Penisolâti
È
un cd di Loris Vescovo, il quarto in quindici anni, ed è
uscito da poco. Avevo segnalato su queste pagine il suo primo
lavoro “Doi oms e une puarte” (“A”
265, estate 2000) e il terzo “Borderline” (“A”
347, ottobre 2009) facendo una fatica bestia a trattenere
i superlativi, così come faccio fatica a tenerli al guinzaglio
anche adesso. Ed ecco che li sgancio subito: è un lavoro
meraviglioso, magnetico, sorprendente. E infatti il primo ascolto
mi ha proprio preso di sorpresa e mi ha disorientato, così
quando è finita l'ultima canzone ho schiacciato ancora
il tasto play e me lo sono riascoltato subito. Ma anche questo
secondo ascolto e quelli dei giorni successivi mi hanno dato
sempre un certo spaesamento.
Chissà perché mi aspettavo da Loris roba differente,
forse per via di una vecchia idea che mi ero fatto di lui e
che mi era rimasta in testa, non saprei. Dagli altoparlanti
escono invece nuvole contorte, più che canzoni sono congegni
strani, sono trappole per le orecchie. Canzoni che sembrano
una cosa, poi le vai a riascoltare e resti un po' così
perché sembra sia un altro disco, e invece no. Che strano.
E questa sensazione si ripete all'interno dell'album come se
le canzoni invece che restare ferme a farsi leggere dal laser
si spostassero, cambiassero posizione, si muovessero irrequiete
come scolari indisciplinati decisi a non farsi fermare con un
sorriso ipocrita appeso in faccia nell'immobilità della
foto di fine anno.
All'inizio, ma solo per tratti brevi, sembra quasi di essere
finiti indietro nel tempo, al Loris Vescovo di una volta, a
quel misto impalpabile vagamente Neil Young e vagamente Nick
Drake che caratterizzava le sue prime cose. Ma dura poco, dicevo,
molto presto la riconoscibilità folk svanisce e le vaghe
somiglianze pure, e il panorama si fa complicato. L'ascolto
si fa salita e diviene via d'alta quota. Contribuisce per certo
a questo dislivello il gruppo di musicisti che gli si sono raccolti
attorno: ritroviamo il Leo Virgili ed il Simone Serafini del
passato recente, adesso anche Ivan Ceccarelli e Mark Harris
a gettare diserbante raffinato contro il silenzio. Ma la voce
è e resta quella, bruna e ruvida, sospesa in bilico fra
terra ed acqua ed amante di entrambe, perennemente indecisa
a prendere il volo, ispida come un gatto boscariolo che non
si fa avvicinare.
Nei testi si filosofeggia di identità e meticciato, di
scelte meditate di solitudine e di solitudine imposta per forza
del destino, del costruirsi lento e incostante dei rapporti
umani in forma di filastrocca oppure in versi liberi. Per queste
vie si incontrano le persone e gli spiriti insieme in processione,
Pier Paolo Pasolini, i benandanti, persino qualche camicianera
ed altri personaggi lugubri e infelici che abitano dentro la
televisione e nei gazebi dove si raccolgono firme. Stranezza
ulteriore, la lingua friulana dei testi non li rende incomprensibili
ma aggiunge alle parole un'aura magica, e per mal che vada c'è
la traduzione. Come in “Borderline” anche qui dentro
c'è -spesso, non sempre- malcontento, rancore, malessere,
insoddisfazione, misto notturno di amaro ed aspro. Ma se l'album
precedente di Loris poteva essere raccontato, molto frettolosamente,
come una raccolta di protest songs dai riflessi lunari, adesso
le canzoni hanno altra consistenza e spessore, e per assaporarle
bisogna armarsi di curiosità e pazienza.
La copertina ed il libretto offrono un'immagine insolita dell'Italia,
e ben si relazionano con la visione del mondo offerta dall'autore:
nodosa di dubbi come certi alberi vecchissimi, malinconica come
certe strofe novembrine di Biagio Marin, agitata e sottosopra
come uno sberleffo anarchico. Sono canzoni da sbucciare, ognuna
ha un certo spessore da intaccare, bisogna scavare, fare fatica
e sporcarsi le mani, talvolta bisogna usare il coltello. Difficile
raccontare l'acido di certe strofe, paragonabile al brivido
metallico che lascia sulla lingua la lama che ha appena tagliato
uno dei limoni migliori.
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Loris Vescovo e Caia Grimaz a Cjantâ Vilotis, 2013 |
Il cd, come i precedenti, è pubblicato dall'indipendente
udinese Nota. Vi invito a investigare sul catalogo, consultabile
su www.nota.it,
dove nascosto tra certi grandi nomi della musica popolare nazionale
(Margot, Giovanna Marini, Cantacronache, Gualtiero Bertelli,
Luisa Ronchini, Caterina Bueno, Alessio Lega etc.) c'è
un mondo di autori oscuri di musiche entusiasmanti. Suggerisco
solo un paio di titoli, ma non a caso: “Sotto gli occhi
di tutti”, sedici poesie di Umberto Fiori su musiche di
Luciano Margorani, e il doppio “Grops” che raccoglie
la testimonianza di una manifestazione in ricordo di Giorgio
Ferigo, che fu notevole scrittore, storico e musicista.
Contatti: www.lorisvescovo.com.
Marco Pandin
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