San Cristóbal de Las Casas: la “città vampiro” e l'insurrezione armata zapatista
di Orsetta Bellani
Il Chiapas, lo zapatismo, il sub-comandante Marcos sembrano non essere più “di moda”, anche negli ambienti della sinistra rivoluzionaria, che hanno guardato in quella direzione spesso con spirito un po' adorante. Per una rivista come la nostra, abituata a muoversi – per scelta – in direzione ostinata e contraria, ci sembra giunto il momento di riprendere le fila del discorso. E lo facciamo, a partire da questo numero, con una serie di corrispondenze / riflessioni di Orsetta, da alcuni anni nostra collaboratrice assidua, da anni residente in Chiapas. Si parte proprio da San Cristóbal de Las Casas, punto di approdo e di partenza verso le comunità zapatiste.
A San Cristóbal,
fuori dall'orizzonte di nubi e montagne
che adornano ogni strada,
nulla è stato regalato,
tutto è stato conquistato.
Andrés Aubry1
L'ora migliore per guardare San Cristóbal de Las Casas sono le sei
del pomeriggio. Il sole scende lentamente dietro il vulcano
Huitepec e colora di viola le nuvole basse. Le indigene, per
lo più maya tzotziles, stendono il loro artigianato di
fronte alla cattedrale gialla che l'illuminazione notturna fa
sembrare di zucchero, mentre nelle strade del centro la gente
si riversa nei bar e nei ristoranti italiani, argentini, libanesi.
San Cristóbal è una città turistica. I
turisti, che non si muovono dalle strade principali, pensano
sia solo una cittadina, quando in realtà ha circa 190mila
abitanti2. Viviamo tra le grandi
case del centro laccato - di tegole e fango intonacato dai colori
accesi, con i ricchi cortili abbelliti da alberi e piante tropicali
-, i barrios costruiti dagli spagnoli per confinare gli
indigeni e la più recente periferia: quartieri come La
Hormiga, eretto abusivamente negli anni '80 dai maya di San
Juan Chamula espulsi dalla violenza religiosa.
San Cristóbal è una città povera e aspra,
con un passato difficile. Quando nel 1528 il conquistador
Diego de Mazariegos la fondò, credeva di trovarsi in
Giappone e ancora non sapeva che più a sud ci fosse tutto
un continente: il Chiapas era considerato un finis terrae.
Nella storia di San Cristóbal abbondano i terremoti,
le inondazioni, le epidemie e le ingiustizie. Era, ed è
tuttora, una “città duale”, che riflette
nella sua urbanistica la divisione sociale tra la classe dirigente
ladina3 e il proletariato
indigeno4.
San Cristóbal è fredda e umida, circondata da
pantani e da montagne di boschi verdi. Il sole brucia le giornate
della sua valle, a più di 2mila metri sul livello del
mare, ma quando tramonta il freddo intirizzisce le ossa. I pomeriggi
estivi sono innaffiati da acquazzoni che ricorrono come una
costante intorno alle 2 del pomeriggio; prima di arrivare in
Messico, non avevo mai pensato che la pioggia potesse avere
un orario.
A causa della sua “alta” posizione – preferita
dagli invasori spagnoli visto il caldo soffocante delle terre
ai suoi piedi – San Cristóbal non è mai
diventata un centro agricolo importante, e a partire dal XIX
secolo la sua principale attività economica è
stata il reclutamento di braccianti indigeni per le terre basse
chiapaneche5.
Seconda città più antica d'America e capitale
dello Stato del Chiapas durante più di tre secoli, San
Cristóbal è stata dimenticata dai presidenti che
si sono succeduti a partire dal 1824, quando da territorio guatemalteco
diventò messicano. Il primo che da Città del Messico
si spinse fino alla sierra chiapaneca fu, nel 1940, Lázaro
Cárdenas, che intraprese un viaggio che durò vari
giorni per raggiungere l'isolata San Cristóbal, fino
agli anni cinquanta unita al resto del paese da una sola strada
asfaltata6.
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San Cristóbal de Las Casas (Chiapas), 2014. Cattedrale di San Cristóbal |
Sfruttamento e sangue dei nativi
A partire dagli anni '70, a causa della crisi del settore agricolo
e delle tensioni che si crearono nelle campagne tra protestanti
e cattolici, la migrazione indigena alla bella città
coloniale, che era fondamentalmente e orgogliosamente meticcia7,
divenne sempre più massiva. L'integrazione è stata
lenta e incompleta, dovuta al razzismo dei coletos8
e alle difficoltà, per gli indigeni, di adattarsi al
contesto urbano. Ancora oggi molti nativi continuano a essere
legati ai modi rurali, e non è difficile incontrare donne
che pascolano pecore alle porte del centro storico.
Con il suo centro “perfetto”, San Cristóbal è oggi lo specchio dei contrasti del Chiapas, che presenta una facciata turistica da cartolina e un dietro le quinte di violenza ed emarginazione, soprattutto nei confronti degli indigeni.
“San Cristóbal è chiamata “città
vampiro”, perché vive del sangue e dello sfruttamento
dei nativi. Prima dell'insurrezione zapatista, nel loro discorso
i coletos esprimevano in modo esplicito il razzismo nei
confronti degli indigeni”, ricorda Juan Blasco, professore
della Unach (Universidad Autónoma de Chiapas). “Dopo
l'insurrezione zapatista, i giornali criticarono i sancristobalensi
per aver maltrattato gli indigeni durante secoli, e da allora
il loro atteggiamento è cambiato, almeno nel discorso9”.
Non è certo un caso se in Chiapas c'è stato un
levantamiento10 armato
indigeno. Fino al 1952, anno in cui apparve l'Instituto Nacional
Indigenista (INI), la discriminazione a San Cristóbal
era stabilita per legge: ai nativi era proibito camminare nella
piazza principale, andare per strada di notte e dovevano scendere
dal marciapiede se s'imbattevano in un ladino11.
Dopo il 1952, il razzismo ha continuato ad esistere come pratica
consuetudinaria e nel mio quartiere, costruito all'epoca della
Colonia come ghetto per gli indigeni, fino al 1985 non c'erano
asfalto né fognature12.
Intanto, a metà degli anni '80 San Cristóbal si trasformò in una meta turistica, ai tempi riservata solo a viaggiatori freakettoni. Tempo fa, quando lavoravo come volontaria nel centro di ricerche CIEPAC (Centro de Investigaciones Económicas y Políticas de Acción Comunitaria), incontrammo un documento in cui il governo dello Stato del Chiapas, pur preoccupato per il subbuglio causato dagli zapatisti, si diceva convinto che la loro insurrezione (1994) avesse favorito il turismo.
Li chiamiamo zapaturisti e sono persone che vengono da tutto il mondo per appoggiare il movimento e per imparare, conoscere e diffondere nel loro paese la propria esperienza. Mossi da nobili intenti e spesso e volentieri piuttosto “spiantati”, gli zapaturisti rappresentano una bella opportunità per i piccoli albergatori, ristoratori e per chi vende artigianato.
Un altro fenomeno curioso causato dall'insurrezione zapatista a San Cristóbal è stato l'arrivo in pianta stabile di attivisti politici di vario ordine e grado, provenienti dall'estero o da altre città del Messico. Integrarsi nella città coleta non è facile, visto l'abisso culturale che ci separa dai tzotziles e la diffidenza dei meticci, proprio a causa del nostro appoggio alla causa indigena. Il rischio che si corre è di trovarsi in una nicchia sociale di “salvatori del mondo”.
Il trattato di libero commercio
È comune sentir parlare del collasso della civiltà
maya, come se si trattasse di un'etnia scomparsa dalla faccia
della terra. In realtà, malgrado siano tramontati i regni
di Palenque, Toniná e Chichén-Itzá13,
la realtà comunitaria indigena, figlia dei figli degli
abitanti di quelle ricche città, è viva e vegeta.
Oggi i maya, che rappresentano circa il 30% della popolazione
chiapaneca14, sono gli abitanti
più poveri dello stato che ha il minor indice di sviluppo
umano del Messico15 e
in cui, nel 2012, la povertà interessava ancora il 74,7%
della popolazione16. Prima del
'94, la situazione era ancora più grave: il 50% delle
case nei municipi di Ocosingo, Comitán e Las Margaritas
avevano il pavimento in terra battuta, il 65% non godevano dell'allacciamento
all'acqua corrente e il 70% all'elettricità17.
All'inizio degli anni '90, il governo neoliberista di Carlos
Salinas de Gortari prese due provvedimenti che misero in allarme
l'agro messicano: la riforma dell'art. 27 della Costituzione,
che interruppe la riforma agraria e la distribuzione delle terre,
privatizzando gli ejidos18,
e la firma del Trattato di Libero Commercio (TLC) con il Canada
e gli Stati Uniti (North American Free Trade Agreement - NAFTA).
Dal primo gennaio 1994, quando il NAFTA entrò in vigore,
i prodotti agricoli messicani si trovarono a dover competere
con quelli dei vicini del nord, e già allora c'era chi
prevedeva la catastrofe che, a vent'anni di distanza, è
davanti ai nostri occhi: i sussidi che il governo statunitense
e quello canadese offrono all'agricoltura rendono i loro prodotti
più economici sul mercato messicano rispetto a quelli
locali, con il risultato che le importazioni di mais –
alimento base della cucina messicana e che trova la sua origine
proprio in questa parte del mondo – tra il 1992 e il 2008
sono aumentate di quasi cinque volte19.
I piccoli contadini messicani, la cui produzione è incentrata
soprattutto sul granoturco, si sono trovati a non poterlo più
vendere nei mercati locali. Il NAFTA ha creato una crisi economica
e umanitaria: dalla sua entrata in vigore, il paese ha perso
4,9 milioni di posti di lavoro nell'agricoltura familiare e
6 milioni di persone hanno dovuto abbandonare la campagna20.
All'alba del primo gennaio 1994, giorno dell'entrata in vigore
del NAFTA, il Chiapas fu l'epicentro di un terremoto. Centinaia
di indigeni maya armati e con i volti coperti da passamontagna
occuparono San Cristóbal e altri quattro centri urbani
chiapanechi. Dal Palazzo Municipale della città lessero
la Prima Dichiarazione della Selva Lacandona: “A loro
non importa che stiamo morendo di fama e malattie curabili,
che non abbiamo nulla, assolutamente nulla, né un tetto
degno, né terra, lavoro, salute, alimentazione, educazione,
non abbiamo diritto a eleggere liberamente e democraticamente
le nostre autorità, né pace e giustizia per noi
e per i nostri figli. Ma oggi diciamo basta! Pertanto, conformemente
a questa dichiarazione di guerra, diamo alle forze militari
dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale l'ordine di
avanzare verso la capitale del paese, vincendo l'esercito federale
messicano21”.
La dichiarazione di guerra di quei primi giorni del 1994 spaventò
molti. “La mattina del 1° gennaio, accesi la radio
e scoprii che tutti i networks locali erano stati occupati dagli
zapatisti”, racconta il professor Juan Blasco22.
“Viste le esperienze delle guerre brutali in Centroamerica
degli anni '80 e '90, quando ascoltai la Prima Dichiarazione
della Selva Lacandona mi spaventai. In seguito si scoprì
che gli zapatisti usavano le armi per richiamare l'attenzione,
ma la loro lotta abbandonò presto il piano militare.
Quella mattina, dopo aver ascoltato la radio, andai in centro
perché ero curioso di sapere cosa stava succedendo. Quando
arrivai davanti al Palazzo Municipale c'erano dei guerriglieri
con i volti coperti da passamontagna che presidiavano la piazza
armati, ma in nessun momento pensai che mi avrebbero potuto
fare del male”.
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Indigeni maya tzotziles caricano sulle spalle una sedia adibita al trasporto umano |
“Scusate il disturbo, è una rivoluzione”
Alcuni turisti si avvicinarono a un uomo incappucciato e alto,
dall'aspetto meticcio, mentre rilasciava dichiarazioni alla
stampa sotto il porticato del Palazzo del Municipio. La loro
guida, nervosa, si lamentò perché doveva accompagnare
il gruppo al sito archeologico di Palenque. “La strada
per Palenque è chiusa”, rispose l'uomo. “Abbiamo
occupato la città di Ocosingo. Scusate il disturbo, ma
questa è una rivoluzione23”.
Era il subcomandante Marcos che, secondo l'ex presidente Ernesto
Zedillo, si chiama Rafael Sebastián Guillén Vicente
ed è nato a Tampico nel 195724.
Marcos arrivò nella Lacandona a seguito di un gruppo
di sei meticci giunti dal centro del Messico il 17 novembre
1983, con l'intenzione di organizzare un gruppo armato rivoluzionario
in Chiapas. Appartenevano al FLN (Fuerzas de Liberación
Nacional), e scelsero la Lacandona non a seguito di una prudente
valutazione politica, ma solo perché avevano dei contatti
nella zona.
Ad ogni modo la scelta, benché casuale, fu senz'altro
felice. I maya chiapanechi, normalmente considerati un popolo
mansueto, hanno in realtà scatenato numerose ribellioni
già ai tempi dell'occupazione spagnola. Nell'aprile 1712,
nel paese di San Juan Cancuc, alla giovane maya tzeltal Maria
de la Candelaria apparve una vergine che prometteva di aiutare
gli indigeni. L'apparizione miracolosa, che non a caso coincise
con l'aumento della decima25
e la visita del maligno vescovo Juan Bautista Alvarez de Toledo,
portò a un'insurrezione degli indigeni di tutta la zona
contro l'esercito di Ciudad Real26
in nome della vergine, che si concluse solo nel novembre dello
stesso anno. Anche la ribellione contro la corona spagnola del
paese tzotzil di San Juan Chamula (1869) ebbe origine “divina”.
A seguito del ritrovamento, da parte dell'indigena Agustina
Gómez Checheb, di tre pietre “scese dal cielo”,
venne creata una nuova religione e detenuto a San Cristóbal
il suo predicatore, Pedro Díaz Cuscate. Al comando di
migliaia di tzotziles armati - a cui aveva assicurato che i
morti durante la guerra sarebbero resuscitati dopo tre giorni
-, il meticcio Ignacio Fernández de Galindo attaccò
a più riprese la città chiapaneca per liberare
il leader religioso27. Più
recentemente (1974) i tzotziles di Venustiano Carranza e San
Andrés Larrainzar si ribellarono contro i possidenti
locali, che si comportavano come signori feudali e che repressero
duramente l'iniziativa dei maya28.
Ad ogni modo, è solo con la ribellione del EZLN del 1994 che la questione indigena entrò nell'agenda politica del Messico. Gli indigeni del Chiapas, i più poveri dello stato più povero del paese, salirono alle cronache internazionali. La guerra “regolare”, presto sostituita dal paramilitarismo, durò dodici giorni e si concluse a seguito di una manifestazione che riempì la piazza principale di Città del Messico, e che chiedeva al governo di Salinas de Gortari di decretare il cessate il fuoco e aprire il tavolo dei negoziati.
I guerriglieri si ritirarono in montagna e iniziò il processo di costruzione dell'autonomia zapatista che, secondo molti analisti, rappresenta oggi un esempio pratico dell'“altro mondo possibile”.
Secondo l'intellettuale messicano Gustavo Esteva:
“Il mondo nuovo esiste nella zona zapatista, lo possiamo
prendere come orizzonte per duplicarne l'esperienza. Non esiste
un modo di ripeterla nel centro di Città del Messico
o nella Sierra Norte dello Stato di Oaxaca, ma la possiamo utilizzare
come inspirazione, è un esempio da condividere per parlare
del mondo nuovo. Dobbiamo fare in modo, come gli zapatisti,
che la nostra lotta abbia la forma del risultato: quando evitiamo
di separare i mezzi dai fini, il nostro modo di lottare è
già il risultato della lotta. In questo processo, l'amicizia
ha un ruolo centrale: è lei a guidare i passi di chi
sta costruendo il mondo nuovo29”.
La rivoluzione neozapatista ha aperto la strada alle proteste anticapitaliste di Seattle (1999) e al primo Social Forum di Porto Alegre (2001), che hanno messo le basi per la nascita di movimenti sociali con respiro internazionale come quello No Global e quello degli Indignados.
Gli zapatisti hanno inoltre risvegliato un senso di orgoglio
pan-indigeno, per aver dimostrato che una forza composta da
nativi può confrontarsi con il governo, l'esercito e
i ladinos30. Dopo il 1994,
molte nazioni indigene del continente americano sono diventate
attrici centrali nella vita politica dei loro paesi, e il Chiapas
non è più un luogo dimenticato e finis terrae
della conquista coloniale.
Organizzazioni flessibili e democratiche
L'arrivo di Marcos e dei suoi compagni del FLN non rappresentò
l'unica miccia che causò l'esplosione neozapatista. A
partire dagli anni '50, il governo messicano promosse la colonizzazione
della selva Lacandona: invece di ripartire, come prevedeva la
riforma agraria, le terre dei latifondi ai contadini privi di
terra, il governo li spingeva a disboscare e occupare quella
vergine e sconosciuta porzione di Chiapas. Nel 1972, il presidente
Luis Echeverría fece una mossa che si rivelò controproducente,
promulgando il cosiddetto Decreto della Comunità Lacandona,
con cui assegnava più di 600mila ettari di terra a sessantasei
famiglie indigene lacandone - che godevano di un rapporto privilegiato
con il governo -, ignorando i diritti su quella terra di più
di trenta villaggi indigeni di altre etnie.
Le nuove comunità sorte nella Lacandona erano organizzazioni
flessibili e democratiche, propense a prendere decisioni in
assemblea31. Negli anni '70,
i villaggi che erano stati danneggiati dal Decreto della Comunità
Lacandona crearono organizzazioni di autodifesa contadina di
ispirazione maoista, e si moltiplicarono poi le associazioni
indigene per la difesa dei diritti dei coloni della selva. Tra
queste la ANCIEZ (Alianza Nacional Campesina Indígena
Emiliano Zapata), organizzazione radicale che il 12 ottobre
1992 - anniversario dell'arrivo di Colombo in America e dell'inizio
della sua conquista - organizzò una marcia di 10mila
indigeni per manifestare contro i 500 anni di oppressione coloniale.
La marcia, che attraversò le vie di San Cristóbal
in assetto quasi militare, è stata poi considerata come
la prima uscita pubblica dell'EZLN, che da più di dieci
anni preparava l'insurrezione travestita da ANCIEZ.
A partire dagli anni '80, i fondatori dell'EZLN andavano per
le comunità della Lacandona in cerca di persone che servissero
come basi d'appoggio per la guerriglia: famiglie che sposassero
la loro causa, li sfamassero e che li accogliessero nelle loro
case con discrezione, salvaguardando la clandestinità
dei guerriglieri32. Gli zapatisti
parlavano di terra per i contadini e di giustizia sociale, e
sempre più persone si univano a loro; chi come basi d'appoggio,
chi come guerriglieri e guerrigliere33.
Un anonimo miliziano zapatista ricordò l'origine dell'idea
della lotta armata alla giornalista catalana Guiomar Rovira,
che incontrò l'indomani dell'insurrezione del '94:
Abbiamo iniziato a vedere che ci dovevamo preparare in un
altro modo perché ci ascoltassero, perché soddisfassero
le nostre necessità, per denunciare quello che è
successo durante molti anni, lo sfruttamento in cui viviamo.
Però nessuno capiva come poteva essere l'altro modo.
Alcuni dicevano: un'organizzazione armata. Così venne
fuori l'idea, con una risata.34
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Zapatisti e zapatiste del Caracol della Garrucha |
La cattedrale piena di anarchici e rivoluzionari
Un elemento che, involontariamente, ha creato le basi per l'insurrezione
zapatista, è stato la predicazione di don Samuel Ruiz
García. Nel 1960 il sacerdote fu ordinato vescovo della
diocesi che nel XVI secolo era di Bartolomé de Las Casas,
il frate “amico degli indigeni” che diede il nome
alla città in cui operava.
Per commemorare i cinquecento anni dalla nascita di Bartolomé
de Las Casas, Samuel Ruiz fu chiamato a organizzare il Congresso
Indigeno, che si tenne il 13 ottobre 1974 a San Cristóbal
e vide la partecipazione di circa 1400 persone. Per la prima
volta, rappresentanti dei popoli originari di tutto il Chiapas
si ritrovarono a dibattere di terra, commercio, salute ed educazione,
e pretesero una maggiore indipendenza dalla diocesi meticcia
di San Cristóbal. Samuel Ruiz rispose formando e nominando
diaconi maya, che iniziarono a lavorare nelle comunità
predicando un “cattolicesimo indigeno”.
Il cattolicesimo del Tatic35
Samuel credeva nelle idee della teologia della liberazione36,
cristallizzate nel 1968 durante la Conferenza Episcopale di
Medellín (Colombia). Quando Don Ruiz García arrivò
in Chiapas dal nord del Messico, all'inizio degli anni '60,
era un conservatore. “Quando sono arrivato vedevo le chiese
piene di indios, ma solo più tardi mi sono reso conto
della sofferenza di questa gente, della triste realtà,
che ha suscitato un processo di conversione dentro di me37”,
ha affermato il sacerdote.
A piedi e a cavallo, don Samuel viaggiò per tutto il
Chiapas predicando, anche nelle zone più remote, il messaggio
di emancipazione sociale e politica contenuto nel Vangelo, dicendo
agli indigeni che la giustizia e la felicità si potevano
raggiungere in terra, senza aspettare il paradiso. Quando poi
scoprì che l'incontro tra i suoi fedeli e i membri del
FLN aveva portato alla nascita del EZLN, decise di arginare
quello che considerava un “cammino verso la morte”.
Cercò quindi di indurre i maya a isolare i guerriglieri,
per essere meticci venuti da fuori con idee contrarie all'idiosincrasia
indigena; ma ormai era troppo tardi38.
Samuel Ruiz non avrebbe mai potuto pensare che il suo lavoro
di predicazione avrebbe spinto migliaia di indigeni a prendere
in mano le armi. E non avrebbe mai potuto pensare che il giorno
dei suoi funerali, il 26 gennaio 2011, la cattedrale di San
Cristóbal sarebbe stata piena di anarchici e rivoluzionari.
Orsetta Bellani
@sobreamerica
Note
- Andrés Aubry, San Cristóbal de Las Casas.
Su historia urbana, demográfica y monumental, 1528-1990,
Editorial Fray Bartolomé de Las Casas, A.C., San Cristóbal
de Las Casas, Chiapas, México, 1991, pag. 16.
- INEGI (Instituto Nacional de Estadística y Geografía),
Principales Resultados del Censo de Población y
Vivienda 2010 – Chiapas, Aguascalientes, México,
2011.
- Si definiscono ladinos le persone non indigene. In
Chiapas, i ladinos sono chiamati caxlanes dagli indigeni.
- Andrés Aubry, San Cristóbal de Las Casas.
Su historia urbana, demográfica y monumental, 1528-1990,
Editorial Fray Bartolomé de Las Casas, A.C., San Cristóbal
de Las Casas, Chiapas, México, 1991.
- Jan Rus, La nueva ciudad maya en el Valle de Jovel: urbanización
acelerada, juventud indígena y comunidad en San Cristóbal
de Las Casas. In Marco Estrada Saavedra, Chiapas después
de la tormenta. Estudios sobre economía, sociedad y
política, Distrito Federal, México, 2009,
pag. 180.
- Andrés Aubry, San Cristóbal de Las Casas.
Su historia urbana, demográfica y monumental, 1528-1990,
Editorial Fray Bartolomé de Las Casas, A.C., San Cristóbal
de Las Casas, Chiapas, México, 1991, pag. 91.
- Chi ha i genitori di etnie differenti, generalmente uno
bianco e uno indigeno. È meticcia la maggior parte
della popolazione messicana. Nella stratificazione sociale
razzista, i meticci sono considerati “inferiori”
ai bianchi e “superiori” agli indigeni.
- Sancristobalense, persona nata a San Cristóbal de
Las Casas. L'origine del termine non è molto chiara,
l'interpretazione più comune è che coleto
si riferisca al modo di raccogliere i capelli – in una
“coleta” – dei conquistadores spagnoli.
- Intervista a Juan Blasco (Universidad Autónoma de
Chiapas) di Orsetta Bellani. San Cristóbal de Las Casas,
14 aprile 2014.
- Insurrezione.
- Jan Rus, La nueva ciudad maya en el Valle de Jovel: urbanización
acelerada, juventud indígena y comunidad en San Cristóbal
de Las Casas. In Marco Estrada Saavedra, Chiapas después
de la tormenta. Estudios sobre economía, sociedad y
política, Distrito Federal, México, 2009,
pag. 180-181.
- Andrés Aubry, San Cristóbal de Las Casas.
Su historia urbana, demográfica y monumental, 1528-1990,
Editorial Fray Bartolomé de Las Casas, A.C., San Cristóbal
de Las Casas, Chiapas, México, 1991, pag. 93.
- Antiche città maya, oggi siti archeologici. Le prime
due si trovano nello Stato del Chiapas, l'ultima in Yucatán.
- Jan Rus, La nueva ciudad maya en el Valle de Jovel: urbanización
acelerada, juventud indígena y comunidad en San Cristóbal
de Las Casas. In Marco Estrada Saavedra, Chiapas después
de la tormenta. Estudios sobre economía, sociedad y
política, Distrito Federal, México, 2009,
pag. 177.
- UNDP (United Nations Development Programme), Índice
de Desarrollo Humano Municipal en México, Distrito
Federal, México, 2014. 16 Coneval (Consejo Nacional
de Evaluación de la Política de Desarrollo Social,
Medición de la pobreza en México y en las
Entidades Federativas 2012, México, luglio 2013.
- Raúl Zibechi, Il paradosso zapatista. La guerriglia
antimilitarista in Chiapas, Elèuthera, Milano,
1998, pag. 22-23.
- Proprietà rurale di uso collettivo, distribuita attraverso
la riforma agraria. Fino alla riforma dell'art. 27 della Costituzione
(1992), i contadini la ricevevano in usufrutto ma il terreno
rimaneva di proprietà collettiva. La riforma di Salinas
de Gortari permette la privatizzazione degli ejidos
e, di conseguenza, apre la possibilità della loro vendita.
L'ejido era una delle promesse della rivoluzione messicana
di inizio '900, ma la figura giuridica venne creata solo nel
1934 dal presidente Lázaro Cárdenas.
- David Bacon, Los saldos del TLCAN para los trabajadores,
rivista elettronica desinformemonos.org, 10 febbraio 2014.
- Matilde Pérez U., Campo devastado, quotidiano
La Jornada, 20 febbraio 2014, pag. 2.
- Primera Declaración de la Selva Lacandona,
1994. In http://www.cedoz.org/site/content.php?doc=64&cat=10.
- Intervista a Juan Blasco (Universidad Autónoma de
Chiapas) di Orsetta Bellani. San Cristóbal de Las Casas,
14 aprile 2014.
- Carlos Tello Díaz, La rebelión de las cañadas.
Origen y ascenso del EZLN, Editorial Planeta Mexicana,
Distrito Federal, México, 2005, pag. 15-19.
- Laura Castellanos, Corte de caja. Entrevista al Subcomandante
Marcos, Impresos Gráficos Publicitarios, 2008,
pag. 12.
- Tributo che corrisponde alla decima parte del raccolto o
del reddito.
- Nome di San Cristóbal de Las Casas durante il periodo
coloniale.
- Prudencio Moscoso Pastrana, Rebeliones indígenas
en los Altos de Chiapas, Universidad Autónoma de
México (UNAM), Distrito Federal, México, 1992.
- Raúl Zibechi, Il paradosso zapatista. La guerriglia
antimilitarista in Chiapas, Elèuthera, Milano,
1998, pag. 23.
- Gustavo Esteva, atti del seminario Las Venas Abiertas
del Chiapas Contemporáneo, San Cristóbal
de Las Casas, Chiapas, 23-25 ottobre 2013.
- Jan Rus, La nueva ciudad maya en el Valle de Jovel: urbanización
acelerada, juventud indígena y comunidad en San Cristóbal
de Las Casas. In Marco Estrada Saavedra, Chiapas después
de la tormenta. Estudios sobre economía, sociedad y
política, Distrito Federal, México, 2009,
pag. 184.
- Raúl Zibechi, Il paradosso zapatista. La guerriglia
antimilitarista in Chiapas, Elèuthera, Milano,
1998, pag. 27.
- Marco Estrada Saavedra, Articulando la resistencia: la
organización militar, civil y política del neozapatismo.
In Marco Estrada Saavedra, Chiapas después de la
tormenta. Estudios sobre economía, sociedad y política,
Distrito Federal, México, 2009, pag. 505-510.
- Per conoscere la storia della selva Lacandona e le condizioni
che hanno portato alla nascita dell'EZLN, un testo imprescindibile
è: Jan De Vos, Una tierra para sembrar sueños.
Historia reciente de la Selva Lacandona, 1950-2000, Centro
de Investigación y Estudios Superiores en Antropología
Social, Distrito Federal, México, 2002.
- Guiomar Rovira, ¡Zapata Vive! La rebelión
indígena de Chiapas contada por sus protagonistas,
Barcelona, 1994, ere l'no: solo una organizzazione armata.
Cosuno capiva come poteva essere l'pag. 38.
- Padre, in lingua tzotzil. Così gli indigeni chiamavano,
affettuosamente, don Samuel Ruiz.
- Corrente cattolica latinoamericana, che non ha l'approvazione
della Chiesa Romana, basata su alcune idee innovatrici del
Concilio Vaticano II. I sacerdoti della Teologia della Liberazione
abbracciarono la cosiddetta “opzione per i poveri”,
considerando che la situazione in cui vive la maggioranza
del popolo latinoamericano contraddice il disegno divino,
basato sulla giustizia e l'uguaglianza. Uno dei più
noti e radicali teologi della liberazione è il colombiano
Camilo Torres Restrepo, sacerdote e membro della guerriglia
dell'ELN (Ejército de Liberación Nacional).
- El Despertador Mexicano, dicembre 1993.
- Sulla vita di don Samuel Ruiz García si può
leggere, in spagnolo: Carlos Fazio, El caminante, Espasa
Calpe, España, 1994.
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