San Lorenzo del Vallo (Cosenza)/
La giunta fantasma
I nativi americani hanno da sempre un gran rispetto per la
natura, tanto che un loro famoso proverbio recita così:
“Uomini bianchi morirete sepolti sotto i vostri stessi
rifiuti”! È ciò che sta succedendo a San
Lorenzo del Vallo.
Qualche giorno fa mi sono deciso di fare un giro in bici con
l'intenzione di respirare un po' di aria pura e di gustarmi
l'aspetto paesaggistico del nostro paese. Invece, pedalando
pedalando, ecco cosa vedono i miei occhi: immondizia dappertutto.
Allora “armato” di macchina fotografica ho documentato
lo scempio paesano (non si sa mai che a qualcuno, che ha indebitato
il comune con le spese legali, non saltasse in mente di inoltrare
la solita denuncia). Immondizia sparsa ovunque: in via Carmelitani,
via Piave (soprattutto in vicinanza delle scuole), sulla strada
che porta in località Cassiani, contrada Ciccarello,
contrada Fischia, località Cimitero, Serralto, eccetera.
Sorgente Fischia: luogo noto al pubblico per le sue acque limpide
e pulite. Ormai è diventata una discarica abusiva e la
gente evita di fermarsi a riempire le bottiglie, poiché
l'acqua è quasi sicuramente inquinata dai batteri che
si sprigionano dai rifiuti.
Da notare che il sottoscritto ha più volte sollecitato
il problema alla polizia municipale, sollecito a quanto pare
caduto nel solito disinteresse.
Località Ciccarello: qui insiste una discarica abusiva
storica che è diventata ormai di entità mastodontica,
molto pericolosa per l'ambiente e per la salute. È un
luogo storico perché molti anni fa era attiva una fontana
e nelle vicinanze vi è un monumento cattolico. Qualche
decina di anni addietro si svolgeva una tradizione molto bella:
“Il battesimo dei pupuli”, attraverso la quale,
fin da bambini i nostri padri e le nostre madri ci insegnavano
l'amore e il rispetto che bisogna avere gli uni con gli altri
attraverso i valori della fratellanza e dell'amicizia.
Da luogo simbolo della fratellanza oggi è diventato un
luogo di vergogna e di degrado ambientale: cumuli di immondizia,
roghi, eccetera.
Un altro aspetto molto pericoloso per la salute dei cittadini
è rappresentato dall'elettromagnetismo. Su tutto il nostro
territorio (San Lorenzo, Tarsia, Terranova e Spezzano), si contano
almeno trenta antenne di telefonia mobile che fanno di questo
territorio, forse, il più inquinato della Calabria. A
San Lorenzo ne abbiamo due (una al cimitero su suolo pubblico)
l'altra in località Ciccarello (su suolo privato); inoltre
ci sono le antenne di Serralto (quattro) e il mostro Telecom
a Spezzano.
L'antenna del cimitero rappresenta oggi il simbolo del degrado
ambientale e sociale che vive il paese.
L'amministrazione Trioli una decina d'anni fa aveva concesso
alla Wind l'autorizzazione a impiantare l'antenna, mentre la
giunta Marranghello, qualche mese fa, ha completato l'opera
di distruzione ambientale rinnovando il contratto. Quell'antenna
non è pericolosa solo a causa dell'elettromagnetismo
e perché è ubicata a poche centinaia di metri
dal centro abitato, ma rappresenta un'offesa al decoro e ai
luoghi sacri. Il problema della raccolta dei rifiuti solidi
urbani è un problema regionale ma il cittadino si chiede:
“Io pago le tasse al mio omune ed è il mio comune
che deve provvedere a risolvere il problema”.
Come viene smaltita la raccolta dei rifiuti? La differenziata,
l'umido e il riciclaggio sono svolti regolarmente? Perché
la gente getta l'immondizia per le strade e nelle campagne?
Ecco, sono tutte domande che necessitano di una risposta. Intanto
nel nostro paese e nel nostro territorio si continua a morire
nell'indifferenza generale. Quante volte abbiamo letto sui giornali
che sindaci, medici, politici, associazioni, comitati hanno
lanciato l'allarme sull'inquinamento ambientale per l'aumento
esagerato della percentuale di tumori presenti nelle popolazioni?
Perché le amministrazioni comunali sono assenti rispetto
a queste problematiche? Il problema dell'immondizia sparsa nelle
strade e nelle campagne, le discariche abusive, i roghi di rifiuti
non provocano una grave situazione igienico-sanitaria che mette
in pericolo la salute e addirittura la vita dei cittadini? Le
forze politiche presenti sul territorio non dovrebbero uscire
allo scoperto gridando tutta la loro rabbia? Il paese è
lacerato socialmente e politicamente e accetta passivamente
tutte le decisioni di un'amministrazione fantasma che decreta
il proprio fallimento giorno per giorno, prendendo decisioni
inutili e dannose per la comunità. Il paese vive un silenzio
assordante. E come se fosse offeso da questo sindaco e da questi
amministratori incapaci e incompetenti.
Vincenzo Giordano
Amburgo/
Quei pirati sono dei tifosi
Il covo dei pirati esiste ancora! Ma se volete trovarlo dimenticate
acque cristalline e spiagge caraibiche: oggi il Jolly Roger
sventola in un caratteristico quartiere di Amburgo.
Il quartiere di St. Pauli si trova ad ovest del centro della
città, è affacciato sul fiume Elba, in prossimità
del porto. Conosciuto per i “St.Pauli-Landungsbrücken”,
i pontili di St. Pauli, che raggiungono una lunghezza complessiva
di 700 metri.
Nel quartiere si trova l'entrata del Alter Elbtunnel, un tunnel
che passa sotto al fiume Elba e che con i suoi 426 metri attraversa
nel sottosuolo l'estuario del fiume europeo.
Come tutte le città portuali ha da sempre ospitato marinai
di diverse nazionalità che spendevano il loro tempo a
zonzo nel quartiere per spassarsela prima che la loro nave venisse
caricata e riprendesse il largo; per questo il quartiere vanta
una fama di centro di divertimento e una delle strade più
conosciute è Reeperbahn, la celebre via a luci rosse.
La popolazione era perlopiù formata da operai portuali
e le condizioni di povertà che la caratterizzavano si
sono protratte fino agli anni '70. Oggi sono molti gli studenti
che vivono a St. Pauli, attirati soprattutto dagli affitti bassi,
consentendo al quartiere di mantenere una certa vivacità
intellettuale. A pochi passi da Reeperbahn si trova un'area
cittadina chiamata Heiligengeistfeld, famosa per il suo luna
park che si tiene tre volte l'anno per una durata complessiva
di sei mesi; all'interno di quest'area sorge il Millerntor-Stadion.
È proprio qui che ogni due settimana i pirati vanno all'arrembaggio.
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Amburgo (Germania), il Jolly Rogers |
Il club del St. Pauli nasce nel 1910, ma la vera svolta avviene
negli anni '80. In questi anni la sede dello stadio viene trasferita
nella zona del porto. Inoltre, in seguito alla recessione, molti
abitanti del quartiere si trasferirono in zone meno povere della
città, fu così che squatter, punk e artisti occuparono
le numerose abitazioni abbandonate.
Ben presto lo stadio divenne un luogo di ritrovo per gli abitanti
del quartiere che iniziarono a sostenere la squadra di calcio
del St. Pauli sventolando il Jolly Roger, la bandiera con teschio
e ossa incrociate.
La leggenda vuole che il vessillo dei pirati fu adottato dalla
tifoseria in seguito a uno scherzo fatto ai giocatori per mano
di un gruppo di squatter; da allora la bandiera nera non ha
mai smesso di sventolare non solo allo stadio, ma anche per
le vie del quartiere.
La prima azione del club e della tifoseria è quella di
chiudere le porte dello stadio ai “tifosi” di estrema
destra.
Il fascismo, il razzismo e il sessismo non sono ammesse né
all'interno dello stadio né per le vie del quartiere
dove su un grande muro è possibile ammirare un graffito
che riporta la frase: “Kein mensch ist illegal”,
“Nessun uomo è illegale”. Quella del St.
Pauli non è solo una fede calcistica, ma una vera e propria
filosofia, come dimostra la modalità di gestione del
club, quasi unica in Europa.
Prima di tutto bisogna ricordare che il St. Pauli è una
polisportiva che gestisce numerose attività sportive
tra cui il tennis da tavolo, il rugby femminile e il pattinaggio:
la gestione di tutte queste attività è completamente
nelle mani dei tifosi.
Circa vent'anni fa i supporter hanno dato vita al Fanladen,
un coordinamento dei tifosi, in seguito alla decisione del club
di edificare un nuovo stadio in un'altra zona del quartiere.
Si scatenarono numerose proteste che impedirono la realizzazione
di questo progetto.
Il Fanladen è totalmente indipendente dal club e conta
qualcosa come 14mila tifosi associati, di cui mille donne.
Periodicamente i rappresentanti dei tifosi sono chiamati a riunirsi
in assemblea per discutere sulle scelte economiche e politiche
del club e per eleggere presidente e consiglieri. Inoltre il
consiglio di amministrazione incontra regolarmente il Fans-club,
il Fanladen e la gente del Jolly Roger, storico locale dove
si riuniscono i tifosi.
Tra le decisioni prese dai tifosi ce ne sono alcune su cui non
si transige: non si prendono accordi con produttori di armi
e di tabacco; il nome dello stadio, Millerntor Stadion, non
può essere venduto; infine 7-8 minuti prima del calcio
d'inizio non si può fare pubblicità all'interno
dello stadio, questo spazio sarà utilizzato dai tifosi
per creare atmosfera.
Insomma, il tifoso del St. Pauli merita e riceve un occhio di
riguardo come ci dimostra l'ultimo progetto elaborato dai tifosi
insieme al club: la creazione di uno spazio interno al Millerntor,
denominato Fanraume, che possa diventare “un punto d'incontro,
un centro sociale all'interno dello stadio”, per dirla
con le parole del vice presidente George Spies.
Il St. Pauli, con i suoi 20mila spettatori, svolge importanti
azioni sociali all'interno del quartiere. Prima di tutto offre
settimanalmente lezioni di calcio gratuite per bambini, rivolte
soprattutto alle fasce deboli della popolazione. Inoltre qualche
anno fa ha inaugurato una nursery chiamata “Nido dei pirati”
che provvede giornalmente a circa cento bambini, da 0 a 6 anni.
Il servizio è attivo anche durante le partite, così
che i tifosi vi possano lasciare per qualche ora i loro figli:
situazione più unica che rara, perché il club
conta tantissimi piccoli tifosi che affollano le gradinate insieme
a mamma e papà.
Anche questa fu una delle questioni che portarono la tifoseria
all'insurrezione quando il ricco proprietario del Susis Show
Bar, uno dei più famosi locali di lap dance di Amburgo,
affittò un box all'interno dello stadio e vi fece esibire
le “sue” spogliarelliste per gli amici che andavano
con lui a “vedere” la partita.
Questa la risposta dei pirati: “Chiediamo che venga annullato
il contratto con il locale di spogliarelli Susis Bar Show […].
Se voi, cari gestori del club, non agirete secondo le nostre
richieste, allora entreremo in aperta resistenza! Saremo il
bastone tra le ruote!”.
Come già accennato uno dei temi cari ai tifosi rimane
l'antisessismo, visto anche il numero di donne presenti nella
tifoseria, elevato per una squadra di calcio. Anche in questo
caso quindi in pirati e piratesse si sono apertamente schierati
contro la mercificazione del corpo promettendo grane al club
se non avesse tolto lo spazio al ricco imprenditore.
Un luogo simbolo per il quartiere è il Jolly Roger, storico
locale, punto di ritrovo per la tifoseria, salito alle cronache
per i numerosi raid subiti per mano di tifoserie di estrema
destra.
Il più eclatante è quello avvenuto nel 2011: sono
le 22:00, è la notte prima del derby St. Pauli-Hvs, meglio
conosciuti come “i cugini ricchi dell'Amburgo”.
Una colonna di 200 persone percorre indisturbata la strada che
porta da Hans-Albers-Platz al Jolly Roger. In un attimo il quartiere
viene messo a ferro e fuoco; i primi attacchi vengono respinti
dai pirati che poi decidono di non prendere parte agli scontri
per evitare di danneggiare le attività commerciali del
quartiere. I neonazisti riescono ad attaccare indisturbati il
Jolly Roger nonostante il comando della polizia si trovi a poche
centinaia di metri dal pub. Dura la reazione dei tifosi, come
riporta il sito dei supporter genovesi del St Pauli: “Per
i sostenitori del St. Pauli questo significa che la protezione
dei negozi e delle strutture dovrà essere e sarà
organizzata in modo indipendente dalla sicurezza garantita con
i mezzi della polizia. Una polizia su cui sembra essere ormai
necessario aprire un'inchiesta che sveli i motivi di un comportamento,
per così dire, stravagante rispetto agli standard di
trasparenza operativa a cui dovrebbe attenersi un servizio pubblico
così delicato.”
Inoltre non si può trascurare il legame che il St. Pauli
ha con la musica e a ricordarlo non è un tifoso qualunque,
ma Colin Abrahall, voce degli storici Gbh, gruppo punk britannico
figlio della seconda ondata punk degli anni '80. “Il St.
Pauli è una squadra di calcio punk rock”, queste
le parole con cui il cantante descrive la squadra.
Infatti un tradizionale modo adottato dai tifosi per raccogliere
fondi è organizzare concerti di musica punk-rock non
solo nei locali del quartiere, ma anche all'interno dello stadio.
Nell'estate del 2010 il Millerntor si riempì con 22mila
persone in occasione della festa anniversario per il centenario
della società.
Per il St. Pauli l'impegno politico e civile sono sempre al
primo posto. Nel 2011 sulle tribune del Millerntor appare uno
striscione con scritto: “St. Pauli sta con le montagne.
No tav!!!”.
Il 16 marzo 2013 a Berlino va in scena il match tra Fc Union
Berlin e Fc St. Pauli; i tifosi del St. Pauli espongono uno
striscione con scritto: “Dax vive! Ucciso perché
militante antifascista”.
Infine una delle ultime azioni dei pirati risalente a qualche
mese fa: durante una partita hanno esposto alcuni striscioni
contro l'omofobia, accompagnati da tantissime bandierine color
arcobaleno accompagnate dalla scritta: “It's ok to be
gay”.
In un momento in cui negli stadi compaiono ben altri messaggi,
la tifoseria del St. Pauli, dei ribelli tedeschi, rimane un
esempio che andrebbe seguito da tutto il calcio europeo.
Una squadra che ha militato solo per qualche anno in Bundesliga,
solo due volte nel nuovo millennio (2001/2002-2010/2011), peraltro
retrocedendo sempre la stagione successiva, rischiando più
volte la bancarotta e aiutata a risollevarsi grazie al contributo
dei tifosi. Una squadra senza grandi giocatori, ma che ha saputo
ridonare allo stadio, al quartiere la funzione di naturale luogo
di incontro e di aggregazione per fornire solidarietà,
aiuto e sostegno ai meno abbienti e agli emarginati; che ha
coraggiosamente chiuso le porte del proprio stadio a fascisti,
omofobia, razzismo e sessismo con cui siamo obbligati a convivere
in Italia. Allora: all'arrembaggio pirati!
Camilla Galbiati
Lisbona/
Alla Fiera del libro
Per il sesto anno consecutivo, Lisbona è stata il palcoscenico
di un'altra Fiera del libro anarchico. La fiera si è
svolta dal 24 al 26 maggio nell'edificio di proprietà
dell'Association amigos do Minho (Amici di Minho, la regione
del Portogallo che confina con la Spagna), situata nel quartiere
di Intendente, uno dei più antichi e popolari della città.
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Lisbona, maggio 2013. Uno dei dibattiti organizzati in occasione
della fiera |
Quest'anno la fiera contava circa venticinque banchetti, rappresentanti
tutte le attività legate ai libri: oltre a numerosi gruppi
anarchici, c'erano biblioteche, librerie, editori, distributori.
Una delle principali caratteristiche di questa fiera è
naturalmente l'internazionalismo, con un'importante presenza
di banchetti extra-portoghesi: sono venuti a Lisbona o hanno
inviato i loro libri e riviste librerie, editori e distributori
provenienti dalla Spagna (Madrid, Salamanca e Granada), dal
Brasile (Porto Alegre e São Paulo) e dal Regno Unito
(Bristol e Brighton).
Un'altra caratteristica della fiera è un programma sempre
diversificato. Quest'anno il programma prevedeva tre dibattiti,
un concerto di compagni brasiliani e portoghesi, una rappresentazione
teatrale e molte presentazioni di libri. Tra queste, ci tengo
a sottolineare la presentazione della prima antologia in portoghese
di testi scritti da Renzo Novatore, nom de plume di Abele Rizieri
Ferrari.
I dibattiti sono sempre molto importanti: la gente arriva numerosa
per partecipare, o anche solo per assistere. Il primo dibattito
in programma era a proposito del ruolo sociale svolto dalle
biblioteche in quanto spazi autonomi per promuovere letture
critiche e l'auto-costruzione di persone libere. Il secondo
dibattito si è concentrato sulla costruzione di alternative
anti-autoritarie all'attuale industria mediatica, ben lontana
dall'essere neutrale e anzi sempre pronta a supportare i poteri
economico-politici stabiliti. Durante il terzo dibattito sono
stati presentati brevi filmati sulla situazione abitativa a
Rio de Janeiro, che sarà presto teatro di diversi mega-eventi,
usati dalle autorità brasiliane per plasmare una nuova
città.
Infine, ma di non minore importanza, la fiera è stata
come sempre un luogo e un momento per rivedere compagni e amici
che altrimenti è raro incontrare, per via dell'età
o perché vivono lontano da Lisbona.
Mário Rui Pinto
traduzione dall'inglese di Karlessi
Cuba/
¡Tierra Nueva! rivista clandestina
La rivista ¡Tierra Nueva! ha da poco pubblicato clandestinamente
i suoi primi due numeri.
Da sempre esiste una tradizione libertaria nell'area caraibica.
Il sentimento anarchico è profondamente radicato nel
popolo cubano in quanto espressione rivoluzionaria che si manifestò
fin dall'ottocento, con le prime lotte contro la schiavitù
e per l'indipendenza. Sebbene esista da più di cento
anni, il movimento libertario cubano è stato escluso
dagli annali ufficiali da storiografi e editori al servizio
del Partito comunista cubano. Nel 1960, le organizzazioni anarchiche
che avevano combattuto in clandestinità o nella guerriglia
al fianco di Castro furono bandite. In quegli anni, i libertari
furono assassinati, incarcerati o costretti all'esilio.
In più occasioni abbiamo commentato, sulla nostra rivista
Cuba Libertaria e sul blog Polémica Cubana (in francese),
la rinascita del movimento libertario cubano in corso in questi
anni. Dopo la costituzione, alcuni anni fa, della Red Observatorio
Crítico e, in tempi più recenti, del Laboratorio
libertario Alfredo López all'Avana, i nostri compagni
libertari continuano a lottare per ridare vita all'anarchismo.
Questo gruppo di giovani militanti analizza la realtà
cubana, la storia del movimento anarchico e le sue idee. Nonostante
la repressione e la censura da parte dei mezzi di comunicazione
controllati dal regime, e malgrado qualsiasi opinione libertaria
venga giudicata controrivoluzionaria dalle autorità,
i libertari emergono gradualmente dalla clandestinità.
La rivoluzione ha creato grande frustrazione e delusione, soprattutto
tra le nuove generazioni. A Cuba esiste un profondo desiderio
di libertà e dignità, di espressione e azione.
I legami sociali vanno reinventati se si vuole dare un contributo
alla “rivoluzione nella rivoluzione” e alla lotta
contro l'autoritarismo, la burocrazia e la corruzione generalizzata.
Oggi accogliamo con favore il ritorno, per quanto ostacolato
dalla censura e dalla repressione, della stampa anarchica clandestina
a Cuba, con la pubblicazione da parte dei giovani compagni dell'Avana
dei primi due numeri di ¡Tierra Nueva! dopo più
di 52 anni di silenzio. Va infatti ricordato che alla fine degli
anni sessanta tutte le pubblicazioni libertarie furono proibite.
Diamo la parola ai coraggiosi editori della rivista riportando
la nota editoriale al primo numero: “¡Tierra Nueva!
perché ci sentiamo eredi del gruppo libertario che per
22 anni pubblicò il settimanale ¡Tierra! all'inizio
del secolo scorso.
Questa pubblicazione nasce per contribuire a stabilire rapporti
con individualità e collettivi che nella pratica quotidiana
vivono relazioni libere, appaganti e solidali come parte di
un sentimento anarchico genuino e spontaneo. Crediamo sia possibile
una società senza mediazione, senza spettacolo, senza
miseria, senza autorità, senza leggi ad eccezione di
quelle che noi stessi scegliamo, senza discriminazioni, senza
finzione, senza oppressione, senza forme di servitù.
Non abbiamo assolutamente nulla contro l'utopia, ma sappiamo
che è molto più utopico pensare alla prospettiva
di uno “stato di benessere” piuttosto che a una
società da noi stessi indirizzata verso il futuro.
A chi crede che vogliamo vivere nel disordine diciamo che ciò
a cui aspiriamo, invece, è quell'unica forma di ordine
che non nasce dalle catene della schiavitù, ma dalla
libertà realizzata: questo è il solo ordine che
consideriamo naturale e antagonista al disordine attuale, imposto
da tante autorità.
Poiché vogliamo una società di individui liberi
e pienamente realizzati, poiché riteniamo che gli stati
garantiscano la continuità del regime di sfruttamento
proprio della nostra epoca (la schiavitù salariale),
non possiamo che dichiararci loro nemici. Pertanto, invitiamo
tutte le persone che sono interessate a collaborare, eccetto
chi in qualunque modo viva del lavoro altrui.
Anche se le classi dominanti ci mantengono in condizioni di
inerzia, confusione, mancanza di solidarietà, isolamento,
in attesa che gli eletti ci elargiscano un futuro migliore,
crediamo che il principale colpevole che non ci consente di
vivere bene, qui ed ora, sia il “poliziotto virtuale”
che c'è in quasi tutti noi. Sarà questo uno dei
bersagli dei nostri continui attacchi.
Rifiutiamo qualunque tipo di partecipazione politica al gioco
del potere perché crediamo che il potere politico non
sia uno strumento di cambiamento sociale ma piuttosto la strada
maestra attraverso la quale la classe dominante impone la sua
volontà, utilizzando la struttura dello stato, il suo
esercito, la sua polizia, i suoi giudici e i suoi carnefici.
Non vogliamo regolamentare il funzionamento di queste istituzioni
ma eliminare le istituzioni stesse! Vogliamo vivere in modo
diverso rispetto ai modelli proposti dai partiti di sinistra,
centro, destra, o posizioni intermedie, del nostro o di altri
paesi.
Non abbiamo la pretesa di diventare portavoce di altri se non
di noi stessi e di tutti quelli che si uniranno a noi. Non ci
aspettiamo nulla dallo stato, ma non esiteremo a usare quello
che ci ha tolto. Date le difficoltà, la rivista sarà
pubblicata nei limiti del possibile.”
Con la pubblicazione della rivista i compagni cubani si espongono
a rischi notevoli e vanno incontro ad anni di prigione, come
previsto dalla legge cubana, che proibisce la stampa libera.
Per questo motivo la solidarietà politica internazionale
è importante, in previsione della repressione e dell'ostruzionismo
dei servizi di spionaggio e sicurezza dello stato cubano, che
probabilmente sorvegliano le attività dei compagni.
La rinascita di un movimento libertario a Cuba e l'esistenza
di un Foro Social sono elementi chiave per portare avanti una
vasta opera di sensibilizzazione. Tuttavia, per consentire lo
sviluppo delle correnti libertarie e delle correnti critiche
di autogestione, federaliste ed ecologiste, sono necessari mezzi
materiali che difficilmente possono essere reperiti sull'isola.
Di qui l'importanza dell'aiuto esterno, per quanto si tratti
di un'azione piuttosto delicata, dal momento che l'aiuto internazionale
ai movimenti d'opposizione è considerato dal governo
come una forma di finanziamento “imperialista” in
sostegno alla controrivoluzione.
Ricordiamo che l'Internazionale delle federazioni anarchiche
(Ifa) e il Gruppo di appoggio ai libertari e sindacalisti indipendenti
di Cuba (Galsic) hanno avviato una campagna di solidarietà
internazionale per i libertari cubani. Per inviare materiale
(libri, riviste, cd, dvd eccetera) contattare il Galsic all'email:
cubalibertaria@gmail.com
Per sostenere il Laboratorio dei compagni libertari all'Avana
è possibile inviare contributi su un conto di appoggio
permanente gestito dall'Internazionale delle federazioni anarchiche.
Le donazioni vanno inviate alla Ifa: Société d'Entraide
libertaire (Sel) c/o Cesl, BP 121, 25014 Besançon cedex,
Francia (assegni all'ordine di Sel, indicando “Cuba”
sul retro).
Daniel Pinos
traduzione dal castigliano di Federica Galuppini
Messico/
Quando la cooperativa è una grande azienda
“Se i proprietari non la vogliono, la facciamo andare
avanti da soli.” Quando una fabbrica chiude, a volte sorge
l'idea di trasformarla in una cooperativa di proprietà
dei lavoratori, e la fabbrica di solito muore.
Gli ostacoli per l'acquisto di uno stabilimento, persino di
uno stabilimento che sta fallendo, sono enormi; una volta sul
mercato, i nuovi proprietari-lavoratori devono in primo luogo
affrontare tutte le pressioni che hanno spinto la società
al fallimento. La maggior parte delle cooperative di lavoratori-proprietari
sono piccole, come ad esempio una compagnia di taxi collettiva
a Madison o un panificio a San Francisco.
In Messico però esiste una cooperativa di lavoratori
di enormi dimensioni, che fabbrica pneumatici dal 2005. La fabbrica
compete sul mercato mondiale, impiega mille e cinquanta comproprietari,
e corrisponde salari e pensioni migliori di qualsiasi altro
impianto di pneumatici messicano.
L'idea di rilevare lo stabilimento non è stata dei lavoratori.
È stata la Continental Tire a proporre la vendita, dopo
che il gruppo dirigente del sindacato aveva messo i proprietari
talmente con le spalle al muro che quelli non volevano avere
più niente a che fare con loro.
Ma per arrivare a quel punto i lavoratori hanno dovuto ingaggiare
uno sciopero di tre anni. I lavoratori sostengono che non è
stata un'unica tattica a portare alla vittoria, ma una combinazione
di pressioni implacabili.
In Messico la maggior parte dei sindacati sono sindacati solo
di nome, in realtà sono organi affiliati al governo con
la funzione di raccogliere il denaro delle iscrizioni e di controllare
i lavoratori.
Ma la storia dello stabilimento della Continental è andata
diversamente. I lavoratori avevano un sindacato “rosso”,
indipendente dal 1935, l'Snrte (Sindacato nazionale rivoluzionario
dei lavoratori Euzkadi).
La sera del 16 dicembre 2001, i lavoratori del locale caldaia
giunti allo stabilimento trovarono un avviso sul cancello: chiuso.
Chiamarono immediatamente i leader sindacali. Vennero montati
turni di guardia per impedire alla direzione di portar via i
macchinari. Due giorni dopo fu convocata l'assemblea, con quasi
tutti i novecentoquaranta lavoratori presenti.
Dopo tre anni di sciopero e occupazione, dopo tutti i tentativi
della direzione padronale per dividere i lavoratori e dopo che
per tre volte i rappresentanti dei lavoratori si sono recati
in Germania alla riunione degli azionisti della Continental,
finalmente nell'agosto del 2004, la Continental ha avanzato
un'offerta seria. La società avrebbe venduto ai lavoratori
una metà dello stabilimento, in cambio delle paghe ancore
dovute dall'azienda.
I lavoratori avrebbero comunque ricevuto la buonuscita, e l'impianto
avrebbe riaperto in collaborazione con una società messicana,
un distributore di pneumatici che avrebbe acquistato dalla Continental
la metà rimanente. Tutti i lavoratori che avevano resistito
avrebbero avuto indietro i loro posti di lavoro.
Il presidente del sindacato sembra stupito dalla loro vittoria,
al pari di chiunque altro. “L'eredità più
importante di questa lotta è aver dimostrato ai lavoratori
come un piccolo sindacato sia stato in grado di battere una
multinazionale della portata della Continental,” dice.
Il 18 febbraio del 2005 lo stabilimento, ora denominato Corporación
de Occidente, o Western Corp., è stato consegnato formalmente
ai suoi nuovi proprietari. “Loro avevano scommesso che
saremmo falliti”, dice Torres. Ma i lavoratori non sono
falliti.
Uno pneumatico non è solo un pezzo di gomma con un buco.
Uno pneumatico è un prodotto sofisticato che si costruisce
attraverso una catena di processi chimici, il contributo di
un sacco di macchine, e infine l'intervento di mani umane.
Questi lavoratori hanno costruito pneumatici come lavoratori-proprietari
dal 2005, li hanno venduti negli Stati Uniti e in Messico e
ora si pagano il salario più alto nel settore degli pneumatici.
Come funziona una cooperativa di lavoratori con millecinquanta
membri?
È piuttosto difficile per una proprietà gestita
dai lavoratori avere successo con una dimensione qualsiasi,
perché ogni azienda che compete sul mercato è
soggetta alla stessa folle corsa al taglio dei costi in quanto
società capitalistica. I lavoratori sono costretti a
battere se stessi e a tagliarsi lo stipendio, oppure il mercato
li butterà fuori. E la maggior parte dei lavoratori di
qui ha solo una formazione di scuola media.
Eppure la cooperativa prospera. Gli entusiasti lavoratori-proprietari
hanno modernizzato il loro stabilimento, aumentando la produttività
e la qualità attraverso il loro lavoro qualificato. Questi
fattori, insieme ai prezzi indubbiamente bassi, hanno reso possibile
la loro competizione sul mercato mondiale.
Gli scioperanti della Continental Tire erano proprietari riluttanti.
Quando hanno combattuto contro la chiusura del loro stabilimento
da parte della multinazionale tedesca, insieme chiedevano solamente
ai proprietari di riaprirlo. Alla fine la Continental ha rinunciato
e si è offerta di vendere la metà della società
ai lavoratori e l'altra metà al suo precedente distributore,
Llanti Systems.
“Abbiamo detto a Llanti Sistemi: ‘Tu compri lo stabilimento.
Basta che ci assumi come lavoratori e ci ridai le paghe non
corrisposte'”, ricorda l'ex presidente del sindacato in
sciopero. “Per noi questo sarebbe stato il più
grande trionfo, riaprire l'impianto e mantenere il nostro lavoro.
”Ma hanno detto, ‘No, no, non siamo mica pazzi,
noi sappiamo quello che siete capaci di fare. Siamo interessati
a voi come proprietari, non come dipendenti'.
Così abbiamo detto, ‘Non c'è altra via d'uscita?
Be', dobbiamo provarci.'”
Uno dei vantaggi più immediati con il nuovo sistema era
di farla finita con i capisquadra. “È stato facile”,
dice Torres. “Ogni lavoratore conosce il suo lavoro, sa
qual è la sua quota. Non ha bisogno di essere controllato.”
Le quote sono stabilite in modo da essere abbastanza basse,
tanto che molti lavoratori finiscono con un paio d'ore di anticipo
e si rilassano fino all'ora di chiusura. Non c'è nemmeno
un reparto pulizie, perché sono gli operai a pulire le
rispettive aree.
La cooperativa indice un'assemblea generale solo due volte l'anno,
ma questa assemblea detiene il potere di veto sulle decisioni
importanti, quali la vendita di attività, la realizzazione
di investimenti e l'acquisto di macchinari. Durante gli incontri
il dibattito è intenso, e le proposte approvate vengono
anche dalla base, non solo da parte della dirigenza.
La joint venture tra lavoratori-proprietari e distributore non
ha esitato a riassumere tecnici, ingegneri e specialisti che
avevano lavorato per anni sotto la vecchia gestione.
Uno di questi è Gonzalo, un chimico che dirige il laboratorio,
che era stato sommariamente licenziato quando lo stabilimento
era stato chiuso.
È tornato a formare i lavoratori di produzione nell'ambito
delle sue competenze. All'inizio ha lavorato senza paga. I soci
della cooperativa promossi dall'officina per assumere posti
di lavoro tecnici imparano velocemente, dice, e ora il suo lavoro
gli piace di più perché può lavorare in
cooperazione con persone che guardano al proprio futuro. “Prima,
si dovevano fare segnalazioni, dare punizioni,” mi spiega.
“Adesso che la responsabilità è loro sanno
come lavorare.”
Non c'è dubbio alcun dubbio: tutto nella cooperativa
fa “lavorare meglio.” Su di me, che mettevo in guardia
dai mali del “concetto di squadra” e dai programmi
di gestione cooperativa del lavoro promossi dal padronato per
tutti gli anni ottanta e novanta, ha fatto un effetto stridente
vedere alcuni slogan familiari risorgere sotto una diversa struttura
di proprietà, come appunto “lavorare meglio”
(Working smart, titolo di un volume di cui Jane Slaughter è
coautrice).
Jane Slaughter
traduzione dall'inglese di Karlessi
da Labor Notes, Detroit – Mi, Usa
aprile 2013
Russia/Pussy Riot
Lettera dal carcere
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Mosca (Russia), luglio 2010 Nadezhda Tolokonnikova
in tribunale |
Come alcuni lettori ricorderanno (vedi “A”
375, novembre 2012), nell'agosto 2012 Nadezhda Tolokonnikova
e Maria Alyokhina, membri del gruppo Pussy Riot, sono state
condannate a due anni di colonia penale per la “Preghiera
punk” che hanno pronunciato nella cattedrale di Cristo
Salvatore a Mosca nel febbraio 2012. Si trattava di un'invocazione
a Theotókos (Madre di Dio, la Beata Vergine Maria), affinché
“cacciasse Putin”. Il ritornello era su una musica
di Rachmaninov; la canzone menzionava anche il patriarca russo
Cirillo I, definendolo come colui che crede più a Putin
che a Dio.
Nel mese di luglio Amnesty International ha reso nota la
seguente lettera dal carcere scritta da Nadezhda. Eccola:
Cari amici!
Grazie per il vostro sostegno! So che la vita è diventata
molto difficile, il che mi fa apprezzare tanto più che
abbiate trovato il tempo, la forza e la volontà di sostenerci.
Voglio credere che la mia prigionia e quella di Maria non siano
inutili e che aiutino coloro che vedono e capiscono la situazione
della Russia odierna.
Mi sento in debito con tutti coloro i quali sono intervenuti
in nostro favore. Sappiate che, nonostante la condanna illegale,
le vostre azioni non sono state inutili. Ogni parola –
anche se non in modo immediato – porta cambiamenti, ha
una certa influenza sul processo politico. Ciò che succede
a noi prende senso da ognuna delle vostre azioni. Sono immensamente
grata per questo.
Cordiali saluti,
Nadya
Estate 2013/
Musica a Taranto e a Pescara
Taranto, 27 luglio 2013. Anche quest'anno la Puglia ha vissuto
la grande kermesse estiva, da molti definita la Woodstock del
Salento, che da sedici anni richiama centinaia di migliaia di
amanti della musica popolare. Sui muri, sui giornali, nelle
vetrine dei negozi, il volto sorridente del maestro concertatore
della passata edizione de La Notte della Taranta, Goran
Bregovi. Quest'anno è stato lui l'evento nell'evento,
mentre ad altri era affidata la direzione del Concerto. Ed è
stato lui ad aprire le danze della pizzica: nella città
di Taranto, stesso etimo di taras che è taranta,
l'aracnide il cui morso va ben oltre i confini della Magna Grecia
e del Salento.
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Goran
Bregovi |
Pescara, 28 luglio 2013. Anche le città marchigiane
sono ancora tappezzate di enormi cartelloni che pubblicizzano
un altro grande evento dell'estate: la quarantunesima edizione
del Pescara jazz. Ma gli spazi maggiori, e i cartelloni più
grandi, sono per lo spettacolo che ha chiuso il sipario della
manifestazione: il concerto di Paco de Lucia, la leggenda vivente
della chitarra flamenca; “il re del flamenco”, come
titola La Repubblica.it, il 4 luglio 2013.
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Paco
de Lucia |
Due mega eventi, pressoché simultanei, in due diverse
regioni, che hanno un denominatore comune che forse sfugge ai
più: molta parte dell'estate italiana ha avuto la musica
rom come colonna sonora.
La chitarra flamenca di Paco de Lucia, Francisco Sánchez
Gómez, nato e cresciuto in mezzo a una comunità
andalusa di zingari, ha catalizzato l'attenzione di migliaia
di persone disposte a pagare più di sessanta euro per
ascoltare “la sua chitarra che canta”, “il
grande respiro che muove la sua pittura sonora”, al Teatro
D'Annunzio di Pescara. Come sempre, quando Paco suona e il suo
gruppo gitano canta, danza e toca las palmas, i cuori
battono all'unisono seguendo il ritmo del battere e del levare
della chitarra, interrompendosi per interminabili apnee, della
stessa durata dell'arpeggio particolare che solo le sue dita
sanno eseguire, passando da famosi brani di musica classica
(Concerto per Aranjuez) alle sevillane più ardite.
Il maestro concertatore Goran Bregovi, nella passata edizione
della Notte della Taranta, di fronte al grande pubblico accorso
da ogni parte d'Italia e d'Europa (più di centoventimila
persone nella serata conclusiva), ha esordito con un canto tradizionale
rom, Ederlezi, che senza soluzione di continuità
diventava Sta lucisce, cioè “Nasce il nuovo
giorno”, in traduzione salentina; e ha ben chiarito qual
è il nesso tra le due versioni: è San Giorgio,
patrono di Melpignano e anche del suo popolo, i rom, che il
6 maggio festeggiano il Ðurdevdan (Giurgevdan, letteralmente:
giorno di [San] Giorgio). Ederlezi è la versione
pagana del Ðurdevdan.
Al Concerto del 2012 c'ero anch'io, e anche io ho applaudito
a quel suo originale presentarsi da zingaro, con la semplicità
– o forse l'orgoglio – di chi per essere apprezzato
non deve tacere le proprie origini e la propria cultura.
Non c'ero, invece, ad un altrettanto seguito incontro di pugilato,
quello di cui scrive Giorgio Bezzecchi nel numero estivo di
“A”. Nella sua recensione al libro Buttati giù,
zingaro!, Bezzecchi narra la triste vicenda del sinto Rukeli,
il coraggioso pugile cui l'odio generato dalla guerra ha tolto
il titolo di campione, prima e la vita, dopo.
La fortuna musicale di Goran Bregovi e di Paco de Lucia, e le
infelici vicissitudini del pugile Rukeli, portano a riflettere
su quanto segue: se quello della guerra è un linguaggio
che genera odio, acredine, violenza, razzismo, forse basterebbe
bandire la guerra, ogni guerra, per superare ostilità,
angherie, pregiudizi, discriminazioni. Per una comunicazione
finalmente libera da scellerate conseguenze, bisognerebbe, dunque,
servirsi di altri linguaggi. Come quello musicale. Perché
la musica è un linguaggio universale capace di creare
sintonie, indipendentemente dalla lingua in cui la si canta,
dal contesto in cui la si ascolta, dalla razza e dalla storia
di chi la esegue.
Ma la musica non è la sola capace di creare consonanze
e simpatia. Quante volte, allo stadio, seguendo le partite del
campionato di calcio abbiamo assistito a esplosioni di gioia
quando la maglia numero 9 batteva un calcio di rigore o di punizione
e metteva in porta un pallone impossibile da parare. La maglia
numero 9 alla quale mi riferisco era quella di Zlatan Ibrahimovi,
capocannoniere di origini rom.
E quante volte l'America razzista ha dovuto fare spazio ad un'altra
America cui a poco a poco si è andata educando: penso
ai giochi olimpici del 1936 a Berlino, quando il medagliere
Usa si è arricchito grazie ai record straordinari stabiliti
dall'atleta afro-americano Jesse Owens, quattro volte medaglia
d'oro; e penso ancora alle dieci medaglie olimpiche di Carl
Lewis: anche per il “figlio del vento” l'America
ha imparato a non fare più caso al colore della pelle.
E non solo l'America razzista, ma le moltitudini di persone
che seguono lo sport alla maniera di De Coubertin, e che pian
piano hanno subìto l'influenza buona del linguaggio dello
sport, che educa ad accogliere l'altro, chiunque esso sia, quando
è lui il migliore, il più bravo, il campione.
Moltitudini per le quali si può usare il termine “massa”
senza caricarlo del connotato negativo che la sociologia gli
attribuisce.
Masse allo stadio, che si esaltano quando il goleador fa segnare
il punto contro una rete inviolata.
Masse ai concerti, che cantano a gran voce, pur senza comprenderle,
parole come Ederlezi, Opa Cupa, Caje Sukarije.
Ma ho visto anche delle masse felici... posso dire parafrasando
Claudio Lolli.
Felici di poter ignorare il vincolo del pregiudizio;
felici di saper apprezzare ogni espressione artistica;
felici di sentirsi libere di andare in visibilio ascoltando
le note di un grande musicista rom; felici di potergli
chiedere ancora un altro bis: canta ancora, zingaro!
Alba Monti
Catania/
Un sogno d'amore all'Orto botanico
Da diversi anni mi occupo di ideare e realizzare le offerte
educative dell'Orto botanico di Catania e, da quasi due anni,
Loredana collabora con me.
Le attività educative attualmente svolte sono realizzate
attraverso un approccio emozionale per sensibilizzare, coinvolgere
e stimolare curiosità, interesse e rispetto per la vita
in generale. Durante lo svolgimento delle attività si
cerca di spostare l'abituale punto di vista di chi partecipa
per trovare versioni nuove, possibili, provabili, verosimili,
di fatti anche appresi come storici. In particolare durante
le attività è sollecitata una riflessione sulla
natura e sull'ambiente, permettendo di esplorare il mondo delle
piante in modo nuovo rispetto a quello sperimentato nell'ambiente
scolastico.
Nessun sapere è trasferito, nessun insegnamento impartito,
ma è messa in opera la piacevole sorpresa del cerchio.
Un girotondo in cui ci si dà la mano e inizia lo scambio.
Una mano prende e l'altra dà. Non c'è chi sa e
chi riceve i saperi. A noi interessa generare atteggiamenti
e comportamenti nuovi e, quindi, riuscire a entrare nella loro
sfera emotiva; per questo motivo abbiamo preferito sviluppare
attività di tipo ludico, laboratori “giocosi”.
Attraverso il gioco tutto prende forma, esce dai libri e diventa
vita, da toccare, scambiare, sperimentare. Il gioco non è
una prerogativa dell'infanzia, il gioco è un eccitatore
dei sensi a qualunque età, quelli che cambiano sono i
modi e i tempi.
Ad esempio, un'attività realizzata con i piccolissimi
(scuola dell'infanzia e prime classi elementari) consiste nel
creare i colori da alcune parti delle piante e poi usare i colori
per scoprire come da un seme può nascere e svilupparsi
un albero, per farlo diventiamo tutti fabricatori di colori
e parte della tribù dalle mani colorate (ma anche dai
vestiti e dalle facce colorate). Con i ragazzi delle scuole
medie e i superiori, ad esempio, tra le attività che
realizziamo ce n'è una prettamente ecologica che si sviluppa
attraverso giochi e simulazioni, all'interno di questa avviamo
dei veri e propri dibattiti trattando temi spesso impronunciabili
a scuola che diventano leggeri. Molti di questi ragazzi ci scrivono
poi che hanno iniziato ad andare a scuola in bici o che intendono
partecipare alla critical mass o ci mandano allegate le foto
di cose che hanno costruito con la “spazzatura”.
Durante queste conversazioni mi capita spesso di chiedere che
cosa voglia dire, ad esempio, la frase: No Martini? No party!
E cosa portano loro al “party”, qualunque esso sia.
Può non esserci differenza nell'andare in discoteca o
a un incontro in un centro sociale. Perché ci vai fa
la differenza; e se vai perché sei stato invitato tu
o il Martini. Vai per portare qualcosa di te o qualcosa che
il sistema ti sta imponendo di portare? Non importa quale sia
la risposta, ma è importante esserne consapevoli e scegliere.
La comunicazione, e il modo in cui si realizza una comunicazione,
durante le attività assume un ruolo fondamentale; ma
come comunicare all'interno di questo tipo di società
in cui anche i soggetti definiti educanti manifestano la tendenza
a proporsi come spettatori e/o complici del degrado (ambientale,
culturale, sociale)? La comunicazione non è un'azione
al singolare e richiede sempre, e almeno, due interlocutori,
questo vuol dire che il contenuto della comunicazione è,
e deve essere, il risultato di quest'azione che non appartiene
a nessuno, ma, rimanendo in un'area di mezzo tra il “me”e
il “te”, rappresenta un comune significato condiviso.
I contenuti sono perciò mediazione d'intenti, conoscenze
ed emozioni. Nessuna delle attività che svolgiamo è,
infatti, mai identica a una già svolta, ma presenta sempre
qualcosa di nuovo, di diverso, di unico perché altri,
diversi e unici sono, di volta in volta, i bambini/ragazzi che
ne prendono parte portando qualcosa di se. Dopo ogni attività
in sala si esce in giardino, guidati sempre in modo interattivo
da un altro collaboratore, Gianluca.
Com'è stata accolta quest'onda di “stranezze educative”?
Gli studenti di tutte le età, sia catanesi sia di altre
province siciliane, che partecipano alle nostre attività
sono in media 5000 ogni anno. Quest'anno abbiamo avuto anche
la piacevole sorpresa della partecipazione di un liceo di Novara
in gita a Catania.
Per verificare “l'impatto” delle attività
proposte, ho realizzato un sistema di valutazione/verifica attraverso
un questionario che precede e segue ogni attività. Il
questionario ha lo scopo di facilitare una valutazione sul tipo
di relazione esistente tra i partecipanti e l'ambiente, verificare
la loro percezione dei problemi ambientali legati alle alterazioni
dovute all'uomo e causa di estinzione per diverse specie vegetali
e animali, e infine, comprendere se lo svolgimento delle attività
produce, o facilita, cambiamenti di atteggiamento.
In realtà tutto questo è il risultato di un percorso
che ha richiesto tempo e pazienza. Ho, infatti, iniziato a lavorare
per l'Orto botanico di Catania nel 2005 e in quel periodo non
esisteva un programma di attività educative, anche se,
da più di venti anni, era offerto un servizio di visite
guidate rivolto alle scuole e al pubblico in genere. Le visite
guidate avevano l'obiettivo di far conoscere le collezioni botaniche
presenti all'interno del giardino e stimolare interesse botanico
nei visitatori. Inizialmente, mi occupavo di catalogare dati
d'erbario e digitalizzare le relative immagini, ma essendo un'educatrice,
dopo due anni di catalogazione e acquisizione immagini, iniziavo
a diventare irrequieta e, sopratutto, non riuscivo a capacitarmi
di come in una struttura come quella non esistesse una sezione
educazione e non si faccessero attività significative
con bambini, ragazzi, studenti, con tutte le persone.
Mi sembrava un'occasione sprecata non poter usare la mia formazione
per dare forma al museo Orto botanico, così come avevo
sempre immaginato che dovesse essere un museo: aperto alla gente
e per la gente. Ho deciso perciò di parlare con il direttore
chiedendo se fosse possibile collaborare con la signora che
si occupava delle visite guidate per l'organizzazione del tradizionale
concorso di fine anno proposto alle scuole. Quell'anno il titolo
del concorso era “Guide per un giorno”. Il direttore,
piacevolmente sorpreso dalla mia offerta pro bono, ha accettato.
Da quel momento, grazie ad una serie di favorevoli circostanze,
tutte cercate e attentamente colte al volo, ha preso il via
il percorso che ha portato alle attività educative dell'Orto
botanico oggi proposte alle scuole.
Le prime proposte di attività sono state inviate alle
scuole nel 2009, erano attività differenziate, in relazione
all'età dei partecipanti e in base ai diversi programmi
svolti dalle scuole e dagli indirizzi di studio. Per quanto
avessi già chiara la metodologia che volevo mettere in
pratica, esistevano difficoltà concrete. Lavoravo, infatti,
con due persone che, pur facendo parte del Centro regionale
di informazione e educazione ambientale, concretamente, non
avevano mai potuto formarsi o sperimentare, quindi, in molte
occasioni, l'improvvisazione faceva da padrona. In realtà,
sapevo cosa bisognava fare per cambiare le cose.
Per tanti anni avevo frequentato artisti di ogni genere e conosciuti
modi alternativi per rapportarsi con gli altri, modi inediti,
avevo sperimentato metodi educativi originali anche in laboratori
di teatro contemporaneo e avevo voglia di mettere in pratica
queste esperienze per le attività di educazione ambientale.
Desideravo riuscire ad arrivare “dentro” le persone
e lì mettere un piccolo seme per il cambiamento. In Europa,
diversi Giardini avevano già avviato esperienze di questo
tipo con risultati ottimi. Mi sono quindi rimessa a studiare,
ho seguito corsi universitari per educatori, arricchendo, anche,
la mia formazione della metodologia peer education e
cercato di stimolare le persone con cui collaboravo. Quando
con le mie colleghe eravamo riuscite a realizzare un equilibrio
meno precario, tutto è cambiato: sono state destinate
ad altri incarichi. Per fortuna, a quel punto, si è materializzata
Loredana, laureata in scienze biologiche e in cerca della sua
strada. Loredana, con la coooperativa che gestisce i servizi
per l'Orto, aveva avuto occasione di fare delle visite guidate
ed era diventata curiosa rispetto alle attività educative.
Quando abbiamo iniziato a parlare e a confrontarci è
stato subito amore. Amore per un sogno condiviso. Il sogno di
poter cambiare realmente le cose. L'impegno a renderlo concreto.
Rendere concreto, attraverso le nostre attività, l'obiettivo
dell'educazione ambientale: sensibilizzare alle tematiche ambientali
per favorire un nuovo atteggiamento nei confronti dell'ambiente.
Dal 2011, sostenute dai direttori dell'Orto, abbiamo continuato
insieme a sviluppare e realizzare i progetti educativi rivolti
alle scuole.
Cristina Lo Giudice
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