Imbarazzo a catinelle
Ci sono delle parole “ombrello”:
quando uno non sa cosa dire, o crede di non poter dire, si dichiara
in imbarazzo. Devo ricordarmi di inserire questo termine nel
mio personale dizionario d'emergenza. L'Italia è piena
di gente in imbarazzo, solitamente collocata in posizioni dirigenziali.
Leggo, per esempio, che il PD è in imbarazzo quando si
scopre che un signore di nome Primo Greganti parrebbe aver fatto
imbrogli a molte cifre nella questione spinosa – imbarazzante,
appunto – degli appalti per Expo 2015, essendo al tempo
stesso tesserato del PD. L'uomo sarebbe un “tesserato
che mette in grande imbarazzo i vertici del partito”,
si legge qui:
http://www.polisblog.it/post/231973/caso-expo-2015-il-pd-sospende-primo-greganti.
Si legge anche che il tizio in questione, numerosi anni fa,
era coinvolto in Tangentopoli. Ora: ci si imbarazza quando si
scopre qualcosa di inatteso e che si è fatto di tutto
per evitare. La mia domanda è: cosa c'è di inatteso
in una probabile corruzione che si ripete – e manteniamola
come probabile – sostanzialmente uguale a se stessa?
Le
parole significano. Il linguaggio è un modo per dar forma
ai fatti, e c'è un patto di fedeltà che dev'essere
rispettato. Altrimenti non parliamo. Semplicemente, sventagliamo
sciocchezze in riproduzione casuale. Non è imbarazzo,
in altri termini, quello che dovremmo provare, ma stupefazione
per il fatto che chi ha già dimostrato una volta di essere
titolare di una fiducia non riposta se la veda attribuire di
nuovo, e meccanicamente ripeta lo stesso, inaccettabile modello.
E dovremmo avere vergogna, se in una vicenda di questo tipo
siamo coinvolti in modo diretto.
“Vergogna” è un altro termine usato poco
e male. Curiosamente, la vergogna è gerarchica ed economicamente
determinata. Ci si vergogna solo quando si è poveri,
politicamente insignificanti, nati nella classe sbagliata. Ci
si vergogna di quel che si è, che non ha alcun senso,
e non di quello che si è fatto perché indegno.
Vorrei sentire un politico dire che ha vergogna.
Vorrei sentire per esempio uno dei senatori che hanno recentemente
votato contro i tagli alle pensioni d'oro. Molti sono grandi
intellettuali, eroicamente impegnati in mirabolanti battaglie
sociali. Nessuno fa fatica ad arrivare alla fine del mese. Assolutamente
nessuno si sognerebbe di rubare due hamburger in un supermarket
per sfamare i suoi figli: e certo, ci mancherebbe, quello è
un crimine. E tuttavia hanno votato contro i tagli in un paese
in cui i disoccupati si suicidano perché davvero –
e del tutto ingiustamente – si vergognano di non esser
capaci di sostentarsi col loro lavoro. E in questo contesto,
i senatori non si vergognano. Il partito è in imbarazzo,
però: ne siamo consolati.
Parecchi anni fa, mia figlia piccola è uscita di casa
interamente vestita di verde e dichiarando che quella era “la
sua giornata imbarazzante”. Alla domanda su quale fosse
il motivo di tanto imbarazzo, lei ha risposto che avrebbe dovuto
rifiutare il corteggiamento di un suo compagno di classe, e
questo avrebbe provocato un dolore del quale lei si sentiva
responsabile. Non essere innamorata le provocava imbarazzo,
e, a corto di parole, intendeva comunicarlo coi colori. Verde
imbarazzo: è quasi una linea politica.
Ancora qualche anno fa, un mio studente ha fatto un clamoroso
outing in aula. Era un tizio timidissimo, che compariva sempre
carico di libri e che si era appassionato al mio corpo sui “corpi
sbagliati”, non omogenei col dettato delle convenzioni
sociali. Ricordo il palpabile imbarazzo della classe: era accaduto
qualcosa di insolito, col quale nessuno sapeva bene come relazionarsi.
Qui la definizione di imbarazzo è perfetta. Ricordo che
fu superata, non attraverso il mio aiuto (paralizzata anch'io
dalla rivelazione inattesa e dallo spostamento brusco dal collettivo
istituzionale al personale intimo), con un atto semplice, elementare
e accogliente: un applauso, che credo che a quel timidissimo
studente abbia cambiato integralmente la vita.
In tutti e due questi casi, non c'è vergogna e non ci
deve essere, perché non c'è colpa. C'è
solo lo stupore di un dato inatteso, seguito dal superamento
di un'incertezza: quel genere di comportamento per cui siamo
esseri umani e che si chiama “scelta”.
Così io penso questo: chi decide, perché questo
ruolo gli è stato affidato, non può essere in
imbarazzo. Può – e deve – vergognarsi per
aver fatto una scelta sbagliata, e la vergogna ha un senso se
è seguita da un'assunzione di responsabilità:
altra parola desueta, che nessuno pronuncia mai applicandola
a se stesso.
Allora diciamo così: siamo un paese imbarazzante piuttosto
che imbarazzato. Per quest'ultimo atteggiamento non abbiamo
i requisiti. E piantiamola anche di pararci la testa con un
ombrello che, alla luce dei fatti, è pieno di buchi:
piove, e l'acqua, guarda un po', cade sempre sulle stesse persone.
Che è un altro modo per dire: “piove, governo ladro”.
Nicoletta Vallorani
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