lecce, Bepress,
2012, nel quale sono raccolti numerosi saggi, soprattutto
di scuola anglosassone, che intendono correlare la filosofia
nietzschiana al pensiero libertario. Particolarmente interessante,
e anche un po’ spiazzante, il contributo di Leith Stracross
dedicato a Emma Goldman e ai numerosi cicli di conferenze da
lei consacrati all’anarchismo del filosofo tedesco.
A ideale congiunzione fra queste prime sezioni dedicate ai classici
e quella successiva, sul pensiero contemporaneo, altri due interessanti
lavori. Il primo è della inglese Ruth Kinna,
Che cos’è l’anarchia. La guida
essenziale alla teoria della libertà, Roma,
Castelvecchi, 2010, nel quale l’autrice, redattrice
della rivista inglese Anarchist Studies, tenta una
summa delle teorie anarchiche per come si sono sviluppate,
e hanno agito, dalle origini a oggi. Così, accostato
al pensiero dei Kropotkin, Reclus, Malatesta, Bakunin e altri,
troviamo quello di Zerzan, Read, Bookchin, Goodman e affini.
Davvero una felice sintesi della complessità storica
e intellettuale dell’anarchismo che, grazie anche a un
utile indice analitico, permette di approfondirne compiutamente
la conoscenza. Segnalo poi la riedizione di un vecchio saggio,
già uscito nel 1986, ora riproposto a cura di Manuela
Ceretta con una nuova introduzione di Gianpietro Berti e un
ricco apparato bibliografico. Si tratta di Mirella Larizza
Lolli, Stato e potere nell’anarchismo,
Milano, Franco Angeli, 2010. L’autrice
parte dalla disanima del pensiero dei classici, da Godwin a
Proudhon, da Kropotkin a Bakunin, per arrivare all’analisi
di come l’anarchismo contemporaneo abbia affrontato i
mutamenti imposti dal tardo capitalismo. Ecco quindi l’illustrazione
delle riflessioni di Colin Ward, Louis Mercier Vega, Paul Goodman
e Noam Chomsky. Significativo di questo denso lavoro l’avere
contestualizzato la formazione del pensiero libertario attraverso
i suoi classici, all’interno del contesto sociale nel
quale questo pensiero si veniva formando. Descrivendo poi come
la teoria si andasse configurando attraverso l’esperienza
pratica all’interno della quale si muoveva il movimento,
per formulare una nuova concezione teorica. Processo intellettuale
che ha avuto i momenti più significativi proprio in quella
sorta di “revisione” teorica che ha visto protagonisti
i pensatori appena citati.
PENSIERO CONTEMPORANEO
Dal classico al moderno. Dalla riproposta di alcune delle pietre
miliari dell’anarchismo, alla prospettiva di interpretare
la modernità sperimentando nuove ipotesi libertarie,
legate ai principi classici ma capaci di offrire nuove griglie
interpretative per nuove forme di intervento.
Di particolare interesse, al riguardo, un libro destinato a
suscitare polemiche e consensi e, sicuramente, a non passare
inosservato. Si tratta dell’ultimo, corposo lavoro di
Giampietro Berti, Libertà
senza Rivoluzione. L’anarchismo fra la sconfitta del comunismo
e la vittoria del capitalismo, Manduria,
Lacaita, 2012, che rappresenta la conclusione del lungo
processo di riflessione sulla modernità e l’attualità
dell’anarchismo che questo studioso ha condotto da anni.
Già militante di grande esperienza e oggi professore
ordinario di Storia contemporanea presso l’Università
degli Studi di Padova, Berti affonda un acuminato coltello nel
corpo del movimento anarchico, definito, senza ambiguità,
«ormai in completa dissoluzione». Ma se tale è
il movimento, ben altro destino può competere al pensiero
libertario, vitale come sempre, soprattutto se in grado di liberarsi
dalle gabbie dell’ideologia. Come si può capire,
moltissima carne al fuoco della discussione in campo anarchico,
una discussione che non si limiterà di certo agli ambienti
accademici, ma che troverà il suo focus proprio all’interno
di quel movimento che l’autore dà, ormai, per morente.
Di tutt’altro segno l’agile pamphlet pubblicato
sempre nel 2012 da Zero in Condotta
dal titolo Il buco nero del capitalismo. Critica
della politica e prospettive libertarie, nel quale
gli autori, Antonio Cardella, Alberto
La Via, Angelo Tirrito e Salvo
Vaccaro «si sforzano di delineare una ipotesi
di lettura non solo descrittiva, ma suggeriscono altresì
la necessità di cambiare lenti di vista e progettualità».
Per loro, indubbiamente, non si è ancora verificata una
definitiva «vittoria del capitalismo», anzi, le
contraddizioni insite nell’attuale sistema economico e
finanziario, se lette con feconda apertura di pensiero, consentono
tuttora l’efficace intervento «dell’Anarchia,
non più confinata a una questione di tipo ideologico
ma proposta come un’entusiastica assunzione di responsabilità
individuale per costruire collettivamente una vita degna di
essere vissuta».
Salvo Vaccaro, senza dubbio uno dei più
attenti interpreti dell’anarchismo contemporaneo, ha curato
inoltre una preziosa antologia, Pensare altrimenti.
Anarchismo e filosofia radicale del novecento,
Milano, Elèuthera,
2011, con scritti di Abensour, Call, Colson,
Critchley, Jun, May e Newman. Questo volume «raccoglie
un’idea forte: l’anarchismo può rilanciarsi
come ipotesi adeguata per interpretare e cambiare il mondo d’oggi
a patto di aprirsi ai contributi di alcuni studiosi non anarchici
– Deleuze, Derrida, Foucault, Lévinas – le
cui idee sono in grande sintonia con quelle anarchiche e, se
declinate in senso libertario, in grado di affiancarle in un
percorso di radicale liberazione dal dominio». Come si
vede, una sfida azzardata ma anche ricca di nuove prospettive,
intesa a ridare al pensiero antiautoritario una funzione e un
ruolo adatti alle problematiche del ventunesimo secolo.
Nel campo di una sintesi fra anarchismo e scienze sociali si
inserisce il lavoro del noto psicanalista franco-argentino Eduardo
Colombo, Lo spazio politico dell’anarchia,
Milano, Elèuthera,
2009. Si tratta di una riflessione ad ampio
raggio sulla storica contrapposizione fra Stato, inteso come
“espropriazione” dello spazio pubblico, e società
anarchica, realizzazione compiuta della riappropriazione da
parte del cittadino dello spazio pubblico usurpato dal potere.
Quindi anarchia come «figura di uno spazio politico non
gerarchico organizzato per e dall’autonomia del soggetto
dell’azione» sociale stessa. Anche qui vediamo la
felice attuazione di un obiettivo rivolto a ridare attualità
ed efficacia al pensiero e all’azione degli anarchici.
Noam Chomsky è senza dubbio una delle
figure più interessanti e rappresentative della cosiddetta
new left e spesso le sue riflessioni hanno intercettato
il pensiero anarchico. Nessuna meraviglia, quindi, per questo
Anarchismo. Contro i modelli culturali imposti,
Milano, Tropea, 2008.
In questa raccolta di saggi, usciti fra il 1970 e il 1996 l’autore,
come scrive Goffredo Fofi, «si confronta con la miglior
tradizione liberale, con quella del socialismo libertario, del
marxismo nelle acquisizioni e constatazioni che giudica valide,
dell’anarcosindacalismo e naturalmente con i movimenti
di protesta nei quali la storia del ventesimo secolo lo ha fatto
imbattere». Opera senza dubbio ricca di stimoli penetranti
e puntuali nella analisi della società attuale e della
potenzialità trasformatrice insita nelle teorie con le
quali fino ad oggi si è manifestato il pensiero libertario.
Da una prospettiva antropologica parte invece il lungo saggio
di Stefano Boni, Culture e poteri.
Un approccio antropologico, Milano,
Elèuthera, 2011, nel
quale l’autore, docente di Antropologia culturale e Antropologia
politica, studia tanto lo sviluppo delle culture egualitarie
che ancora attraversano la società attuale, quanto le
manifestazioni attraverso le quali il potere si misura con la
società, sviluppando, senza remore né debolezze,
tutta la sua forza, ora semplicemente coercitiva, ora decisamente
repressiva. La via d’uscita, secondo l’autore, sta
nella convinzione che «è possibile sottrarsi a
un dominio tanto invisibile quanto opprimente, istituito nell’ordine
della normalità, e affermare creativamente saperi, prassi
e valori sovversivi». David Graeber è
una delle personalità più interessanti nel campo
della nuova cultura libertaria, capace di operare una felice
contaminazione fra pensiero libertario e ricerca antropologica.
Nella Critica della democrazia occidentale. Nuovi
movimenti, crisi dello Stato, democrazia diretta,
Milano, Elèuthera,
2012, riconsidera il concetto di democrazia,
mostrando come l’uso strumentale che si fa di questo sistema
partecipativo nell’occidente industrializzato, è
assolutamente riduttivo: da un lato non tiene conto dei processi
egualitari che sempre più stanno affiorando autonomamente
nella società, e dall’altro rimarca il fallimento
del «progetto di coniugare le procedure democratiche con
i meccanismi coercitivi dello Stato». Insomma, il problema
di sempre affrontato con intelligenza da nuove prospettive.
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David
Graeber |
Che l’anarchismo possa e debba ancora avere un ruolo
adeguato alla ricchezza del suo messaggio è la convinzione
non solo nostra ma anche di uno storico collaboratore di «A».
Infatti ne scrive con convincimento Andrea Papi,
Per un nuovo umanesimo anarchico. Realismo di un
progetto libertario, Milano,
Zero in Condotta, 2009. Come
si vede già dal sottotitolo, è di realismo che
parla l’autore, in netta contrapposizione con quella stereotipata
immagine legata all’utopia, con la quale si vorrebbe ridurre,
anche contro la storia del XX secolo, l’esperienza storica
dell’anarchismo. È un ottimismo, il suo, che non
ci sorprende, conoscendo l’impegno e la volontà
con i quali ha contribuito, in questi anni, a dare concretezza
all’azione e al pensiero degli anarchici, un ottimismo
che in queste pagine trova nuove forme espressive e propositive.
Senza dubbio eterodossi, ma altrettanto indubitabilmente di
poco spessore e, a mio giudizio, di ben poca utilità,
due volumi usciti recentemente. Il primo, di Roberto
Bertoldo, poeta e filosofo, reca un titolo decisamente
provocatorio: Anarchismo senza anarchia. Idee per
una democrazia anarchica, Milano, Mimesis,
2009. Si tratta di un testo che, «partendo da
una rivalutazione assiologica del mondo (detta ‘nullismo’)
e dalla sua comprensione (mediante la ‘fenomenognomica’),
rifonda l’anarchismo su principi umanitari (la vita) e
logici (l’onestà)». Il tutto spiegato in
capitoli quali «In quale misura la proprietà privata
è un valore», «L’anarchismo e la mafia»
e «Amoralità dell’etica anarchica».
Come si vede un testo che, per chi avesse la pazienza di leggerlo,
potrebbe offrire non pochi momenti di puro nervosismo. Di altro
tenore, ma sostanzialmente della stessa utilità, di Massimo
Fabio Nicosia, Il dittatore libertario.
Anarchia analitica tra comunismo di mercato, rendita di esistenza
e sovranità share, Torino, Giappichelli,
2011. L’autore, filosofo del diritto, è
un convinto mercatista e assertore dell’anarco-capitalismo,
e numerosi sono i suoi rimandi ai vari Rothbard, Nozick e compagnia.
Personalmente, per decidere di non approfondirne la lettura,
mi è bastato il seguente esergo: «Ai sessantottini
di domani perché abbiano idee migliori di quelle di ieri»,
anche se mi rendo conto che questa mia affermazione è
quanto di più soggettivo possa esserci.
Sostanzialmente sullo stesso argomento, anche se a partire da
spunti diversi, due testi molto critici nei confronti del lavoro,
inteso come valore fondamentale della società. Si tratta
di Lavoro? No grazie! di Alberto
Tognola per le Edizioni la Baronata, Lugano,
2011 e di Contro il lavoro,
Milano, Elèuthera, 2011 di Philippe
Godard. Tognola affronta l’argomento con serietà,
ma anche con la scanzonata ironia destinata a chi dell’etica
del lavoro ha fatto una religione. Non mancando di illustrare
le molte alternative al lavoro non liberato, sia quelle storiche
basate sulla pratica dell’autogestione, sia quelle possibili,
una volta che ci si sia affrancati dall’esiziale concetto
di «crescita del Pil». Insomma, per l’autore,
come recita la copertina «La vita è altrove».
Anche per Godard la religione del lavoro è un concetto
da rifiutare integralmente, e infatti «l’esaltazione
del lavoro, dimenticando i rapporti gerarchici che stanno al
centro del mondo del lavoro, presenta l’enorme vantaggio
ideologico di riunire sotto lo stesso vessillo sfruttatori e
sfruttati, quanto meno quegli sfruttati che hanno un lavoro».
Che fare, dunque? Forse una risposta l’aveva già
data un classico, un anarchico socialista inglese ottocentesco
che tanto ha contribuito, non solo col pensiero ma anche coi
fatti, a rendere concreta l’ipotesi del lavoro liberato.
Si tratta di William Morris, filosofo, artista
e romanziere (Lavoro utile, fatica inutile,
Roma, Donzelli, 2009) che trasferì dalle
pagine del suo romanzo Notizie da nessun luogo, l’utopia
realizzata del «lavoro come piacere», un lavoro
non finalizzato al profitto ma «a gratificare il nostro
naturale istinto a ricercare la bellezza e la piacevolezza».
E chi conosce la produzione del movimento da lui creato, «Arts
and Crafts», sa che Morris faceva sul serio.
L’Archivio Germinal di Carrara ha organizzato recentemente
un ciclo di otto riuscite conferenze-dibattito su numerosi temi
concernenti le molte forme del “controllo sociale”.
Varie le tematiche e le prospettive da cui sono partiti i relatori;
tutte interessanti ed utili per approfondire la ricerca degli
strumenti con i quali affrontare queste nuove emergenze. Opportunamente
gli organizzatori del ciclo di incontri hanno ritenuto utile
“socializzare” la loro esperienza pubblicando i
testi delle relazioni nel volume SottoControllo.
Scritti sul controllo sociale, Carrara,
Biblioteca Archivio Germinal, 2012. Di tutt’altro
tono il volume Comunisti Anarchici una questione
di classe. Teoria e strategia della FdCA, Giovane
Talpa, 2009, in cui Saverio Craparo
ha condensato l’esperienza teorica e militante dell’ormai
storica Federazione dei Comunisti Anarchici. L’autore
è un esponente di tale organizzazione da lunga data e
la sua consolidata esperienza gli ha permesso di affrontare
questo tema, apparentemente semplice, con rigore e capacità
comunicativa, aprendo così una finestra su una interpretazione
dell’anarchismo che, anche se per molti controversa, appartiene
al nostro patrimonio teorico ed ideale. Nello stesso contesto
ideologico si colloca il testo curato da Nestor McNab,
Manifesto del Comunismo Libertario. Georges Fontenis
e il movimento anarchico francese, Fano,
Centro Documentazione Franco Salomone, 2011. Accanto
a una breve biografia di Fontenis, forse il padre fondatore
del comunismo libertario prima in Francia poi in Italia, compare
anche, integralmente, il documento programmatico di questa forma
organizzativa, quel Manifesto che già al suo apparire
creò non poco scompiglio nella Federazione Francese e
che successivamente avrebbe coagulato attorno alle proprie formulazioni
teoriche e pratiche una parte consistente dell’anarchismo
organizzato. Arricchito da numerose appendici, è sicuramente
utile per comprendere appieno la variegata galassia del movimento
libertario internazionale.
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Georges
Fontenis |
Interrogativi forti, su come dare maggiore concretezza all’impegno
degli anarchici, se li pongono Odoteo/Crisso
nell’opuscolo Ma chi ha detto che non c’è,
Portland, L’oro del tempo, 2011. Stretti
fra le proprie tensioni e le imposture messe in atto dallo Stato,
gli autori esprimono il timore che «a furia di mimetizzarsi
fra gli altri, si finisca con il rinunciare a se stessi»
per cui ritengono che occorra «saper riprendere le distanze
[…] osare andare contro il proprio tempo». Interessante,
ma anche controverso nelle analisi e nelle conclusioni, il lavoro
di Michele Fabiani, Sperimentiamo
l’Anarchia, Perugia, Era Nuova,
2009, pubblicazione nella quale «sono raccolti
alcuni dei più importanti articoli scritti prima, durante
e dopo la carcerazione» dell’autore. Per finire,
per una volta parlerò di un breve lavoro di Alfredo
M. Bonanno, La tensione anarchica,
Trieste, Anarchismo, 2007, che ha come incipit
questa apodittica affermazione: «L’anarchismo non
è solo un movimento politico, l’anarchismo è
quella tensione della vita, quella qualità, quella forza
che riusciamo a fare uscire da noi stessi cambiando la realtà
delle cose». L’interesse principale sta nel fatto
che si tratta di una sorta di summa teorica sui gruppi
d’affinità e sulle organizzazioni informali, le
cui funzioni e finalità vengono puntualmente spiegate.
Anche se mi trova poco d’accordo, va detto che l’opuscolo
riveste una sua utilità perché permette di fare
chiarezza su tante cose oggi, indubbiamente, d’attualità.
Per una visione più completa della figura di Bonanno
e della sua infinita produzione editoriale, si rimanda a Non
ancora, il catalogo delle Edizioni Anarchismo
aggiornato al 2012.
COME FARCI CAPIRE E COSA FAR CAPIRE
Per Elèuthera, la casa editrice più
attenta alle tematiche del “nuovo” anarchismo, un
altro lavoro inteso a fornire nuovi stimoli per approfondire
compiutamente le tante potenzialità del pensiero libertario.
Parliamo di Francesco Codello, Né
obbedire né comandare. Lessico libertario,
Milano, 2009. L’autore, storico collaboratore
di «A Rivista» e da sempre impegnato nel campo dell’educazione,
presenta un lemmario apparentemente eterogeneo ma, nei fatti,
accomunato da un’interpretazione coerentemente antiautoritaria.
Troviamo così in parole “distanti” come Autogestione,
Depressione, Obbedienza, Rivolta, Mutualismo, ecc. uno stesso
filo logico-descrittivo, utile per decifrare in senso libertario
l’attualità del presente. In un altro volume, Gli
anarchismi. Una breve introduzione, Lugano,
La Baronata, 2009, lo stesso Codello,
mostra quanto il pensiero anarchico si sia espresso, storicamente,
nelle sue diverse forme. Infatti «questo libro è
una introduzione alle idee classiche e ai diversi tipi di anarchismo
così come si sono presentati nel corso della storia e
come ci appaiono oggi». Suddiviso in tre parti, Gli
anarchismi, Uno sguardo anarchico e Problemi
aperti, il volume rappresenta uno strumento utile per comprendere,
e apprezzare, la pluralità del pensiero libertario.
Un’altra raccolta di voci è quella pubblicata dalla
BFS ad opera di Pier Carlo Masini,
Le parole del Novecento, Pisa,
2010. Giorgio Manzini ricostruisce nell’introduzione
la genesi di questa singolare summa. Sono gli articoli tematici
che Masini scriveva negli anni Settanta per «Il Giornale
Nuovo» di Montanelli, articoli nei quali l’autore
illustrava da un punto di vista singolare e scevro da preconcetti
alcune delle parole chiave del Novecento. Tanto per capire:
Egemonia, Anarchia, Massone, Stati Uniti d’Europa, Socialismo
Liberale… Per chi abbia dimestichezza con i lavori di
Masini, è facile immaginare la piacevolezza di una lettura
tanto ricca e stimolante quanto originale. Dopo le antologie,
una sorta di dizionario: Giuseppe Vottari,
Anarchismo, Milano, Alpha
Test, 2007, dove sono riportate un centinaio di voci,
molte anarchiche, molte che con l’anarchismo hanno solo
una certa attinenza. La silloge potrebbe sembrare una forzatura
e invece si rivela utile perché rende conto dei legami,
a volte palesi a volte sotterranei, fra anarchismo e società.
Troviamo così, accanto agli immancabili Reclus, Malatesta,
Umanità Nova e Sacco e Vanzetti, pensatori e artisti
quali Castoriadis, Jean Vigo, Lewis Mumford. Un altro modo per
spiegare con parole semplici ma con profondità la complessità
della teoria e della metodologia anarchica è quello scelto
da un compagno di vecchia data, Pippo Gurrieri,
che ne L’anarchia spiegata a mia figlia,
Pisa, Biblioteca Franco Serantini,
2010, affronta i fondamenti dell’anarchismo.
Infatti, «nel corso di una ipotetica giornata, incalzato
dalle domande della figlia, un padre affronta con sincerità
intellettuale e innegabile passione politica i temi che da sempre
animano il dibattito e l’azione degli anarchici».
Un pamphlet utile per la propaganda e particolarmente
indovinato come concezione.
Non si può dire che non sia d’attualità
l’argomento affrontato, con dovizia di materiale, dalle
edizioni Gratis, che nel volume In
Ordine sparso. Genealogia dell’organizzazione informale,
Firenze, 2012, raccolgono una ricca antologia
di testi, in gran parte risalenti al periodo prebellico, di
ambito individualista e antiorganizzatore. Se l’obiettivo
era dimostrare che l’informalità organizzativa
appartiene a pieno titolo al pensiero e alla pratica anarchica
(mi pare che questo nessuno l’abbia mai messo in dubbio),
esso è stato pienamente raggiunto; se era invece quello
di attribuire maggiore coerenza all’ipotesi individualista
rispetto a quella associativa e federalista, penso che una rilettura
di Malatesta non possa che giovare tanto agli editori quanto
agli eventuali lettori.
Dovrebbe essere l’inizio di una nuova collana il volume
a cura di Mimmo Pucciarelli, Intervista
agli anarchici, Nico Berti, Lione e Casalvelino,
Atelier Creation Libertarie e Galzerano, 2009,
anche se fino ad ora è l’unico pubblicato.
Nico Berti, storico e professore ordinario all’Università
di Padova, è uno dei compagni di più lungo corso,
infatti la sua adesione all’anarchismo risale alla metà
degli anni Sessanta. Studioso di valore e autore di importanti
volumi sulla storia del movimento, da un punto di vista teorico
possiamo ormai considerarlo più vicino al liberalismo
sociale che non all’anarchismo tradizionale e infatti
in queste pagine apprezziamo la ricchezza di un pensiero eterodosso
e aperto ad “altri” stimoli, pieno di interrogativi
che chiedono risposte diverse da quelle della militanza in senso
stretto. Come una sorta di sussidiario, chiaro e di agevole
lettura, si presenta l’opuscoletto prodotto dal Gruppo
Malatesta di Roma, A come Anarchia,
Roma, Gr. Malatesta, 2008, subito ripreso dalle
edizioni bolognesi Atemporali l’anno
successivo. Nato dalle conversazioni in quattro serate tenutesi
nel circolo romano, il testo affronta tutte le tematiche che
riguardano il pensiero e la proposta anarchica, ripercorrendo
alcune fra le tappe più significative della storia dell’anarchismo.
Interessanti non solo le brevi note che rispondono ai più
frequenti luoghi comuni che ci riguardano, ma anche le risposte
alle classiche domande: ma insomma, gli anarchici cosa vogliono
e come pensano di realizzarlo? Nonostante le dimensioni ridotte
dell’opuscolo, resta comunque un ottimo strumento per
chi si avvicina pieno di curiosità al pensiero libertario.
LE AMERICHE
Come sempre, varcando i “confini anarchici” del
nostro paese, si finisce in America, in Russia, in Spagna, in
Francia, là dove la presenza rivoluzionaria dell’anarchismo
è stata più significativa. Partiamo dal nuovo
continente, e per l’esattezza dall’emisfero meridionale.
L’Argentina, secondo la felice definizione del direttore
d’orchestra Barenboim, è l’unico paese italiano
dove si parla spagnolo: a significare la massiccia presenza
di immigrati italiani. Per averne un saggio, è sufficiente
sfogliare le pagine del libro di Oscar Greco,
Da emigranti a ribelli. Storie di anarchici calabresi
in Argentina, Cosenza, Klipper, 2009,
dove si narra la storia della numerosa colonia di proletari
calabresi che, portando oltre oceano la voglia di riscatto e
il desiderio di una vita migliore, contribuirono significativamente
a dare forza e nerbo a quel proletariato argentino che li aveva
accolti come fratelli. È sorprendente vedere come questi
semplici operai, braccianti, artigiani e contadini siano riusciti
a fare propri i valori di solidarietà ed emancipazione
con i quali si confrontavano per la prima volta, e a trasformare
in felice contaminazione l’inevitabile “urto”
che li attendeva nel momento in cui si sono dovuti misurare
con la complessa vita sociale del paese che li accoglieva. Va
dato merito a Greco di aver ricostruito con partecipazione la
trasformazione ideale che accomunò tante esistenze, altrimenti
destinate a non lasciare alcun segno nella storia.
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Foto
segnaletica
di Di Giovanni, 8 giugno 1925 |
È inevitabile, quando si parla dell’anarchismo
argentino degli anni Trenta, imbattersi nella figura di Severino
Di Giovanni. Agenzia X di Milano
ripubblica nel 2011 l’ormai classica
biografia di Osvaldo Bayer, Severino
Di Giovanni. C’era una volta in America del Sud.
Uscito una prima volta nella Collana Vallera nel 1973, il libro
narra le burrascose, discusse e tragiche vicende del rivoluzionario
abruzzese, che in Argentina condusse una dura lotta contro lo
Stato ma anche, a tratti, contro altre componenti del movimento
anarchico. Leggerne le imprese, dalle prime rapine all’attività
editoriale, dalla clandestinità alla morte affrontata
con grande coraggio, è come affrontare uno spaccato romanzesco
e avventuroso della vita tumultuosa di quel paese, e indubbiamente
l’efficace scrittura dell’autore ne rende ancora
più interessante la lettura. Restando all’Argentina,
sempre di Osvaldo Bayer, Patagonia
rebelde. Una storia di gauchos, bandoleros, anarchici, latifondisti
e militari nell’Argentina degli anni Venti,
Milano, Elèuthera, 2009. Anche questo
è un libro avvincente, che narra una storia, come tante
altre in America, di disperata ribellione e di feroce repressione:
la storia di uno sciopero “all’ultimo sangue”
che vide contrapposti, nella Patagonia degli anni Venti, un’armata
“stracciona” di gauchos, contadini e sindacalisti,
e i grandi e voraci latifondisti, che trovarono nel macellaio
dell’esercito Héctor Benigno Varela il fedele e
convinto esecutore dei loro ordini criminali. Ancora una volta
una storia tragica, che vede soccombere nelle infernali prigioni
della Terra del Fuoco, quanti, fra i ribelli, erano riusciti
a sfuggire alla morte. Ma che vede anche un “angelo vendicatore”
che saprà rendere giustizia ai fratelli massacrati. Lasciamo
l’Argentina con un opuscolo che mostra come in questo
tormentato paese il proletariato e gli anarchici abbiano sempre
dovuto confrontarsi duramente con la criminalità del
potere: Resistencia Libertaria, L’opposizione
armata anarchica all’ultima dittatura argentina,
Berlino, Salamandrina Edizioni Libertarie, 2005.
Si tratta di un’intervista con Fernando Lopez, uno degli
ultimi esponenti di questa formazione clandestina, nella quale
si ripercorrono le tragedie che colpirono migliaia di oppositori
del regime, uccisi nelle strade o fatti scomparire per sempre
nel buio delle caserme dai macellai in divisa.
Di tutt’altro tenore, ma non meno interessante, il recentissimo
volume di Augusto “Chacho” Andrés,
Truffare una banca… che piacere!,
Milano, Zero in Condotta, 2012. Questa volta
siamo in Uruguay, altro paese latinoamericano dove la presenza
anarchica è stata massiccia e importante. E dove, come
nella vicina Argentina, la pesante mano del potere ha fatto
ciclicamente sentire la sua torbida presenza. E anche qui incontriamo
personaggi particolari, dalle vite avventurose e piene di non
voluti imprevisti; e infatti «questo libro racconta di
fughe da carceri e caserme, di assalti a banche, sequestri,
truffe, falsificazioni, storie di clandestinità. Memorie
di personaggi cari che non sono ‘grandi uomini’,
bensì persone semplici, di sentimento e di passione».
E molti di questi accomunati da un destino simile, o la morte
combattendo contro il potere o la dissoluzione nelle tante carceri
dove i desaparecidos hanno transitato per l’ultimo
viaggio.
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Argentina,
'Semana Tragica', 1919 |
Il libro di Ricardo Mella, 1°
Maggio. I martiri di Chicago, Milano,
Zero in Condotta, 2009 ci porta nell’emisfero
nord. L’autore, anarchico spagnolo fra i fondatori della
Associazione Internazionale dei Lavoratori nella seconda metà
dell’800, ha vissuto in contemporanea gli avvenimenti
di cui narra, la bomba alla manifestazione di Haymarket, il
processo e l’impiccagione degli anarchici di Chicago,
la nascita del 1° Maggio come giornata internazionale dedicata
al lavoro. Le vicende sono note e il pregio del libro, oltre
alla narrazione intensamente partecipata, è anche quello
di contribuire a denunciare la progressiva involuzione che ha
trasformato una giornata di lotta in una inoffensiva e forse
inutile giornata di festa. Una vera curiosità è
la storia narrata da Robert Tanzilo, Milwaukee
1917. Uno scontro tra italoamericani, Foligno,
Editoriale Umbra, 2006, una vicenda sconosciuta che
vide gli anarchici del Circolo Sociale di quella città
scontrarsi con la polizia schierata a difesa del comizio del
pastore protestante August Giuliani. Due furono gli anarchici
uccisi e altri undici arrestati e condannati a 25 anni di prigione.
Per essere poi “liberati” e quindi deportati, come
tanti altri sovversivi, in Italia. L’epilogo pochi mesi
dopo, quando una bomba, mai rivendicata ma della quale possiamo
immaginare gli autori, esplose nella stazione di polizia uccidendo
9 agenti.
Ancora oggi, a distanza di tanti anni, continua a mantenersi
vivo l’interesse per Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.
La letteratura su di loro è ormai vastissima, eppure
c’è sempre qualche contributo da aggiungere. Uno
di questi, particolarmente prezioso, è quello che raccoglie
lettere e scritti in gran parte inediti indirizzati da Sacco
e Vanzetti a corrispondenti in gran parte americani. Il volume
Nicola Sacco-Bartolomeo Vanzetti, Altri
dovrebbero aver paura. Lettere e testimonianze inedite,
Roma, Nova Delphi, 2012 raccoglie infatti la
copiosa corrispondenza che i due intrattennero con numerose
personalità della cultura e della società nordamericana
durante la loro lunga detenzione. Si tratta di materiale in
gran parte inedito che il curatore Andrea Comincini
ha tradotto per la prima volta dall’inglese. È
interessante sapere, come spiegato nell’introduzione,
che per comunicare con i corrispondenti americani i due erano
obbligati a scrivere le missive in inglese, probabilmente perché
le autorità temevano messaggi cifrati se scritti in italiano.
Questo spiega anche come mai si tratti, in larghissima parte,
di lettere di Vanzetti, il quale, a differenza del compagno
di sventura, padroneggiava in modo pressoché esemplare
la lingua del paese che prima lo aveva ospitato e poi lo avrebbe
mandato a morte. Arricchiscono il volume la presentazione di
Valerio Evangelisti e una breve postfazione
di Andrea Camilleri.
Sempre interessante, anche se per altri aspetti, la testimonianza
di una nipote di Sacco, Maria Fernanda Sacco,
I miei ricordi di una tragedia familiare,
Apricena, Malatesta editrice, 2010. Centrata
sulla questione razziale e sulla richiesta dell’abolizione
della pena di morte, la ricostruzione dell’autrice è
soprattutto attenta più a denunciare le palesi illegalità
con le quali furono condotti tutti i processi che non a mettere
in risalto la volontà dello Stato del Massachusetts di
colpire nei due italiani il “pericolo” sovversivo
che rappresentavano. Mettendo in secondo piano, in un certo
senso, la loro identità anarchica. Anche Roberto
Iurza e Letizia Barreca nel loro Sacco
e Vanzetti. Un processo razziale, Milano,
Over Mind, 2008 (edizione con ricca iconografia), pur
non tacendo le motivazioni politiche che hanno informato la
protervia della giustizia americana, vedono nella origine italiana
di Sacco e Vanzetti il motivo principale della loro condanna
ed esecuzione, facendo anche un “ardito” parallelo
con la recente vicenda di Silvia Baraldini. Non si dimentichi
che gli italiani erano, in quegli anni, fra i paria delle etnie
che componevano il mosaico nordamericano. Quella di Carlo
Capuano, L’ultima sera di Bartolomeo
Vanzetti, Cosenza, Città del Sole,
2011, è una sorta di orazione laica, preceduta
da una succinta ricostruzione dei fatti. L’autore, con
intensa e profonda empatia per Bart, immagina che il condannato
a morte ripercorra, in una sorta di sogno, la sua vita passata,
i sogni di una vita migliore, l’impegno sociale, l’amicizia
con Nicola. Non su Vanzetti, ma di Vanzetti,
altri tre testi: Non piangete la mia morte,
Firenze, Barbes, 2009 e Roma, Nova
Delphi, 2010 e Per l’abolizione di
ogni autorità. Lettere su sindacati e sindacalismo,
Villafalletto, Il Picconiere, 2007. I primi
due volumi (riedizioni degli scritti già pubblicati da
Galzerano) raccolgono la breve autobiografia dal titolo Una
vita proletaria, numerose lettere e le bellissime, commoventi
ultime parole pronunciate prima del verdetto finale; nel secondo
volume (riedizione dei testi usciti nel 1957 per l’Antistato
di Cesena) sono raccolte sei lunghe lettere, tutte su tematiche
sindacali. Due riproposte utili per tenere in vita, di Sacco
e Vanzetti, non solo il ricordo delle sofferenze patite, ma
anche la luminosità del pensiero. Infine, a testimonianza
di un interesse che non viene mai a mancare, un’altra
raccolta di lettere dal carcere, questa volta di entrambi i
giustiziati, a cura di Lorenzo Tibaldo, Nicola
Sacco e Bartolomeo Vanzetti, Lettere e scritti dal carcere,
Torino, Claudiana, 2012. Un bel volume di più
di 300 pagine, con lettere e scritti apparsi anche su periodici
americani dopo la loro morte, in buona parte inediti in italiano.
Senz’altro un utile strumento per comprendere più
compiutamente lo spessore umano e politico di questi due anarchici,
divenuti famosi per la grandiosità della tragedia vissuta,
ma che non finiscono di sorprendere per le qualità civili
e morali che seppero mostrare di fronte al potere che li voleva
morti a tutti i costi.
LA SPAGNA
Passando alla Spagna, va segnalata la riedizione di un classico
della saggistica sulla guerra civile e sull’anarchismo
spagnolo. Parliamo della riproposta della fondamentale biografia
di Abel Paz (pseudonimo di Diego Camacho),
Durruti e la rivoluziona spagnola,
Pisa - Milano - Ragusa, Biblioteca Franco Serantini,
Zero in Condotta, La Fiaccola, 2010. Uscita in Italia
in due volumi nel 1999-2000, è senz’altro la più
completa biografia del leggendario rivoluzionario Buenaventura
Durruti, quella che meglio ci restituisce questa splendida figura
di anarchico che dedicò la propria esistenza, tragicamente
interrotta sul fronte di Madrid nel 1936, alla causa della trasformazione
rivoluzionaria della società. Alla guida della omonima
Colonna formata da volontari anarchici e anarcosindacalisti,
Durruti rappresentò nella forma più piena lo spirito
e l’ardore con il quale il popolo spagnolo si oppose ai
generali felloni che volevano imporre la dittatura fascista
su tutta la Spagna. Abel Paz, che fu giovanissimo volontario
nelle milizie anarchiche, ha saputo integrare la propria passione
di militante con il rigore dello storico, ricostruendo in tutte
le sue sfaccettature la complessità della rivoluzione
libertaria e della lunga guerra civile. Da segnalare il cd che
accompagna il libro, sulla avventurosa esistenza di Diego Camacho.
Altrettanto importante, soprattutto come momento di riflessione,
il volume Anarchia e potere nella Guerra civile
spagnola (1936-1939), Milano, Elèuthera,
2009, nel quale lo storico Claudio Venza
affronta gli aspetti più controversi dell’esperienza
anarchica in quegli anni. Venza non è solo lo studioso
di valore che conosciamo, ma anche un anarchico, e queste due
componenti si integrano perfettamente nel suo lavoro. Da una
parte c’è la ricostruzione minuziosa delle straordinarie
esperienze autogestionarie messe in atto dal popolo spagnolo,
abituato da anni a quella ginnastica rivoluzionaria che gli
avrebbe permesso di affrontare senza esitazioni le sfide imposte
dalla storia; dall’altra rivestono un interesse ancora
attuale le considerazioni e le scomode domande sulle contraddizioni
che avrebbero tormentato un movimento da sempre contro il potere
ma che, spinto dalle necessità della guerra e della rivoluzione,
fu costretto a farsi potere esso stesso. Bellissimo il cd allegato,
contenente il documentario girato nel 1936, Fury over the
Spain, riproposto nel commento di Pino Cacucci e con le
voci di Paolo Rossi e Francesca Gatto.
Restando agli anni della Guerra civile, è da segnalare
un opuscolo sfuggito nella mia precedente bibliografia. Si tratta
ancora una volta di una riedizione, la famosa Protesta
davanti ai libertari del presente e del futuro sulle capitolazioni
del 1937, Torino, Nautilus, 2006, che
un anonimo Incontrolado della mitica Colonna
di Ferro ha lasciato come drammatica testimonianza. Scritto
senza concedere attenuanti alle scelte “governative”
operate dai vertici della Confederación Nacional del
Trabajo, l’autore, militante nella più intransigente,
e quindi più contrastata, formazione anarchica in armi,
pronuncia un’appassionata difesa delle conquiste rivoluzionarie
attuate in pochi mesi dal popolo spagnolo, conquiste dapprima
“tradite” dagli stessi che le avevano favorite,
e quindi stroncate dalla controrivoluzione stalinista, decisa
a soffocare qualsiasi tentativo di autonomia dalla propria letale
influenza.
|
Antifascisti
italiani in partenza per la Spagna |
Di tutt’altro tenore è Miliziano
e operaio agricolo in una collettività in Spagna,
che contiene il ricordo dell’esperienza a fianco degli
anarchici spagnoli scritto da Nils Lätt,
l’anarcosindacalista svedese che non si limitò
a combattere nelle brigate rivoluzionarie ma partecipò
attivamente al lavoro contadino nelle collettività aragonesi.
Curato da Renato Simoni e pubblicato nel 2012
da La Baronata di Lugano,
questo volume riporta, in appendice, il breve saggio di Marianne
Enckell Sui volontari svedesi nella Guerra di Spagna. Altro
esempio di questo filone storiografico è l’accurata
ricostruzione delle biografie degli antifascisti bresciani che
combatterono volontari in Spagna. Preceduto da un lungo excursus
storico, questo bel lavoro di Roberto Cucchini,
I soldati della buona ventura (militanti antifascisti
bresciani nella guerra civile spagnola), Rudiano,
Gam Editrice, 2009, presenta i ritratti dei 60 bresciani
che, dall’esilio o dall’Italia, accorsero a combattere
a fianco del popolo spagnolo. Si tratta di un lavoro particolarmente
prezioso, che dovrebbe essere integrato, se fosse possibile,
da altri lavori paralleli che contribuissero a ridarci le vite
e i caratteri dei miliziani accorsi in Spagna. Una generazione
irripetibile che visse un’esperienza senza eguali, e che
proprio per questo dovrebbe trovare, come accade in questo libro,
il proprio posto non solo nella memoria di chi non dimentica,
ma anche nelle pagine dei libri di storia.
La grandiosa risposta che il proletariato spagnolo e quello
barcellonese in particolare seppero dare all’alzamiento
dei generali nel 1936 non nacque certo per caso, ma fu frutto
della lunga pratica rivoluzionaria che gli anarchici avevano
esercitato per anni. Duri momenti di lotta e gloriosi momenti
nel processo di emancipazione, narrati nel bel libro di Lorenzo
Micheli, Los olvidados. Di anarchici e
di anarchia, Ragusa, La Fiaccola, 2011.
Si tratta della descrizione della unicità della capitale
catalana, una fucina rivoluzionaria che vide nelle sue strade
il durissimo, tragico e sanguinoso scontro fra i prezzolati
sicari di un padronato di rapina e i difensori dell’agibilità
sindacale, pronti a rintuzzare, con le stesse armi, le pratiche
criminali dei pistoleros pagati per uccidere a freddo
i militanti sindacali più in vista. Una vera guerra,
con centinaia di morti da entrambe le parti, che fece della
Barcellona di quegli anni il paradigma della ineluttabilità
dello scontro sanguinoso quando a confrontarsi erano una borghesia
banditesca e refrattaria a qualsiasi concessione e un proletariato
sindacalizzato pronto a difendere, spesso con la vita, il proprio
diritto all’esistenza. Sempre della Spagna tratta il corposo
saggio di Fulvio Caporale, Il sogno
anarchico. Storia dei sindacati anarchici a Barcellona 1906-1915,
Acquaviva delle Fonti, Acquaviva, 2008. Come
recita il titolo, l’argomento è la nascita della
Cnt e le prime e dure lotte operaie che vedono il progressivo
affermarsi delle idee e delle pratiche anarcosindacaliste, premesse
per lo sviluppo impetuoso del sindacalismo anarchico confederale.
Si tratta di un argomento e di un periodo poco praticati dalla
storiografia, e l’accurata ricerca di Caporale permette
di approfondire alcuni elementi fra i meno conosciuti della
storia rivoluzionaria del popolo spagnolo.
STRAGE DI STATO
Sono passati decenni, ma la strage di piazza Fontana, con quanto
ne è seguito, continua a far discutere e a interessare
chi non vuole dimenticare la tragedia che ha contribuito a cambiare
il corso della storia d’Italia nel secondo dopoguerra.
Sono tanti, infatti, i libri che, in occasione del quarantennale
della strage, prendono in esame, anche se da diverse angolature,
il dramma del 12 dicembre del 1969. Francesco Barilli
e Matteo Fenoglio nel volume Piazza
Fontana, Pordenone, Becco Giallo, 2009,
affrontano il tema da una prospettiva decisamente originale:
quella del racconto a fumetti, corredato da una attenta cronologia,
dalle interessanti note dello sceneggiatore e dalla prefazione
di Aldo Giannuli, uno dei massimi esperti italiani nel campo
dei Servizi segreti e delle losche trame statali. Sempre interessante
anche la lettura delle pagine di Marco Sassano,
uno dei primi cronisti, allora, ad aver capito come effettivamente
stessero le cose e a scriverne sul quotidiano «L’Avanti»,
un tempo glorioso foglio della sinistra e oggi in mano di faccendieri
e truffatori. In Pinelli. La finestra chiusa. Quarant’anni
dopo, Venezia, Marsilio, 2009,
sono riproposti due capitoli de La politica della strage, e
la riedizione completa del famoso Pinelli: un suicidio di Stato.
L’interesse di questa riproposta sta anche nel verificare
come la verità fosse già palese poco dopo quegli
avvenimenti, in maniera inversamente proporzionale alla volontà
delle magistrature di mezza Italia di scrivere la storia con
parole attendibili.
|
Milano,
circolo anarchico 'Ponte della Ghisolfa', 1968
Cesare
Vurchio e Giuseppe Pinelli |
Decisamente ironica nel titolo, e con contenuti militanti,
la pubblicazione curata dalla Unione Sindacale Italiana
- Ait, Ma si sa, gli anarchici volano e
hanno tre gambe, Carrara, 2009.
È una raccolta di testi di vari autori, in gran parte
già pubblicati, nei quali si ribadisce la verità
che tutti conoscono, anche se molti fingono di ignorare, che
Pinelli è stato ucciso, che la strage è stata
opera di fascisti conosciuti, che i Servizi (non i cosiddetti
Servizi deviati, ma i Servizi) hanno coperto i delitti
dello Stato, che Valpreda e gli anarchici avrebbero dovuto fungere
da capri espiatori. Non è mai troppo ripetere queste
conclusioni, anche se per noi ormai sono “ovvietà”.
Più attinenti a momenti specifici altri due libri usciti
recentemente. Il primo è quello a più mani di
Andrea Sceresini, Nicola Palma
e Maria Elena Scandaliato, Piazza
Fontana noi sapevamo. Golpe e stragi di Stato. Le verità
del generale Maletti, Reggio Emilia, Aliberti,
2010, interessante perché raccoglie, forse per
la prima volta, la testimonianza diretta di uno dei protagonisti
delle mene statali, il famigerato Gianadelio Maletti, al tempo
capo del controspionaggio militare poi rifugiatosi in Sudafrica
per sfuggire all’arresto. Come è noto le sue non
furono mai “verità”, bensì sordide
e interessate menzogne atte a coprire le responsabilità
dello Stato nella strage. E ancora una volta questo maestro
del depistaggio si esibisce in una sorta di chiamata in correo
(ora può permetterselo, sicuro dell’impunità
sua e di altri) delle più alte autorità dello
Stato, a conoscenza a suo dire – e c’è da
credergli – dei retroscena di tutte le trame nere e grigie
di quegli anni. Basato anche questo sulle vicende di un singolo
personaggio, ma in questo caso onesto e quindi colpito dalla
repressione dei suoi superiori, il saggio di Antonella
Beccaria e Simona Mammano, Attentato
imminente, Viterbo, Stampa Alternativa,
2009. I due autori, infatti, ricostruiscono le amare
vicende di Pasquale Juliano, nel 1968 commissario alla Questura
di Padova, uno dei primi ad indirizzare le indagini sugli attentati
del 1969 negli ambienti fascisti padovani e veneti e per questo
non solo rimosso dalle indagini ma anche sottoposto a pesanti
provvedimenti disciplinari, tra cui il trasferimento a Ruvo
di Puglia, dove non avrebbe potuto fare danni. Resta la convinzione
che, se non fosse stato fermato, la sua azione avrebbe contribuito
ad ostacolare, se non a fermare, le manovre stragiste del Potere.
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Manifestazione
giovanile in ricordo della strage
di piazza Fontana |
Non potevano mancare, fra i tanti, alcuni lavori che, francamente,
non possiamo che definire strumentali, se non addirittura scorretti.
Roberto Gremmo costruisce un altro tassello
della sua ormai lunga opera di evidente mistificazione della
storia del movimento anarchico con Il triangolo
delle bombe. Gli attentati all’Arcivescovado di Milano
dal 1919 a piazza Fontana, Biella, Storia
Ribelle, 2011. Già dal titolo si possono intuire
le intenzioni dell’autore, che con un fardello di citazioni
gratuite e di improbabili collegamenti costruisce una storia
a suo esclusivo uso e consumo. La sua intenzione, infatti, è
quella di dimostrare, con toni sensazionalisti, la presunta
continuità di fatti risalenti al lontano passato con
quelli relativi alla strategia della tensione. Un puro esercizio
teorico, maldestro e non riuscito. Un altro lavoro “revisionista”
è quello di Massimiliano Griner, Piazza
Fontana e il mito della strategia della tensione,
Torino, Lindau, 2011. Obiettivo principale
dell’autore è destrutturare quelli che ritiene
i luoghi comuni che hanno fatto seguito alla bomba di piazza
Fontana, e quindi riconsiderare da altre prospettive la morte
di Pinelli e la relativa innocenza di Calabresi, il ruolo dello
Stato nella costruzione della strategia e nei suoi depistaggi,
l’importanza della controinformazione militante per arrivare
a una verità condivisa. Insomma, fingendo obiettività
e coraggio, un lavoro teso a ribaltare verità consolidate,
non a caso principalmente impostato sulle dichiarazioni, passate
e recenti, degli ambienti neofascisti che furono coinvolti nelle
indagini. Ben più importante dei due precedenti, se non
altro per la risonanza avuta, l’ormai famoso libro di
Paolo Cucchiarelli, Il segreto
di piazza Fontana, Milano, Ponte alla
Grazie, 2009. Dove si affaccia per la prima volta (e
confidiamo che sia anche l’ultima) la tesi che a compiere
l’attentato di Piazza Fontana siano stati in due: uno
sconosciuto fascista che avrebbe messo la bomba “buona”
e Valpreda (spalleggiato dagli anarchici milanesi e romani)
che, a sua volta, avrebbe messo quella taroccata. Più
di 600 pagine per dimostrare il coinvolgimento degli anarchici
e la sostanziale omertà, se non complicità, di
Pinelli. Questo libro ha suscitato ancor più polemiche
di quelle che avrebbe meritato, in quanto i diritti (e quindi
anche alcuni contenuti) sono stati acquistati dalla casa produttrice
del film di Marco Tullio Giordana, Romanzo di una strage.
Di questo argomento si è parlato abbondantemente anche
su questa rivista, per cui non è il caso di tornarci,
se non per ribadire che le tesi di Cucchiarelli non hanno avuto
credito non solo negli ambienti a noi più vicini, ma
anche presso gli organi statali che, a vario titolo, si sono
occupati di Piazza Fontana, di Valpreda e di Pinelli.
A Cucchiarelli del resto ha risposto, con la durezza che le
sue tesi meritavano, Adriano Sofri nel lungo
saggio 43 anni. Piazza Fontana, un libro, un film,
per ora apparso solo in rete nel 2012 ma probabilmente
destinato alla pubblicazione. Con questo lavoro l’ex leader
di Lotta Continua, già condannato (a mio parere ingiustamente),
per l’assassinio del commissario Calabresi, smonta, con
le capacità dialettiche che gli conosciamo, tutto l’apparato
sul quale sono impostate le considerazioni di Cucchiarelli,
dimostrandone a più riprese l’inconsistenza e la
gratuità. Non si tratta solo di un lavoro di indagine,
peraltro ottimamente riuscito, ma anche di un sentito omaggio
alla memoria di Giuseppe Pinelli. Del resto Adriano Sofri aveva
dedicato al ferroviere anarchico il bel libro La
notte che Pinelli, Palermo, Sellerio,
2009, nel quale ha ricostruito con sensibilità
e precisione l’atmosfera e le drammatiche vicende che
quella notte del 15 dicembre 1969 videro Pinelli precipitare
dalla stanza nella quale Calabresi e i suoi uomini lo stavano
trattenendo illegalmente da quasi tre giorni. Impostato sull’artifizio
retorico di raccontare quelle vicende a una ragazza di vent’anni
che nulla può sapere, Sofri non esita a denunciare, ancora
una volta, le miserie, i sotterfugi, le infamie con le quali
lo Stato e i suoi esecutori si accanirono, mille contro uno,
verso un ferroviere anarchico, tanto innocente quanto determinato
a resistere alla criminalità delle istituzioni.
Per finire, registro con piacere la ristampa di quello che continuo
a ritenere il testo fondamentale su piazza Fontana. Si tratta
del libro di Luciano Lanza, Bombe
e segreti. Piazza Fontana, una strage senza colpevoli,
Milano, Elèuthera, 2009. L’autore,
militante dello stesso gruppo di Pinelli, ricostruisce con una
linearità ammirevole quelle vicende, utilizzando non
solo la penna del cronista attento a spiegare con efficacia
i fatti e i percorsi giudiziari, ma anche quella del compagno
e dell’amico che vuole ricordare e far conoscere. Il saggio
è corredato da una lunga intervista a Guido Salvini,
il solo magistrato che ha cercato, con serietà e dedizione,
di arrivare a una sentenza definitiva di condanna dei fascisti
autori materiali della strage. Una serietà premiata con
una verità storica e giudiziaria, ma anche inficiata
dai perversi meccanismi della giustizia.
LETTERATURA
Come già nelle edizioni precedenti di Leggere l’anarchismo,
la sezione letteraria si presenta piuttosto ricca, a maggior
ragione volendo comprendere, questa volta, anche alcuni testi
non esattamente di carattere letterario, ma per certi aspetti
assimilabili ad essi in virtù dell’impianto narrativo.
E comincio da questi.
Il primo volume, anche se non proprio “anarchico”,
merita comunque una segnalazione, in ragione del suo sforzo
di ricondurre alla comprensione e alla integrazione di popoli
e culture attraverso un percorso culinario. Impostazione che
appartiene a pieno titolo al pensiero libertario. Si tratta
di Andrea Perin, Ricette scorrette.
Racconti e piatti di cucina meticcia, Milano,
Elèuthera, 2009. Una raccolta di ricette provenienti
dai più diversi paesi, accompagnate da lunghe e belle
interviste-conversazioni con chi ha proposto i piatti della
propria tradizione rivisitati da invenzioni, appunto, “scorrette”
perché “contaminate”. Altri tre libri di
cucina sono Ricette anarchiche, Ricette
libertarie e Les Cuisiniers dangereux,
ovvero cuochi pericolosi, canzoni taglienti & temerarie
narrazioni di storie accidentalmente vere, tutti
curati da Rino De Michele e pubblicati rispettivamente
nel 2008, 2009 e 2011
per le coedizioni ApARTe°, Venezia e La
Fiaccola, Ragusa. Anche qui non si tratta di semplici
ricette, tra l’altro spesso imprevedibili, ma di fitte
narrazioni su fatti e personaggi di ieri e di oggi, che accompagnano
e illustrano il perché e il percome dei piatti presentati.
Senza dubbio si tratta di libri non solo istruttivi ma anche
stimolanti, capaci di far riflettere sul nesso fra cucina e
vita quotidiana, spesso segnata dalla fame atavica e dalla sofferenza,
ma altrettanto spesso da una gioia di vivere che sapeva esprimersi
soprattutto a tavola. Da segnalare il bellissimo e puntuale
apparato iconografico, felice contributo di Fabio Santin e dell’équipe
di ApArte. Sempre per i tipi di ApArte è
uscita una nuova rivisitazione futurista di Alberto
Ciampi, Arte & Anarchia. Il “caso”
Futurismo: l’incontro con gli anarchici
(Venezia, 2009), che nasce dalla relazione
tenuta a Milano presso la libreria Tikkum nel 1999, in occasione
di una tavola rotonda incentrata sul tema L’Anarchia.
Storia e cultura.
|
Umberto
Tommasini in un disegno di Fabio Santin |
Veniamo ora alla letteratura vera e propria, partendo dalla
riedizione di un romanzo ottocentesco che, nonostante l’età,
non ha perso nulla del suo vigore. Si tratta dell’opera
dello scrittore anarchico francese Georges Darien,
Biribi. Disciplina militare, Roma,
Le Nubi edizioni, 2009. È un lavoro che ebbe
all’epoca notevole fortuna perché la sua forte
denuncia contribuì a far sopprimere, dopo aspre polemiche,
le Compagnie di disciplina attraverso le quali il colonialismo
francese controllava con feroce crudezza tanto le popolazioni
soggette quanto i suoi elementi più difficili. Come si
dice, a volte ne uccide più la penna che la spada! Rimanendo
nel milieu anarchiste, ecco il racconto di Marius
Jacob, I lavoratori della notte,
Lecce, Bepress, 2010. Leggendario anarchico
espropriatore, autore di una memorabile autodifesa pronunciata
nel processo che lo condannò ai lavori forzati, Jacob
scrive in pratica un’autobiografia, narrando le vicissitudini
di alcuni «lavoratori della notte» incappati in
un incidente di percorso, braccati per alcuni giorni dalla gendarmeria
e infine pescati dopo rocambolesche avventure. Una lettura interessante,
anche se, va detto, non di eccelsa qualità, capace comunque
di aprire uno squarcio “verista” sull’ottocentesco
mondo degli anarchici della réprise individuale.
Decisamente curioso è poi il libretto di Félix
Feneon, Romanzi in tre righe,
Milano, Adelphi, 2009. Come si evince dal titolo,
si tratta di brevi, paradossali romanzi scritti in non più
di tre righe, «una per l’ambiente, una per la cronaca
più o meno nera, una per l’epilogo a sorpresa».
Per dare un esempio dello stile e dell’originalità
di questo scrittore che è stato a lungo militante anarchico
a tempo pieno: «“Ahia, una perla” ha gridato
il truffatore mangiando un’ostrica. / Il suo vicino di
tavola l’ha comprata per 100 franchi. / Prezzo dell’articolo
al mercatino di Maison-Laffitte, 30 soldi».
Di tutt’altro tenore il paradossale romanzo di Gilbert
K. Chesterton, L’uomo che fu giovedì,
riproposto da Bompiani dopo una lunga assenza
dalle librerie (Milano, 2009). Scritto a cavallo
fra Otto e Novecento in un paese dove la simpatia per gli anarchici
non era certo diffusa e dell’anarchismo si aveva un’idea
tenebrosa, il testo narra le grottesche vicende di una setta
segreta nella quale ogni componente, per salvaguardare il proprio
anonimato, assume il nome di un giorno. E il protagonista, che
si rivela un agente infiltrato di Scotland Yard, assume il nome
di Giovedì. Si tratta di un lavoro stravagante, ricco
di colpi di scena e di situazioni improbabili, con il quale
si voleva forse esorcizzare la paura dell’anarchismo dinamitardo
così attivo in quell’epoca. Un altro lavoro decisamente
e volutamente paradossale è quello di Fernando
Pessoa, Il banchiere anarchico, ristampato,
dopo l’edizione di Adelphi, per i tipi di Nova
Delphi, Roma, 2010. Introdotto con la abituale piacevolezza
da Fulvio Abbate, questo racconto può essere sintetizzato
in questo interrogativo: «Può un “pescecane”,
un “affamatore del popolo”, può anzi Caino
in persona affermare se stesso come un esempio di “specchiata”
credibilità anarchica, addirittura filologicamente fedele
ai codici del pensiero libertario?». A nostro parere,
pur cogliendo la voluta provocazione, la risposta è necessariamente
no, ma per il grande scrittore portoghese, forte di una dialettica
stringente e per nulla scontata, evidentemente è sì.
È stato il caso teatrale degli ultimi anni, rappresentato
nei teatri di Londra, Tokio, New York, Mosca, il testo dell’inglese
Tom Stoppard, La sponda dell’utopia,
Palermo, Sellerio 2012, che ha dato vita, in
Italia, all’impresa registica di Marco Tullio Giordana,
The Coast of Utopia (31 attori in scena per
una durata di sette ore e mezzo complessive), premiata nel 2012
dal prestigioso Premio Ubu come spettacolo dell’anno e
come miglior testo straniero rappresentato in Italia. La trilogia,
scritta nel 2002, mette in scena gli ambienti della intellighenzia
russa della prima metà dell’Ottocento e ha come
protagonisti personaggi quali Aleksandr Herzen, Vissarion Bielinski
e il giovane Michail Bakunin con tutta la famiglia. Un affresco
su una realtà destinata a creare profondi mutamenti nell’intera
Europa, qui rappresentata nelle sue aspirazioni riformatrici
spesso contraddette dalla realtà quotidiana e dalle abitudini
di una piccola proprietà terriera, sicuramente liberaleggiante
ma ancora legata ai vecchi privilegi. Un testo decisamente fuori
dall’ordinario che merita il successo di pubblico e di
critica registrato ovunque sia stato rappresentato.
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Michael
Bakunin |
Vengo ora a parlare di un libro che ha una storia che mi riguarda.
Scoprii l’edizione originale presso una libreria antiquaria,
la lessi e ne parlai nella rubrica Ritratto in piedi
proprio su «A». Evidentemente si trattava di una
copia pressoché unica perché i pronipoti del tipografo
che aveva stampato la prima edizione nel 1879, anch’essi
tipografi-editori, trovatane notizia sul web, mi contattarono
chiedendomi in prestito l’esemplare originale per farne
una nuova edizione. E così è avvenuto: l’ho
prestato e oggi è a disposizione di un pubblico decisamente
più ampio. Si tratta del romanzo sociale di Emilio
Tanfani, I minatori ovvero Internazionale
e Comune, stampato nel 1879 dalla tipografia Sette
Comuni di Asiago e nel 2009, in copia anastatica,
dalla Tipografia Rigoni di Piove di
Sacco. Scritto per mostrare la possibilità di
una integrazione feconda fra le esigenze della nascente classe
operaia e quelle della nuova borghesia imprenditoriale, il romanzo,
a volte a tinte un po’ troppo fosche, descrive il felice
risolversi del contrasto fra lavoro e capitale grazie al fortunoso
ravvedimento dei proletari più focosi e alla buona volontà
di un padrone comprensivo e lungimirante. Il tutto condito dalla
immancabile storia sentimentale. Un interessante tentativo,
piacevole e di ottima scrittura, di esorcizzare quella che sarebbe
diventata una costante della società italiana.
Di tutt’altro segno, quanto a descrizione del conflitto
fra lavoro e capitale, è il bel romanzo di Filippo
Manganaro, Un sogno chiamato rivoluzione,
Roma, Nova Delphi, 2012. Vi si narra l’avvincente,
drammatica ma anche esaltante storia di una famiglia di ebrei
russi, in fuga dai frequenti pogrom della Santa Russia
e approdata negli Stati Uniti dopo un lungo peregrinare. Militanti
proletari, internazionalisti e decisi fautori di una solidarietà
di classe senza incrinature, i componenti di questa famiglia,
soprattutto il nonno Shlomo e la nipote Chaya, dedicano la loro
esistenza alla causa del lavoro, una causa che non sarà
scalfita da nessuna sconfitta, tragedia, crudeltà razziale
o sfruttamento spietato. Una lettura che voglio raccomandare,
perché in queste pagine ritroviamo tutti i momenti della
storia della sinistra, quella vera, del Novecento.
Una bella sorpresa è anche il romanzo di Piero
Pieri, Les nouveaux anarchistes. Atti intollerabili
di disperazione a Bologna, Massa, Transeuropa,
2010, un racconto duro come dura è la realtà
con la quale si scontrano le nuove generazioni di studenti e
precari, alle prese con una società che non sembra avere
alcuna intenzione di rispondere ai loro bisogni. Troviamo giovani
che affiancano, alla disperazione a cui li si vorrebbe condannare,
una determinazione tanto feroce quanto liberatoria, che dà
loro la capacità di reagire, con lucida follia, alle
prepotenze del potere. Uno spaccato interessante e crudo degli
ambienti universitari bolognesi, del mondo del precariato manuale
e intellettuale, delle storture di una società apparentemente
ordinata e ben funzionante. Abbastanza simile nello spirito
è Macnovicina. L’eccitante lotta di
classe, un curioso racconto di Alberto
Piccitto (Milano, Zero in Condotta, 2011),
anche se il tono è senza dubbio meno duro e drammatico.
Infatti si parla di un nuovo tipo di lotta di classe, quella
che un “vecchio” militante, mai domo, sperimenta
inondando la ricca borghesia metropolitana di una nuova droga
chiamata macnovicina (e per un anarchico è chiaro
il perché di questo nome), di ottima qualità e
prezzo abbordabile, capace di sbalestrare i suoi consumatori
(alti prelati, industriali, politici “perbene”,
ecc.) al punto da renderli oltre che ridicoli anche facilmente
manipolabili. Nei due romanzi, come si può capire, sono
descritte due metodologie totalmente diverse ma, sembrerebbe,
altrettanto efficaci.
La rivoluzione è una suora che si spoglia.
Storie di scrittori e anarchie è un’antologia
di racconti brevi pubblicata dalla Biblioteca Franco
Serantini di Pisa nel 2009.
Raccoglie gli scritti di Abbate, Bertante, Cacucci, Cardinali,
Colagrande, Evangelisti, Maggiani, Nori, Philopat, Tassinari
e Vighi. Come si vede una bella batteria di spiriti anarchici
e libertari, che offrono altrettanti testi inediti, tutti improntati
a una personale interpretazione dell’approccio con il
pensiero e il movimento anarchici. Come si può immaginare,
si tratta di una lettura molto gradevole, con toni spesso imprevisti,
in grado di mostrare come e quanto sia vario il modo di entrare
in contatto con la nostra storia.
|
Diavolindo
Latini |
Molto curioso, sia come struttura narrativa sia come scelta
dell’argomento, il racconto con il quale Andrea
Tarabbia ne Il cimitero degli anarchici,
Milano, Franco Angeli, 2012, ricostruisce le
non esemplari vicende del sedicenne anarchico Diavolindo Latini,
figlio di Giovanni Gavilli e Aida Latini, che negli anni Venti,
dopo aver ucciso un compagno e ferito un agente di polizia,
verrà rinchiuso in manicomio per alcuni anni, fino alla
morte prematura. Ambientato idealmente nell’ospedale psichiatrico
di Mombello, il racconto riporta le immaginarie conversazioni
avute dall’autore con Diavolindo, con il compagno da lui
ucciso Carlo Porro, con l’anarchico Amleto Astolfi e con
altri protagonisti di quelle vicende. Uno squarcio interessante,
anche se non sempre convincente, su anni e ambienti particolarmente
confusi e spesso equivoci.
Alessio Lega non ha bisogno di presentazioni
per i lettori di «A», e Ascanio Celestini,
l’eclettico e straordinario inventore di favole storiche
e storie quotidiane, è senz’altro una figura di
riferimento per quanti di noi amano ritrovarsi nelle sue coinvolgenti
affabulazioni. I due si sono felicemente incontrati per dare
vita a un lungo colloquio nel quale Ascanio svela il proprio
mondo e narra, non una storia, ma la sua storia, quella che
lo ha portato a raccontare, con un ritmo avvolgente, a teatro,
nei libri, al cinema, le grottesche miserie che tutti, giorno
dopo giorno, abbiamo sotto gli occhi. Tutto questo in Incrocio
di sguardi. Conversazione su matti, precari, anarchici e altre
pecore nere, Milano, Elèuthera,
2012, un libro che consente di approfondire non solo
la conoscenza della poetica di Celestini, ma anche i procedimenti
narrativi e antropologici attraverso i quali egli elabora e
realizza i suoi spettacoli, che superano i confini del teatro
civile per tracciare una nuova via del teatro politico e di
intervento.
Per concludere, due raccolte poetiche e una riproposta. La prima,
curata da Pino Vermiglio, è l’antologia di poesie
di Bruno Misefari, Schiaffi, carezze
e altro, Reggio Calabria, Ogginoi, 2009,
una raccolta di versi che «l’anarchico di Calabria»
scrisse nel corso della sua tribolata esistenza. Arricchito
da numerose illustrazioni, questo volume “alla memoria”
vuole ricordare una delle figure più importanti e significative
dell’anarchismo calabrese. Molto belle, specchio di forte
personalità e di robusto impegno sociale, le poesie di
Riccardo Solari, raccolte nel volume Satirik.
Rime per un regime, edito dai suoi compagni dell’Archivio
Germinal di Carrara nel 2011.
Solari, a quanto pare, è autore particolarmente prolifico,
e «solito, nei momenti conviviali, improvvisare canzoni
sui fatti del momento». E infatti le poesie qui raccolte
sono solo una parte delle tante scritte nell’ultimo anno.
Vista la qualità, non resta che augurargli di continuare
come già sta facendo. La riproposta è la riedizione
de Il canto anarchico in Italia nell’Ottocento
e nel Novecento, Milano, Zero in Condotta,
2009, di Santo Catanuto e Franco
Spirone. Come nella prima edizione, troviamo la raccolta
pressoché completa di quanto il sentimento e la cultura
degli anarchici hanno prodotto per manifestare, in musica, le
aspirazioni, le proteste, le denunce, le gioie e i dolori delle
classi subalterne. Il tutto accompagnato da un apparato critico
e musicale quanto mai esauriente. Per chi abbia voglia di intonare
una delle nostre belle canzoni, non ci sarà che l’imbarazzo
della scelta.
ANTIFASCISMO
Nel 1922 l’editore bolognese Licinio Cappelli pubblicava,
per la Biblioteca di Studi Sociali, una serie di saggi riguardanti
la nascita del fascismo in Italia. La stesura di questi saggi
era affidata ai rappresentanti delle varie forze politiche e
sociali operanti nel Paese; così Dino Grandi parlava
per i fascisti, Guido Bergamo per i repubblicani, Mario Missiroli
per i liberali, Giovanni Zibordi per i socialisti e così
via. A parlare a nome degli anarchici fu invitato, e non poteva
esserci scelta migliore, Luigi Fabbri, che scrisse un testo
di tale lucidità e capacità di analisi da diventare
un classico. Oggi le Edizioni Zero in Condotta
lo ripubblicano mantenendone il titolo originario (Luigi
Fabbri, La controrivoluzione preventiva,
Milano, 2009) e consentendo di far apprezzare
l’intelligenza dell’anarchico di Fabriano, che seppe
cogliere, fin dal suo sorgere, i tratti essenziali che permisero
al fascismo di imporsi. Nella prefazione della Assemblea Antifascista
permanente di Bologna si riprendono i contenuti del testo di
Fabbri, riaffermando il carattere di classe del fascismo, che
dispose il «formarsi di una cultura reazionaria di massa
promossa dallo Stato e dalla borghesia, con la triplice azione
combinata della violenza illegale fascista, della repressione
legale governativa e della pressione economica derivante dalla
disoccupazione».
|
Congresso del Libero Pensiero, Roma, settembre 1904.
Da sinistra a destra, terzo in prima fila, Foscolo Fabbri;
alla sua sinistra, un po'indietro, Luigi |
L’affermarsi del fascismo, comunque, nonostante queste
sinergie, non fu la passeggiata che avrebbe voluto essere, ma
si scontrò con forti risposte popolari che in più
occasioni, quando il combattimento fu ad armi pari, lo misero
fortemente in discussione. In questi ultimi anni sono fioriti
gli studi sul fenomeno, non più trascurato, degli Arditi
del Popolo, quelle formazioni paramilitari che accettarono lo
scontro coi fascisti sul loro terreno, e che spesso furono in
grado di infliggere alle squadracce sonore batoste. Va detto
che questa fioritura di studi si è resa possibile anche
grazie alla fine della egemonia culturale esercitata, nel campo
della storia sociale contemporanea, dal Partito Comunista, diretto
erede di quel PCd’I che già allora, come dimostrano
ad abundantiam i saggi di cui parliamo, si rifiutò
di appoggiare l’arditismo popolare, quando non cercò
di boicottarne la nascita. E questo perché temeva, e
a ragione, di non poterlo controllare.
|
Riunione del fuoruscitismo parigino, per dare l'addio
all'anno 1926 (31-12-1926), nella 'Popote'di Nullo Baldini.
Luigi Fabbri è il primo a sinistra. Si possono
riconoscere tra gli altri Sandro Pertini, Vera e Giuseppe Emanuele Modigliani,
Pietro Nenni, Filippo Turati, Giovanni Faraboli |
Della storia generale degli Arditi del Popolo si occupa Marco
Rossi, Arditi non gendarmi. Dalle trincee
alle barricate: arditismo di guerra e arditi del popolo (1917-1922),
Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2011. In
questa riedizione (la precedente è del 1997) Rossi presenta
nuovi documenti che permettono di delineare ancora meglio la
sottile linea di continuità che legò l’arditismo
di guerra (è un errore definirlo come un fenomeno solamente
prefascista), l’esperienza fiumana (anch’essa una
vicenda molto meno lineare di quello che si pensi) e l’arditismo
popolare vero e proprio, nato come esigenza di autodifesa proletaria
in contrapposizione alla violenza fascista e statale. Sempre
di Marco Rossi un altro lavoro dedicato alla
lotta degli anarchici contro il fascismo. Questa volta in un
contesto più locale: è infatti ambientato nella
sua città il volume Livorno ribelle e sovversiva.
Arditi del popolo contro il fascismo 1921-1922,
Pisa, Bfs, 2012, dove racconta la forte e ostinata
resistenza che gli Arditi del Popolo seppero opporre alle violenze
dello squadrismo fascista.
Come è facile immaginare, gli anarchici furono parte
integrante e spesso “dirigente” di queste formazioni,
e ciò appare non solo nei libri di Rossi, ma anche nei
due volumi che si occupano principalmente degli avvenimenti
romani. Si tratta dei lavori di Valerio Gentili,
La Legione romana degli Arditi del Popolo,
Roma, Purple Press, 2009 e Roma
combattente. Dal “Biennio Rosso” agli Arditi del
Popolo, Roma, Castelvecchi, 2010.
In questi due libri (il secondo a complemento del primo) Gentili
descrive la forte risposta popolare che il proletariato romano
dette allo squadrismo, riuscendo addirittura a rendere zona
franca alcuni dei quartieri proletari dell’Urbe. L’Arditismo
popolare non nacque in tutte le città italiane ma si
sviluppò a macchia di leopardo, mostrandosi forte in
alcune zone, soprattutto del centro Italia, e assente in altre.
Come scrive Gentili, Roma fu uno dei centri più combattivi,
producendo una gloriosa esperienza che solo la Marcia su Roma
e la successiva presa del potere da parte di Mussolini riuscirono
a liquidare.
Come è noto la volontà di opporsi al fascismo
non si esaurì con l’arditismo, ma continuò
sotto altre forme per tutto il ventennio. Uno degli strumenti
di lotta più frequentato, anche se senza successo, fu
l’attentato individuale contro il Capo del Governo, e
infatti non pochi furono i tentativi – quasi sempre per
opera di anarchici – di eliminare, con il Duce, il regime
fascista. Uno dei primi fu quello dell’anarchico carrarese
Gino Lucetti nel 1926. Fallito l’attentato, Lucetti fu
arrestato e tenuto in carcere fino al 1943 e le lettere che
scrisse dalla casa di pena hanno ora trovato una curatrice e
un editore. Si tratta di Marina Marini, Gino
Lucetti. Lettere dal carcere dell’attentatore di Mussolini
(1930-1943), Casalvelino, Galzerano, 2010.
In questo volume, con la prefazione di Claudio Venza e un ricco
apparato documentario, possiamo apprezzare la forte personalità
e la determinazione di Lucetti, che riuscì a mantenere
le sue ferme convinzioni, se non ad arricchirle, nonostante
i lunghi anni trascorsi da recluso.
|
Gino
Lucetti |
Un altro lavoro sull’antifascismo è quello di
Giuseppe Aragno, Antifascismo popolare.
I volti e le storie, Roma, Manifestolibri,
2009, che raccoglie una bella galleria di personaggi
napoletani di diversa estrazione sociale e di diversa formazione
politica, accomunati dal desiderio di libertà e dalla
volontà di non capitolare di fronte alla violenza e alla
prepotenza fascista. Vi si incontrano figure note e meno note,
anarchici e non anarchici, tutti a documentare la ricchezza
delle testimonianze antifasciste. Scritto anche con l’intenzione,
esplicitata nella prefazione, di mostrare come il famoso “consenso”,
che secondo De Felice sarebbe stato di massa ed incontrastato
fino alla guerra, in effetti fu incrinato da forme di dissenso
più o meno palesi, molto più numerose di quanto
non si creda. Se ne ricava una dimostrazione ulteriore leggendo
il bel libro di Filomena Gargiulo, Ventotene
isola di Confino. Confinati politici e isolani sotto le leggi
speciali (1926-1943), Genova, L’Ultima
spiaggia, 2009. Ventotene, fra tutte le località
destinate ad accogliere gli oppositori al fascismo, fu una delle
più importanti e affollate. Da essa, grazie al lavoro
di ricerca di alcuni studiosi, stanno oggi riaffiorando storie
quasi dimenticate, delle quali è necessario ritrovare
la memoria. Filomena Gargiulo ricostruisce la realtà
quotidiana del confino, dalle condizioni di vita dei confinati
(quanti gli anarchici!) alle regole imposte dal regime, dalle
strutture di controllo ai rapporti con gli isolani, componendo
un quadro esaustivo per comprendere l’inumanità
di questa “istituzione”, che colpiva, senza processo
e in assenza di reati, quanti apparivano pericolosi per la stabilità
del regime.
Finita la guerra, crollato il regime fascista, non sempre e
non ovunque finisce anche la lotta partigiana. Anzi, nonostante
i tentativi di controllo da parte del Partito Comunista e delle
altre forze istituzionali, preoccupate che l’onda lunga
della Resistenza mettesse in crisi la neonata concordia nazionale,
furono molte le situazioni che videro intere formazioni partigiane
riprendere le armi per difendere ciò che era stato conquistato
e per completare l’opera iniziata nel 1943. Ne scrive,
con ricchezza di documentazione, Marco Rossi,
nel suo Ribelli senza congedo. Rivolte partigiane
dopo la Liberazione 1945-1947, Milano,
Zero in Condotta, 2009, mostrando come i tentativi
di spegnere definitivamente il “vento del nord”
trovassero molti più ostacoli di quanti si sarebbe potuto
immaginare. Forse, se allora si fosse andati fino in fondo,
oggi non ci sarebbero argomenti di studio (almeno in Italia)
per Saverio Ferrari che, nel suo Le
nuove camicie brune. Il neofascismo oggi in Italia,
Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2009, descrive
la progressiva involuzione dei fascisti italiani i quali, a
quanto sembra, non si accontentano più di rimpiangere
il Duce e il suo Impero di cartone, ma sognano addirittura una
riedizione del Terzo Reich. A dimostrazione del fatto che, come
diceva mio padre, al mondo non c’è stupido che
non ci sia uno più stupido! E qui abbiamo a che fare
con un bello stuolo di contendenti.
FEMMINISMO
Non sono state poche, né di poco rilievo, le donne militanti
attive nel movimento anarchico. Inserite in un ambiente che,
a rigor di logica, doveva prevedere completa parità e
rispetto reciproco (anche se non sempre e non in tutte le situazioni
questo rispetto era davvero tale), seppero dare all’attività
e alla propaganda del movimento un apporto non solo importante
ma spesso anche originale. Senza dubbio una delle figure di
maggiore rilievo, e forse anche la più nota, è
la comunarda Louise Michel, l’eroina
della Comune di Parigi, l’indefessa attivista a difesa
degli oppressi ovunque la sua vita avventurosa la portasse,
nemica irriducibile di ogni forma di autorità e ingiustizia
sociale. Più che opportuna, quindi, la succinta biografia
di Anne Sizaire, Louise Michel.
La “viro major”. Breve storia (1839-1905),
Ragusa, La Fiaccola, 2012, arricchita, in calce
dai versi che le dedicarono Paul Verlaine e Victor Hugo.
Uno sguardo d’insieme sulla presenza femminile anarchica
nelle prime lotte operaie di fine Ottocento è quello
di Elena Bignami, che nel suo corposo studio
«Le schiave degli schiavi». La “questione
femminile” dal socialismo utopistico all’anarchismo
italiano (1825-1917), , affronta
le dinamiche che investirono il mondo femminile al contatto
con le nuove ideologie sociali. La prima parte «affronta
le radici storiche dell’emancipazionismo femminile esaminando
quei classici del pensiero socialista (Saint-Simon e Fourier)
che hanno costituito la base teorica dell’anarchismo italiano».
La seconda, che ci riguarda più da vicino, mostra come
la presenza femminile all’interno dei movimenti sociali
fosse ben più radicata e diffusa di quanto non si potesse
pensare, e offre lo spaccato di una serie di figure di indubbio
spessore, sia teorico che militante. Il merito di questo innovativo
lavoro è soprattutto quello di avere fornito un quadro
di insieme a queste presenze dimostrandone l’assoluta
non marginalità.
|
Giovanna
Berneri Caleffi con le figlie |
Un altro ritratto collettivo delle anarchiche più conosciute
lo fa Massimo Lunardelli, Dieci
pericolosissime anarchiche, Torino, Blu
Edizioni, 2012, che accompagna la ricostruzione storica
delle protagoniste e del loro ambiente con le note di polizia
che periodicamente ne descrivevano l’attività,
e i «costumi morali». A leggere i rapporti della
questura, come c’è da aspettarsi, sembrerebbe di
avere a che fare con persone «di dubbia moralità
che riscuotono cattiva fama», ma proprio queste osservazioni
ci fanno capire l’integrità e il coraggio con le
quali le varie Cavedagni, Cravello, Peani, Corsinovi, Giacomelli
affrontavano gli ostracismi e le angherie che la società
riservava loro. Un ritratto di gruppo simile, questa volta internazionale,
è quello composto da Giovanna Frisoli
e Amerigo Sallusti, che ricostruiscono i percorsi
di vita di alcune rivoluzionarie del secolo scorso nel volume
Le Pasionarie. Storie di donne che hanno cambiato
il mondo, Ghezzano, Felici, 2011.
Forse queste donne non hanno cambiato il mondo, ma sicuramente
le anarchiche spagnole mujeres libres hanno soprattutto
contribuito a migliorarlo, dando il loro fondamentale apporto
al tentativo di costruire il mondo nuovo che portavano nei loro
cuori.
Leda Rafanelli è la più conosciuta fra le anarchiche
italiane. Figura eclettica, propagandista popolare, romanziera
di successo, musulmana e chiromante, spirito libero quanti altri
mai, continua a destare l’interesse degli storici e di
quanti vogliono approfondire la conoscenza delle figure più
originali del secolo scorso. Curati da Fiamma Chessa,
sono usciti gli atti della giornata di studi organizzata a Reggio
Emilia nel 2007: Leda Rafanelli tra letteratura
e anarchia, Reggio Emilia, Biblioteca
Panizzi - Archivio Famiglia Berneri Aurelio Chessa, 2009,
un corposo volume che raccoglie una decina di relazioni dalle
quali emerge tutta l’originalità della vita e dell’opera
di Leda. Giovanna Caleffi Berneri ha affrontato l’impegno
militante della Rafanelli, partendo da prospettive decisamente
diverse dalle sue e da un differente ruolo all’interno
del movimento anarchico. Vedova di Berneri e madre di Giliana
e Maria Luisa, nell’immediato secondo dopoguerra fu fra
le protagoniste della ripresa anarchica in Italia dopo le tenebre
del fascismo.
|
Maria
Rygier |
Compagna di Cesare Zaccaria, che poteva disporre di discrete
risorse finanziarie e di molte conoscenze, Giovanna ha contribuito
alla nascita di alcune delle iniziative più importanti
del movimento anarchico, tra le quali la rivista «Volontà»
e le colonie marine per i figli dei compagni, prima a Sorrento
e poi a Marina di Carrara. Le è stato dedicato un volume
che ne raccoglie gli scritti: Giovanna Caleffi Berneri,
Un seme sotto la neve. Carteggi e scritti. Dall’antifascismo
in esilio alla sinistra eretica del dopoguerra,
a cura di Carlo De Maria, Reggio Emilia, Bibl. Panizzi
e Arch. Fam. Berneri - A. Chessa, 2010, dal quale emerge
non solo la bella figura piena di umanità e determinazione
dell’attivista anarchica, ma anche lo spessore intellettuale
che espresse nei tanti articoli apparsi sulle “sue”
testate.
Meno conosciuta, ma non per questo meno interessante, è
l’attività dell’anarchica pugliese Elvira
Catello, propagandista e feconda autrice di lavori teatrali
dal forte carattere popolare, che trascorse la sua vita di attivista
fra la nativa Locorotondo e New York. Mario Gianfrate,
Jennifer Guglielmo e Vito Antonio Leuzzi
ne tracciano la biografia nel libro Elvira Catello
e la “Lux” tra utopia e libertà. Una pacifista
pugliese a New York nel 900, Bari, Edizioni
del Sud, 2011, facendo riemergere non solo l’impegno
sociale della donna, ma anche lo spaccato della comunità
sovversiva italoamericana dei primi decenni del ‘900.
In appendice la riproposta di uno dei suoi numerosi lavori teatrali,
Il trionfo della verità (sulla religione), utile
per capire la presa della drammaturgia anarchica fra i lavoratori
e i liberi pensatori di Little Italy.
|
Elvira
Catello (al centro) con due sorelle |
Citiamo infine la ristampa di un classico, Anarchia
e femminismo, Pisa, BFS, 2009,
una preziosa raccolta di testi con i quali l’anarchica
statunitense Emma Goldman, una delle figure
più importanti del pensiero sovversivo europeo e nordamericano,
ha posto alcune delle premesse del movimento di liberazione
della donna. Attiva in Europa, in America, in Russia, sempre
pronta a dare il suo apporto e a portare la sua parola come
stimolo alla lotta, Emma la Rossa ha contribuito a sviluppare
quel pensiero “altro” che vedeva nella emancipazione
femminile non solo la libera espressione delle potenzialità
delle donne, ma anche un momento necessario nel processo di
liberazione di tutto il genere umano dallo sfruttamento e dal
pregiudizio.
INTERNAZIONALE
La Russia è stata una delle fucine del pensiero rivoluzionario
e anarchico, probabilmente anche perché la disumanità
dello zarismo, il regime più autocratico e illiberale
dell’epoca, non poteva non provocare una risposta quanto
mai determinata e radicale. Ne è testimonianza, tra gli
altri, il famoso affaire Nechaev, un drammatico caso
di intransigenza organizzativa e violenza rivoluzionaria che
coinvolse lo stesso Bakunin. Ne parla, con ricchezza di documentazione,
il grande slavista Vittorio Strada nella riedizione
della sua introduzione a uno scritto di Herzen del 1977, Umanesimo
e terrorismo nel movimento rivoluzionario russo. Il “caso
Nechaev”, Roma, Edizioni dell’Asino,
2012. Assertore di una fedeltà assoluta e totale
all’organizzazione rivoluzionaria, Nechaev teorizzò
la supremazia di questa su qualsiasi altra contingenza, arrivando
a eliminare fisicamente alcuni dei suoi accoliti sospettati
non tanto di tradimento ma semplicemente di debolezza nelle
convinzioni e irresolutezza nell’azione. Ispiratore del
romanzo I Demoni di Dostoevskij, Nechaev, per un certo
tratto, riuscì a condizionare lo stesso Bakunin, teorizzando
quella intransigenza “a fin di bene” – l’obiettivo
travalica e annulla ogni forma di umanità – che
può essere considerata l’antesignana del terrorismo
politico. Anche se di sole 50 pagine, questo denso saggio, ricco
di citazioni e riferimenti, rappresenta una lettura interessante
per chi voglia indagare il nesso fra il fine rivoluzionario,
con tutto il suo sforzo di emancipazione, e i mezzi spesso contraddittori
con i quali si vorrebbe realizzare tale fine grandioso.
E la storia della Russia e della sua rivoluzione è lì
a ricordarci quanto questa contraddizione abbia pesato drammaticamente
nel processo di liberazione dell’umanità. Le speranze
suscitate nel mondo intero dalla Rivoluzione del 1917 furono
via via spente dagli strumenti repressivi e sempre più
criminali che il bolscevismo utilizzò per sopprimere,
in nome della salvaguardia della nuova società sovietica,
ogni forma di opposizione interna. Esemplare la vicenda ucraina
della quale fu protagonista Machno, della cui epopea scrive
Alexander V. Shubin, accademico russo, oggi
uno dei massimi esperti della storia delle opposizioni di sinistra
al bolscevismo. Nel suo Nestor Machno: bandiera
nera sull’Ucraina. Guerriglia libertaria e rivoluzione
contadina (1917-1921), Milano, Elèuthera,
2012, traccia una nuova biografia del «generale
contadino» ucraino, grazie all’apertura degli archivi
segreti nei quali il PCUS aveva seppellito le scomode testimonianze
dell’attività rivoluzionaria dei suoi oppositori.
Ne viene fuori la grandiosa dimensione epica di quella rivolta
contadina, libertaria e autogestita, che per anni rappresentò,
pur fra luci e ombre, la concreta possibilità di un “altro”
sviluppo rivoluzionario.
L’esperienza lottarmatista tedesca non fu certo paragonabile
a quella italiana, ma di tutte quelle che presero vita negli
anni Settanta del secolo scorso fu, per ampiezza e risonanza,
la più simile a quella di casa nostra. Se la Raf, la
Rote Armee Fraktion di ispirazione neomarxista, fu
la formazione più famosa, il Movimento 2 Giugno ne rappresentò
in un certo senso il contraltare, per la sua struttura non verticistica
ma orizzontale e per il suo bagaglio ideologico più aperto
agli insegnamenti della pratica che non della teoria. Questo
suo spirito un po’ libertario e antiautoritario viene
rievocato da alcuni ex militanti quali Ronald Fritzsch,
Gerard Klöpper e altri, nel libro Il
Movimento 2 giugno. Scritti e testimonianze, pubblicato
nel 2009 a Guasila, dalle
Editziones de su Arkiviu Bibrioteka “T. Serra”,
una piccola antologia che rende conto della drammaticità
di scelte che allora potevano sembrare inevitabili a molti,
ma che oggi dichiarano tutta la loro tragica inconsistenza.
Sono venuti anche in Italia, più volte, a parlare della
loro generosa attività, non violenta ma non per questo
poco determinata, contro le divisioni, fisiche e ideali, che
le élites politiche israeliane e palestinesi continuano
a mantenere strumentalmente per ottenere il consenso della paura
e del pregiudizio alle loro politiche. Si tratta degli Anarchici
contro il muro, l’organizzazione orizzontale che più
di ogni altra si batte «in opposizione con le prospettive
personali ed il sistema politico, militare e civile, che all’interno
di Israele sostiene l’occupazione». Nell’opuscolo
Anarchists against the wall, Tsumud.
Resistenza contro l’occupazione, Fano,
Alternativa Libertaria, 2009, descrivono lo spirito
e la sostanza dei loro interventi, animati dalla volontà
di «dedicarsi, armati di corde da rocciatori, di tronchesi
per il fil di ferro e di mazze pesanti, alla decostruzione del
muro di Israele e ad esprimere il loro dissenso contro i blocchi
stradali messi dall’esercito israeliano». Se in
Palestina non si sta bene, nel non lontano Iran non si sta certamente
meglio, anzi! Come si ricorderà alcuni anni fa anche
in quel paese controllato rigidamente dagli Ajatollah ci fu
un tentativo di rivolta, animato dal desiderio, soprattutto
fra le fasce giovanili, di sottrarsi alla cappa di oscurantismo
religioso e controllo poliziesco soffocante di ogni libertà.
Ne parla in un breve opuscoletto Stefano Capello,
La rivolta in Iran, Torino,
Federazione anarchica torinese, 2009, spiegando sia
gli “sporchi” affari che l’Italia, al di là
delle belle parole di facciata pronunciate in nome della democrazia,
continua a fare con questo grande produttore di petrolio, sia
le numerose contraddizioni, in campo economico, politico e religioso,
che fanno di questo paese un miscuglio di nazionalismo, fondamentalismo
e messianesimo. Come si sa, la rivolta si è fermata,
ma non possiamo che augurarci che possa riprendere fiato e ridare
al popolo iraniano quella speranza che oggi sembra perduta.
CONTRO IL CARCERE, CONTRO I CIE
Una società senza galere è, da sempre, uno degli
obiettivi di base del movimento anarchico. E la tematica anticarceraria
è sempre stata presente nella propaganda e nella diffusione
del pensiero libertario. Tanto più che non pochi degli
esponenti del nostro movimento (anzi, in certi periodi storici,
praticamente tutti) hanno dovuto affrontare l’esperienza
della reclusione, comminata, spessissimo, senza nessun vero
appiglio legale. Non è certo comunque il caso di Jacob,
il famoso ladro-gentiluomo le cui gesta ispirarono Maurice Leblanc,
il creatore del personaggio di Arsenio Lupin. Tra le altre cose
Alexandre Marius Jacob ha lasciato alcuni scritti
dal carcere oggi raccolti nel libretto Abbasso le
prigioni, tutte le prigioni, Lecce, Bepress,
2009. Espressione di un rifiuto totale delle cosiddette
regole sociali, questi scritti trovano interesse nell’illustrazione
di un modo di pensare decisamente estraneo a ogni forma di perbenismo.
Stesso argomento, ma di tutt’altro spessore, l’interessante
antologia (in parte inedita in Italia) pubblicata da Zero
in Condotta (Milano, 2009): AA.
VV., Dietro le sbarre. Repliche anarchiche
alle carceri ed al crimine, una raccolta di testi
sul tema carcerario di anarchici di varie parti del mondo, accomunati
dall’esperienza, più o meno lunga, fatta in qualche
galera sparsa per il pianeta. Suddiviso in due sezioni, Idee
e Memorie, il volume raccoglie le riflessioni, tra
gli altri, di Emma Goldman, Nestor Machno, Mollie Steiner, Errico
Malatesta, Albert Parsons e Oskar Neebe, tutte segnate dal comune
rifiuto del carcere, sia come strumento repressivo sia come
mezzo educativo. E anche sul concetto di crimine e sulle sue
cause sociali, non si può non trovarvi che una perfetta
comunanza di vedute.
In solidarietà con gli anarchici rinchiusi nelle carceri
di vari paesi, dalla Svizzera alla Spagna, dalla Germania al
Cile, è pubblicato l’opuscolo Faccia
a faccia col nemico, Latina, Cassa Anarchica
di Solidarietà Anticarceraria, 2010, che, riecheggiando
il titolo di un famoso lavoro di Luigi Galleani, riporta «scritti
e azioni in merito allo sciopero della fame dei prigionieri
anarchici 2009-2010». Restando in argomento, ma passando
ad altre emergenze, ecco l’opuscoletto autoprodotto Galere
di oggi ingiustizia di sempre, Bologna,
Edizioni Atemporali, 2009, un testo succinto nel quale
si parla dei luoghi di prigionia eufemisticamente chiamati Centri
di identificazione ed espulsione, quelle strutture disumane
nelle quali sono rinchiusi individui che non solo non hanno
commesso reati ma che sono giunti nel nostro paese per sfuggire
alla fame, alla miseria, alle guerre. Gli anarchici sono molto
impegnati su questo versante, come mostra anche l’opuscolo
Sui Cie e sulla lotta per liberarsene. Riflessioni,
percezioni e punti di vista, Roma, Assemblea
Antiautoritaria, 2010, una panoramica a largo raggio
su ciò che riguarda la lotta a queste istituzioni totali
e sulla necessità di farla diventare quanto più
possibile patrimonio comune dei fautori della libertà.
Anche la Federazione Anarchica Torinese, da
tempo impegnata nella lotta ad ogni forma di razzismo e di repressione,
ha pubblicato Sicuri da morire. Per resistere al
pacchetto sicurezza, Torino, 2009,
un opuscolo ricco di informazioni e di amare considerazioni
sulla realtà dei Cie, che contiene molti spunti utili
a far diventare sempre più collettiva l’opposizione
a una deriva che disonora il concetto di solidarietà.
La lotta contro il potere, si sa, ne provoca la reazione, e
con essa la repressione: sempre più indiscriminata e
refrattaria al rispetto delle sue stesse regole. Ne è
ennesima testimonianza l’opuscolo degli Anarchici
e Anarchiche di Bologna, Repressione, solidarietà,
violenza, Bologna, Circolo Berneri, 2011,
una lunga riflessione «sugli ultimi fatti polizieschi
a danno dei movimenti». Basta leggerlo per farsi venire
il sangue amaro, ma anche per confermarsi nella volontà
di contrapporre alla violenza delle istituzioni una lotta che
sia capace di contrastarla: collettiva, socializzata e orientata
alla condivisione in tutti i segmenti della società civile.
MOVIMENTO CONTEMPORANEO
Sono molteplici le forme nelle quali si esprime, oggi, il movimento
anarchico, sia nell’azione quotidiana, sia nell’analisi
della società e dei suoi mutamenti. Un tratto costante,
storicamente sedimentato, è l’opposizione al militarismo
e a tutte le guerre, soprattutto quelle che oggi, con orwelliano
eufemismo, vengono definite “interventi umanitari”.
Non a caso si intitola Chi fa la guerra non va lasciato
in pace! l’opuscolo edito nel 2009
dalla Rete Antimilitarista Anarchica che, già
nel titolo, si propone come una decisa dichiarazione di apertura
delle ostilità contro i guerrafondai di tutti i colori.
Scritto a più mani, raccoglie interventi prodotti nell’ambito
della Coordinazione Anarchica, sia di carattere storico, sia
di carattere analitico. Molto utile, in particolare, l’individuazione
di alcuni obiettivi (basi Usa, F35, occupazioni militari) sui
quali concentrare un’azione antimilitarista di massa.
Sullo stesso tema, e più o meno con identica impostazione,
i materiali di un recente convegno antimilitarista raccolti
nel libro A chi sente il ticchettio. Materiali dal
Convegno antimilitarista di Trento del 2009, Atene,
Rompere le righe, 2009, dove sono scandagliati i problemi
legati all’occupazione militare in alcuni territori, da
Vicenza alla Sardegna, dalla Puglia alla Campania.
Un’altra attività largamente praticata dagli anarchici
in questi ultimi anni è quella delle occupazioni autogestite
per la creazione di centri sociali. Fra le più note e
durature quella dello spazio milanese di via Conchetta, conosciuto
anche come Cox 18, un bell’esempio di come sia possibile
creare luoghi di aggregazione, di riflessione collettiva e di
azione libertaria interagendo paritariamente con gli abitanti
del quartiere. Ne parlano gli occupanti storici nel libro a
firma di Cox 18, Archivio Primo Moroni, Calusca City
Lights, Storia di un’autogestione.
Testimonianza breve e sintetica, dal 1976 a metà degli
anni ’90, dei collettivi che hanno gestito via Conchetta
18 a Milano, Milano, Colibrì, 2010,
che ricostruisce, anche attraverso immagini e interviste, la
lunga e gloriosa storia di questa ormai trentennale esperienza.
Un’altra esperienza di occupazione autogestita, protagonista
di iniziative e di lotte memorabili, è quella modenese
di Libera. Una storia collettiva, che ha saputo trovare numerosi
momenti di condivisione delle sue attività a livello
nazionale, diventando uno straordinario punto di riferimento
per gli ambienti libertari alternativi di Modena e delle località
vicine. Una “pericolosa” spina nel fianco dell’amministrazione
rossa, tanto da dare vita a un rapporto conflittuale senza mediazioni:
troppo libera era Libera per non finire distrutta “militarmente”
dalla polizia del potente Partito Democratico (democratico?)
emiliano. Ne parlano, con ricchezza di immagini e di emozioni,
i protagonisti, I Liberi e le libere, in un
gran bel libro non a caso intitolato Libera. Una
sconfitta vinta, Modena, Libera - Unidea,
2010.
Un posto importante ha sempre avuto, fra gli anarchici, l’impegno
anticlericale, di cui, a lungo, i meeting anticlericali organizzati
a Fano e in altre località hanno dato concreta dimostrazione.
Per quattro anni vi ha portato il suo contributo uno spirito
libero che ha sempre marciato al nostro fianco, Joyce
Lussu, i cui interventi dal 1991 al 1995 sono stati
raccolti nel libro Un’eretica del nostro tempo,
Camerano, Gwynplaine, 2012. Curata da Luigi
Balsamini, e con la prefazione di Mimmo Franzinelli, questa
pubblicazione rende perfettamente lo spirito critico ma anche
profondamente rispettoso dell’autrice, che accompagnava
alla contestazione radicale di ogni forma di autoritarismo un
afflato solidaristico davvero raro.
È senza dubbio un libro complesso quello di Alex
Foti, Anarchy in the EU. Movimenti pink,
black, green in Europa e grande recessione, Milano,
Agenzia X, 2009, una vasta panoramica sui movimenti
giovanili anarchici attualmente attivi in Europa. Pink, black
e green si riferiscono alle aggregazioni femministe, ai gruppi
di Black Bloc, ai movimenti ecologisti, tutti diversi nell’impostazione
generale, ma tutti partecipi di un identico “programma”
controculturale volto a sovvertire dalle fondamenta le regole
sociali. In appendice una ricca antologia di testi appartenenti
alle aree indagate, «un testo vivace arricchito di schemi
illustrativi, manifesti e testimonianze delle proteste che hanno
agitato l’Europa in questi anni». Un ottimo strumento
per chi voglia informarsi uscendo dalle banalità o dalle
falsità dei media. Proprio per approfondire il fenomeno
di mutazione culturale, di cui sono protagonisti i movimenti
appena citati, il collettivo A.sperimenti ha organizzato un
affollato seminario avente per tema il concetto stesso di rivoluzione.
Il dibattito che vi ha avuto luogo, molto interessante anche
grazie alle riflessioni di alcuni “padri” dell’anarchismo
contemporaneo, è ora riportato nell’opuscolo AA.
VV., Rivoluzione?, Milano,
A.sperimenti, 2011, che raccoglie gli interventi di
Andrea Breda, Andrea Staid, Tomàs Ibañez, Antonio
Senta ed Eduardo Colombo. Cinque ragionamenti su un unico tema,
tutti con l’obiettivo di trasportare il pensiero dalla
teoria alla pratica.
|
Andrea
Papi, 'Partenza per la camera
oscura', in Quando ero la dada coi baffi |
Per finire questa carrellata sulle attività dell’anarchismo
contemporaneo, nell’ambito della pedagogia libertaria
si inserisce a pieno titolo il bel libro di Andrea Papi,
Quando ero “la dada coi baffi”. Educare
e autoeducarsi, Ragusa, La Fiaccola, 2011,
la storia della lunga attività dell’autore come
educatore di asilo nido, rara eccezione in una professione praticata
quasi esclusivamente da donne.
Come ci si può aspettare, conoscendo Andrea, questo libro
non contiene solo la ricostruzione di una originale esperienza
condotta con intelligente passione – anche se già
questo basterebbe a rendere interessante la lettura –
ma anche un’approfondita riflessione sulla sua “straordinarietà”,
intesa nell’accezione etimologica del termine: straordinaria
perché fuori dall’ordinario. Ed è proprio
per questo che Papi ha voluto raccontarla, per trasmettere,
comunicare, e quindi socializzare, un «patrimonio di idee,
pensieri ed esperienze educative carichi di significati».
Uno fra i fenomeni emergenti nella nostra società, destinato
ad avere sempre più rilevanza, è senza dubbio
quello dello sfruttamento del lavoro dei migranti. Se in molti
casi vengono riconosciuti a questi nuovi lavoratori gli stessi
diritti di cui godono, in campo sindacale e normativo, i lavoratori
autoctoni, altrettanto spesso però ci troviamo di fronte
a vere e proprie forme di schiavismo. L’analisi dell’evoluzione
multiculturale e multietnica della nostra società da
un punto di vista libertario risponde quindi a un’urgenza
quanto mai attuale. Se ne occupa, con bravura, Andrea
Staid, redattore di Elèuthera e collaboratore
di questa rivista, che nel suo Le nostre braccia.
Meticciato e antropologia delle nuove schiavitù,
Milano, Agenzia X, 2012, raccoglie le testimonianze
«di muratori, badanti, manovali, contadini e attivisti
politici».
ECOMUNICIPALISMO
L’armonia fra uomo e natura è da sempre al centro
delle aspirazioni e, naturalmente, dei progetti degli anarchici.
Una società liberata dalla logica del profitto, non più
disposta a sacrificare il bene comune (un ambiente sano) per
gli interessi economici (un ambiente devastato dalla speculazione)
è un obiettivo altrettanto importante di quello più
generale di una società senza potere e sfruttamento.
Non a caso un grande ecologista anarchico, Murray Bookchin,
ha creato la scuola dell’ecologia sociale, coniugando
l’impegno per la difesa dell’ambiente alla visione
utopica della società futura. La summa della sua riflessione
multidisciplinare è oggi raccolta nel volume L’ecologia
della libertà. Emergenza e dissoluzione della gerarchia,
Milano, Elèuthera, 2010, «un grande
classico del pensiero contemporaneo […] che postula, dopo
lo storico emergere ed affermarsi nei millenni del principio
gerarchico, la sua dissoluzione, proponendo un’appassionante
versione sociale dell’ecologia che va ben al di là
del banale ambientalismo conservativo e conservatore oggi prevalente».
Più succinto, e con un fine divulgativo, l’opuscolo,
sempre di Bookchin, La società
organica, Bergamo, Underground [2009],
mentre allo stesso autore è dedicato il lavoro di Ermanno
Castanò, Ecologia e potere,
Milano, Mimesis, 2011, un saggio che «si
propone di ripercorrere in una lettura critica i testi di Bookchin,
e di fornire un’archeologia dei concetti fondamentali
dell’ecologia che sia utile al dibattito animalista, ambientalista
o ecologista, che quotidianamente ne fa la propria attrezzatura
pratica». Spaziando da Foucault ad Adorno, l’autore
affronta tutti gli ambiti nei quali si misurano pensiero e pratica
ambientalista, quelli progettati e prospettati da Bookchin.
|
Murray
Bookchin |
Strettamente inerenti alle tematiche ecologiste sono i processi
di trasformazione della convivialità legati alle mutazioni
dei tessuti urbani e degli ambiti sociali. Mutazioni che rendono
sempre più alienante il convivere urbano impedendo quelle
forme di socializzazione che potrebbero mettere in discussione
l’esistente. Ne parla Miguel Amoros ne
La città totalitaria, Torino,
Nautilus, 2009, che evidenzia la necessità di
un programma radicale capace di opporsi a questo sviluppo distorto
per tornare a una città nella quale l’agorà,
la piazza, sia il luogo assembleare di una nuova convivialità.
Sempre a Miguel Amoros si deve un piccolo pamphlet,
L’alta velocità marcia,
Torino, Nautilus, 2012, nel quale l’autore
affronta un argomento quanto mai attuale da una prospettiva
più ampia di quella della semplice lotta a nuove e devastanti
infrastrutture. Infatti la mobilitazione che da mesi scuote
le valli piemontesi, e non solo, trova un senso, secondo l’autore,
soprattutto se si affianca a un intervento più generale
contro il modello di sviluppo che grande capitale e finanza
internazionale vorrebbero imporre come “pensiero unico”.
Tematiche apparentemente dissimili, ma ispirate da un medesimo
sentire, sono quelle proposte in un testo “caposcuola”
ormai diventato un classico. Parliamo di Hakim Bey,
T.A.Z. Zone temporaneamente autonome,
Milano, Shake, 2007, dove si prospettano aree
di società temporaneamente liberate dal capitalismo globalista.
Contro i demenziali progetti nuclearisti fortunatamente stoppati,
almeno da noi, dal recente referendum, si è mossa l’accesa
campagna ambientalista alla quale gli anarchici hanno partecipato
con forte impegno. Particolarmente indovinato appare un agile
libretto uscito nel pieno della controinformazione, 100
e più buone ragioni contro il nucleare,
edito a Pisa dalla Biblioteca Franco
Serantini nel 2010. Introdotto per
questa edizione da Giorgio Ferrari (quella originale è
dei Grünen tedeschi) che ha contestualizzato il testo tedesco,
il volume contiene 101 argomenti topici della questione nucleare,
tutti commentati con un linguaggio comprensibile e con argomenti
precisi ed essenziali: davvero un ottimo esempio di divulgazione.
Sulla stessa lunghezza d’onda, sempre durante la campagna
referendaria, sono usciti nel 2010 i tre opuscoli
curati e stampati dal Gruppo imolese di studi antinucleari
intitolati rispettivamente Il nucleare non è
sicuro, Le scorie nucleari: un problema
irrisolto e Il nucleare non risolve
il problema energetico. Si tratta di strumenti
particolarmente indovinati per la diffusione militante e al
tempo stesso frutto di uno studio accurato e approfondito. Un
piccolo dossier su un altro argomento che sta a cuore a tutti,
la “libertà” dell’acqua, è quello
curato dal Circolo Anarchico Berneri, Sete!
Acqua & Anarchia, Bologna, 2010,
prodotto per contrastare il «progetto governativo di (ulteriore)
privatizzazione dell’acqua». Si tratta di una raccolta
di articoli già pubblicati su «Umanità Nova»,
«Sicilia Libertaria» e «A Rivista anarchica».
Per finire, un bell’esempio di pratiche ambientaliste,
vissute nella mitica Amsterdam degli anni Sessanta. Ne parla
Luca Benvenga ne Il movimento Provo.
Controcultura in bicicletta, Aprilia,
Novalogos, 2012, che fa la storia di quello che fu
un faro di libertà, di fantasia e di provocazione per
la gioventù inquieta di allora. Nato come movimento controculturale
autoemarginato rispetto alla società olandese, il movimento
Provo, grazie alla sensibilità ambientalista e alla capacità
di intercettare le esigenze di una generazione alla quale andavano
strette le formalità, diventò una realtà
concreta di trasformazione, in grado di instillare uno spirito
libertario e per tanti aspetti anche anarchico che costituì
per anni l’onda lunga di un cambiamento che ha lasciato
tracce profonde non solo in Olanda ma nell’intera Europa.
BIOGRAFIE E AUTOBIOGRAFIE
Nel corso degli anni si sono fatti sempre più frequenti
gli studi storici su fatti, avvenimenti e personaggi dell’anarchismo,
a dimostrazione sia della rilevanza del pensiero e del movimento
anarchico nella storia contemporanea (a lungo negata dalla convergenza
“negazionista” delle due scuole, marxista e liberale),
sia dell’intensa produzione di una nuova generazione di
ottimi studiosi provenienti dal movimento anarchico. Questi
studi non si limitano a inquadrare e descrivere la presenza
dell’anarchismo nella storia del paese, ma contribuiscono
anche alla riscoperta di alcuni dei personaggi che più
hanno rappresentato le nostre istanze e meglio hanno interagito
con il corpo sociale e con le altre forze della sinistra. Ecco,
quindi, una lunga serie di biografie che permettono di apprezzare
tanto la grandezza morale di queste figure, quanto l’importanza
che il loro lavoro militante ha avuto per lo sviluppo e l’emancipazione
delle classi subalterne, mettendone in risalto l’azione
là dove maggiormente si è esercitata, in campo
sindacale, cooperativo, organizzativo, culturale, intellettuale.
|
Celso
Ceretti |
Cominciamo questo lungo elenco partendo da lontano, cioè
dalle origini risorgimentali del movimento internazionalista.
Franco Verri nel libro dedicato a Celso
Ceretti garibaldino mirandolese, Verona,
Fiorini, 2007, pur parlando di un singolo personaggio,
viene a tracciare il percorso collettivo che coinvolse buona
parte della generazione garibaldina, ossia il passaggio da un
primitivo anelito di giustizia e di libertà all’adesione
a un progetto sociale organizzato e strutturato.
Insomma, dal garibaldinismo all’internazionalismo. Esemplare,
da questo punto di vista, appare proprio la figura di Ceretti,
che fece convivere entrambe queste anime nella sua esperienza
di vita.
In questa rassegna intendo comprendere Andrea Costa.
Infatti, anche se la sua attività si è svolta
in gran parte nell’ambito del socialismo parlamentare,
la sua appartenenza al movimento anarchico, per quanto breve,
è stata di grande importanza. Nel 2011 si sono svolte
a Imola le manifestazioni in occasione del centenario della
morte di Andrea Costa e sono uscite alcune pubblicazioni a lui
dedicate. Una è il repertorio curato da Paola
Mita, Carte e libri di Andrea Costa,
Imola, Biblioteca Comunale, 2011 nel quale,
oltre ad alcuni saggi, è descritta la cospicua corrispondenza
– conservata nel Fondo Costa della Biblioteca imolese
– intrattenuta da Costa nel corso della sua lunga attività
rivoluzionaria, riformista e parlamentare. Sono inoltre elencate
le numerose monografie lasciate alla stessa biblioteca. Consultando
questo lavoro esemplare, risulta impressionante la consistenza
della rete di relazioni intessuta da Costa, non solo sul piano
quantitativo ma anche, e soprattutto, sul piano della “qualità”
dei corrispondenti: non manca nessuno dei personaggi più
importanti del socialismo e dell’anarchismo italiano e
internazionale dell’epoca. Sempre su Costa, di Marco
Pelliconi, Andrea Costa e il Mezzogiorno.
Le carte del Sud presenti nel Fondo Costa della Biblioteca Comunale
di Imola, Imola, Bacchilega, 2010,
un saggio nel quale, attraverso lo spoglio delle carte, sono
esaminate le differenti relazioni intrattenute a vario titolo
da Costa con le terre meridionali. Naturalmente non poteva mancare
un intero capitolo dedicato all’impresa internazionalista
del Matese.
|
Andrea
Costa |
Di Pietro Gori si è scritto molto
e non sono pochi i volumi che se ne sono occupati. Tiziano
Arrigoni ne ha scritto in modo del tutto particolare.
Infatti, nei suoi due libri, Viaggi ed avventure
di Pietro Gori anarchico, Rosignano Marittimo,
Bancarella, 2010 e Nella terra dei lobos.
In Patagonia con Pietro Gori e Angelo Tommasi,
Piombino, La Botticella, 2012 l’autore
si occupa di alcuni dei tanti viaggi di Gori, in particolare
quello effettuato nella Terra del Fuoco in compagnia del pittore
conterraneo Angelo Tommasi. Arrigoni non si limita a seguire
gli spostamenti dei due, ma descrive anche, in modo curioso
e interessante, la società argentina del periodo, con
le sue grandezze e contraddizioni. Un altro breve studio dedicato
a Gori è di Antonio Bellandi, Carlo
Della Giacoma e Pietro Gori. Musica e politica nella Livorno
di fine Ottocento, Livorno, Quaderni della
Labronica, 2005, lavoro originale su una delle facce
meno studiate del poeta anarchico, quella di librettista d’opera.
Gori infatti non scrisse solo il famoso Calendimaggio,
ma anche Elba, un testo operistico inedito e musicato
dal compositore veronese Della Giacoma, bella figura di spirito
libertario. Anche se centrato soprattutto sull’aspetto
più propriamente musicale, il testo non manca di offrire
spunti inconsueti della vita e delle aspirazioni letterarie
di Gori.
|
Pietro
Gori (al centro) con alla sua destra Carlo Meloni |
Ha dato tanto all’organizzazione operaia, nell’Usi
nella prima metà del secolo e successivamente nella Cgil
Gaetano Gervasio, un militante di base capace
di dare robusta concretezza sociale e politica al proprio essere
anarchico e operaio. Non a caso la sua autobiografia, amorevolmente
curata dalla figlia Giovanna, si intitola Un operaio
semplice. Storia di un sindacalista rivoluzionario anarchico
(Milano, Zero in Condotta, 2011), titolo scelto
con molta modestia, perché la sua esistenza, tribolata
ma anche esaltante, non è certo stata “semplice”,
avendo attraversato con ruolo da protagonista tutte le situazioni
calde del secolo, dalla Settimana rossa alla occupazione delle
fabbriche, dalla lotta al fascismo alla resistenza antinazista,
dalla ripresa del movimento dopo il fascismo alla partecipazione
alla stagione sindacale del secondo dopoguerra. Affiancando
sempre all’attività in campo proletario quella
specifica organizzativa, e infatti, non a caso, lo troviamo
ai congressi di fondazione tanto della Unione Anarchica Italiana
nel 1919 quanto della Federazione Anarchica Italiana nel 1945.
Più o meno coetaneo di Gervasio è Maurizio
Garino, l’operaio torinese di cui hanno curato
le memorie Guido Barroero e Tobia Imperato
nel libro Il sogno nelle mani. Torino 1909-1922.
Passioni e lotte rivoluzionarie nei ricordi di Maurizio Garino,
Milano, Zero in Condotta, 2011. Anche in questo
caso troviamo il resoconto di una vita vissuta con intensa tensione
militante, che ha attraversato i momenti più drammatici
ma anche più importanti del radicale scontro di classe
dei primi decenni del ’900. Sviluppato su una vivace e
coinvolgente intervista a Garino realizzata nel 1975 da Marco
Revelli, il racconto del protagonista ci porta, con una immediatezza
accompagnata da notevole lucidità storica e teorica,
nel vivo delle lotte rivoluzionarie di cui l’operaio
torinese fu grande interprete.
|
Gaetano
Gervasio a un convegno della CGIL |
Un altro bellissimo racconto autobiografico è quello
raccolto, alcuni decenni or sono, da Claudio Venza e Clara Germani
dalla voce di Umberto Tommasini, pubblicato
dapprima nel vivace dialetto triestino e oggi riproposto in
lingua. Si tratta di Umberto Tommasini, Il
fabbro anarchico. Autobiografia fra Trieste e Barcellona,
Roma, Odradek, 2011.
Divenuto già alla prima uscita una sorta di libro di
culto, il testo continua ad affascinare per l’originalità
della presentazione e per la freschezza con la quale il protagonista
racconta le sue esperienze e quelle di tanti anarchici come
lui, alle prese con gli avvenimenti più importanti del
’900. Militante di base, organizzatore instancabile, strenuo
oppositore del fascismo e combattente, tra avventurose traversie,
in terra di Spagna, Tommasini contribuì nel secondo dopoguerra
a ricompattare l’ambiente anarchico triestino, consentendo
quella continuità oggi premiata dalla solida presenza
del movimento in città. Già questo basterebbe
a farne apprezzare l’opera, ma leggendo la bellissima
autobiografia dell’anarchico triestino ci accorgiamo che
sono tanti i debiti contratti con lui e con tanti altri compagni,
sparsi qua e là, di cui la sua storia è testimonianza.
Toni Senta è uno di quei bravi studiosi della nuova generazione
a cui accennavo. Dopo un lungo lavoro di riordino e catalogazione
compiuto nell’imponente Fondo Fedeli custodito all’Iisg
di Amsterdam, Antonio Senta ha pubblicato la
prima biografia, A testa alta! Ugo Fedeli e l’anarchismo
internazionale 1911-1933, Milano, Zero
in Condotta, 2012, leggendo la quale si acquista la
piena percezione dell’importanza che ha avuto, per il
movimento anarchico organizzato, la particolare figura di Ugo
Fedeli. Anche se il periodo considerato è relativamente
ridotto rispetto alla lunga presenza di Fedeli nel movimento,
il libro restituisce comunque la ricchezza di contenuti e contatti
internazionali di un personaggio al quale è intitolato,
non a caso, un fondo documentario di straordinaria entità.
Sempre di Antonio Senta un breve saggio dedicato
a Luigi Galleani e l’anarchismo antiorganizzatore,
Imola, Bruno Alpini, 2012. Già apparso
su «A Rivista anarchica», questo lavoro, in edizione
bilingue, è utile in quanto la figura di Galleani,
così importante nel movimento anarchico di lingua italiana
per gran parte del ‘900, non aveva incontrato, recentemente,
l’interesse che meritava da parte degli storici. Al punto
che di lui manca ancora una biografia completa, in grado di
restituirne la notevole influenza e di spiegare il grande peso
che ebbero gli antiorganizzatori soprattutto nel Nord America.
Potrebbe essere un suggerimento a Senta per una nuova fatica.
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La famiglia Cieri (archivio
privato Domenico Cieri, Messico) |
Di Antonio Cieri si è ricominciato
a parlare solo in questi ultimi anni. E finalmente! Anarchico
abruzzese, ferroviere, trasferito per punizione a Parma, è
fra gli animatori, con Guido Picelli, della straordinaria resistenza
che il popolo parmigiano di Oltretorrente oppose alle squadracce
di Italo Balbo, intenzionate a conquistare militarmente la città
emiliana. Costretto a lasciare l’Italia con l’avvento
del fascismo, nel 1936 parte dall’esilio francese per
andare a combattere in Spagna contro l’esercito franchista.
E qui, nel 1937, perde la vita combattendo contro i fascisti
spagnoli. Alcuni anni fa a Parma venne apposta una lapide in
memoria. Oggi della sua vita esemplare scrive Giorgia
Sisti ne Lo Stranier. Vita anarchica di
Antonio Cieri, Parma, Fedelo’s Editrice,
2012, consegnandoci un omaggio sentito e commosso.
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Nello
Garavini |
Un altro bel volume è quello che raccoglie l’autobiografia
di Nello Garavini, Testimonianze.
Anarchismo e antifascismo vissuti e visti da un angolo della
Romagna, Imola, La Mandragora, 2010.
Il sottotitolo è parzialmente “menzognero”,
perché in realtà la vita di Nello non è
trascorsa solo nei limiti della natia Castelbolognese, ma ha
visto molti dei suoi momenti più importanti altrove,
là dove lo portò il netto rifiuto di convivere
con il fascismo. Prima nel nord Italia e poi a San Paolo del
Brasile, dove continuò per decenni l’attività
antifascista. Pubblicata dopo lunga gestazione, grazie al lavoro
di editing di Gianpiero Landi, questa autobiografia è
esemplare perché, appartenendo a un personaggio apparentemente
di seconda fila (sempre che fra gli anarchici esistano le prime
file), fa capire l’assonanza e le affinità che
uniscono le vite di tanti anarchici, differenti per le circostanze
ma uguali nel pensiero, nell’azione e nell’amore
per l’ideale. Un’altra narrazione autobiografica
è quella dell’«anarchico di Calabria»
Bruno Misefari (Furio Sbarnemi)
che raccolse le proprie considerazioni nel Diario
di un disertore. Un anarchico contro la guerra,
oggi pubblicato da Gwinplaine, Camerano, 2010.
La sua fu un’esperienza comune ai molti anarchici che
si rifiutarono di partecipare al grande macello della guerra
e scelsero di sottrarsi, nonostante i rischi che comportava
la diserzione, alla disumanità che attraversò
l’Europa fra il 1914 e il 1918. Per questo si possono
leggere queste memorie come il libro collettivo di un intero
movimento.
|
Bruno
Misefari |
Fu un’esistenza particolarmente intensa, ma purtroppo
conclusasi nel modo più drammatico, quella ricostruita
da Giuseppe Galzerano in Enrico
Zambonini. Vita e lotte, esilio e morte dell’anarchico
emiliano fucilato dalla Rsi, Casalvelino,
Galzerano, 2009. Particolarmente accurato, questo studio
ripercorre gli anni dell’esilio in Francia e Belgio, dove
Zambonini andò per sottrarsi alle continue persecuzioni
e violenze fasciste, e quelli della partecipazione alla rivoluzione
spagnola, soffermandosi, in particolare, sull’importante
ruolo avuto dall’anarchico nel creare una scuola per l’infanzia,
in piena guerra civile. Una iniziativa quanto mai indicativa
dell’importanza che gli anarchici, anche in pieno periodo
rivoluzionario, davano all’educazione libertaria, intesa
come momento di emancipazione. Zambonini, dopo essere stato
rimpatriato e confinato a Ventotene, sarà fucilato nel
1944 sull’Appennino reggiano da un plotone di esecuzione
repubblichino, al termine di un processo tragicamente farsesco.
|
Enrico
Zambonini |
L’attentato del 1921 al teatro milanese Diana ha segnato
una sorta di spartiacque all’interno dell’anarchismo
italiano. Tragico nelle conseguenze – 21 morti uccisi
dallo scoppio –, devastante per gli esecutori –
ergastoli e infiniti anni di galera –, drammatico per
il movimento – costretto a difendersi dalla reazione generale
–, l’attentato fu rimeditato e ampiamente vagliato
da uno degli esecutori materiali, Giuseppe Mariani,
che scontò decenni di durissimo carcere. Liberato nel
dopoguerra anche grazie all’intervento di Sandro Pertini,
Mariani consegnò le sue memorie e i suoi ripensamenti
a un bel libro, Memorie di un ex terrorista. Dall’attentato
al “Diana” all’ergastolo di Santo Stefano,
ripubblicato nel 2009 per le edizioni di Genova,
L’ultima spiaggia e arricchito da una interessante
appendice documentaria sia sull’attentato sia sul penitenziario
di Santo Stefano.
Un anarchico apparentemente “minore” ma del quale,
leggendone la biografia, si può apprezzare l’importante
ruolo avuto nello sviluppo del movimento a Napoli, è
sicuramente quello cui dedica una attenta biografia Fabrizio
Giulietti, Umberto Vanguardia. Azione e
propaganda di un anarchico napoletano (1879-1931),
Casalvelino, Galzerano, 2009. Anche in questo
caso, si tratta di un’esistenza intensa e avventurosa,
segnata dall’entusiasmo militante e dalla dura repressione
statale e fascista, un’esistenza simile a tante altre,
tutte accomunate dalla medesima intensità nell’adesione
ai propri principi. Militante sindacale, instancabile organizzatore,
propagandista e pubblicista (molti i suoi scritti riprodotti
nel libro), conobbe anch’egli carcere e confino, ma la
sua sete di libertà, propugnata per sé e per gli
altri, non venne mai meno. Non è uno solo, ma sono tre
i protagonisti di una storia sostanzialmente sconosciuta e oggi
riportata alla luce da Giuseppe Alibrandi,
ne Il libertario dei Nebrodi, Marina
di Patti, Pungitopo, 2010. Antonino Puglisi,
Francesco Martino e Leo Giancola
furono gli animatori di un gruppo anarchico siciliano attivo
nel primo dopoguerra e, nonostante le difficoltà di un
ambiente non favorevole, si impegnarono con tutte le forze per
l’affermazione del gruppo. I loro destini furono differenti
perché Giancola emigrò in America dove entrò
a far parte della redazione della «Adunata dei Refrattari»
mentre Puglisi, rimasto al paese, subì ogni sorta di
persecuzione da parte fascista. Sono molti altri, poi, i personaggi
riportai alla luce, in un quadro composito come fu composito
l’anarchismo siciliano.
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Francesco
Barbieri |
Viene sempre dal sud, e più precisamente dalla Calabria,
la biografia di un’altra figura non fra le più
conosciute ma sicuramente di notevole rilevanza. Ne scrivono
Giuseppe Candido, Filippo Curtosi
e Francesco Santopolo, nel volume Francesco
Barbieri l’anarchico di Briatico. Una vita rivoluzionaria,
Calabria, Non mollare edizioni, 2011. Una vita
avventurosa quella di Barbieri, trascorsa dapprima
nella nativa Calabria, poi nell’Argentina degli anarchici
espropriatori e conclusasi tragicamente, nel 1937, nella Barcellona
rivoluzionaria. Barbieri, infatti, era stato scelto, per la
sua determinazione di uomo d’azione, come una sorta di
guardia del corpo di Camillo Berneri, e proprio con Berneri
troverà la morte, assassinato da infami sicari stalinisti,
nelle drammatiche giornate controrivoluzionarie del maggio barcellonese.
Un sincero omaggio dei tre autori calabresi a un uomo che meritava
finalmente una accurata biografia.
Restando in Calabria, ma partendo dalla Toscana, troviamo le
pagine nelle quali Angelo Pagliaro ricostruisce
le avventurose peripezie di un’intera famiglia. Si tratta
de La famiglia Scarselli. Volti, idee, storie e
documenti di una famiglia anarchica temuta da tre dittature,
Cosenza, Coessenza, 2012. Inizialmente siamo
in Toscana, e per l’esattezza nella patria di Boccaccio,
Certaldo, dove i numerosi componenti di questa famiglia organizzarono
una risoluta resistenza contro il fascismo. Datisi poi alla
macchia, i giovani Scarselli diedero vita alla banda dello Zoppino
(tale era il soprannome del capofamiglia Scarselli) che costituì
una spina nel fianco del nascente regime; solo con la dispersione
in Brasile e in Russia dei componenti della banda, il regime
poté tirare un sospiro di sollievo. Dall’incontro
con gli ultimi componenti di questo bel nucleo famigliare, Germinal
e Spartaco Bottino, figli di Giacomo e Ida Scarselli, entrambi
nati in Brasile ma oggi residenti in Calabria, l’autore
riporta ricordi altrimenti destinati ad andare persi, insieme
con gli ideali che animarono quella piccola schiera di irriducibili
libertari.
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Emilio
Scarselli |
Di ben diverso tenore la vita di un altro anarchico non troppo
conosciuto. Ne traccia una succinta biografia Oliviero
La Stella nel volume Francesco Ippoliti.
Un anarchico abruzzese agli inizi del Novecento,
Pescara, Ianieri, 2006. Straordinaria figura
di asceta laico, Francesco Ippoliti fu il preziosissimo «medico
dei poveri» dei contadini abruzzesi, animato in tale missione
dalla profonda adesione all’anarchismo. Attivo all’interno
del movimento con la collaborazione a numerose testate, fu duramente
perseguitato dai fascisti, che non potevano tollerare l’amore
che lo circondava fra la sua gente, e che infatti cercarono
di colpirlo proprio dove sapevano che più gli avrebbero
fatto male, boicottandone metodicamente la missione umanitaria.
Una ulteriore dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, della delinquenza
morale del regime.
La sua vita trascorse, in gran parte, e molto criticamente,
nei ranghi del partito comunista, ma la sua giovanile e forte
adesione all’anarchismo ne giustifica l’inserimento
in questa bibliografia. Si tratta di Emilio Colombo,
militante di base milanese, di cui scrive Cesare Bermani
in “Filopanti”. Anarchico, ferroviere,
comunista, partigiano, Roma, Odradek,
2010. Ricco di citazioni, di estratti da articoli,
di testimonianze, il ritratto di Colombo esce a tutto tondo
come quello di un vero militante della base operaia, capace
di esercitare il proprio “libero arbitrio” anche
contro le direttive del partito. Di tutt’altro tipo di
“anarchico” parla il libro di Pino Corrias,
Vita agra di un anarchico. Luciano Bianciardi a
Milano, Milano, Baldini Castoldi, 2009.
Bianciardi non fu anarchico nel senso stretto della parola,
non militò nel movimento libertario ma fu, anzi, vicino,
in varie fasi, al partito comunista. Eppure il suo modo di affrontare
l’esistenza, criticamente libero e irriverente, e di partecipare
alla vita sociale del Paese ne fanno, a buon diritto, un vero
libertario. Proprio per l’incapacità di accettare
compromessi con i meccanismi del potere, la sua fu una «vita
agra», in sintonia con il suo libro più famoso,
l’autobiografia intitolata, appunto, La vita agra.
E Corrias, con affetto e partecipazione, la ricostruisce cercando
testimonianze e ricordi fra quanti lo hanno conosciuto e gli
hanno voluto bene.
Le neonate edizioni del Centro Documentazione Franco
Salomone di Fano hanno dedicato la
loro prima pubblicazione nel 2011 a Un
rivoluzionario di ponente. Franco Salomone: le lotte di ieri,
l’alternativa di domani, curata da Roberto
Meneghini e Donato Romito. «Savonese di nascita ma internazionalista
militante, attivista sindacale e comunista libertario, Franco
Salomone (1948-2008) ha dedicato la sua vita alla lotta
di classe, alle lotte sociali, all’organizzazione rivoluzionaria
per l’anarchia e il comunismo», e qui sono raccolti
alcuni documenti che ne testimoniano il pensiero e l’impegno.
Ha scelto invece altre strade, decisamente differenti, per “praticare”
l’anarchismo, Claudio Lavazza, che ripercorre
le sue traversie nel racconto Pestifera la mia vita,
Cuneo, Biblioteca popolare Rebeldies, 2011.
Oggi Lavazza sta scontando lunghi anni di carcere in Spagna,
dove portò il proprio agire “illegalista e insurrezionalista”
quando dovette fuggire dall’Italia per sottrarsi all’arresto,
e leggendo queste pagine appare chiaro come, nel suo caso, non
si possa proprio parlare di pentitismo.
Buono, affabile e disponibile, Goliardo Fiaschi
lo abbiamo conosciuto quasi tutti, e quasi tutti abbiamo frequentato
la sua libreria-circolo culturale situata nel cuore di Carrara.
Giovanissimo partigiano, l’anarchico Goliardo (anarchico
anche nell’indeterminatezza del nome: Goliardo o Gogliardo?)
entrò in contatto, nei primi anni del dopoguerra, con
gli anarchici spagnoli che ancora cercavano di abbattere il
regime franchista con la lotta clandestina. Arrestato in Spagna
durante un’azione, dovette affrontare per lunghi, troppi
anni, una dolorosa carcerazione, che lo portò a conoscere
le prigioni di mezza Spagna e mezza Italia. Quando finalmente
ritrovò la libertà, riprese il proprio posto nel
movimento dedicandosi con rinnovato entusiasmo alle attività
degli anarchici carraresi. Di questa generosa esistenza scrive
oggi Gino Vatteroni in Fóc
al fóc. Goliardo Fiaschi: una vita per l’anarchia,
Carrara, Circolo Culturale Gogliardo Fiaschi, 2012.
Un sentito e documentato omaggio che non possiamo non apprezzare.
Fino ad ora ci siamo occupati di anarchici italiani, ma vanno
segnalati anche alcuni testi che ci portano in altri paesi.
Cominciamo con la ristampa di un libro tanto famoso quanto fino
a ieri introvabile, e che ebbe, a suo tempo, grande fortuna
fra un pubblico di lettori appassionati e… solidali. Si
tratta delle memorie autobiografiche di Clement Duval,
Il fuggiasco della Guyana, Milano,
Kaos, 2012, il leggendario anarchico illegalista francese
che trascorse lunghi anni nei bestiali bagni penali nei quali
la democratica Francia mandava a rinsavire i suoi figli “irregolari”.
Sono memorie estremamente avvincenti pure se in effetti non
sarebbero tutte farina del sacco di Duval – anche se sue
sono le vicende narrate – ma piuttosto del sacco di ben
altro personaggio, quel Galleani, grande scrittore, di cui abbiamo
parlato poco sopra. Infatti l’edizione francese originale
riempie appena una settantina di pagine, mentre quella riproposta
oggi, e uscita in prima edizione per la «Adunata dei Refrattari»
negli anni Trenta, ne contiene oltre cinquecento. Comunque sia,
il libro è di grande interesse, anche se spesso ci si
deve fermare per digerire tutte le infamie che vi sono descritte.
Molto avvincente anche il lavoro di Jean-Marc Delpech,
che ha licenziato alle stampe la biografia di un personaggio
più volte incontrato in queste pagine: Rubare
per l’anarchia. Alexandre Marinus Jacob, ovvero la singolare
guerra di classe di un sovversivo della belle époque,
Milano, Elèuthera, 2012. Una biografia
completa, questa, arricchita da una precisa cronologia e, soprattutto,
dalla riproduzione del Perché ho rubato?, l’avvincente
dichiarazione con la quale Jacob “spiegò”
ai giudici che l’avrebbero condannato le mille ragioni
che lo avevano spinto sulla strada del «lavoro di notte».
Di contenuto meno drammatico, la biografia che Bernard
Thomas dedica a Lucio Urtubia. L’anarchico
irriducibile, Lecce, Bepress, 2012.
Su questo anarchico spagnolo vivente in Francia è uscito
recentemente anche un film, e in effetti la sua storia merita
attenzione. Infatti questo militante anti franchista di origini
proletarie si rifugia in Francia per sottrarsi al servizio militare
e da allora la sua vita diventa quella di «un Robin Hood
moderno, contrabbandiere, disertore, militante anarchico, rapinatore,
falsificatore di documenti e di soldi». Il suo capolavoro,
che lo ha reso famoso, fu quello di truffare tre miliardi di
pesetas alla First National City Bank, ma nonostante il colpaccio,
continua a vivere tuttora a Parigi della sua pensione di muratore.
Come si può immaginare, la lettura di questo libro è
altrettanto appassionante quanto lo è stata chiaramente
la sua vita.
BIOGRAFIE COLLETTIVE
Sono molte le biografie raccolte nel volume Le
figure storiche dell’Unione Sindacale Italiana,
Ancona, USI-AIT, 2012. In questo libro, edito
dall’Usi nel centenario della sua fondazione, si cimentano
nove studiosi per undici biografie di militanti sindacali che
nel corso degli anni hanno partecipato all’intensa vita
di questo sindacato rivoluzionario, all’interno del quale
gli anarchici hanno avuto, e hanno tuttora, parte preminente.
Accanto alle figure di Alceste De Ambris, Filippo Corridoni,
Alibrando Giovannetti, diretta espressione del sindacalismo
rivoluzionario (non tutti faranno una fine coerente), troviamo
alcuni degli esponenti anarchici più significativi dell’Usi,
quali Armando Borghi, Clodoveo Bonazzi, Virgilia D’Andrea,
Alberto Meschi, Pietro Comastri, Libero Dall’Olio, Camillo
Berneri e Umberto Marzocchi. Un bel ritratto di famiglia –
nel quale troviamo alcune foto inedite – che mostra la
continuità e la consistenza della presenza anarchica
organizzata in campo sindacale.
Ancora una volta Pino Cacucci si dedica, con
la usuale bravura, a narrare vite difficili, tormentate, spesso
tragiche, ma sempre degne di essere vissute. Lo scrittore torna
in libreria con Nessuno può portarti un fiore,
Milano, Feltrinelli, 2012, una piccola antologia
di sette esistenze libertarie, uomini e donne, in Italia, in
Europa, nelle lontane Americhe, che nella diversità di
situazioni, ideali e pensiero hanno avuto il tratto comune di
interpretare i drammi del secolo passato. Alcuni, forse, solo
perché travolti dagli avvenimenti, ma non certo nel caso
della giovanissima partigiana felsinea Edera De Giovanni, uccisa
dai fascisti per il suo coraggio – le hanno reso recentemente
omaggio gli anarchici bolognesi – né di Sante Pollastro,
che scontò lunghi anni di galera per la sua irriducibile
passione illegalista, e nemmeno di Duval (parliamo di lui anche
altrove in questa bibliografia) o di Horst Fantazzini, il «rapinatore
gentile» morto assurdamente durante la sua ultima impresa.
Con partecipazione torna ad occuparsi degli anarchici il giornalista
reggiano Fabrizio Montanari che nel libro Inseguendo
il vento della libertà, Reggio
Emilia, L’Autore, 2008, narra la «storia
verosimile di tre amici nella tempesta del primo Novecento,
tra amori, esilio, guerre e lotte politiche». I tre sono
i reggiani Torquato Gobbi, Camillo Berneri e Pietro Montasini,
e il racconto si svolge sulla traccia della autobiografia che
Gobbi, prima di suicidarsi a Montevideo, volle lasciare alla
nipote. Torquato narra le sue avventurose vicende e quelle di
Camillo, ucciso dagli stalinisti a Barcellona, e di Pietro,
ucciso l’anno successivo a Mosca da mani guidate dalla
logica criminale del “comunismo in un paese solo”,
quella per cui chi non era d’accordo era un nemico da
eliminare. Un libro che fa riflettere sulle aberrazioni che
nel Novecento rovinarono i sogni di mondi migliori.
Ancora tre biografie, tracciate da Marco Cicala
in Tre anarchici: il poeta, il rivoluzionario, il
falsario, Udine, Forum, 2011,
dove il poeta è l’uomo di teatro, partigiano e
deportato Armando Gatti, il rivoluzionario Abel Paz –
che non ha bisogno di presentazioni – il falsario, manco
a dirlo, Lucio Urtubia, in questi ultimi tempi sempre più
agli onori delle cronache. Indubbiamente tre diverse rappresentazioni
dell’anarchismo, tre interpretazioni dei rispettivi ruoli
svolti all’inseguimento della libertà, ma tutte,
come raccontano le loro storie, dotate della stessa intensità.
Storie collettive, che questa volta si intrecciano fortemente
con le vicende di un’intera cittadina, sono quelle vissute
in una delle più belle località della Toscana,
e quindi d’Italia. Duccio Benvenuti offre
uno squarcio su una presenza anarchica quasi ininterrotta nel
libro Cravatte nere. Storie degli anarchici di Volterra,
Volterra, Distillerie, 2009. In gran parte
si tratta di artigiani alabastrai che contribuirono a fare di
Volterra una città refrattaria alle sirene del potere
e all’adesione al fascismo. Sono storie semplici, senza
particolari eroismi se non quelli di chi ogni giorno afferma
la propria dignità di uomo libero in faccia al potere,
alla repressione, all’emarginazione; quindi storie parallele
a quelle degli altri anarchici che nel corso degli anni hanno
attestato e propagandato il proprio ideale, sempre e dovunque.
Restiamo in Toscana, a Carrara, la “patria” –
sempre che gli anarchici abbiano una patria – dell’anarchismo.
Ne parla Marco Rovelli ne Il contro
in testa. Gente di marmo e d’anarchia, Bari,
Laterza, 2012, che affronta sul filo della memoria
la storia di Carrara e dei suoi irriducibili e duri abitanti.
Ne esce uno spaccato avvincente e fortemente sentito, che attraversa
cave e cantine e si pasce del sole accecante delle Apuane e
del generoso vino locale bevuto, come si deve, con malinconica
allegria. Sono tante le persone che si incontrano, alcune note,
molte sconosciute, ma tutte raccontate con l’affetto di
chi sa di dovere molto a questa città. Ma anche con l’amarezza
nel constatare come il suo spirito ribelle fatichi sempre più
a ritrovarsi e quanti danni abbiano fatto la speculazione edilizia
e l’inquinamento ambientale.
Un tassello mancante alla storia dell’anarchismo italiano
è stato riempito da Pasquale Grella
che, nel suo ponderoso lavoro Appunti per la storia
del movimento anarchico romano dalle origini al 1946,
Roma, L’autore, 2012, ricostruisce l’intensa
attività militante, particolarmente in campo sindacale
e antifascista, degli anarchici della capitale. Soprattutto
interprete dell’anarchismo organizzatore e federalista,
l’anarchismo romano ha espresso numerose figure di caratura
nazionale, che non raramente hanno condizionato l’attività
e le scelte del movimento nazionale. Sono più di un centinaio
le biografie di questi compagni riportate in appendice, risultato
di un lavoro prezioso di scavo negli archivi pubblici e nelle
pubblicazioni dell’epoca.
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Cena a casa Borghi, a Roma.
Da sinistra: Armando Borghi, Pia Zanolli Misefari,
Mario Mantovani, Catina Ciullo, Umberto Marzocchi |
Il Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani
ha rappresentato un notevole stimolo alla ricerca storiografica,
facendo emergere in particolare le biografie dei personaggi
cosiddetti minori. Così, dopo l’uscita di uno studio
preliminare sull’anarchismo a Modena di alcuni anni fa,
si deve ora ad Andrea Pirondini l’approfondimento
definitivo, Anarchici a Modena. Dizionario biografico,
Milano, Zero in Condotta, 2012, un lavoro particolarmente
prezioso per il ricco apparato storiografico che accompagna
le numerose biografie dei militanti anarchici della città
emiliana. Altre località si sono progressivamente aggiunte
a quelle che possono presentare una ricognizione pressoché
completa dei propri militanti. Si tratta della Calabria, dell’Abruzzo
e del Bergamasco. In Abruzzo Edoardo Puglielli
ha dedicato due volumi al movimento della regione. Il primo,
frutto di notevole fatica e capacità di ricerca, è
il Dizionario degli anarchici abruzzesi,
Chieti, Centro Studi Libertari Di Sciullo, 2010,
una raccolta di ben 150 biografie, a dimostrazione che anche
una regione apparentemente periferica come presenza e rilevanza
del movimento anarchico ha fatto emergere tante figure di militanti,
anche di caratura nazionale. Basti citare Carlo Tresca, Virgilia
D’Andrea, Camillo Di Sciullo, Nino Postiglione, Severino
Di Giovanni, Antonio Cieri. Per approfondire la conoscenza dell’anarchismo
abruzzese, sempre di Edoardo Puglielli, Il Movimento Anarchico
Abruzzese 1907-1957, L’Aquila, Textus, 2010, un’approfondita
ricerca che, partendo dai primi anni del Novecento e dalla partecipazione
del movimento locale ai moti della Settimana Rossa e del Biennio
Rosso, arriva fino alla ripresa dopo la caduta del fascismo
e alla ricostruzione di un movimento che non aveva mai smesso
di partecipare alla vita sociale della regione. Ben vengano
studi come questi, capaci di integrare notizie e dati apparentemente
localisitici con quelli della storia nazionale. Rendendo la
conoscenza di quest’ultima ancora più piena e comprensibile.
Sullo stesso registro il lavoro di Katia Massara
e Oscar Greco, Rivoluzionari e
migranti. Dizionario biografico degli anarchici calabresi,
Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2010. Anche
in questo caso l’accurato lavoro degli autori permette
di affrontare con uno sguardo diverso una realtà meridionale,
che si pone apparentemente ai margini di quella nazionale. Significativo
il dato che descrive come la gran parte degli oltre 500 biografati
(non si dica che gli anarchici calabresi sono pochi) abbia svolto
la propria attività o nel Nord Italia o all’estero,
soprattutto in Argentina, a riprova del tremendo peso che il
fenomeno dell’emigrazione coatta ebbe nell’incompiuto
processo di trasformazione della Calabria. L’analisi storica
ad ampio spettro contenuta nella lunga introduzione dei due
autori e il ricco apparato di indici tematici rendono ancora
più interessante e stimolante l’approccio a questa
ricerca. Una sorta di dizionario biografico, corredato dalla
pubblicazione di numerosi documenti, illustrazioni e interessanti
note cronologiche è il volume di Albino Bertuletti
e Alberto Gotti, Anche noi eravamo
storia. Alle origini dell’anarchismo bergamasco,
vol. I, Bergamo, Centro Studi P. C. Masini e Spazio
Anarchico Underground, 2010, frutto di una ricerca
sui «bergamaschi attivi nei gruppi anarchici di Milano
1880-1900». Anche in questo caso c’è ragione
di sorprendersi nel vedere come la bianchissima e bigotta bergamasca
sia stata capace di dar vita a tanti fautori del progresso sociale
e militanti del libero pensiero.
STORIA
Sono molti i testi che ripercorrono la storia dell’anarchismo,
italiano e internazionale, partendo dalle prime fasi insurrezionali
per giungere progressivamente ai maturi processi organizzativi
degli anni più recenti.
Per comprendere appieno la genesi dei primi afflati libertari
in Italia, si deve partire dalla fase risorgimentale, nella
quale si affacciarono molte delle tematiche che sarebbero poi
state sviluppate dal pensiero anarchico. L’autodeterminazione
dei popoli, la lotta al potere temporale della Chiesa, la necessità
dell’emancipazione dei ceti popolari furono infatti fra
gli elementi pregnanti delle urgenze risorgimentali. Se ne coglie
l’importanza, non sempre adeguatamente indagata, nel bel
volume che riunisce gli atti di un recente convegno dedicato
a Luigi Di Lembo, il nostro carissimo compagno e studioso recentemente
scomparso. Elementi libertari nel Risorgimento livornese
e toscano. Atti del convegno di studi di Livorno, 26 marzo 2010.
In memoria di Luigi Di Lembo è il titolo
del volume curato da Giuseppe Gregori e Giorgio
Sacchetti, Prato, Pentalinea, 2012, che raccoglie tutte
le relazioni, da quella di Fabio Bertini sulla natura profondamente
libertaria del pensiero di Pisacane a quella di Natale Musarra
dedicata ai patrioti siciliani esiliati in Toscana.
|
Pier
Carlo Masini |
Sicuramente ispirata al “colpo di mano” predicato
dai mazziniani fu l’impresa che vide un pugno di internazionalisti,
guidati da Cafiero e Malatesta, tentare di sollevare le plebi
meridionali nel 1877. Si tratta della famosa Banda del Matese,
che per alcuni giorni scorrazzò in questo massiccio fra
Campania e Molise occupando municipi, bruciando carte bollate
e sabotando i contatori necessari al calcolo della odiata tassa
sul macinato. Le fasi di questa epica impresa, forse il momento
più alto dell’azione dei primi internazionalisti,
fu il soggetto di un classico del 1958 di Pier Carlo
Masini, Gli Internazionalisti: la Banda
del Matese (1876-1878), oggi riproposto per i
tipi di Franco Di Sabantonio, Roma, 2009. Sullo
stesso argomento il corposo lavoro di Bruno Tommasiello,
La Banda del Matese (1876-1878). I documenti, le
testimonianze, la stampa dell’epoca, Casalvelino,
Galzerano, 2009, che riunisce la pressoché completa
raccolta di testimonianze su quell’impresa: dalle impressioni
dei protagonisti alle arringhe degli avvocati difensori dei
processati, dalla ricostruzione dei fatti del procuratore Forni
alle lettere dal carcere, dagli articoli dei giornali alla bellissima
prefazione che Malatesta scrisse per l’opera di Max Nettlau,
Bakunin e l’Internazionale in Italia, uscita
in Svizzera nel 1928; prefazione nella quale uno dei massimi
ispiratori dell’impresa propone interessanti considerazioni
sia sulla Banda sia, più in generale, sull’attività
della gloriosa Internazionale antiautoritaria italiana.
Alla luce del sostanziale fallimento, almeno sul piano dei risultati
immediati, di queste esperienze insurrezionali si sviluppò,
nell’ambito della Prima internazionale, una riflessione
intesa a rivedere metodi e obiettivi della lotta sociale. Anche
sotto l’impulso della celebre Lettera agli amici di
Romagna nella quale Andrea Costa proponeva l’entrata
nelle istituzioni, nacque il Partito Socialista Rivoluzionario
Romagnolo, all’interno del quale convissero le due anime
del primo socialismo. La sua storia, breve ma non per questo
meno importante, è ricostruita con accuratezza da Emilio
Gianni, La parabola romagnola del “partito
intermedio”. I congressi del Partito Socialista Rivoluzionario
Romagnolo (1881-1893), Milano, Pantarei,
2010, anche se a volte il giudizio del politico tende
a sovrapporsi all’obiettività dello storico.
Come si sa, la nascita del Primo Maggio, giorno di lotta dedicato
al lavoro, è strettamente legata alla tragica vicenda
ottocentesca della bomba scoppiata nel corso di una manifestazione
di lavoratori nella piazza di Haymarket a Chicago. Del fatto,
chiara provocazione poliziesca, furono incolpati sette anarchici
americani in gran parte di origine tedesca e cinque di questi
furono condannati alla pena capitale e successivamente giustiziati.
Ormai la storia è ampiamente nota e non può essere
né ignorata né messa in sordina quando si vuole
fare la storia di questo giorno. Ci riesce, invece, con abilità
degna di miglior causa, Francesco Renda, che
nel suo Storia del Primo Maggio. Dalle origini ai
giorni nostri, Roma, Ediesse, 2009,
tratta dei fatti di Chicago in ben… cinque delle quasi
trecento pagine del suo lavoro.
È una prospettiva decisamente inusuale, tanto originale
quanto suggestiva, quella da cui parte Maurizio Antonioli
in Sentinelle perdute. Gli anarchici, la morte,
la guerra, Pisa, Biblioteca Franco Serantini,
2009, un libro denso di contenuti, nel quale il controverso
ma costante rapporto tra “l’anarchico” e la
prospettiva della morte viene scandagliato in tutte le sue componenti:
dalla morte “bella e vendicatrice” che colpisce
il tiranno a quella inutile e mostruosa sui campi delle battaglie,
da quella cantata dalla retorica dannunziana a volte fatta propria
anche da ambiti del movimento, a quella «di chi cade combattendo
contro il tiranno: il titano, l’eroe, il martire».
Decisamente opportuna questa ricognizione su una produzione
retorica che non raramente viene ad interessarci. Sempre di
Maurizio Antonioli, Figli dell’officina.
Anarchismo, sindacalismo e movimento operaio tra Ottocento e
Novecento, Pisa, Biblioteca Franco Serantini,
2012. Si tratta di una raccolta di saggi sull’argomento
di cui l’autore è un indubbio maestro, vale a dire
il rapporto simbiotico ma spesso anche conflittuale fra anarchismo
e sindacalismo rivoluzionario. Sono tanti i personaggi che si
incontrano, figure ancora in grado di trasmettere qualcosa di
più dei semplici fatti che li hanno visti protagonisti,
qualcosa di intimamente legato alla forza e al valore dei loro
ideali e del loro impegno. Riportarne alla luce l’esempio
e il lavoro è l’obiettivo che questo libro raggiunge
compiutamente.
|
Alex
Butterworth |
È passato abbastanza inosservato eppure, a mio parere,
è uno dei testi più significativi usciti in questi
ultimi tempi. Si tratta del complesso e sapiente studio di Alex
Butterworth, Il mondo che non fu mai. Una
storia vera di sognatori, cospiratori, anarchici e agenti segreti,
Torino, Einaudi, 2011, che tratta degli intricati
rapporti intercorsi negli ultimi decenni dell’800 fra
i rivoluzionari di mezza Europa e le polizie e i servizi segreti
tanto delle rare democrazie quanto delle numerose autocrazie
dell’epoca. Sviluppato soprattutto sugli avvenimenti francesi
(La Comune di Parigi e le sue conseguenze in termini di repressione),
inglesi (il composito mondo dei rivoluzionari europei che lì
confluivano), americani (l’accoglienza degli emigrati
sovversivi) e russi (la lotta allo zarismo di populisti e anarchici)
l’indubbio interesse del libro sta nel riuscire a ricostruire
con ricchezza di documentazione le complicate e spesso sorprendenti
relazioni che intercorrevano fra i rivoluzionari (in primis
gli anarchici) e le forze istituzionali preposte al controllo
della sovversione. L’autore, nonostante da buon britannico
si conceda qualche affermazione opinabile, dipinge un quadro
di grande interesse su questi intrecci, mostrando quanto fossero
stretti, purtroppo spesso, anche i rapporti fra “guardie
e ladri”. Vista la mole del volume, oltre 600 pagine,
ci si potrebbe spaventare ma, parlandone per esperienza diretta,
mi sento di consigliarlo. C’è solo da imparare!
Sempre sui rapporti conflittuali fra sovversione e “giustizia”,
fra “malfattori” e sbirri, sono recentemente comparsi
in libreria altri due ottimi volumi di valenti studiosi. Il
primo, di Susanna Di Corato Tarchetti, Anarchici,
governo, magistrati in Italia 1876-1892, Torino,
Carocci, 2009, partendo dall’episodio della Banda
del Matese, illustra i duri strumenti messi poi in atto da governo
e magistratura per far fronte a una emergenza a cui ancora non
si era preparati. Il passaggio dalla fase insurrezionale a quella
più matura dell’organizzazione sociale viene indagato
attraverso la lettura dei congressi locali e nazionali, sia
quelli promossi dal nascente socialismo parlamentare sia quelli
a cui dà vita l’anarchismo, ultimo quello di Capolago.
E sono descritti, in parallelo, i numerosi processi che verranno
istruiti in Italia, con le stesse finalità repressive
ma con impostazioni diverse, dovute all’incertezza all’interno
della magistratura su quali dovessero essere i metodi più
efficaci per imbrigliare la sovversione. Di ambito più
limitato, ma non per questo meno interessante, sono i fatti
di cui scrive Piero Brunello nel suo Storie
di anarchici e di spie. Polizia e politica nell’Italia
liberale, Roma, Donzelli, 2009.
Partendo dalle indagini sugli incontri clandestini dei sovversivi
nel padovano, Brunello illustra i passaggi attraverso i quali
la polizia, nell’inseguimento spasmodico di ogni forma
di sovversione, viene affinando i suoi strumenti di controllo
e d’indagine, dando vita a quelle forme di schedatura
che troveranno piena realizzazione sotto il regime fascista.
Le vicende di cui tratta hanno luogo fra Venezia, Padova, Monselice
(allora uno dei centri più importanti del nascente Internazionalismo)
e su tutto campeggia il famigerato Terzaghi, l’internazionalista
che, al soldo della polizia, contribuirà a creare scompiglio
fra le file degli anarchici, ma, al tempo stesso, renderà
questi più consapevoli dello “sporco” gioco
della repressione.
Quella stessa repressione che si accanisce contro Romeo Frezzi,
il socialista anarchico romano morto “misteriosamente”
nel carcere di Regina Coeli nel 1897. Accusato ingiustamente
di complicità con il fallito regicida Acciarito, Frezzi
dovette subire angherie e maltrattamenti, fino a essere “suicidato”
dalle guardie carcerarie, coperte nel loro infame lavoro dalla
direzione del carcere e dal potere politico, ostinatamente interessato
a troncare ogni tentativo di riscatto delle masse popolari.
Documenta questa amara storia, con passione e ricchezza di documentazione,
Ferdinando Cordova in Alle radici
del Malpaese. Una storia di potere nell’Italia di fine
’800, Roma, Manifestolibri, 2011.
Del resto anarchici, comunisti, socialisti e sovversivi il carcere
lo hanno ben conosciuto, non trascurando, spesso, di lasciare
traccia del loro passaggio nelle celle che li avevano involontari
ospiti. Lo testimonia un curioso studio, di notevole interesse
anche per l’originalità del tema trattato, pubblicato
dalle Edizioni ETS di Pisa
nel 2010. Si tratta di Condannato perché
nacque. I graffiti del carcere di Vicopisano tra Otto e Novecento,
curato da Lorenzo Carletti, con prefazione
di Massimo Carlotto. Illustrando le commoventi immagini dei
graffiti conservati sui muri della prigione, l’autore
riporta con dovizia di particolari tanto la spesso sgrammaticata
– ma non per questo meno convincente – protesta
scritta sulle pareti, quanto le succinte biografie degli autori
di tali testimonianze: anarchici, socialisti, comunisti, mazziniani
ma anche, qua e là, qualche ladruncolo o truffatore.
Un lavoro insolito, che offre un quadro qui limitato a Vicopisano
ma che avrebbe potuto essere “dipinto” sicuramente
in tutte le carceri del Paese.
Il costante e contraddittorio rapporto fra violenza e anarchismo,
uno dei topoi più significativi del movimento soprattutto
in passato, è il tema affrontato da Erika Diemoz
nel libro A morte il tiranno. Anarchia e violenza
da Crispi a Mussolini, Torino, Einaudi,
2011. Scritto in forma inutilmente accattivante, se
non a volte addirittura irritante, e in più parti con
lacune e interpretazioni forzate di fatti, personaggi e avvenimenti,
il testo ha comunque un suo interesse soprattutto quando affronta
la figura di Emidio Recchioni, l’anarchico marchigiano
che fece fortuna a Londra e che dalla capitale britannica fornì
incessantemente aiuto, anche materiale, ai tentativi di attentato
a Mussolini. Stesso tema, ma con risultati più scarsi,
quello trattato da Massimo Centini in Il
re è morto, viva il re… Attentati anarchici: quando
la politica diventa crimine, Torino, Ananke,
2009, che va a ripescare le teorie lombrosiane per
tentare di interpretare in chiave di antropologia criminale
le motivazioni sociali, giuste o sbagliate che fossero, che
spingevano gli anarchici ad attentare alla vita dei potenti.
Fra i personaggi citati da Diemoz compare Luigi Lucheni,
l’attentatore della famosa principessa asburgica Elisabetta
d’Austria, più nota come principessa Sissi, anche
per la serie di film a lei dedicati negli anni Sessanta. Le
Edizioni Anarchismo di Trieste
hanno pubblicato nel 2009 l’interrogatorio
a cui fu sottoposto Lucheni dopo l’atto, in un volume
dal titolo Come e perché ho ucciso la principessa
Sissi, interessante in quanto ne esce una figura
meno “spostata” di quanto la si è rappresentata,
anche perché il suo fu senz’altro il meno compreso
e meno comprensibile fra gli attentati antimonarchici compiuti
dagli anarchici in quel periodo.
|
Numero
unico in commemorazione di Gaetano Bresci |
Ben altra rilevanza ebbe indubbiamente, il 29 luglio 1900,
il gesto di Gaetano Bresci, il riuscito attentatore del re d’Italia
Umberto Primo. Come appare dalla lettura del testo di Massimo
Ortalli, Gaetano Bresci, tessitore anarchico
e uccisore di re, Roma, Nova Delphi, 2011,
il gesto del vendicatore dei popolani milanesi uccisi dalle
cannonate di Bava Beccaris nel 1898 suscitò reazioni
controverse negli ambienti dell’anarchismo italiano e
internazionale, e le stesse conseguenze in ambito istituzionale
non furono solo quelle repressive che ci si sarebbe potuto attendere,
ma segnarono anche una netta cesura con la cieca e reazionaria
età Crispina. Il volume è impreziosito dalla bella
introduzione di Ascanio Celestini, che coniuga
felicemente visione storica e maestria narrativa, e si conclude
con un apparato di documenti che comprende l’arringa difensiva
di Saverio Merlino, lo scritto dedicato al regicida da Amilcare
Cipriani e infine, a corollario, il famoso articolo con il quale
Errico Malatesta contribuì, in un certo senso, a mettere
le cose al loro posto.
Pier Carlo Masini pubblicò, anni fa, i “primi”
due volumi sulla storia dell’anarchismo italiano, il primo:
Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta
e il secondo: Storia degli anarchici italiani nell’epoca
degli attentati. Oggi Fabrizio Giulietti ha
aggiunto il terzo volume ideale, Storia degli anarchici
italiani in età giolittiana, Milano,
Franco Angeli, 2012. Il periodo preso in esame va da
inizio secolo alla vigilia della Prima guerra mondiale, e affronta
alcuni dei temi cruciali dei processi organizzativi e della
storia dell’anarchismo italiano: dall’affermazione
delle tendenze individualiste e antiorganizzatrici alla costituzione
dell’Unione Sindacale Italiana, dalla mobilitazione antimilitarista
ai moti della Settimana rossa. Centrato sulla dialettica individualisti
– organizzatori, disegna un quadro approfondito dei complessi
rapporti, a volte conflittuali ma anche solidaristici, fra gli
esponenti delle varie anime del movimento. Un arco maggiore
di anni è preso in esame da Roberto Carocci
nel libro Roma sovversiva. Anarchismo e conflittualità
sociale dall’età giolittiana al fascismo (1900-1926),
Roma, Odradek, 2012, che giunge infatti fino
al 1926, l’anno delle fascistissime leggi speciali e quindi
della soppressione di ogni forma di opposizione al regime. Sono
tanti i protagonisti di un anarchismo tendenzialmente organizzatore
e fortemente radicato negli ambienti dei quartieri più
popolari della capitale, come tante sono le iniziative e le
tematiche descritte con dovizia di informazioni dall’autore,
e il quadro tracciato è quello di una presenza libertaria
costante e significativa nell’ambito del sovversivismo
romano, presenza temuta e quindi fortemente contrastata tanto
dal potere statale quanto dalla reazione fascista.
Di tutt’altro spessore il pamphlet Gli
anarchici della Belle Époque pubblicato
da Le Lettere di Firenze nel
2010, che raccoglie una serie di ritratti che
Giovanni Ansaldo pubblicò su giornali
conservatori quali «Il Borghese» e «Il Mattino»
negli anni Cinquanta e Sessanta. Lo stile di quello che fu giudicato
uno dei migliori giornalisti del tempo è piacevole e
la lettura è gustosa, e va detto che anche i contenuti,
pur espressione di un convinto e sincero conservatorismo, sono
meno peggio di quanto si sarebbe potuto pensare. Restiamo ai
primi anni del secolo scorso, al 1909, l’anno in cui il
regime spagnolo, su sollecitazione del suo clero, il più
reazionario d’Europa, condannava a morte l’educatore
anarchico Francisco Ferrer, e con lui la bellissima esperienza
della Escuela Moderna. L’abominio di quella condanna
non passò inosservato e in tutto il continente furono
numerosissime le dimostrazioni di protesta popolare, sfociate,
spesso, in violenti scontri. Delle reazioni in Italia rendono
conto i numerosi saggi contenuti nel numero 4 dei «Quaderni
della Rivista Storica dell’Anarchismo», uscito in
occasione del 1° Centenario della morte di Ferrer. Curato
da Maurizio Antonioli, in collaborazione con
J. Torre Santos e Andrea Dilemmi,
Contro la Chiesa. I moti pro Ferrer del 1909 in
Italia, Pisa, Biblioteca Franco Serantini,
2009, questo volume mostra come le proteste non lasciarono
zone grigie ma si svolsero con la stessa radicale intensità
in tutto il paese, a riprova di quanto i sentimenti anticlericali
fossero, allora, ben più sentiti e partecipati che non
oggi. Un esempio della vivacità di questo sentire anticlericale
lo fornisce Edoardo Puglielli nel breve saggio
Anticlericalismo e laicità nel socialismo
aquilano 1894-1914, Chieti, Centro Studi
Libertari Di Sciullo, 2009, dove descrive uno spirito
che albergava non solo, come immaginabile, fra gli anarchici,
ma anche fra socialisti, repubblicani, massoni e, più
in generale, fra gli spiriti liberi.
|
Francia,
anni '20 - Garibaldini italiani e spagnoli |
Gli anni Venti del Novecento furono anni particolarmente intensi,
che videro il succedersi di avvenimenti di grande importanza
e dalle conseguenze durature. I lutti della Grande guerra avevano
fortemente esasperato gli animi e il popolo non era disposto
a sopportare altre sofferenze. Quindi era pronto a opporsi a
quanto avrebbe potuto portare nuove disgrazie. Un esempio di
questa combattività è l’oggetto dello studio
di Ruggero Giacomini, La rivolta
dei bersaglieri e le Giornate Rosse. I moti di Ancona dell’estate
1920 e l’indipendenza dell’Albania,
Ancona, Centro culturale La Città Futura, 2010.
Ad Ancona la presenza del movimento anarchico organizzato era
particolarmente significativa e infatti, alla guida di questa
rivolta popolare, nata dall’ammutinamento dei bersaglieri
di stanza in città che rifiutavano di partire per una
nuova e assurda impresa guerresca alla volta dell’Albania,
troviamo numerosi anarchici perfettamente inseriti nel combattivo
tessuto sociale della città: il “capo” dei
bersaglieri ammutinati, non a caso, era soprannominato “Malatesta”.
Va dato merito a Giacomini di aver riportato alla luce avvenimenti
tanto importanti nella loro carica simbolica quanto poco studiati
dalla storiografia ufficiale. Un altro episodio significativo
ma poco studiato è quello del “garibaldinismo”,
ovvero quella accolita di antifascisti delle diverse scuole
– fortissima la presenza dei fuoriusciti anarchici –
che verso la metà degli anni Venti cercò di combattere
in armi il fascismo in Italia e la dittatura di Primo De Rivera
in Spagna. L’ambiente era fortemente intossicato dalla
presenza di agenti provocatori prezzolati dai due regimi e lo
stesso Ricciotti Garibaldi giocò un ruolo ambiguo in
tutta l’impresa. Nonostante le difficoltà interpretative,
Giovanni C. Cattini ricostruisce con precisione
questo complesso mosaico di personaggi, fatti e aspirazioni
frustrate nel libro Nel nome di Garibaldi. I rivoluzionari
catalani, i nipoti del Generale e la polizia di Mussolini (1923-1926),
Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2010.
|
L'anarchico
Luigi Lucheni durante l'arresto |
Dopo la fine della Prima guerra mondiale sono due gli avvenimenti
particolarmente importanti che interessano l’anarchismo
italiano, entrambi del 1920: la fondazione dell’Unione
Anarchica Italiana, l’organizzazione che finalmente raccoglie
quasi tutto il movimento italiano, e la nascita del quotidiano
«Umanità Nova», che sotto la direzione di
Errico Malatesta porterà per due anni la voce degli anarchici
a fianco delle lotte che li vedono protagonisti su tutto il
territorio. Sulla prima fase della vita di questo importantissimo
periodico, che continuò a uscire all’estero con
numerosi numeri unici, è uscito un libro curato da Franco
Schirone, Cronache anarchiche. Il giornale
Umanità Nova nell’Italia del Novecento (1920-1946),
Milano, Zero in Condotta, 2010, corredato di
due utili cd con la riproduzione di tutti i numeri usciti nel
periodo preso in esame. Nei dodici saggi che contiene si attraversa
non solo la storia del giornale, ma anche quella del movimento
fra le due guerre, perché la vita dell’uno e dell’altro,
per forza di cose, sono procedute in parallelo. Un lavoro particolarmente
importante, che va ad inserirsi nel novero dei saggi che in
questi ultimi anni stanno ricostruendo, in tutta la loro complessità,
la vita e l’esperienza dell’Unione e della Federazione
Anarchica Italiana. Conclusa la seconda guerra, liberata l’Italia
dal fascismo, «Umanità Nova» riprende le
pubblicazioni, ora come settimanale e non più quotidiano,
ma con una regolarità che continua, ininterrotta, fino
ai giorni nostri. Arriva fino al 1953 lo studio di Massimiliano
Ilari, Parole in libertà. Il giornale
anarchico Umanità Nova (1944-1953), Milano,
Zero in Condotta, 2009, un lavoro complesso perché
affronta le molte problematiche che interessarono la Federazione
negli anni della ricostruzione e della ripresa. Si sa che furono
anni difficili per gli anarchici italiani, stretti fra la dialettica
della guerra fredda e il bisogno di individuare una terza via
all’interno della quale trovare uno spazio vitale. Ilari,
con una attenta lettura del giornale, riesce a districare con
abilità e competenza i nodi che avviluppavano la nostra
attività e ricostruisce il percorso pratico e teorico
che permise al movimento di conservare e sviluppare la propria
identità, non solo con l’attività quotidiana
nella società, ma anche attraverso le pagine del giornale.
Molto utile, per comprendere meglio la storia dell’anarchismo
anche in alcuni dei suoi aspetti meno scandagliati, il libro
di Emanuela Minuto, Frammenti dell’anarchismo
italiano (1944-1946), Pisa, ETS, 2011,
un nuovo e importante tassello nell’analisi e nella ricostruzione
storica delle complesse dinamiche attraverso le quali il movimento
italiano rinnovò il proprio ruolo, dal partigianato al
rientro degli esuli, dal rapporto con le forze della sinistra
alla riproposta di un sindacalismo alternativo. Interessante
e “istruttivo” l’occhio esterno ampiamente
citato da Minuto, quello del funzionario del Pci incaricato
di seguire, per riferirne alla propria direzione, i lavori congressuali
che videro la fondazione della Fai.
|
Giorgio
Sacchetti |
Anche l’ottimo lavoro di Giorgio Sacchetti,
Lavoro, democrazia, autogestione. Correnti libertarie
nel sindacalismo italiano (1944-1969), Roma,
Aracne, 1912, contribuisce a fornire nuovi elementi
interpretativi della presenza anarchica e libertaria nella società
italiana del secondo dopoguerra.
L’interrogativo sul che fare a livello sindacale, se far
nascere un sindacato alternativo o privilegiare la presenza
nella Cgil, è stata una costante che non ha mai cessato
di incidere su tattica e strategia del movimento. Senza che
una scelta venisse necessariamente a escludere l’altra.
E infatti, a fianco delle periodiche riproposte dell’Unione
Sindacale Italiana, fu altrettanto importante la presenza degli
anarchici, anche a livello dirigenziale, nei sindacati confederali.
Le numerose appendici documentarie e la scelta di giungere fino
ai momenti dell’Autunno caldo, rendono ancora più
interessante e attuale questo lavoro.
Quello di Luca Lapolla, Gli anarchici
di Piazza Umberto. La sinistra libertaria a Bari negli anni
’70, Fano, Centro Documentazione
Franco Salomone, 2001, è uno fra i pochi testi
che trattano degli anni più vicini a noi.
E per questo la sua lettura è particolarmente coinvolgente,
perché parla di storie ed esperienze che ci hanno visto
partecipi. Gli anni Settanta sono stati anni tanto intensi quanto,
spesso, difficili, e anche la militanza risentiva delle molte
contraddizioni che attraversavano tutti i movimenti. Non escluso,
naturalmente, quello anarchico. Lo si comprende bene leggendo
tanto il saggio di Lapolla quanto le numerose interviste –
quanto significative! – fatte a quelli che allora furono
militanti dell’Organizzazione Rivoluzionaria Anarchica
pugliese.
MISCELLANEA
Restano da prendere in considerazione alcuni testi che, per
le caratteristiche e gli argomenti trattati, fanno un po’
storia a sé. Innanzitutto il libro uscito ultimamente,
per mano di un anarchico, sul tema specifico della crisi economica
che sta attanagliando il mondo occidentale. Si tratta dell’interessante
volume di Toni Jero, La grande
crisi dei mutui, Bologna, L’autore,
2009. Anche se pubblicato tre anni fa, il libro mantiene
ancora tutta la sua attualità e riesce a farci capire
un po’ meglio, da un punto di vista non assoggettato alle
regole della grande finanza, che cosa è successo, cosa
sta succedendo e anche cosa potrebbe succedere. L’autore
è un esperto di questi temi e con questo agile contributo
fornisce non solo notizie ma soprattutto chiarificanti spiegazioni.
Negli ultimi tempi si è imposta con evidenza la questione
dei generi, portando con sé, molto spesso, la drammaticità
di chi si trova a vivere una condizione non ancora compresa
e sedimentata nella società. Lo testimonia Alex
B. nel libro La società de/generata.
Teoria e pratica anarcoqueer, Torino,
Nautilus, 2012, adottando uno pseudonimo dietro al
quale si nasconde una transgender che con lucidità esamina
dapprima le cause e le responsabilità dell’oppressione,
poi affronta i nodi necessari alla introspezione di se stessi,
per finire con la proposta di strategie di resistenza e attacco.
Il tutto con uno sguardo libertario e libero da condizionamenti.
|
Furio
Biagini |
Tutt’altro argomento quello trattato da Furio
Biagini, che affronta con sicurezza un tema decisamente
insolito e, a mio parere, piuttosto ostico. Si sa che numerosi
sono stati gli ebrei che hanno dato un contributo fondamentale
all’anarchismo, da Emma Goldman a Alessandro Berkman,
da Volin a Rudolf Rocker, tanto per citarne alcuni, senza considerare
l’adesione massiccia dei proletari ebrei londinesi e di
New York al movimento. Ora Biagini, nel suo Torà
e libertà. Studio sulle corrispondenze tra ebraismo e
anarchismo, Lecce, I libri di Icaro, 2008,
si propone di mostrare i nessi, non solo materiali, fra la religione,
e quindi la più profonda cultura ebraica, e il pensiero
libertario. Confesso che non ho sufficienti elementi per valutare
con precisione questo studio, ma conoscendo la serietà
di studioso dell’autore, sono sicuro che le corrispondenze
individuate abbiano consistenza e fondamento.
|
Luigi
Balsamini |
Negli ultimi anni gli anarchici hanno preso coscienza dell’enorme
importanza della documentazione di studio e propaganda prodotta
nella loro più che centenaria attività e hanno
deciso di conservare e valorizzare tale materiale. Così
sono nati, uno dopo l’altro, numerosi archivi che stanno
svolgendo una funzione quanto mai importante nella conservazione
e trasmissione del patrimonio storico e ideale del movimento.
A mettere al corrente di questa documentazione ci ha pensato
Luigi Balsamini, che dopo aver scandagliato
gli archivi più consistenti, ha dato alle stampe Fragili
carte. Il movimento anarchico nelle biblioteche, archivi e centri
di documentazione, Manziana, Vecchierelli,
2009. Sono molte le realtà descritte con dovizia
di informazioni, dall’importantissimo Istituto Internazionale
per la Storia Sociale di Amsterdam (IISG) ai più piccoli
centri di documentazione gestiti da gruppi e militanti, ed è
interessante notare come questi coprano il territorio italiano
a macchia di leopardo, a testimonianza di una coscienza ormai
pienamente diffusa.
E, per finire, una autocitazione. Di Massimo Ortalli
e Luigi Pirondini è uscito nel 2009,
per le edizioni Unicopli di Milano,
Bibliografie ragionate. Anarchismo,
un volumetto che raccoglie circa un centinaio di schede bibliografiche
sull’anarchismo e sul pensiero libertario, riproducendo
parzialmente quanto gia pubblicato nei precedenti dossier e
aggiungendovi altri testi che oggi sono parzialmente riportati
in questo terzo numero di Leggere l’anarchismo.
In attesa, ovviamente, di nuovi testi da segnalare.
Massimo Ortalli
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direttamente al curatore
Massimo Ortalli
massimo.ortalli@acantho.it
che si rende disponibile anche per ulteriori informazioni
di carattere bibliografico. |
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Sul
sito arivista.org sono disponibili gli indici relativi
ai tre dossier “Leggere l’anarchismo”.
Si tratta degli indici dei nomi e dei titoli. Più
avanti i due indici saranno completati con i dati relativi
a questo terzo dossier. Sempre solo sul nostro sito.
Come il primo dossier, uscito nell’ottobre 2005
(dentro “A” 311) e il secondo, uscito nel
maggio 2009 (dentro “A” 344), il terzo dossier
Leggere l’anarchismo 3. La storia,
le storie, il pensiero. (2009-2012), contiene
la presentazione, ordinata per aree tematiche, dei libri
sull’anarchismo usciti negli ultimi tre anni: oltre
duecentocinquanta titoli.
A realizzare questi fondamentali strumenti per la conoscenza
e la diffusione dell’editoria e della cultura anarchica
è Massimo Ortalli, uno dei responsabili dell’Archivio
Storico della FAI (Federazione Anarchica Italiana), nostro
storico collaboratore nel doppio senso della definizione:
storico perché collabora con “A” da
molto tempo e storico perché è spesso (ma
non solo) la storia l’ambito della sua presenza
sulla rivista.
Come i precedenti, anche quest’ultimo, è
stato concepito anche in un’ottica di diffusione
della cultura anarchica, a disposizione di chi come noi
è convinto che la lettura resti la base per la
formazione della cultura individuale e sia la precondizione
per un impegno sociale pienamente cosciente.
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