storia
Abbasso la guerra
a cura dell'Ateneo degli Imperfetti e del Centro studi libertari G. Pinelli
foto AFA - Archivi Fotografici Autogestiti
ricerca iconografica di Roberto Gimmi
Contro la retorica “sangue e onore” con cui si vuole celebrare il primo conflitto mondiale, un incontro che parla di diserzione, renitenza, insubordinazione, ammutinamento, autolesionismo, indisciplina...
Tu sei maledetta!
Uomini e donne contro la guerra: Italia 1914-1918
Convegno di studi, 20 –
21 settembre 2014
Venezia, Sala San Leonardo, Campo San Leonardo, Cannaregio 1584
Il Centro studi libertari/Archivio G. Pinelli
di Milano e il Laboratorio libertario/Ateneo degli Imperfetti
di Marghera (VE) promuovono questo convegno di studi con l'intento
di evidenziare, nel clima enfatico delle celebrazioni ufficiali,
tutte quelle micro storie di resistenza, disobbedienza, diserzione,
rivolta, ecc. che non hanno trovato e tuttora non trovano spazio
nella storiografia e nelle manifestazioni agiografiche che già
si stanno consumando in tutta Europa e soprattutto in Italia.
Questa iniziativa, proprio nello sforzo di proporre una riflessione
più ampia e articolata, affianca al convegno di studi,
in cui verranno discusse nove puntuali relazioni di argomento
diverso, una serie di iniziative che hanno lo scopo di offrire
ulteriori stimoli di riflessione, di denuncia e di informazione.
La prima è una Rassegna cinematografica curata e presentata
da Goffredo Fofi che si svolgerà lungo tutto il mese
di settembre 2014, ogni martedì e giovedì, presso
il Centro culturale Candiani di Mestre (piazzale Candiani 7),
a partire da giovedì 4 settembre, sempre alle ore 17.30.
Giovedì 18 settembre sarà presente con un intervento
il curatore della rassegna che si soffermerà sulle possibili
chiavi di lettura che i film avranno suggerito in merito ai
temi oggetto delle relazioni del convegno
La seconda iniziativa è una mostra fotografica esposta
presso la sede dell'Ateneo degli Imperfetti e del Laboratorio
Libertario durante i due giorni del convegno. La mostra, intitolata
Guerra alla guerra. 1914 1918: scene di orrore quotidiano,
propone le immagini raccolte da un giovane anarchico tedesco,
Ernst Friedrich, nel 1924. Friedrich decise di svelare al mondo
il vero volto della guerra pubblicando una raccolta di fotografie
terrificanti e commoventi che raccontavano che cosa era davvero
successo, durante il conflitto mondiale, nelle trincee e nei
campi di battaglia. Le mutilazioni fisiche e psicologiche, la
distruzione della natura e del territorio, le sofferenze dei
combattenti e di coloro che erano rimasti nelle città
e nei paesi, il dolore per i morti e quello dei sopravvissuti,
costituiscono l'oggetto di queste immagini forti e drammaticamente
reali, che denunciano in modo radicale sia la retorica dei militaristi
di ogni epoca sia la vera e propria vigliaccheria che si cela
dentro il primo conflitto mondiale. Una denuncia di tutte le
guerre, un monito a non dimenticare, un impegno alla lotta contro
ogni esercito e ogni guerra. Con la consapevolezza di ciò
che si nasconde dietro altisonanti parole come Patria, Valore,
Onore che altro non è se non dolore, atrocità,
desolazione, dominio.
La sede dell'Ateneo funge anche da luogo di incontro conviviale.
Nella serata di sabato 20 settembre è prevista una cena
– ispirata alle ricette di guerra raccolte da Andrea Perin
nel volume pubblicato da elèuthera, La fame aguzza
l'ingegno – a partire dalle ore 20.30 (gradita prenotazione,
contributo 10 euro a copertura parziale delle spese).
Nella stessa serata segue il recital... e il ritorno per
molti non fu del Canzoniere internazionale contro la guerra,
a cura di Carlo Ghirardato (voce e chitarra), Benni A. Parlante
(percussioni), Luca Demicheli (basso). Infine esibizione del
Coro degli Imperfetti diretto da Giuseppina Casarin con alcuni
canti che richiameranno i temi del convegno.
Segreteria organizzativa e riferimenti telefonici: Centro
Studi Libertari, Milano, tel. 02-2846923; mail: centrostudi@centrostudilibertari.it
/ Ateneo degli Imperfetti, Marghera: cell. 3275341096; mail:
ateneo.imperfetti@gmail.com.
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Profughi di Lavarone
A Lavarone il primo colpo di cannone fu sparato dal forte italiano di Forte Verena alle 3.55 del 24 maggio 1915 contro il forte austriaco di Werk Gschwent. Da quel momento una tempesta di fuoco si riversò sugli Altipiani, costringendo gli abitanti ad abbandonare in fretta e furia le proprie abitazioni, per raggiungere le cosiddette «città di legno» costruite per loro in Boemia e Moravia. Solo a guerra finita i profughi potranno tornare nelle loro case, adesso in territorio italiano |
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Il rifiuto individuale e collettivo
della guerra moderna
Prima della Prima Guerra Mondiale era impossibile
immaginare un evento che utilizzasse la tecnologia disponibile
ai fini di un massacro di massa in Europa per la durata di quattro
anni. Fin da subito gli Stati in Europa iniziarono a sacralizzare
l'evento: un massacro per cui non si trovavano parole veniva
reso dicibile rendendo omaggio alle ragioni che l'avevano prodotto.
Ma contemporaneamente racconti, canzoni, lapidi, romanzi autobiografici
e film hanno evidenziato non solo l'orrore provato dai singoli
ma anche il rifiuto individuale e collettivo, raccontando scene
di diserzione, renitenza, insubordinazione, paura, fuga, ammutinamento,
autolesionismo, non-collaborazione, indisciplina, scioperi,
tregue spontanee e fraternizzazione con il nemico.
In occasione del centenario della Prima Guerra Mondiale, il
Centro studi libertari - Archivio G. Pinelli di Milano e l'Ateneo
degli Imperfetti di Marghera promuovono due giornate di studio
sulle diverse forme di opposizione, disobbedienza, protesta,
nonviolenza e dissenso che si verificarono nel primo conflitto
mondiale in Italia, alla luce di analoghe esperienze europee
e non solo. L'iniziativa intende riaffermare l'attualità
di quelle pratiche e di quei valori che, seppure sconfitti,
testimoniano il rifiuto attivo di ogni nazionalismo e ogni militarismo.
Al centro dell'analisi saranno i gesti e il comportamento di
uomini e donne singoli, discussioni private e pubbliche, attività
di associazioni, movimenti politici e religiosi, espressioni
artistiche, correnti culturali e politiche, nell'intento di
individuare come filo conduttore della storia non gli eventi
bellici e gli eccidi ma le pratiche che cercarono, a volte con
successo, di evitarli e di costruire un mondo migliore.
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Profughi
di Lavarone |
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Il ruolo del cinema
di Goffredo Fofi
Il cinema ha raccontato la prima guerra mondiale spesso e volentieri,
negli anni dopo il 1918, ma raramente, nei diversi paesi, in
modi che non fossero nazionalisti, anche quando camuffati di
generico umanitarismo. Storie di famiglie divise, di soldati
colpiti da amnesia, di coppie divise, di uomini che tornano
dalla guerra e si sostituiscono a commilitoni che sanno morti
anche nei letti delle loro vedove, belle spie alla Mata Hari,
donne stuprate dai soldati nemici... Il cinema italiano abbonda
di queste storie soprattutto nel secondo dopoguerra, ed è
un cinema o semplicemente evasivo, o decisamente di destra.
Le eccezioni ci sono e sono grandi: Chaplin, il cui Charlot
soldato è del 1918, Dovzenko nella Russia rivoluzionaria,
Pabst nella Germania di Weimar, Renoir al tempo del Fronte Popolare
e, dopo la carneficina della seconda guerra mondiale, molto
più mondiale della prima (sei morti per ognuno della
prima), Kubrick, Losey, Monicelli e altri. Pochi i registi di
prim'ordine, però, mentre la guerra – tutte le
guerre – serviva da sfondo per un cinema d'avventura e
sciovinista, in cui i “cattivi” erano sempre gli
altri e gli eroi abbondavano. È Forza del destino
di Verdi, ironicamente, e “Oh che bella guerra”
si cantava in un celebre musical pacifista degli anni Sessanta-Settanta,
ma c'è anche chi ha insistito nel dire che la guerra
fa parte dell'uomo (e della donna che ne facciamo?), che la
sua eccitazione è segno di vita, che la violenza e l'aggressività
fanno parte della natura umana e che bisogna accettarlo.
Sì, la pace e la democrazia non sono innate nell'uomo,
diceva la Montessori, ma si possono raggiungere tramite l'educazione
– che è educazione alla convivenza, al rispetto
e all'amore per l'altro, al riconoscimento delle nostre pene
e fatiche nelle pene e fatiche dell'altro. Una educazione o
co-educazione che è anche, obbligatoriamente, lotta.
Intanto, le guerre continuano e niente ci assicura che non coinvolgeranno
direttamente prima o poi anche quella parte (ricca) del mondo
che oggi ne è preservata.
Rivedere i vecchi film che hanno narrato la prima guerra mondiale
nell'ottica dell'indignazione e dello scandalo, dell'odio per
i potenti e criminali che l'hanno voluta, è molto istruttivo,
il messaggio che essi trasmettono è univoco e deciso.
Se mancano i film che hanno saputo descrivere i retroscena (gli
interessi economici di pochi manipolatori della politica e della
storia, che i vecchi socialisti chiamavano i “pescicani”),
vi sono però molti capolavori che hanno raccontato la
vita al fronte, la morte al fronte.
E nessuno, come All'ovest niente di nuovo ha saputo descrivere
così veridicamente la vita di trincea (o più tardi,
retrospettivamente, Per il re e per la patria), secondo
la testimonianza di chi c'era, nessuno ha saputo descrivere
meglio la “logica” militare meglio di Orizzonti
di gloria, nessuno la speranza che la prima guerra mondiale
fosse “la der des ders”, la “dernière
des dernières”, l'ultima delle ultime, meglio del
film di Renoir che si intitolava appunto – un anno o poco
più prima che scoppiasse la seconda – La grande
illusione.
Goffredo Fofi
Rassegna cinematografica
La rassegna cinematografica, curata
da Goffredo Fofi, si terrà al Centro culturale
Candiani di Mestre (piazzale Candiani 7)
ogni martedì e giovedì di settembre 2014,
con inizio alle ore 17,30.
Giovedì 18 settembre il film sarà preceduto
da un intervento di Goffredo Fofi.
I film in programmazione
All'Ovest niente di nuovo
di Lewis Milestone (USA 1930)
Orizzonti di gloria
di Stanley Kubrick (USA 1957)
La grande illusione
di Jean Renoir (Francia 1937)
La grande guerra
di Mario Monicelli (Italia 1959)
I recuperanti
di Ermanno Olmi (Italia 1970)
Charlot soldato
di Charlie Chaplin (USA 1918)
La vita e nient'altro
di Bertrand Tavernier (Francia 1989)
Uomini contro
di Francesco Rosi (Italia 1970)
Addio alle armi
di Frank Borzage (USA 1932) |
Addio alle armi
di Ernest Hemingway
Ero sempre imbarazzato dalle parole sacro, glorioso
e sacrificio e dall'espressione invano. Le avevamo udite a volte
ritti nella pioggia quasi fuori dalla portata della voce, in
modo che solo le parole urlate giungevano, e le avevamo lette
su proclami che venivano spiaccicati su altri proclami, da un
pezzo ormai, e non avevo visto niente di sacro, e le cose gloriose
non avevano gloria e i sacrifici erano come i macelli a Chicago
se con la carne non si faceva altro che seppellirla. [...] Parole
astratte come gloria, onore, coraggio o dedizione erano oscene
accanto ai nomi concreti dei villaggi, ai numeri delle strade,
ai nomi dei fiumi, ai numeri dei reggimenti e alle date.
Ernest Hemingway
Il disertore
di Boris Vian
In piena facoltà
egregio presidente
le scrivo la presente
che spero leggerà.
La cartolina qui
mi dice terra terra
di andare a far la guerra
quest'altro lunedì
Ma io non sono qui
egregio presidente
per ammazzar la gente
più o meno come me
Io non ce l'ho con lei
sia detto per inciso
ma sento che ho deciso
e che diserterò.
Ho avuto solo guai
da quando sono nato
i figli che ho allevato
han pianto insieme a me.
Mia mamma e mio papà
ormai son sotto terra
e a loro della guerra
non gliene fregherà.
Quand'ero in prigionia
qualcuno mi ha rubato
mia moglie e il mio passato
la mia migliore età.
Domani mi alzerò
e chiuderò la porta
sulla stagione morta
e mi incamminerò.
Vivrò di carità
sulle strade di Spagna
di Francia e di Bretagna
e a tutti griderò.
Di non partire più
e di non obbedire
per andare a morire
per non importa chi.
Per cui se servirà
del sangue ad ogni costo
andate a dare il vostro
se vi divertirà.
E dica pure ai suoi
se vengono a cercarmi
che possono spararmi
io armi non ne ho.
Boris Vian
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Un fotogramma di Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick (1957) |
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Una insolita rivisitazione dei tempi di guerra l'ha fatta Andrea Perin nel suo libro La fame aguzza l'ingegno, cucina buona per tempi difficili (dal quale è tratta questa immagine), che propone pietanze riprese dai ricettari di difesa alimentare pubblicati durante il primo conflitto mondiale |
Il diario di un disertore
di Bruno Misefari
Bruno Misefari, conosciuto anche con lo pseudonimo
anagrammatico Sbarnemi (Palizzi, 17 gennaio 1892-Roma, 12 giugno
1936) è stato un anarchico, filosofo, poeta e ingegnere
italiano.
Il Diario di un disertore (La Nuova Italia, Firenze,
1973) è stato scritto da Misefari nel carcere di Zurigo
– Kantonspolizei, Kasernenstrasse – nel 1918.
23 aprile 1916
Dei tanti soldati che conoscevo non ho più ritrovato
che qualcuno ancora inabile ai lavori di guerra. Tutti gli altri
sono al fronte e a quest'ora sono forse feriti o sono morti.
Intanto è un continuo arrivare di reclute. È una
razzia. Ci sono imberbi e ci sono uomini dai capelli grigi.
Di tutte le età, di tutti i colori, di tutte le taglie,
di tutti i paesi. E nell'enorme cortile della caserma, è
un via vai insolito, un ronzio come d'immenso alveare, un qualcosa
che ricorda in modo stridente un giorno di festa, mentre è
giorno di lutto e di dolore. In ogni faccia non vedo espressione
di gioia. Non ci sono che espressioni di spavento, sbigottimento,
ira repressa. Segno evidente che nessuno di essi vuol morire
sul campo di battaglia.
E dire che si ha ancora il coraggio di asserire che è
il popolo a volere la guerra.
(p. 64)
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Bruno
Misefari (Palizzi, 1892-Roma, 1936) |
Lettera di Mado
Caro Bruno,
aprirai questo plico con immensa curiosità, curiosità
ben giustificata. La tua meraviglia sarà diretta, oltre
che al nome del mittente, al contenuto di esso.
È il diario di Furio.
Te lo affido con la coscienza sapendo che tu, con altrettanta
coscienza, capacità e tenacia, un giorno lo pubblicherai.
Solo tu possiedi la sua medesima sensibilità, lo apprezzerai
e ne farai un tesoro.
Furio è morto al fronte fucilato alla schiena da un ufficiale
italiano, mentre abbracciava un soldato austriaco. Entrambi
uccisi. Morti il giorno dei morti, il 2 novembre 1918, alle
ore sette di sera.
Io ho ucciso. Ho ucciso il tenente, che a sua volta aveva ucciso
Furio.
Tenevo nascosta una pistola, l'avevo prelevata dalla tasca di
un giubbotto di un ufficiale austriaco, morto ai miei piedi.
Con essa ho sparato, ho ucciso anch'io.
Bruno, penso e so che solo tu puoi comprendere e giustificare
la mia azione, eseguita in quel momento particolare.
Non potevo farne a meno.
Comprenderai anche il gran gesto di Furio.
I pochi soldati rimasti in trincea hanno assistito all'uccisione
del tenente, sono stati fermi, zitti. Anche dopo l'armistizio
non mi hanno denunciato.
Oltre al diario – composto, come vedrai, da tutte quelle
carte, fogli, fogliettini, prelevati da me con tanta cura da
sotto la sua panciera (come se lo teneva riguardato il suo scritto,
era tutta la sua vita!) – ho trovato su di lui i due preziosi
volantini contro la guerra di Tripoli del 1911. Sono logorati,
disgregati, come vedi. Hanno raccolto tutto il fervente calore
umano che si sprigionava dal suo corpo e dal suo intelletto.
Era tutto ciò ch'egli volesse possedere.
Ti ricordi? Fu allora che iniziarono per lui le sue prime battaglie
antimilitariste ed egli fu allora, per la prima volta in carcere,
da studente a 19 anni, a Reggio Calabria.
Quei due pezzettini di carta sbiaditi dal tempo erano il suo
«talismano». Potrai pubblicarli? O addirittura farne
una copia e includerli nel diario?
Avrai un enorme lavoro, caro Bruno. Dovrai avere una pazienza
da certosino per mettere insieme questa enormità di appunti,
questi scritti talvolta illeggibili. Riuscirai a ricavarne un
volumetto? Dovrai però prima imparare un nuovo mestiere,
dovrai diventare mosaicista.
Ho tanta fiducia in te, ci riuscirai.
Ti piace il titolo? Diario di un disertore (Nella morsa).
A me piace molto.
Puoi assicurare i genitori di Furio che il loro figlio l'ho
seppellito io, con l'aiuto di tutti i soldati della trincea,
in presenza di tutti i soldati austriaci.
L'abbiamo sotterrato in un luogo suggestivo, sembra una cripta,
una grotta naturale, un posto degno di questo nostro amico,
apostolo dell'amore.
Abbiamo sepolto là anche il tenente, accanto a Furio.
Nella medesima grotta abbiamo assistito anche noi italiani alla
sepoltura del povero Erwin. Tre uomini. Tre fratelli. Verrò
presto a trovarti a Reggio.
Verresti con me questa primavera a vedere la grotta?
Ti abbraccio forte.
(pp.175-177)
Bruno Misefari
Tra gli argomenti che verranno discussi al Convegno ci sarà
anche la follia come fuga dall'orrore, che emergerà in
maniera forte appunto durante la Prima Guerra Mondiale.
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Il rifiuto antimilitarista della guerra era già esploso nell'ottobre 1911, all'epoca della guerra di Libia, con l'atto di rivolta di Augusto Masetti che aveva sparato a un ufficiale, e nel giugno 1914, con l'insurrezione popolare nota come “settimana rossa” |
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10 aprile 1918 - 55esima divisione britannica, vittime del gas |
“Scemi di guerra”: tra follia e ribellione
di Ilaria La Fata
Nel linguaggio popolare gli «scemi di guerra»
erano quei soldati che, dopo essere stati al fronte per un tempo
più o meno lungo, manifestavano segni di «alienazione
mentale» e per questo venivano ricoverati in manicomio,
da dove venivano poi definitivamente riformati oppure accusati
di simulazione e ricondotti al reparto di appartenenza. Riflettere
sul loro comportamento e sui disturbi che ne determinarono il
ricovero significa in primo luogo analizzare la guerra come
trauma, come evento che sconvolse le vite e le menti di moltissimi
soldati. Eppure, i paradigmi psichiatrici prevalenti fra i medici
del tempo consideravano unicamente la predisposizione biologica
alla malattia mentale, escludendo che eventi bellici potessero
produrre autonomamente effetti patologici, pur con interessanti
differenze di atteggiamento tra psichiatri militari e civili.
A prevalere fu, per la psichiatria militare, il tentativo di
mettere a punto tecniche di individuazione dei “simulatori”,
soldati la cui unica patologia riconosciuta era, a loro avviso,
la totale assenza di amor di patria. L'insieme dei militari
bollato come “simulatori”, tuttavia, offre la possibilità
di analizzare comportamenti e reazioni assai variegati che,
con livelli di sofferenza e di consapevolezza assai diversi,
rimandano però, tutti, al grande tema della fuga dalla
guerra e della disobbedienza all'ordine di uccidere o farsi
uccidere.
Ilaria La Fata
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Staffordshire (Gran Bretagna), National Memorial Arboretum - Il monumento Shot at Dawn commemora i 306 soldati britannici e del Commonwealth uccisi in seguito all'accusa di codardia e diserzione durante la Prima Guerra Mondiale |
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Stoccarda (Germania) - Il monumento, che rappresenta una figura umana ricavata da un blocco di granito, è dedicato a tutti i disertori |
Arte contro la guerra
Come documentano queste immagini raccolte da
Roberto Gimmi, in diversi paesi nord-europei, soprattutto dopo
la Seconda Guerra Mondiale, sono stati realizzati da artisti
internazionali – e installati in luoghi pubblici –
alcuni monumenti esplicitamente dedicati a quanti hanno rifiutato
in vari modi la guerra. Forse il più famoso è
Shot at Dawn (ovvero “Fucilati all'alba”), il nome
dell'opera dedicata ai 306 soldati britannici fucilati durante
il primo conflitto mondiale con l'accusa di diserzione e codardia.
Il sito si trova nel National Memorial Arboretum di Alrewas,
nello Staffordshire. La maggior parte di questi soldati soffriva
di quella che oggi è conosciuta come la sindrome da stress
post-traumatico, all'epoca non diagnosticata. La figura ritratta
nel monumento è quella del soldato semplice Herbert Burden,
del Primo Battaglione dei Fucilieri del Northumberland, fucilato
a Ypres nel 1915 all'età di 17 anni.
Molti i monumenti innalzati in tutta Europa immediatamente
dopo la fine del primo conflitto mondiale. La stragrande maggioranza
rispondeva alla logica “sangue e onore”, ma non
sono mancati i monumenti esplicitamente contro la guerra, come
questo di Gentioux la cui scritta non lascia spazio a equivoci:
Sia maledetta la guerra. Anche in Italia furono innalzati
monumenti apertamente critici, ma vennero tutti distrutti durante
il fascismo, come racconta lo storico inglese John Foot nelle
sue “Contromemorie”.
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Berlino (Germania), giugno 1990 - Una replica della scultura in bronzo realizzata da Carl Frederik Reuterswärd come simbolo di pace e non-violenza |
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Brema (Germania), novembre 2007 - Un ex-soldato della Wehrmacht condannato per diserzione siede accanto al monumento Per il disertore sconosciuto, eretto nel 1986 |
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Praga (Repubblica Ceca) - Il John Lennon Wall è un tributo all'artista che ha predicato pace e amore attraverso la sua musica |
Programma
del Convegno
sabato 20 settembre
ore 14,30 - 19,00
Coordina Francesco Codello
Cent'anni dopo. Introduzione, Piero Brunello
La diserzione, Bruna Bianchi
Luci e ombre dell'antimilitarismo dalla
Settimana rossa del giugno 1914 a Caporetto,
Mimmo Franzinelli
Il pacifismo, Alberto Cavaglion
Le proteste popolari, Stefano Musso
dibattito
tra una relazione e l'altra, incursioni musicali
del Coro de Gli Imperfetti diretto
da Giuseppina Casarin
domenica 21 settembre
ore 9,30 - 13,30
coordina Bruna Bianchi
Classificare e punire, Elena Iorio
“Scemi di guerra”: tra follia e ribellione,
Ilaria La Fata
Le contromemorie, John Foot
Eccoci bella mia domani parto.
Le canzoni della guerra, Alessandro Portelli
dibattito
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È una storia un po' complicata
è una storia sbagliata
Fabrizio De André
chiusura
sezione Storia |
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