pedagogia libertaria
Noi della REL
reportage di Giulio Spiazzi
Si è tenuto a cavallo tra fine maggio e inizio giugno nella comune di Urupia (a Francavilla Fortana, in Puglia) il V convegno della Rete dell'educazione libertaria. Tra l'altro si è fatto il punto sulla situazione delle “scuole libertarie” in Italia.
Eccone un dettagliato resoconto.
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Gabriella Prati con i Saltafossi di Bologna e Sabrina ex Kiskanu di Verona fanno il cerchio inaugurale nelle stanze della nuova realtà educativa di Urupia |
UUn'intensa e inusuale pioggia battente che presto si trasforma in grandine, sferza i vigneti ottimamente curati, all'ingresso dei terreni della Comune di Urupia a Francavilla Fontana in Salento. Se è vero che ciò che nasce bagnato è anche fortunato, certamente la “due giorni” del Quinto Convegno Nazionale della Rete per l'Educazione Libertaria svoltasi tra il 31 maggio e il primo giugno, ha tutti i canoni per essere ricordata come un'importante, seminale situazione d'incontro per tutti coloro che operano nell'ambiente educativo libertario della penisola: bambini/e, ragazzi/e, genitori, accompagnatori ma, anche, sostenitori e curiosi.
Il programma ufficiale, prevede per la giornata di sabato 31 maggio: una visita guidata alla storica comune pugliese, sapientemente organizzata da Agostino, membro delle origini e co-fondatore di Urupia (oggigiorno, la Comune è al suo diciannovesimo “natale” d'attività agricola e sociale); l'assemblea plenaria intitolata “Alle radici teorico e pratiche dell'educazione libertaria” promossa da Francesco Codello; le testimonianze dei protagonisti, ovvero bambine e bambini, ragazze e ragazzi si raccontano, con la partecipazione diretta di Sabrina, ex studentessa del fu “Kiskanu” di Verona (oggi Kether) attualmente frequentante la terza classe di un liceo statale, e di un nutrito gruppo di bambini/e e ragazzi/e della realtà educativa libertaria “I Saltafossi” di Bologna; e per finire, sempre nel pomeriggio di sabato, una tavola rotonda di presentazione, dedicata alle esperienze in atto: Kether (Verona) – I Saltafossi (Bologna) – Mareggen (Genova) – Serendipità (Osimo). In serata, conclude la giornata, una video intervista ad una studentessa della Kapriole di Friburgo, raccolta da Simone Piazza della “Scuola che non c'è” del Montello (Treviso).
Il ricco calendario degli appuntamenti prosegue la domenica mattina, prima giornata di giugno, con un seguitissimo incontro-dibattito proposto da Henry Readhead, figlio di Zoe Neill, dunque nipote diretto di Alexander Neill, fondatore dell' “icona” educativa Summerhill, su “I diritti dei bambini nel gioco e nell'apprendimento” per proseguire già dal primo pomeriggio, con un insieme di gruppi di lavoro riuniti in seminari auto-gestiti in cui vengono trattate tematiche quali: “esercizi di incidentalità nella piccola scuola libertaria Kether”; “pratiche libertarie nella scuola statale”; “genitori nelle scuole libertarie”; “pratiche di educazione libertaria con bambine e bambini piccoli” tematiche complessivamente sviluppate, confrontate ed aggiornate in un limitrofo e successivo dibattito plenario, consensualmente gestito come chiusura dell'incontro annuale, sulla base di “concetti topici” affiorati nel corso del quinto convegno REL, tra questi: l'incidentalità educante, la libertà operante, l'autonomia, ecc.
L'assemblea plenaria iniziale viene purtroppo subito privata della preziosissima presenza di Francesco Codello, (”assente giustificato” per motivi di convalescenza post-operatoria), che comunque comunica in tempo ai partecipanti, tutto il suo calore e il suo “invisibile sostegno” all'iniziativa nazionale, fornendo telefonicamente il suo usuale sprone d'incoraggiamento ai relatori. L'apertura dei lavori (una volta fatti, con estrema sensibilità femminile, gli “onori di casa”, da parte della comunarda Thea) s'inoltra quindi meticolosamente, tra i meandri poco conosciuti della storia e dei principi auto-germinanti dell'educazione libertaria, mettendo in luce tutto un patrimonio (per la maggiore reso occulto dalla “Pedagogia ufficiale”), di sentire e di pratiche addirittura secolari, sconosciuto ai più e in specie (cosa su cui sempre riflettere) ai cosiddetti “formatori” dell'età contemporanea, coinvolti, spesso a livello universitario, in corsi pluriennali di acquisizione di titoli ufficiali di diploma o di laurea.
Per delucidare e mettere a proprio agio i convenuti, l'analisi delle radici teorico pratiche dell'educazione libertaria inizia a ritroso facendo una doverosa “carrellata” sulla contemporaneità del movimento educativo promosso dalla REL, da ormai quasi dieci anni, mettendo in risalto il “fatidico” incontro informale “sorgivo” di primavera del lontano 2007, svoltosi nelle aule in prestito dell'università patavina, con la presenza costituente di Francesco Codello, storico autorevole del pensiero educativo libertario transnazionale, di Elis Fraccaro dell'Ateneo degli Imperfetti di Mestre, di Grazia Honegger Fresco (pedagogista ed erede di Maria Montessori, della quale fu allieva in uno degli ultimi corsi da lei diretti) e di pochi altri convenuti in quel luogo, per dar concretezza ad una idea e a un'azione (quella, appunto, della Rete), non ancora “scesa nei fatti” in Italia.
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Manifesto del progetto Liber'Aria pugliese |
Poesia? Utopia? Ingenuità?
Prendendo in esame anche il convegno di studio, svoltosi lo scorso anno alla Scighera di Milano (di cui “A” ha ampiamente pubblicato il resoconto sul numero 386 pagg. 39-49 a firma di Maurizio Giannangeli), si è quindi mostrato il cammino che la REL ha compiuto in sei anni di convegni nazionali, promossi proprio per coordinare e unire in “arcipelago” le realtà libertarie che già operano come comunità educative o che vorrebbero mettersi in gioco nei vari contesti territoriali, socio-economici e culturali italiani. Dall'intensa storia, affiorano dunque i primi due incontri nazionali di Verona, svoltisi nella bellissima cornice di Villa Buri sede dell'allora Kiskanu, prima cospicua esperienza di scuola autogestita tramite sperimentazione libertaria (”A” 356 pagg. 47-54), il terzo convegno a Roma, ospitato alla Garbatella (”A” 364 pagg.155-158) dai compagni di cammino Filippo e Giada del gruppo capitolino per l'educazione libertaria, appositamente ideato per dare “voce alla volontà ed alla forza del centro e sud Italia” e, a tal proposito, in Puglia è stata sottolineata l'estrema importanza simbolica che il quinto convegno in sé esprime (nel fatto di essere stato accolto ad Urupia, dunque a sud di Roma), per ciò che concerne i possibili ritorni in materia di simultanea concretizzazione di una progettualità locale che sta' già dando i frutti sperati.
A settembre infatti ad opera di Thea e delle Comunarde del Salento, prenderà il via l'attività di una comunità educativa dedicata inizialmente al ciclo delle primarie, proprio tra i vigneti e gli oliveti della Comune. Sempre in Puglia, nell'area di Fasano Cisternino, l'associazione Liber'Aria di Giovanni e Porzia, propone inoltre una scuola autogestita di sentire libertario, amplificando finalmente in quelle terre feconde, il vero e proprio “fermento” educativo che da qualche anno esiste in gestazione in svariate altre regioni italiane. A tale riguardo, viene ricordato il quarto incontro nazionale di Rimini del 2012 (che “tirava le fila” delle emergenze educative del centro-nord), “tra spiagge e campeggi”, con la sua vera e propria partecipazione di massa (almeno, per i parametri nostrani) che fece intendere alla REL che il tracciato che, tutti assieme, caparbiamente si stava tratteggiando, iniziava finalmente a coinvolgere attivamente, persone, educatori/ici, famiglie, studenti, adulti, bambini/e e ragazzi/e, in questo piccolo/grande movimento spontaneo, interessato alla crescita personale e collettiva “non-forzata”, “non-autoritaria” dove il ritrovarsi (anche solo per una frazione di tempo limitata come quella di un convegno), è elemento di coesione attiva essenziale, per cercare di capire, per domandarsi in continuazione se e come sia possibile e concretizzabile una auto-educazione non-adultocentrica, incidentale, per la maggiore “integrale”, in luoghi ove si possano vivere costantemente pratiche di democrazia diretta, dunque non delegata e, soprattutto, non-autoritaria.
Durante l'intervento d'apertura, è stato dunque volutamente rimarcato l'apprezzamento per il “lavoro di tenuta” svolto dalla Comune del Salento in questi loro lunghi anni d'attività pacata e al contempo determinata. L'esperienza pugliese viene indicata quale “faro” ed “esempio di tenacia” di un operare fattivo e fecondante e per ciò che si dimostra essere a tutti gli effetti, pratica di “vita activa” (per ripensare Hannah Arendt) svolta tra le pieghe paludose del moto nevrotico contemporaneo. Una “resistenza” ed una tenacia che pone in rilievo l'impegno prolungato nel tempo, ciò che è forse l'anello che unisce intimamente gli operati e i sentire di realtà (la comune e la “scuola” libertaria) che all'apparenza sembrano essere asimmetriche o addirittura lontane. Ed è invece questa ”dedizione liberante” nell'impegno di un tempo dilatato, difficilissima da mantenere e sempre riorganizzare, che crea i presupposti affinché le persone si mettano in gioco; i gruppi si incontrino e realizzino; i progetti si inerpichino sulle mulattiere della costanza.
Poesia? Utopia? Ingenuità? Sì, forse tutto questo. Ma è un fatto che, rispetto ai deserti d'azione di dieci anni fa, alcune situazioni progettuali siano andate e stiano andando a consolidarsi nel tempo e nello spazio. Esse sono cresciute, si sono “territorializzate” con coerenza in direzione ostinata e contraria e così ora, non ci troviamo più solo con Kiskanu e poi Kether di Verona e con i Saltafossi di Bologna ma, pure con realtà “cocciute” (usando il termine in senso elogiativo), determinate, quali: Mareggen di Genova, Serendipità di Osimo ma anche la nascente Scuola Ubuntu di Abbiategrasso in Lombardia, e l'area libertaria di Tana Libera Tutti, degli amici Barbara e Bruno Tommasini a Parma e i nascenti laboratori libertari creativi per una non scuola dei Pissacani di Padova, o quelli trevigiani di sotto il Montello di Simone Piazza e della scuola che non c'è, testimonianze viventi che un fermento in questo senso di comprensione e di pratica dell'educazione, esiste or ora, dalla Valtellina alla nascente realtà di Urupia.
Per chi non si è ancora lanciato dalla rupe dell'azione collettiva, ove è lecito sia il mettere faticosamente le ali, (mai in una condizione definitiva ma sempre precaria) che lo schiantarsi dignitosamente, ciò che comunque incide profondamente nel fare ed essere esperienza è la visione di lungo corso che coinvolge inevitabilmente cammini di studio comune che si snodano nelle età della crescita dei giovani che auto-germogliano il loro futuro. E queste “matrici del tempo altro”, sono costituite dai baratri dei secondi e dei minuti o delle ore quotidiani, ove lo “stare assieme” è incessantemente capillare, puntiforme, avvolto da una tensione dell'esserci che genera la trama di tanti, molteplici racconti sovrapposti; è, in sintesi, la “continuità del presente” che non delega ma che si manifesta nella osservanza ineludibile della partecipazione.
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Domenica 1 giugno ad Urupia. L'attenta organizzazione della Comune di Urupia riesce a rispondere alle esigenze di ognuno |
Il principio di autorità. Messo in discussione
A questo procedere contemporaneo, che potrebbe essere assunto in consapevolezza da chi volesse rimanervi coinvolto, attraverso la reciproca auto-formazione, in un tempo inevitabilmente espanso e a tratti lento, fanno eco nel passato più o meno recente, le lontane radici teoriche e pratiche dell'educazione libertaria. Riprendendo nell'esposizione assembleare, come citazione, un eco di Giampietro Berti proveniente da interventi consumati in seminari d'approfondimento svolti in altri luoghi e contesti, egli, ha affermato con determinazione che ciò che nasce da un percorso di pensiero quale quello dell'anarchismo, con la sua elaborazione “aperta”, ovvero il sentire libertario, ha i “natali” nel continente europeo e, non può essere altrimenti che così, in quanto frutto di una creazione ed evoluzione di una sistematica e radicale messa in discussione razionale del principio d'autorità risolto in tutte le sue forme.
È logico dunque che il richiamo al tempo, agli eventi ed infine ai valori tutti umani, scaturiti dalla Rivoluzione Francese, trovano (come espresso ampiamente ne La buona educazione di Francesco Codello, testo fondamentale per conoscere i tracciati delle esperienze libertarie in Europa, attuate dalla seconda metà del 1700 fino ad oggi) in pensatori più o meno coevi a quello sconvolgimento storico, quali William Godwin o Pierre Joseph Proudhon, i punti iniziali di riferimento di un procedere libertario, in campo educativo, che da allora informeranno costantemente i successivi sviluppi delle poliedriche diramazioni che l'educazione libertaria sa esprimere. L'assemblea plenaria del quinto convegno della REL ad Urupia, annuisce con consapevolezza d'assieme quando si tocca il tasto del criticare ad ogni occasione d'incontro, nelle sedi delle istituzioni preposte d'autorità all' “istruzione”, lo stato di ignoranza in cui i giovani laureandi si trovano (e vengono tenuti) al cospetto di una lunga teoria di “corpi e pensieri” che hanno agito nei secoli, nell'ambito del fare educativo libertario. Si precisa che idee, personaggi, esperimenti pedagogici che si sono succeduti addirittura dall'antichità ad oggi (in questo caso risulta importante rivedere e sottolineare il prezioso percorso degli Stoici greci e di quelli latini), come si accennava precedentemente, “scompaiono” regolarmente dai manuali consigliati proprio a coloro che dovrebbero diventare i “formatori” della futura scuola italiana. E già il fatto di definire a livello istituzionale elevato (l'università, appunto) “Formazione” il lungo circuito di stretto contatto con bambini/e e ragazzi/e che porta alla crescita integrale della persona, e non “auto-formazione”, la dice lunga sul modello d'approccio tuttora proposto a coloro che desiderano diventare “esperti operatori” in un'arte così complessa e al contempo semplice, umile, quale quella dell'accompagnamento educativo. Anche solo in questo enunciato: “Formazione”, che diventa subdolamente concetto “accettato in automatico”, risiede il “quid decisivo” dell'azione consapevole o meno (consapevole per le istituzioni, meno consapevole per i laureandi) del potere di formare i soggetti. Ecco dunque che, partendo da questa considerazione, già “il pensabile” scaturente dalla critica libertaria sull'educazione, dovrebbe interessarsi all'individuazione del “legame esistente tra educazione e potere” e proporre pensieri e pratiche di risposta concreta per la costruzione di percorsi dediti ad un opposto dello stato di cose generale, ovvero agire nell'ambito di un'educazione alle libertà, con connotazioni radicalmente anti-autoritarie, in una quotidianità ambientale (tutta da progettare e costruire) d'autonomia ed autenticità.
Gli esperimenti, che, come si accennava prima, con la costanza della tenuta operativa nel tempo, costituiscono la concreta ossatura dell'educazione libertaria, hanno la forza e la capacità di rimettere perennemente in discussione il paradigma tradizionale educativo (trasmissione del sapere = perpetuazione del potere ed esercizio del controllo delle menti) e di smantellare, strada facendo, lo stesso concetto strutturale di “Pedagogia” come scienza che si occupa in toto di teoria dell'educazione. L'apertura di una “via di fuga” (per dirla alla Gilles Deleuze) esprimibile dall'educazione libertaria, crea le condizioni decisive per lo smantellamento di tutto quel processo sclerotizzato e molto spesso repressivo che si è venuto ad accettare più o meno supinamente negli anni: ovvero del dare l'educazione dei bambini/e e ragazzi/e in mano a degli esperti. Ed è forse proprio qui il nodo cruciale di pensiero e della meditazione che gli intervenuti al convegno affrontano: l'educazione deve rimanere, in modo del tutto naturale nel “potere” di coloro che la vivono e la crescono: i giovanissimi e i giovani, appunto, non altri, non “maestri”, non “professori”, non “tecnici e baroni”.
L'educazione libertaria annulla la divisione e gli “assoluti” disciplinari, vede nel percorso auto-educante (specie se lungo), l'esprimersi fattivo di una profonda azione sociale e politica anti-autoritaria, non adultocentrica, anti-gerarchica e, contemporaneamente e coerentemente a-statica e propositiva. Nel variegato approccio alle modalità di concretizzazione, l'educazione libertaria, lasciando appunto “liberi di essere” chi la interiorizza, contempla sia un modus-operandi in cui “l'altro da me” (il bambino/a ma, anche, per una questione di frequentazione dialogica, l'accompagnatore/ice) si possa sviluppare spontaneamente, in piena libertà di rapporto e di collocazione ambientale; che un approccio situato in esperimenti pedagogici dichiarati, come i progetti delle compagini scolastiche (o comunità educative) libertarie o, come si usa dire all'estero, “democratiche”, sparse in tutto il mondo (a tal riguardo, proprio nel convegno ad Urupia interviene un importante ospite, direttamente da Summerhill, così come, nel precedente incontro nazionale REL di Rimini vennero portate ricche testimonianze dalla voce di frequentatori ed operatori della Kapriole di Friburgo). Si sottolinea dunque che non esiste quindi, quasi ontologicamente, un'unica via all'educazione libertaria ed alla presunta disciplina che si dovrebbe occupare della Teoria della stessa. Ciò che invece persiste e, i partecipanti del convegno ne fanno col lor “esserci”, tutti assieme parte, una ghirlanda di esperienze e di idee che “non riesce a chiudere” il domandare dinamico sui temi basilari dell'educazione alla libertà.
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Anna di Bologna porta il makramè ad Urupia |
Il tempo dilatato
La felicità settecentesca di William Godwin, il volere contro il sapere di Max Stirner, la socialità e l'apprendistato del grande Joseph Proudhon; l'istruzione integrale di Michail Bakunin ed in specie l'educazione come rivolta e passione; la solidarietà e il panta rei del processo educativo di Petr Kropotkin, diventano nella pratica costruente dell'azione libertaria, dei tratti comuni fondanti che da quei tempi (purtroppo ancor oggi ai più ignoti) in poi hanno messo radici in culture rispettose delle libertà “a tutto tondo” del singolo e che hanno visto nella “società degli individui liberi” l'orizzonte dove erigere modelli e formule di auto-germinazione ed auto-crescita in costante assestamento, nei quali l'educare più che l'istruire, vince la partita dell'auto-formazione del giovane. Nelle scuole così concepite, e Summehill ormai ne è l'incarnazione, non solo storica e attuale ma pure il simbolo e l'espressione dell'immaginifico collettivo, le riunioni, le assemblee, le discussioni fra bambini/e e ragazzi/ ed accompagnatori, sono veri e propri esercizi di democrazia diretta, forieri di comprensione e di interpretazioni decisionali di senso che non solo esprimono l'esperienza del “fare scuola”, ma gettano luce sul possibile intervento del giovane nella società che si prepara ad abitare.
A ciò si associa una moltitudine di elementi calati nella pratica quali: l'importanza del lavoro e della ricerca di gruppo; i contatti di mutuo appoggio con e tra le famiglie, l'attento accompagnamento di ogni studente, l'aiuto intuitivo maturato nel fare di stretto contatto, quand'esso è richiesto, per il superamento delle difficoltà di percorso; la non obbligatorietà delle materie, e la presenza di tante materie facoltative ed addirittura di alcune materie inventate dagli studenti in ciò che è attuazione dell'apprendimento incidentale nato dalla scoperta improvvisa, dalla accoglienza e misurazione della stessa come indispensabile forza vitale di auto-lettura del mondo; l'assenza della pratica di dominio del giudizio adulto-centrico, del voto, della “bocciatura”, del compito, della “verifica”, della competizione/compenso per stabilire chi è “primo” e chi “secondo”; la non frequentazione del libro di testo unico a favore della consultazione dei libri di testo differenziati e stratificati nello spazio e nel tempo; la facoltà di scegliere lo studio o il gioco, di entrare ed uscire dall'ambiente di lezione a seconda delle proprie esigenze, il seguire o meno un accompagnatore/ice anziché un altro, il decidere in assemblea il tragitto totale della propria comunità educante con votazione consensuale (rispettosa dunque delle minoranze), anche su l'operato di chi deve e può accompagnare agli studi e di chi non ne è ritenuto adatto.
Un ultimo (in realtà primo per importanza) concetto affrontato, condiviso nell'ascolto dell'assemblea presente ad Urupia, e con ciò “messo in vibrazione”, nell'analisi della comunità educante libertaria, risulta essere quello del tempo o meglio, della sua dilatazione che segue le esigenze delle persone e non quelle del programma, della teoria educativa, del mercato delle menti, dei singoli soggetti e delle collettività. Il tempo dell'educazione libertaria è il tempo dell'incontro, una dimensione che non chiede tempo.
In questa ultima considerazione d'attenzione, rientrano le esperienze chiamiamole “strutturali”, di Elisée Reclus, del suo apporto ecologico all'idea di educazione, di Lev Tolstoj e della sua vita spesa nella Jasnaja Poljana, di Paul Robin e dell'orfanotrofio di Cempius e di tanti militanti dell'educazione, quali Luigi Fabbri, e Louise Michel, e la sua scuola propositiva, l'Escuela Moderna di Francisco Ferrer, Sebastien Faure con la Vernet, Jeian Wintsch e la scuola di Losanna, e ovviamente Alexander Neill ma, anche in toto, Sands School e gli esperimenti estremi nordamericani, fino alle realtà odierne presenti, oggigiorno da un decennio, nella nostra penisola. Proseguendo tra le tessiture di dialogo del V Convegno REL, si arriva al momento delle testimonianze dirette di chi ha vissuto o vive concretamente l'esperienza dell'educazione libertaria “sulla propria pelle”. Inizia così, all'interno della cornice dell'incontro un proficuo “botta e risposta” con i ragazzi/e delle realtà auto-educative e, inevitabilmente la priorità della resa di comunicazione e di relazione [anche rispetto a questo scritto, n.d.a.] va alle loro parole.
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Arrivo
ad Urupia |
Dalla scuola libertaria a quella statale
A parlare per prima è una giovane “ex Kiskanu”
di Verona. Sabrina risponde alla classica domanda sul “come
un ragazzo/a che ha frequentato una scuola libertaria, riesce
ad inserirsi in quella statale e se l'esperienza libertaria
crea una sorta di “evoluzione” nell'essere dello
studente”.
La giovane liceale replica: “Il fatto che vi sia o meno
un cambiamento nella coscienza di uno studente libertario che
si trova poi ad affrontare la scuola statale, secondo me, dipende
un po' dai soggetti, dalle persone; può capitare che
ragazzi che non hanno mai fatto un percorso simile al mio (cinque
anni di ambiente scolastico libertario a Verona), possano “reggere”
comodamente l'ingresso alle medie superiori. Ma, per esperienza
ho anche notato che altri, purtroppo, nelle medie inferiori
statali, non sono riusciti a coltivare questo tipo di atteggiamento
e si sono fatti “travolgere” da paure, angosce e
varie sopraffazioni instillate da professori autoritari. Io
personalmente non sono stata abituata così. Fin dalle
elementari, a Kiskanu si auto-imparava ad andare oltre ogni
ostacolo, superando ogni difficoltà. Non esisteva, per
convinzione di percorso, la parola “io non so fare”,
e questo, mi ha rafforzato molto durante il successivo percorso
nelle superiori non libertarie. Ho saputo prendere decisioni
autonome, anche all'interno della mia famiglia; ad esempio ho
scelto un liceo linguistico, ora sono in terza e credo che la
mia attuale consapevolezza sia dovuta soprattutto a questo tipo
di percorso che ho fatto fin da bambina. Chiaramente, come dicevo
prima, anche altre mie compagne che non hanno frequentato una
comunità educativa libertaria sono riuscite a maturare
un approccio alla scelta e al senso dello studio, ma molte altre
no.
Alla domanda su come sia stato il passaggio tra una scuola libertaria
e una radicalmente differente, Sabrina risponde che “è
stata un'esperienza totalmente diversa, perché comunque
si fanno cose diverse e anche l'idea di educazione che informa
tutto è diversa, però, appunto essendo cresciuta
nell'idea libertaria come persona 'abituata ai cambiamenti'
mi sono adattata velocemente e sono riuscita a vivere tranquillamente
questa radicale diversità andando avanti per la mia strada,
magari accelerando un po' il ritmo però, insomma, ce
la sto facendo con estrema serenità.” Alla richiesta
di dare spiegazioni di “questo adattamento” come
ex studentessa libertaria, ai ritmi e alle nuove esigenze di
un percorso chiaramente differente e spesso, purtroppo oppressivo,
Sabrina tranquillamente sottolinea che “nella mia esperienza
di educazione libertaria a Verona, avevo interiorizzato principalmente
l'idea che nessuno può dirci perentoriamente 'cosa e
come dobbiamo fare una cosa' e che dunque 'nessuno può
ostacolare il cammino della nostra volontà di imparare'.
Sui nostri quaderni auto-costruiti, molto spesso gli accompagnatori
ci mettevano di fronte dei passaggi appositamente dettati che
costituivano una sorta di “autorità” che
noi, con la nostra consapevolezza eravamo in grado di “scavalcare”
per poter tenere ferma la nostra decisione individuale nonostante
il “peso della richiesta”. Era una forma di esercizio
che ci è servita a non credere ad un 'insegnamento unico'
o a un 'libro unico' sul quale posare la nostra attenzione definitiva.
Un altro aspetto di questa logica non totalizzante era dato
dal fatto che esisteva la libera decisione individuale di frequentare
o meno le lezioni, e con questo fare, credo proprio che si abitui
il bambino/a e il ragazzo/a ad avere una consapevolezza e una
capacità di autodeterminazione che, dopo poco tempo di
pratica, sfocia nella comprensione tutta personale che una partecipazione
volontaria e non obbligata alle lezioni crea un percorso voluto
di serenità, anche nell'affrontare serenamente eventuali
esami di fine anno, visti nell'ottica di semplici, superabili,
“ostacoli” in grado di essere approcciati senza
ansie e patemi d'animo. Ma questo, appunto, nasce tutto da una
nostra libera scelta di auto-imparare”. “Alla fine”,
continua sicura Sabrina, “tutto questo percorso di attenzione
alle libere scelte mi ha portato a maturare tutta una mia particolare
sensibilità nell'affrontare lo studio. Io ho sempre voluto
partecipare alle lezioni solo ed esclusivamente perché
lo volevo io e non perché ero obbligata a farlo”.
A Sabrina viene anche portata l'esperienza di un gruppo di ragazzi
e ragazze della scuola libertaria Kapriole di Friburgo che sostenevano
che una volta uscite da quel cammino educativo, vivevano le
situazioni successive di sopruso, con uno spirito abbastanza
“battagliero”, nel senso che riferivano che mentre
prima erano abituate a “guardare in faccia un accompagnatore”
e a confrontarsi anche animosamente con lui/lei per trovare
di conseguenza, una soluzione comune poi, evidentemente, una
volta usciti da quell'esperienza, all'università non
era più così. La domanda dunque sollecitava Sabrina
a chiarire 'come vive lei stessa una ingiustizia a livello emotivo
quando in classe un professore compie un sopruso su un coetaneo
di studio'. Sabrina risponde con determinazione: “Innanzitutto,
capisco che l'azione ingiusta è semplicemente guidata
da un altro tipo di pensiero. Considero di conseguenza che essendo
io ora in una scuola statale, non posso dire niente, non ho
un grande spazio di espressione in una struttura simile. I professori
hanno questo potere, i ragazzi/e non vanno oltre a replicare
un comportamento che è stato loro insegnato e capisco
che quell'ambiente è ben diverso rispetto a quello di
una scuola libertaria e che quindi, per me è una questione
di saper bene riconoscere dove ci si trova e di conseguenza
capire che tipi inevitabili di 'adattamento' attuare. Mi rendo
conto che non posso considerare le azioni di questi professori
una 'vera ingiustizia'; semplicemente loro vivono inconsapevolmente
in un ambiente che non può che esprimere questo e probabilmente
non sanno che esistono realtà diverse dalla loro”.
L'interessante scambio di domande e risposte continua con la
richiesta rivolta a Sabrina di sottolineare quali siano gli
elementi della sua precedente esperienza educativa libertaria,
che ha portato o che si possono portare nel suo attuale percorso
nella scuola statale. Sabrina risponde che “sì,
ci sono elementi quali la serenità o la comprensione
viste come idee costruttive per uno studente, che possono essere
condivisi anche con i miei nuovi compagni che non provengono
da cammini analoghi. E poi il fatto che comunque porto in mezzo
a loro un senso di 'scelta corretta/giusta' per me, su ciò
che ho voluto personalmente dalla scuola e questo può
essere d'aiuto per altri”.
Riguardo alle “fatidiche domande” rispetto alle
valutazioni, alle verifiche, ai voti, che in ogni convegno vengono
poste, Sabrina serenamente afferma che “Beh, a onor del
vero, attualmente ogni tanto mi 'perdo' anch'io in questa 'trappola',
perché si è sempre immersi in valutazioni. Provi
dispiacere immediato per i voti negativi ecc., però comunque
quando ripenso al percorso che ho fatto, mi ricollego al punto
che la cosa che 'importa' non è tanto il voto, cioè:
tu non sei il voto, ma quello che realmente conta sei
tu come persona, importa dunque che 'tu hai capito'
quella cosa e lì casca il voto. Per cui, come dicevo,
è sempre dietro l'angolo il fatto di 'studiare per raggiungere
un voto', ma per fortuna, quando questo capita ho anche due
genitori meravigliosi che mi ricordano i principi che ho vissuto
e seguito nell'esperienza diretta libertaria e così ho
modo di ripensare ai punti fermi del mio percorso”.
Alla domanda sul cosa terresti e cosa cambieresti della scuola
libertaria “ora che vivi nella scuola di Stato”,
l'ex studentessa di Kiskanu aggiunge “Non saprei realmente
che cosa cambiare in quanto al Kiskanu mi sono trovata benissimo.
La cosa per me fondamentale è che mi ha fatto crescere
e questa è a tutti gli effetti la cosa più importante”.
A Sabrina viene chiesto anche di illustrare i rapporti tra compagni
prima e dopo l'esperienza libertaria. Sabrina sottolinea che
“Ancora adesso mi sento con alcuni dei mie compagni delle
medie e delle elementari. Con altri si è persa per strada
l'amicizia, ma penso che questo sia naturale; forse c'è
da dire che noi eravamo veramente un 'gruppo, una squadra' e
quindi ci aiutavamo sempre l'uno con l'altro e, anche se c'erano
magari situazioni in cui si litigava, alla fine si trovava sempre
il modo per ricucire il rapporto e 'fare pace'. In effetti,
rispetto ad oggi, c'era senz'altro molta più unione,
sia con gli accompagnatori che tra noi studenti. Ora invece,
nelle scuole superiori vedo e, qui, non fraintendetemi, lo dico
e pur io sono una ragazza, in un liceo linguistico ci sono molte
ragazze e la tendenza è quella di fare molti gruppetti,
a parlar male l'una dell'altra, e mi rendo conto che non c'è
più tra noi questo senso di unione che invece c'era nella
scuola libertaria.”
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Sabrina liceale ex Kiskanu alla tendopoli di Urupia |
L'esperienza bolognese de “i Saltafossi”
Dopo questa esperienza di confronto tra un “prima”
e un “dopo”, tra educazione libertaria ed educazione
statale, viene la volta dell'esposizione delle testimonianze
di chi è ancora totalmente coinvolto nelle pratiche dinamiche
della comunità auto-educante. A parlare è un nutrito
e colorato gruppo di giovanissimi de “i Saltafossi”
di Bologna. Gabriella Prati introduce ai convenuti dell'assemblea
di Urupia i suoi ragazzi/e de “i Saltafossi” di
Bologna.
Prende subito la parola il giovane Samuele, ragazzo loquace,
brillante, per niente a disagio di fronte ad un pubblico per
la maggiore adulto. Samuele 'dà il la' alle presentazioni
e così Alice, Gaia, Alice “grande”, Eleonora,
si espongono al pubblico tranquillizzate, sotto l'ala protettiva
del tenace Samuele. A lui viene subito chiesto da parte di un
giovane 'formatore professionale' di stato, che differenza abbia
incontrato tra la sua passata esperienza nella scuola statale
e quella nella scuola libertaria de “i Saltafossi”.
Samuele risponde sicuro “Beh, delle differenze ci sono,
certo. Sinceramente non ricordo molto della prima elementare
statale, probabilmente...ho rimosso.”
L'affermazione suscita ironia generalizzata e suggerisce subito
ai presenti domande di delucidazione sul “come”
viene svolta una giornata tipo in una scuola libertaria. Samuele
racconta: “Durante la settimana ci sono ogni giorno diverse
materie e ogni dì esse si sviluppano in modo differente.
Così di solito, si arriva a scuola, si fa subito 'il
cerchio' che è una specie di 'benvenuto' che consiste
nel mettersi tutti seduti per terra e, in quel contesto di socializzazione
così creato si dicono varie cose. Ogni volta, c'è
un argomento diverso da discutere. Sono così tanti che
non riesco qui a 'classificarli' tutti, altrimenti ci metterei
un'infinità”. Samuele prosegue: “Lunedì
mattina noi facciamo, sempre in cerchio, l'assemblea dove esponiamo
ciò che non ci piace o 'cosa vorremmo cambiare'. Per
esempio si dice: 'non mi piace che quella materia venga fatta
in quel modo', quindi, di solito, 'ci ragioniamo sopra'. Le
materie le organizziamo molto liberamente; nella scuola statale,
ad esempio, c'è un orario da rispettare e in quell'ora
precisa si fa quella certa materia seduti ai banchi, invece
da noi ci sono due o tre materie nello stesso tempo: per esempio,
di solito c'è matematica dalla terza elementare alla
seconda media; mentre in contemporanea si svolge sempre matematica
in un'altra stanza dalla prima elementare alla seconda elementare
e quindi, ci alterniamo un po' a causa delle esigenze. Se, per
esempio, a quelli di prima elementare gli serve la lavagna,
che ce l'abbiamo solo in una stanza, noi ci spostiamo da un'altra
parte.”
Preoccupato di illustrare bene la situazione ambientale in cui
si svolge l'educazione libertaria, Samuele prosegue “Di
solito, per seguire esigenze di lavoro differenti, svolgiamo
lezioni più avanzate per i bambini della terza elementare
e al contempo organizziamo lavori più 'ridotti nel tono'
per la prima e seconda media e quindi, più o meno ci
si incontra a metà e così di solito riusciamo
a fare tutti bene le stesse cose. Poi, se ogni tanto qualcuno
non capisce qualcosa, ci dividiamo un attimo, pur rimanendo
nella stanza comune e si lavora a gruppetti, o ognuno per conto
proprio, e l'accompagnatrice cerca di venirci incontro col linguaggio
adatto alla circostanza, alla persona singola o al gruppo differenziato,
spiegando il concetto non compreso”.
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Il frizzante Samuele portavoce dei giovani Saltafossi di Bologna intrattiene brillantemente l'assemblea di Urupia |
Teatro e danza
Samuele, fa una pausa, si guarda in giro, e accoglie le domande
rispondendo prontamente: “Io sono di quinta elementare,
ogni anno facciamo gli esami. Infatti in questo periodo sto
preparando i miei 'libri individuali' nei quali tratto argomenti
che ho ricercato con interesse e selezionato durante l'anno.
Questi poi, li esporrò all'esame.” Una richiesta
di spiegazione sul come vengono organizzate le assemblee all'interno
de “I Saltafossi” riporta l'attenzione al cuore
dell'esperienza educativa libertaria. Samuele con sicurezza
risponde: “Di solito, per richiamare 'il cerchio' suoniamo
una piccola campana e, bene o male, sentito il segnale, tutti
accorrono. Magari i 'piccoli' che sono ancora alla materna non
sempre arrivano. Tra di noi, ci si mette d'accordo su chi vuole
prendere le parti del 'mediatore'. Il 'mediatore' è una
persona che può richiamare il silenzio nel 'cerchio',
può dare la parola a qualcuno se vuole parlare, ecc.
Di solito, molti alzano la mano e le accompagnatrici controllano
in un quadernino dove ci scriviamo tutti i nomi di quelli che
hanno già 'mediato', le nuove richieste e poi fanno un
'appello alla rovescia', così da far sì che chi
sente il proprio nome, abbassi subito la mano perché
vuol dire che l'ha già fatto da poco. Questo continua
finché non restano che due o una persona, a seconda se
il numero dei partecipanti all'assemblea è alto o basso.
Il mediatore 'così ottenuto', alla fine, 'dirige il cerchio'.
I mediatori comunque, non parlano sempre loro, parliamo anche
noi partecipanti dell'assemblea ovviamente.” Gli argomenti?
I più disparati. “Di solito, ogni tanto arriva
qualcuno che ha un laboratorio da proporre. Ad esempio, Eleonora
ci ha illustrato un giorno un progetto in cui si prendevano
dei barattoli da riempire con acqua per poi far sciogliere 'artisticamente'
delle tempere che davano colorazioni diverse al liquido. Subito
abbiamo discusso se fare o meno questo laboratorio. In questi
giorni dobbiamo parlare della proposta di Alice 'grande' che
ci suggerisce di fare una pittura sull'acqua, ma non abbiamo
ancora ben compreso di che si tratti. E così via”.
Viene chiesto dal pubblico: “Cosa succede se qualcuno
non partecipa al 'cerchio'?” “Solitamente”,
afferma Samuele, “non vogliono partecipare i 'piccolini'
della materna. Se abbiamo qualcosa di veramente importante da
dire, allora vengono anche loro. Li dobbiamo richiamare più
e più volte ma, alla fine arrivano anche loro. Però,
se un giorno si verifica che qualcuno vuole rimanere fuori a
giocare mentre si fa 'il cerchio', egli può stare tranquillamente
all'aperto a giocare”.
Dal pubblico qualcuno chiede se viene praticato il teatro. Samuele
sospira e risponde: “Lo facevamo. Adesso non più
ma in alternativa danziamo; io non sono molto esperto, perché
non danzo fuori da scuola e non mi piace particolarmente farlo,
ma ad altri appassiona tanto. Di teatro abbiamo scritto 'Il
cavaliere Spada' ed anche 'gli Indiani', racconti questi che
abbiamo creato e scelto di mettere in scena e che, dicevo, soprattutto
per la prima 'opera', l'abbiamo inventata noi, però 'stando
sulle cose normali'; ad esempio nel 'Cavaliere spada' c'è
il tipico cavaliere che combatte il drago, e questo episodio
rimane dunque nell'ambito 'classico' “ e dicendo questo,
tutti i giovani ragazzi de “I Saltafossi” si mettono
a ridere, pensando probabilmente a come sia stato da loro 'interpretato'
questo 'classico'”.
“Poi, facciamo anche cinema” continua Samuele, “che
è diretto da me e da Giovanni, che oggi non è
qui presente e che ha più o meno la stessa età
di Alice 'grande'. Di solito ci inventiamo una storia, facciamo
delle riprese, poi le montiamo e costruiamo alla fine un film
completo. Io e Giovanni, fuori dalla scuola, da soli stiamo
creando un film che si svolge in tre puntate ma, la terza di
essa è divisa in due, dunque complessivamente sono quattro
puntate delle quali due sono già 'uscite' mentre stiamo
lavorando sulla terza. Poi, abbiamo comunque fatto un altro
film con la scuola e, abbiamo preso la storia da un racconto
di un libro che si chiama 'Qua qua attaccati là'. Una
storia di magie, di principesse, di prove, di oche e sposalizi
finali. Comunque stiamo anche montando noi un film che abbiamo
girato non con personaggi veri ma con dei pupazzetti, dei dinosauri
in miniatura e la trama è più o meno come quella
della 'valle incantata', dove questo gruppo di dinosauri è
costretto a migrare in altre valli dalla siccità e ad
affrontare numerosi pericoli. Poi un giorno uscirà e
vedrete pure voi la fine.” I ragazzi de “i Saltafossi”
sorridono con entusiasmo nel raccontare i loro progetti auto-formativi
e si preparano a rispondere ad un'altra domanda che tocca il
tema centrale del valore dell'assemblea nella loro comunità
educante e, della presenza o meno in essa del 'peso' degli adulti.
Samuele, che a detta della giovane comunità romagnola
fa da 'megafono' della collettività, risponde: “la
cosa che non ho ancora capito io, e che l'ho sperimentato qualche
giorno fa nel cerchio, è perché con gli adulti
che sanno 'mostrare il petto', quando ci sono loro, più
o meno tutti stanno in silenzio, vai a capirlo?!? Solo che,
ad esempio quando una nostra accompagnatrice si è spostata
momentaneamente in un altro locale ed ho provato a mediare io,
si è invece scatenata subito una gran confusione. Ma
nonostante questo e pur all'inizio avendo proposto l'assemblea
gli adulti, col tempo ho capito che l'assemblea è un
luogo dove uno può realmente portare le sue esigenze
ed esprimere le proprie opinioni per poter far andare meglio
tutto il gruppo. Poi, l'assemblea non ha un tempo preciso entro
il quale dover per forza decidere, può durare pochi minuti
o varie ore quando tutti hanno qualcosa da dire.” Il giovane
Samuele, 'tenendo banco', completamente a proprio agio davanti
alla platea di Urupia in ascolto, interviene ulteriormente nei
riguardi di una domanda su come vengono risolti i litigi a “i
Saltafossi”. “Ci sono vari casi” esordisce,
“quando il litigio è tra i bambini piccoli, dove,
alla fine, uno di questi si fa male, subito si creano le condizioni
per far sì che i due contendenti si confrontino con le
parole sull'accaduto e si chiarisce la cosa. Però, l'anno
scorso è venuto un bambino di un anno più grande
di me, che, per dirla tutta, non era molto gentile ma invero,
era aggressivo. Io e lui dunque, non andavamo molto d'accordo
e, spesso, quando mi faceva del male, riuscivamo a fermare il
litigio e a chiederci reciprocamente scusa risolvendola tra
di noi e continuando poi a giocare.” Alla domanda “Si
litiga nelle assemblee?” Samuele risponde con delicatezza:
“Dipende da cosa intendi per 'litigio'. Generalmente no.
Ogni tanto capita che non siamo tutti d'accordo su una certa
cosa, e dunque si continui a discutere, però non si 'litiga'
particolarmente”.
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Sabato 31 maggio. Si comincia ad entrare nel vivo. Gabriella a sinistra e Thea introducono gli argomenti del V convegno |
Il libro individuale?
Un'altra domanda si focalizza sul tema dell'insegnamento: se,
durante le assemblee esce che gli studenti vogliono imparare
qualcosa che le accompagnatrici non riescono a proporre o che
non conoscono, “ci si avvale di qualche competenza 'esterna'
o vi mettete tutti collettivamente a studiare quella materia
sconosciuta?” Samuele risponde sicuro: “Sì,
ad esempio se scelgo degli argomenti per il mio 'libro individuale'
abbastanza difficili, chiedo a Gabriella o ad altre accompagnatrici
di studiare insieme a me e così si approfondiscono argomenti
ostici tutti assieme. A volte comunque ci rifacciamo anche ad
esperti. Quello che cerchiamo di fare assieme è il 'metodo
della ricerca' e quindi ricerchiamo insieme libri, testi specialistici,
approfondimenti, anche con le famiglie che ovviamente ci aiutano
in questo moto di crescita comune a raggiungere le conoscenze
che abbiamo richiesto.”
Anche a Sabrina, che ora è coinvolta da “esterna”
nelle dinamiche di Kether, viene chiesto se vi è uno
spazio per gli “ex” nel continuo della ricerca dei
saperi, nella comunità educativa che hanno precedentemente
frequentato. Sabrina interviene dicendo che “Sì,
certo, c'è sempre spazio per ritornare alla 'nostra scuola'
e per aiutare chi accompagna con ciò che di 'nuovo' e
aggiornato possiamo noi 'ex' portare dalle nostre attuali esperienze.”
Sempre sulle dinamiche centrali dell'assemblea, Samuele de “i
Saltafossi” racconta che “quando non tutti vogliono
aderire o rimanere in assemblea, perché magari dicono
che è 'noiosa', perché 'si parla molto' e di solito”
aggiunge “questo avviene con i bambini di quattro, cinque
anni, che trovano qualche scusa per rimanere in giardino 'a
prendere una boccata d'aria', si è stabilita una regola
che se questi piccoli rientravano a partecipare, dovevano stare
in assemblea fino alla sua fine, altrimenti sarebbero rimasti
semplicemente fuori per tutto il tempo. Il nostro 'cruccio',
durato molto a lungo, stava nel capire se dovevamo far seguire
realmente qualche 'conseguenza' a queste assenze o se ci sarebbe
effettivamente stata una limitazione per gli altri che vi partecipavano,
cioè se queste azioni limitavano o meno la libertà
d'espressione anche degli altri.”
Invece, una domanda su che cosa è il “libro individuale”
citato da Samuele, viene dallo stesso prontamente risolta: “è
un approfondimento su un certo argomento, utile come supporto
di racconto per quando affrontiamo l'esame di fine anno. È
un concentrato di conoscenze che puoi riferire con capacità
all'esaminatore, nel giorno della prova annuale, proprio quando
lui ha da ascoltare oltre a te, tanti altri studenti. Sulla
base di questo libro, i professori possono poi anche farti delle
domande.” Gabriella Prati precisa ulteriormente l'esposizione
di Samuele: “La scelta dell'argomento è il lavoro
proprio di fine anno nel senso che, a quel punto, dopo aver
fatto cose 'varie ed eventuali', gli studenti cercano in quale
direzione focalizzare l'interesse. Alle volte saltano fuori
delle cose che sono 'totalmente altre' da quello che abbiamo
svolto durante l'anno. Per esempio Eleonora, che non era soddisfatta
degli argomenti che stava ricercando per il suo 'libro individuale',
in quanto troppo 'tradizionali' e collegati ad un normale corso
di studio, ha dedicato il suo approfondimento a 'ciò
che realmente le piaceva fare' cioè 'danzare', e ha fatto
dunque un bel lavoro sulla danza. Vi è stata dunque la
volontà di chi l'accompagnava, di fare 'un passo indietro
progressivo' rispetto a ciò che è l'interesse
dell'adulto riguardo le materie prescritte e dunque, ciò
che ha vinto alla fine, è stata la volontà della
bambina che ha portato effettivamente quello che voleva portare
al suo esame.
Si è partiti dalla proposta mal digerita da Eleonora,
dedicata alla descrizione di un villaggio preistorico (che avrebbe
realizzato solo per 'far contenti' gli insegnanti) e si è
arrivati invece all'espressione di un desiderio reale della
bambina che ha portato appunto un suo vivo interesse: la danza.”
Samuele aggiunge: “la scuola libertaria mi sta dando la
possibilità di soffermarmi e di approfondire, proprio
con il sistema dei 'libri individuali', argomenti che difficilmente
avrei potuto scoprire e studiare attentamente, di mia iniziativa,
se avessi continuato a frequentare la scuola statale. Nel mio
libro, in tecnologia ho potuto capire bene come girano gli ingranaggi
di un meccanismo, i loro rapporti differenziali e così
via.
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Ognuno si mette a disposizione per dar una mano all'organizzazione del convegno ad Urupia |
“Di pratiche, non di metodo”
Adesso ad esempio sto studiando il fenomeno dell'elettricità,
non tanto come nasce ma come si sviluppano e variano i suoi
comportamenti a contatto con i materiali. Come si elettrizza
un oggetto, qual'è il concetto dell'atomo ecc. Abbiamo
svolto anche esperimenti sull'elettricità statica e così
via”. L'intervento dei ragazzi appartenenti a comunità
educative libertarie, si conclude con una marea di applausi
nei riguardi delle testimonianze esposte da chi vive quotidianamente
lo studio, come attuazione di un interesse proprio e condiviso,
senza forzature e costrizioni d'autorità.
Gabriella Prati aggiunge, interpellata da una interlocutrice
sul come, chi agisce come accompagnatore libertario, si 'rapporta'
con e ad altre esperienze 'alternative' ma non prettamente libertarie,
come la scuola steineriana, quella montessoriana o le esperienze
di don Milani: “L'educazione e le pratiche libertarie
non sono un metodo. Se dobbiamo rapportarci ad altre situazioni
'alternative', c'è perciò una grossa differenza
da comprendere tra quella che può essere un metodologia
applicabile come nella Montessori o nella scuola Waldorf-Steiner
e sapere quindi che v'è un pensiero a monte di come organizzare
gli spazi, di come organizzare i saperi, sul come relazionarsi
con gli adulti, fra adulti-ragazzi-bambini, e anche una certa
'visione di bambino' in qualche modo espressa, ecc. e quello
che è lavorare direttamente con i giovani; dunque in
questo senso noi libertari parliamo 'di pratiche e non di metodo'.”
Gabriella prosegue rivolta all'interlocutore della platea: “Hai
anche parlato di don Milani e anche lì, siamo nell'ambito
delle pratiche e non nell'ambito del metodo e quindi don Milani,
Mario Lodi e tutta quella che è la tradizione storica
italiana in ambito educativo, e preciso, don Milani è
'fuori dalla storia' mentre Mario Lodi è 'dentro a quella
storia', trattano di 'pratiche' cioè di 'modalità
di relazioni' e di 'modalità di trasmissione di un metodo
di ricerca'. Don Milani, quello che voleva comunicare ai suoi
ragazzi era fondamentalmente un 'metodo' per acquisire, per
'possedere' i saperi in prima persona per poterli poi usare
per i propri diritti e per la propria forza personale. Ma tale
acquisizione di un 'metodo' lo faceva tramite una 'pratica'.
Noi, come educazione libertaria, stiamo facendo un cammino,
stiamo verificando collettivamente le criticità e quanto
possano essere fruttuose e anche fruttifere queste pratiche.
Qualcuno di noi come educatore ha un'esperienza e una storia,
quindi ha assorbito, ha vissuto, è entrato in contatto
con dei metodi di formazione e magari se ne è anche liberato
ma, comunque, in qualche modo queste esperienze hanno 'fatto
cellula', scherzando si può dire, 'biologia'; e così
pure il teatro, la danza, l'aver fatto scuola materna, agito
nel campo della psicologia, filosofia ecc. e tutto questo pregresso
viene inevitabilmente 'messo in gioco quando ci si relaziona',
proprio perché la relazione è al centro della
pratica libertaria, tutto quello che abbiamo vissuto, e siamo,
lo andiamo a mettere in gioco. Noi stiamo cercando in questa
direzione.” Anna, dinamica accompagnatrice de “i
Saltafossi” ulteriormente precisa: “Essendoci un'elaborazione
profonda di un pensiero che poi arriva a un 'metodo', sotto
certi aspetti, con i bambini/e e i ragazzi/e, io personalmente
ho considerato alcune cose interessanti per quel che riguarda
taluni 'strumenti della Montessori'. Dopodiché al di
là del discorso 'metodo o non metodo' sul quale ci troviamo
molto come gruppo accompagnatori, ci possono essere alcune cose
che diventano congeniali nel lavoro con gli studenti, rispetto
a un determinato tipo di percorso, però, questo, sempre
in modo 'strumentale'. Non c'è dunque una 'aderenza'
rispetto ad una 'linearità esecutiva' data da un metodo.
Non c'è una certa 'chiara operatività' che va
a ricalcare un certo tipo di percorso 'già scritto' o
'intoccabile', ma ognuno porta ciò che ha da dare delle
sue particolari esperienze, nella situazione contingente. C'è
quindi sicuramente 'relazione' nella misura in cui uno entra
direttamente in contatto con il fare o con il soggetto d'interesse
che vuole approfondire. Personalmente, dopo aver frequentato
un fecondo ambiente montessoriano ho senz'altro riportato ciò
che poteva, a mio e nostro avviso, essere reinvestito in varie
occasioni nel lavoro che stavamo svolgendo, senza con questo
abbracciare alcun metodo specifico.”
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Si prepara il cibo nella cucina della comune |
“Mio nonno Alexander Neill”
Il V convegno della Rete per l'Educazione Libertaria termina
la giornata di sabato con un bella video-testimonianza di Simone
Piazza sulla scuola Kapriole di Friburgo. Ma l'appuntamento
“clou” dell'incontro annuale si svolge nella mattinata
di domenica primo Giugno, con l'intervento dell'ospite internazionale,
Henry Readhead, portavoce della quasi centenaria esperienza
educativa democratica del Suffolk inglese, ovvero: Summerhill.
Henry è un giovane “alla mano”, molto preciso
ed informale, che mette subito a proprio agio la nutrita, eterogenea
platea di ascoltatori presenti ad Urupia. Esordisce auto-presentandosi:
“Mi chiamo Henry Readhead, sono nipote di Alexander Neill,
(educatore di fama mondiale e psicologo dell'età infantile)
e figlio di Zoe, (figlia appunto di Alexander) che è
l'attuale direttrice della ormai famosa scuola di Summerhill.
Il nostro cammino educativo è iniziato nel 1921, fondato
dal nonno Alexander Neill, che purtroppo non ho avuto modo di
conoscere, però ho frequentato la scuola durante tutta
la mia fanciullezza, da quando avevo tre anni fino ai sedici.
Poi sono ritornato a Summerhill quando ho avuto venticinque
anni, e lì mi sono messo ad insegnare. Ora sono teacher
di musica da dodici anni ed attualmente sono pure impegnato
a gestire amministrativamente la scuola. Attualmente mia mamma
Zoe è la dirigente della struttura educativa, mio fratello
maggiore William riveste un ruolo manageriale di seconda ed
io di terza posizione. Mio nonno formulò una specie di
motto: 'Tutti i crimini, l'odio e le guerre possono essere ridotti
ad un unico problema che è l'infelicità'. Egli
credeva che lo sviluppo emotivo e sociale del bambino fosse
più importante degli obiettivi accademici scolastici.
Come detto precedentemente, la scuola venne fondata da mio nonno
nel 1921 con il preciso intento di realizzare questo tipo di
filosofia. La scuola di Summerhill è dunque la più
antica scuola democratica del mondo. É una scuola autogovernata
democraticamente da coloro che la frequentano, bambini ed adulti
con parità di diritti. La “Carta” dei principi
di Summerhill cita: 1) La scuola deve sostenere e mettere a
disposizione scelte ed opportunità che permettano ai
bambini di sviluppare, nei loro tempi e ritmi di crescita, quelli
che sono i loro interessi personali. Summerhill non ha lo scopo
di 'produrre' uno speciale tipo di giovani, attraverso specifici
test di valutazione sulle loro abilità e conoscenze,
ma essa punta a provvedere alla costruzione di un ambiente dove
i bambini possano scoprire ciò che essi sono e che cosa
vogliono diventare. 2) Deve permettere ai bambini di essere
liberi da giudizi e imposizioni. La scuola deve aiutare loro
a raggiungere ciò che maggiormente desiderano e a far
sviluppare in particolare un senso di convinzione nella capacità
di saper raggiungere i propri obiettivi. I bambini dovrebbero
essere liberi dalle pressioni e dalle richieste di fornire performance
per il raggiungimento di standard artificiali di successo, basate
su teorie dominanti sul come 'crescere' un bambino e sul 'come
e cosa insegnargli'. 3) Permettere ai bambini di essere totalmente
liberi e di giocare quanto e come desiderano. Il gioco creativo
e immaginativo è una parte essenziale dello sviluppo
dell'infanzia.
Quindi il gioco spontaneo, quello iniziato autonomamente dal
bambino non dovrebbe essere assolutamente reindirizzato o manipolato
dagli adulti, dunque diretto secondo quello che diventerebbe
'uno strumento dell'apprendere', ma il giocare è un qualche
cosa che appartiene solo ed esclusivamente al bambino. 4) Permettere
ai bambini di sperimentare qualsiasi gradazione di sentire e
di sentimenti, liberi dai giudizi e dall'intervento diretto
di un adulto. La libertà di prendere decisioni, è
sempre collegata alla possibilità di vivere dei rischi
e porta ovviamente anche all'ipotesi di giungere a dei risultati
negativi. Ma, sembra che anche le conseguenze negative dell'esperienza
come la noia, la pressione, lo stress o la rabbia, la delusione
e il fallimento siano anche queste, parti fondamentali per lo
sviluppo individuale.
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Giovani ed adulti ascoltano la testimonianza di Sabrina ex Kiskanu Verona |
Assumersi la propria responsabilità
Come ultimo punto, estremamente importante: permettere ai bambini
di vivere in una comunità che li supporti e nei confronti
della quale essi diventino col tempo individualmente responsabili.
Una comunità in cui i bambini hanno la libertà
di essere se stessi ed acquisiscano il potere di cambiare la
vita stessa della comunità, attraverso i processi democratici.
Tutti gli individui creano il loro sistema di valori basato
sulla comunità in cui essi vivono. Summerhill è
una comunità che prende la propria responsabilità
da se stessa. I problemi vengono discussi e risolti apertamente,
in democrazia e grazie alla relazione sociale. Tutti i membri
di questa comunità, sia adulti che bambini, indipendentemente
dall'età, hanno uguale potere di fronte a questo processo
democratico. Alla scuola di Summerhill i giovani hanno la possibilità
di fare ciò che essi scelgono di fare, fin tanto che
non ledono la libertà di altre persone e, questa, è
una pietra miliare della filosofia di Summerhill. Così
ci si può tingere i capelli di color blu o portare i
vestiti capovolti o giocare tutto il giorno oppure spendere
tutto il giorno a studiare matematica.
5) Tutto questo dipende esclusivamente dalla scelta individuale
di ognuno e non va ad infrangere la libertà degli altri.
Ma, per esempio, non si può suonare le percussioni durante
la notte od orinare nella stanza dove si mangia o prendere la
bicicletta di un'altra persona senza aver ricevuto precedentemente
il permesso, perché queste sono fatti che interferiscono
con le libertà degli altri e dunque che condizionano
le altre persone. La comunità di Summerhill è
composta da settantaquattro studenti. Nove di questi ragazzi
non sono residenti, non dormono lì ma frequentano la
scuola durante le ore del giorno. Quattordici persone fanno
parte dello staff tra insegnanti e 'facilitatori' che si occupano
della vita dei ragazzi, degli adolescenti e dei bambini, dunque
al di fuori di quello che è prettamente l'ambito scolastico;
all'interno di questo staff non è incluso il personale
di pulizia o gli addetti alla cucina. Attualmente ci sono anche
nove insegnanti che non vivono a scuola ma vi sopraggiungono
dall'esterno, durante le ore diurne e, prestano il loro servizio
per alcune lezioni specifiche quali calligrafia, lingua cinese,
o violino. La comunità di Summerhill, è governata
attraverso le persone stesse che la abitano. Ciò avviene
tramite due incontri settimanali dove tutto ciò che può
condizionare la vita di Summerhill viene lì discusso
e deciso.
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La sala assembleare di Urupia colma per ascoltare il nipote di Alexander Neill |
Tempo-lavoro di riparazione
In questi incontri, ognuno ha e esercita un diritto di voto
uguale a quello degli altri, per cui adulti e bambini hanno
lo stesso voto e lo stesso diritto di essere ascoltati. Quello
che accade negli 'school meetings' è strettamente connesso
alle questioni della vita quotidiana nella comunità e
genera collettivamente ogni tipo di cambiamento ed è
strettamente collegato alle auto-regole che auto-governano Summerhill.
Uno degli aspetti che vengono discussi in questi incontri, sono
le esposizioni dei casi connessi ai rapporti interpersonali.
Un individuo può citare il nome di un'altra persona con
cui ha avuto un problema di relazione e questo attrito interpersonale
viene discusso all'interno della comunità intera. Così,
per tornare ad esempi pratici, quando un ragazzo ha utilizzato
la bici di un altro, senza aver ricevuto precedentemente il
permesso da questo, tale fatto può essere letto come
un tipico 'problema' che viene portato all'interno del meeting.
Se viene dunque discusso questo caso e se l'assemblea si pronuncia
risolutivamente su di esso, può scaturire la decisione
collettiva del rilascio di una sanzione di cinquanta centesimi
di sterlina, nei confronti di chi ha commesso il fatto. Un altro
esempio, tanto per intenderci sulle dinamiche di auto-governo
nella comunità: se qualcuno getta reiteratamente dell'immondizia
sui pavimenti, questo problema di convivenza sociale viene portato
e discusso all'interno dell'assemblea. Per la risoluzione di
questo tipo di comportamento lesivo delle auto-regole della
comunità, la 'multa' che si deve pagare non è
di carattere pecuniario ma di natura lavorativa. Si tratta di
tempo-lavoro di riparazione che viene prestato a favore della
comunità. A Summerhill la 'fine-multa' che eventualmente
si deve pagare, non è considerata una 'punizione' ma
è il modo con cui la comunità mostra apertamente
la sua disapprovazione nei confronti di certe azioni che sono
già state precedentemente giudicate dannose dalla comunità.
Quindi la 'punizione' viene considerata come una sorta di 'deterrente',
per evitare il ripetersi di situazioni analoghe. Le multe che
vengono così pagate in conseguenza di regole disattese,
sono molto diverse tra loro, non sono solo pecuniarie o collegate
al tempo di lavoro che uno deve prestare, ma possono essere
ogni volta differenti ed 'inventate', sulla base del tipo di
problema che si verifica. Alle volte capita che un osservatore
esterno venuto a visitare Summerhill, non comprenda bene i meccanismi
auto-regolativi della comunità dei ragazzi e magari giudichi
i fatti che stanno capitando, come 'non di vitale importanza'
o 'inappropriati' per essere discussi. Cose del tipo: prendere
in giro insistentemente delle persone con nomignoli denigratori;
utilizzare biciclette altrui senza preventivo permesso; rifiutarsi
di uscire dal letto la mattina quando è il momento di
farlo; possono sembrare episodi futili per un temporaneo osservatore
esterno. Ma per gli 'school meetings' questi episodi sono considerati
di massima importanza, appunto perché queste sono questioni
che vengono direttamente vissute intensamente dai bambini e
dalle bambine, ed infatti, sono principalmente loro che sollevano
queste esigenze di discussione. In questo modo, i ragazzi e
le ragazze imparano da loro stessi cosa vuol dire 'avere dei
diritti' e comprendono attivamente che cosa voglia dire 'infrangere
dei diritti di altri'. “Summerhill è conosciuta
come una Scuola libera”, continua con decisione
e passione Henry Readhead, “ma la sua realtà di
libertà, contempla comunque ben duecento e cinquanta
auto-regole e queste indicazioni sociali governano la vita di
chiunque abiti a Summerhill. Queste auto-norme possono comunque
essere continuamente 'rigettate' o 'ricreate', in ogni istante,
dai componenti della comunità di qualsiasi genere ed
età. Queste auto-regolazioni comunitarie, possono avere
una vita molto breve, oppure durare degli anni e questo dato
è importante, in quanto permette ai bambini di comprendere
le procedure e di sentirsi in possesso della propria scuola,
di appartenere alla comunità che stanno creando. Gli
incontri e la vita di comunità a Summerhill, non sono
percepiti solo ed esclusivamente da un punto di vista di una
'esperienza educativa'; semplicemente, chi vive questa comunità
(bambini/e e adulti/e) lo fa con un senso e una consapevolezza
di partecipare ad una esperienza di coinvolgimento 'piena',
che tocca tutti gli aspetti della vita.
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La banda si infittisce sui tetti di Urupia |
Rispetto, tolleranza, compromesso...
A Summerhill si impara il rispetto, la tolleranza, il compromesso,
la comunicazione, la negoziazione, e l'assunzione di responsabilità
per se stessi e per gli altri. La cifra più importante
di tutto ciò, è che uno studente impara tutti
questi elementi di socializzazione, queste abilità, senza
neppure doversi soffermare troppo a pensarci sopra, in quanto
tutto questo semplicemente 'accade' e fa parte della vita quotidiana.
Un altro aspetto molto interessante di tale esperienza integrale
è che i bambini si sentono in essa sicuri, sentono che
essi stanno controllando la loro vita e non altri. E ciò
è fondamentale soprattutto quando si vanno a prendere
in considerazione situazioni quali la prepotenza generalizzata
o il 'bullismo'. Come ben sappiamo, attualmente in tutto il
mondo assistiamo ad un incremento di questo tipo di problema,
un tipo di prevaricazione verso l'altro che si esprime fisicamente,
mentalmente, oppure attraverso l'utilizzo delle tecnologie.
Quando vengono portati all'interno delle assemblee, per essere
discussi, episodi di 'imposizione forzata' che inevitabilmente
si verificano anche nella nostra scuola, questi vengono considerati
come 'casi di piccola prepotenza', come ad esempio il dare ripetutamente
'nomignoli dispregiativi' e, questi tipi di offese, vengono
risolti molto velocemente ed efficacemente proprio parlandone.
Come si è accennato precedentemente, per essi vi è
una piccola multa, come lo scambio di un 'biscotto da te', che
deve essere dato e che poi verrà restituito, oppure l'impiego
in un tipo di lavoro che deve essere fatto, oppure una piccola
multa di tipo economico. Tutto questo dipende dall'offesa che
è stata portata dal 'colpevole'; dal livello di prepotenza
che è stato esercitato inopportunamente sugli altri.
A Summerhill, ogni caso di 'bullismo' viene preso in estrema
considerazione e in sé esso non è intimamente
accettato dalla comunità. Questo fa sì che, ponendo
l'accento sul contenimento della prepotenza, a partire dalle
piccole cose, lo stato di 'bullismo', non riesca a svilupparsi
mai, tra i membri della scuola, ad un livello alto di violenza.
Assieme a questi due incontri settimanali dove converge tutta
la comunità, ci sono altri due momenti d'aggregazione
collettivi che sono svolti per coinvolgere il personale, lo
staff della scuola, come gli house-parents (coloro
che vivono all'interno della scuola per fornire eventuale supporto
extra-scolastico agli studenti residenti) e gli insegnanti veri
e propri. Pure questi meeting vengono svolti seguendo
procedure di democrazia diretta. In tali assemblee, solitamente
gli argomenti discussi, riguardano la rivisitazione collettiva
delle politiche della scuola; come gestiscono il tempo gli insegnanti;
il lavoro degli 'house-parents'; le richieste di nuovi studenti;
la discussione dei particolari di singoli episodi accaduti,
ancora in opera o capitati di recente nella comunità,
o come redigere un'appropriata documentazione o report
riguardante l'attività di singoli bambini/e, sia a livello
di comportamento sociale che a livello degli sviluppi dell'andamento
scolastico. Tali incontri costituiscono a tutti gli effetti
una grande opportunità per gli insegnanti di condividere
informazioni a riguardo di ogni bambino e per avvertire 'come'
ogni bambino 'vive Summerhill', come si evolve la sua 'relazione'
in questa comunità.
Queste informazioni sono molto utili per lo sviluppo aggiornato
della scuola, ma servono anche per dare delle 'prove concrete'
a coloro che compiono le 'ispezioni istituzionali' svolte dall'OFSTED
(Office for Standards in Edcucation - Children's Services and
Skills: è un ufficio preposto dalla Corona al regolare
controllo, in ogni scuola dell'Inghilterra, del mantenimento
degli standards educativi nazionali e delle capacità
d'insegnamento del personale docente. Compie pubbliche valutazioni
delle risultanze delle ispezioni e propone eventuali interventi
di miglioramento in quelle strutture indipendenti che hanno
ottenuto una relazione negativa per l'attività svolta.
Prima del 2005 ogni scuola veniva testata per una settimana
ogni sei anni ma, a partire da settembre del 2005, ogni scuola
è tenuta a fornire una 'auto-valutazione' dei propri
standard educativi e viene sottoposta ad ispezione per due-tre
giorni ogni tre anni. La pubblicazione sul sito della Ofsted
delle valutazioni dei risultati dei controlli, determina una
'classifica' in cui le 'ottime' non vengono più 'visitate'
per cinque anni e le 'inadeguate' subiscono una serie di controlli
senza comunicazione di preavviso n.d.a.) che è un organo
che controlla le scuole e ne valuta l'andamento all'interno
della politica educativa ufficiale del Regno Unito.
A Summerhill, i bambini/e non sono obbligati a partecipare alle
lezioni e questo è il dato che 'spaventa' di più
gli 'esterni' che vengono a visitare la scuola. Infatti, gli
studenti di Summerhill hanno la completa libertà di scegliere
se andare o non andare alle lezioni. Questo significa che un
bambino/a di Summerhill, nel corso di tutta la sua permanenza
nella comunità educativa, potrebbe non aver mai messo
piede all'interno di una classe. Ciò risulta essere però
molto raro, perché tutti i bambini sono portati naturalmente
ad apprendere”. “Solitamente”, sottolinea
nel suo fiume di parole, Henry Readhead, nipote di Alexander
Neill, “nel sistema statale, il divertimento che
è direttamente collegato all'apprendimento, viene
radicalmente 'messo da parte' proprio nella logica che vuole
'che si debba apprendere per obbligatorietà'. Il sistema
convenzionale dell'educazione è basato sul fatto che
si insegna al bambino, mentre invece a Summerhill noi
pensiamo che il bambino si assume la completa responsabilità
per il proprio apprendimento. A Summerhill orari e schemi
di lavoro costruiti comunitariamente, nonché lezioni
completamente strutturate esistono, ma queste sono solo 'messe
a disposizione' dei bambini/e che scelgono indipendentemente
se frequentarle o meno. La maggioranza degli studenti che frequentano
Summerhill, lascia questa scuola con un diploma che permette
loro successivamente di andare a frequentare i college o le
università. Ciò avviene all'età di sedici
anni. Questo diploma conseguito a Summerhill è riconosciuto
da ogni successivo ente educativo su tutto il territorio dell'Inghilterra
e del Galles.” Continua Readhead “La valutazione,
a Summerhill, è un qualcosa che avviene in un clima totalmente
rilassato, tranquillo, questo perché, gli adulti-insegnanti
non hanno aspettative legate al 'curriculum' nei confronti dei
bambini/e, ma il motivo principale per cui si fanno valutazioni
è che queste devono essere un 'qualche cosa' che serve
agli studenti.”
“Dunque che cosa succede quando i ragazzi/e lasciano Summerhill
e concludono qui da noi il loro ciclo scolastico?” chiede
provocatoriamente Henry Readhead, all'attenta platea di Urupia,
subito aggiungendo, sorridendo con sottile ironia britannica,
“non avendo avuto l'obbligatorietà di andare
a lezione?” Il 'manager per gli affari esterni' di Summerhill,
presto si risponde, dopo aver lasciato un attimo di attesa:
“La maggior parte degli ex studenti di Summerhill compiono
studi specifici per poter subito accedere a college o a scuole
con uno standard educativo di alto livello, oppure per andare
all'università. Molte volte gli adulti che giungono per
la prima volta a Summerhill, e immagino pure i nuovi insegnanti,
trovano difficoltà ad accettare che i bambini prendano
decisioni proprie, anche quando queste riguardano essenzialmente
ciò che vuole essere la loro vita. Insegnanti e genitori,
possono anche arrivare a non accettare queste loro 'intime e
autonome prese di coscienza'. Magari una di queste situazioni
si verifica quando un adulto o un insegnante conoscendo un bambino/a,
l'osserva, e 'vede' che questo studente ha dei talenti, ma il
bambino/a decide (in maniera 'bizzarra' per un adulto) di non
seguire completamente quelli che possono essere i suoi talenti
e rincorrere invece altri interessi. A Summerhill, ogni persona
decide di seguire ciò che gli è più congeniale
e, quindi, di affrontare qualsiasi tipo di 'carriera professionale'
che più gli aggrada, senza essere influenzato da chicchessia.
Nessun sistema accademico di apprendimento darà ai propri
studenti la possibilità di diventare un essere umano
che sa amare, che sa far crescere una famiglia o che è
integralmente soddisfatto nei propri bisogni emozionali. La
scuola invece ha bisogno di concentrarsi su quelli che sono
i desideri dei bambini/e e di appoggiare in toto lo sviluppo
delle emozioni che scaturiscono da essi/e, perché questo
è il fattore più importante dell'apprendimento
che ci consente di definirci 'esseri umani'.” “Sfortunatamente”
continua il nipote di Neill, “il nostro sistema scolastico
non si è attrezzato per questo... Gli insegnanti sono
così concentrati nel 'comprimere' le informazioni nelle
teste dei bambini/e che si sono dimenticati la cosa più
importante: la realtà e la vita dell'emozione. Se noi
vogliamo vivere in pace, felicemente con i nostri compagni esseri
umani, la cosa più importante da imparare è lo
sviluppo delle qualità di rapporto collegate alla comunicazione,
alla compassione, all'avere rispetto di se stessi e degli altri,
al saper assumersi responsabilità e al consolidamento
di un buon senso di giustizia.
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La fantastica terra libertaria di Urupia |
Prima la felicità
Solo in un secondo momento allora ci si può preoccupare
di 'quello che vorremmo fare da grandi': di diventare politici,
avvocati, scrittori, artisti, artigiani ecc. L'apprendimento,
ripeto, è parte naturale e spontaneo della nostra vita,
se esso viene accompagnato da una radicale possibilità
di scelta. Qualcuno di noi magari diventerà un neurochirurgo,
un matematico, ma altri preferiranno semplicemente coltivare
frutta o diventare falegnami. Tutti noi, nel corso degli anni
mutiamo per quel che concerne le nostre aspirazioni e
i nostri bisogni e il sistema educativo deve riflettere questa
possibilità di continua variazione e non escluderla a
priori. Il modo con cui noi stessi impariamo,
si sviluppa attraverso la pratica della libertà,
la capacità e la possibilità di scegliere e di
fare degli errori. I bambini/e sono perfettamente capaci
di prendere decisioni e d'imparare, anche attraverso quelle
che sono le conseguenze erronee eventuali di questi. Essi hanno
bisogno di tempo per poter giocare ed esprimere
queste necessità di crescita e, soprattutto di essere
felici. Noi adulti, dunque dobbiamo saper costruire questo
ambiente per i giovani studenti. A Summerhill noi crediamo
profondamente che prima arriva la felicità come
sviluppo emozionale dell'essere umano, e poi viene la
scelta riguardante la costruzione del proprio progetto di vita.
Sono già novantatré anni che Summerhill attesta
pubblicamente che 'i bambini/e possano essere considerati a
pieno titolo soggetti degni di fiducia', e che possano dunque
prendere decisioni autonome per ciò che riguarda il loro
futuro e le loro scelte fondamentali di percorso. Quando ai
bambini viene riconosciuto tutto questo, essi crescono con equilibrio
in una atmosfera di entusiasmo generativo per ciò che
fanno, confidano in loro stessi e mantengono viva la curiosità
d'imparare. Ciò che ha pensato e scritto Alexander Neill,
mio nonno, come motto di questa lunga esperienza educativa e
sociale, rimane ad indicazione di quello in cui crediamo: da
Summerhill è meglio che esca << una persona
felice che farà lo spazzino, piuttosto che un nevrotico
futuro Primo Ministro. >> E questo è il sentimento
che ancora echeggia nella Summerhill di oggi.”
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Urupia. La pioggia aiuta i giochi |
Un'impagabile opportunità d'apprendimento
Dopo il lungo e intenso intervento di Henry Readhead, il V
Convegno della REL ad Urupia offre la presentazione di ciò
che 'a casa nostra' potrà essere il cammino di una giovane
comunità educante in partenza a settembre, con il nuovo
anno scolastico, proprio dalle terre pugliesi. Ad intervenire
a riguardo è Thea, portavoce del progetto educativo e
comunarda di lunga militanza che, con molta spontaneità
ed umiltà afferma: “Credo che si potrà parlare
di realtà educativa ad Urupia, nel momento in cui questa
effettivamente esisterà. Comunque essa esprimerà
i tratti salienti che fino ad ora abbiamo ascoltato avere comunità
educative vecchie e giovani e che sono risultati evidenti dalle
testimonianze uscite da questa 'due giorni di incontri e laboratori.'
Comunque l'Utopia che si concretizza è sempre presente
ad Urupia. Si può dire che l'idea di un percorso legato
all'educazione, senza nominare la 'scuola' in senso stretto,
nasce anche un po' con la Comune, quindi parliamo ormai di vent'anni
fa. Già nei suoi intenti Urupia aveva quindi quello di
creare un altro tipo di cultura, un altro tipo di relazione
tra le persone sul territorio e di portare all'interno della
Comune un percorso che non fosse connesso solo ed esclusivamente
a quello delle comunarde che ne facevano e che ne fanno parte,
ma anche a tutte quelle realtà, fonti e stimoli che la
Comune poteva incontrare sul suo cammino.
Urupia nasce già come progetto con delle caratterizzazioni
molto specifiche, di cui se ne è parlato in questi giorni
e che vengono anche applicate in molte realtà educative
libertarie, quindi il fatto che noi abbiamo deciso fin da subito,
di rapportarci all'interno della nostra realtà in un
ottica anti-autoritaria, orizzontale, non gerarchica e, basando
tutte le nostre decisioni sul principio del consenso, e praticandolo
fattivamente fin dalla fondazione della Comune, riporta a tanto
di quello che abbiamo sentito durante il V convegno REL.”
Thea, finalmente 'sbloccatasi' dall'emozione iniziale, sottolinea
che “la 'scuola' nello specifico, prende una caratterizzazione
più chiara, più netta, perché comunque
è rivolta non tanto e non solo ai bambini/e che vivono
all'interno della Comune e che sono figli/e delle comunarde,
ma è anche rivolta ed aperta ai bambini/e del territorio.
La nostra idea era quella di partire con la 'Materna'; al momento
ci sono quattro bambini maschi che sono interessati in prima
persona ad affrontare questo tipo di percorso e strada facendo
vedremo come si riuscirà ad attirare l'attenzione di
altre comunità famigliari.” Nell'intervento, Thea
mette in rilievo che il progetto di comunità educante
all'interno della Comune è, nella specificità,
una ulteriore 'apertura ed offerta' al territorio del Salento.
A questo riguardo è importante ricordare che Urupia il
prossimo anno compirà ben venti anni di pratica attiva
in Puglia e che il sostegno che essa ha ricevuto in questi lunghissimi
anni di attività, è arrivato principalmente da
luoghi 'lontani' rispetto alla sua presenza fisica nel sud dell'Italia:
infatti, grosse campagne di sostegno ed aiuto che hanno 'dato
una mano' alla Comune a continuare la propria attività
territoriale, si sono avute nel tempo, sia in Germania che nel
nord Italia. Questo progetto 'nuovo' dunque, sposterebbe l'asse
della solidarietà finalmente nelle terre del meridione,
grazie anche ad una cospicua rete di contatti e relazioni che
la Comune è riuscita a tessere in questo lungo periodo
di attività. Una serie di incontri partiti a febbraio
di quest'anno, con l'intervento di più figure che operano
nell'ambito dell'educazione libertaria e il V Convegno nazionale
svolto proprio all'interno della Comune, sono state perciò
iniziative intelligenti e coerenti d'azione diretta, che consolidano
a livello di testimonianza, la volontà di relazione con
le complessità di percezione ed attuazione di “cammini
altri” nel territorio salentino e pugliese. Il contesto
materiale e storico di Urupia, fatto di campi lavorati, alloggiamenti
collettivi, laboratori e strutture agricole in costante attività,
fornisce ai futuri bambini/e e ragazzi/e che frequenteranno
il cammino di studi auto-formativo, quel 'in più' che
la maggior parte delle altre realtà educanti libertarie
non hanno, cioè il fatto di stare in un ambiente dove
da anni si “vive” integralmente la Comune, con i
suoi ritmi e le sue pratiche sociali e, dunque, tutto ciò
che già esiste e che è stato organizzato con dedizione
nel tempo, non è un qualcosa di “costruito”
appositamente per gli studenti ma è appunto “quotidianità
reale” di una scelta che si è materializzata nell'impegno
costante. E questo fattore, per un giovane che cresce è
un'impagabile opportunità d'apprendimento.
Giulio Spiazzi
giuliospiazzi@gmail.com
Intervista ad Agostino Manni della Comune di Urupia
Per contestualizzare maggiormente il V Convegno Nazionale
della REL svoltosi ad Urupia, si è ascoltata la voce
di chi, quasi vent'anni fa', ha messo “mente-anima-corpo”
nell'edificazione della Comune del Salento: Agostino, uno dei
primi fondatori del progetto.
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Agostino Manni uno dei fondatori di Urupia ascolta con attenzione Henry Readhead. Un piccolo-grande sogno che si realizza ad Urupia |
Qual è lo “stato attuale delle cose”
di questa realtà agricola particolare, che ancora oggi
costituisce uno dei principali punti di riferimento locali e
nazionali in materia di “partecipazione attiva”
al “fare libertario”?
“Quello che abbiamo fatto in questi vent'anni è
sinteticamente sperimentabile da tutti attraverso il 'giro'
di visita che facciamo fare agli 'ospiti' che ci vengono a trovare.
Questa 'camminata illustrativa' tra i campi serve per cogliere
come è nato il progetto, per comprendere quali erano
le istanze del 'gruppo fondatrice delle comunarde', che cosa
abbiamo realizzato, quali sono stati e sono i suoi punti problematici,
insomma che cosa è successo in questi venti anni. Da
qui, si capisce come siamo organizzate [Agostino a tal riguardo
usa il 'femminile' n.d.a. ].
A tal proposito, solitamente porto prima le persone sul tetto
per vedere le “cose in prospettiva” e poi facciamo
un giro nei laboratori o negli impianti, negli spazio socio-culturali,
perché arrivando ad Urupia, oggi uno trova una realtà
'già fatta' ma, non può, non riesce ad immaginare
quale sia stato il percorso di questi venti anni. E questo non
nel senso banale del dire 'quanto lavoro è stato investito',
cosa ovvia e di secondaria importanza ma, nel senso propriamente
politico della prospettiva di come si possa partire,
come ad esempio con il nuovo progetto educativo che nascerà
proprio qui a settembre, con pochissime risorse, con spazi adeguati
e limitrofi alle altre attività, con una raccolta fondi
tutta da inventare, per finire la ristrutturazione dei locali,
con pochi bambini/e e ragazzi/e ma, come ben 'abbiamo imparato'
dalla nostra esperienza, l'importante è partire.
Quando abbiamo iniziato con Urupia vent'anni fa', non conoscevamo
veramente granché di relativo a tutto questo che oggi
si può vedere, non avevamo soldi ma, dalla nostra c'era
il fatto che eravamo pieni di idee, possedevamo, quello
che si dice, un grande entusiasmo.”
Attualmente, Urupia è ancora un “laboratorio
utopico” che si realizza 'cammin facendo'?
“Guarda, come sempre in questi lunghi percorsi, è
una questione di 'alti e bassi' perché, purtroppo e per
fortuna, come quando 'porti l'anarchia nella pratica, nel
quotidiano' e poi ti devi confrontare col 'quotidiano',
vi sono compagni e compagne che hanno scelto e qui ripeto, purtroppo
e per fortuna, di fare la loro politica fuori dal quotidiano.
Anche noi quando siamo arrivati ad Urupia, abbiamo iniziato
da queste terre proprio perché non ci bastava il nostro
far politica senza il quotidiano. Noi eravamo degli 'anarchici
della domenica', nel senso di 'week-end'; cioè
ciò dipendeva dal fatto che noi durante tutta la settimana
lavoravamo sotto padrone, facevamo la spesa al supermercato,
pagavamo l'affitto alla proprietaria della casa e poi... il
sabato e la domenica andavamo in giro a fare le manifestazioni,
al carcere, piuttosto che in piazza, ad attuare occupazioni
ecc. Insomma, ci sentivamo 'anarchici della domenica' cioè
come chi in sintesi dichiara tutta una serie di idee, che poi
però riesce ben poco a trasferire, nella propria vita
quotidiana. Urupia è nata proprio dalla necessità
di superare questa divaricazione, che era diventata per noi
fondatrici e, quasi per tutte le comunarde fondatrici, insopportabile.
Era dunque diventata una priorità imprescindibile dal
punto di vista politico, perché, è incoerente
andare in giro a parlare di Anarchia e poi, quando ti chiedono
'sì, ma come è fatta?' e tu non sai dare
indicazioni... Guardiamo invece ad esempio il campo delle scuole
libertarie: Summerhill, esiste dal 1921, pratica da novantatré
anni... centinaia e centinaia di ragazzi sono passati e continuano
a passare da lì... sono entrati nei mestieri di tutta
la quotidianità, da giovani sono diventati uomini/donne
e ora anziani/e...,il loro motto sullo 'spazzino felice e sul
ministro nevrotico'...insomma per me, è una massima di
vita, è una filosofia, una prospettiva di lungo cammino.
E poi c'è questo dato che si può dire: “Neill
l'ha fatto nel 1921 e oggi qui, arriva suo nipote. Oppure 'lo
hanno fatto nel '36 in Spagna' e poi tre eserciti fascisti e
due democrazie lo hanno represso nel sangue e poi dopo non ci
ha provato più nessuno...Insomma questo per dire che
calare l'anarchia nel quotidiano, ha un altro impatto! Certamente
l'entusiasmo ha bisogno di essere alimentato, per mantenersi
deve appoggiarsi a dei risultati e non ha un andamento lineare,
va' per alti e bassi. Io stesso in questi vent'anni mi sono
chiesto tante volte, come penso, capiti a chi mette in piedi
delle scuole libertarie: 'ma chi me lo ha fatto fare?' Però
ciò è naturale e poi, quando vedi una situazione
del genere, essa ti ripaga di tante difficoltà e di tanta
fatica. Anche perché Urupia è diventata una comune
agricola e noi siamo 'conosciuti' in certi circuiti come
quelli dei 'GAS', il 'critical wine' ecc. per questo, perché
facciamo il vino, l'olio e perché lavoriamo in campagna.
Ma in realtà, quando noi siamo partiti come Comune, non
avevamo la più pallida idea di cosa sarebbe accaduto.
Sapevamo cosa volevamo fare a livello politico ma, non era nelle
nostre intenzioni ad esempio, parlo per me, diventare un 'agricoltore'.
Noi eravamo degli 'animali politici', gente abituata ad organizzare
raduni ecc., non 'avevamo in mano i mestieri'... Solo io e alcuni
altri avevamo a che fare un po' con i cantieri edili e così,
ci immaginavamo di andare a ristrutturare in giro gli edifici
per guadagnare denaro da investire nel progetto. Oppure c'era
chi voleva e sapeva lavorare le ceramiche.
Ma non esisteva a priori l'idea di diventare una comune agricola
come è oggi. Si dava comunque molto spazio alle attività
culturali, attività che in qualche modo avrebbero trasmesso
in maniera diretta un certo tipo di idee e un certo tipo
di messaggio. Insomma, per me vale molto di più questo
lavoro da 'talpa', molto meno evidente, che non si nota, che
gridare in piazza a squarciagola slogan come avevo già
fatto in passato. Dopo quasi vent'anni di Urupia, sappiamo dunque
bene cosa voglia dire 'comunità auto-educante', la cosa
che maggiormente mi commuove è che proprio agli inizi,
nei 'seminari' cioè negli incontri che abbiamo svolto
nei tre anni che precedettero la formazione della Comune, noi
parlavamo di educazione libertaria ma, poi quando siamo arrivati
a mettere le mani nella terra, siamo stati rapiti dai lavori
in campagna, dalle ristrutturazioni delle case, dalla produzione
del cibo. Ci siamo soffermati a prendere decisioni importanti
sul 'come' produrre, sul 'come' trattare il suolo, sul che tipo
di messaggio passare attraverso i nostri prodotti, per cui decisioni
consensuali su cose concrete, sul pane, il vino, l'olio che
politicamente sono il 'miglior volantino' propagandistico da
dare alla gente. Per me e per Gianfranco che è l'unica
persona che ancora vive qua e che ha partecipato proprio a quella
fase propedeutica di formazione di Urupia, tra mille discussioni
e proposte, la scuola libertaria rappresenta un punto di partenza
che è anche un punto d'arrivo e la realizzazione di un
sogno.”
G.S
Intervista a Gianfranco Manni della Comune di Urupia
Gianfranco è, assieme ad Agostino, uno dei fondatori
della prima ora della Comune agricola del Salento. Oltre a questo
fatto e al doveroso riconoscimento di tutti gli anni spesi “a
tutto tondo” nella concreta “invenzione e materializzazione
di questa utopia”, Gianfranco, va detto, è anche
uno degli ottimi pizzaioli di Urupia. Dopo il lungo e dedicato
lavoro di ristorazione compiuto per soddisfare i numerosi partecipanti
del V convegno REL, si concede alcune battute per parlare del
passato e delle prospettive future, a ridosso del forno ancora
in funzione.
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Gianfranco Manni uno dei fondatori di Urupia al posto rifornimento pizze. Cuore, sensibilità, impegno costante per continuare a praticare l'Utopia |
“L'inizio prossimo futuro delle attività della
scuola libertaria ad Urupia, è per me, la realizzazione
di un altro sogno, di un'altra utopia. Questo perché
Urupia è nata dal lavoro, dalle idee e dai bisogni di
un gruppo di persone che in un qualche modo voleva creare alternative
al modello sociale dominante e, sappiamo bene che il mondo va
cambiato trasversalmente e non solo in qualche suo aspetto,
del tipo, lavorativo oppure solo della scuola, o rispetto agli
anziani, secondo me, dunque è una questione trasversale,
cioè, bisogna rivedere veramente tutto. Per me dunque
personalmente, le mie idee politiche legate al movimento anarchico,
mi hanno fatto capire da subito che si può partire anche
dall'educazione e dalla scuola. Sai, io ho questa immagine
del 'grembiule' che si usava e che si usa tutt'ora.
Per me, è la 'prima divisa' che ci mettono addosso e,
la divisa, significa autoritarismo oppure omologazione.
La critica a questo stato di cose è la radice di Urupia
e, ciò è stato fin dall'inizio. Da subito, mi
sono quindi preoccupato di lavorare nell'educazione con i bambini/e,
organizzando le prime forme di campeggio estivo della Comune.
I bambini/e fanno parte della società e io vorrei che
anche per loro il mondo fosse migliore e non solo per me. Quando
facevamo i 'seminari' organizzativi del progetto Urupia, dove
si scandagliavano tutta una serie di aspetti della vita di ognuno
di noi, da quello economico a quello lavorativo, all'ambito
relazionale, alla comprensione delle differenze e delle diversità
ecc., naturalmente è uscito il discorso 'scuola'. Già
da allora dunque abbiamo sempre tenuto in considerazione il
fatto che nel progetto 'dove volevamo vivere noi', proprio nel
luogo fisico, ci doveva essere pure un 'laboratorio alternativo
dedicato all'educazione'. “
Adesso che vi siete “radicati” ad Urupia da
diciannove anni (fatalità la ricorrenza scatta ogni 1°
maggio) in una situazione di continuità d'impegno, calata
nelle difficoltà inevitabili della 'militanza giornaliera',
come verrà secondo te recepita dall'ambiente limitrofo
alla Comune, l'apertura di una “scuola” libertaria?
Secondo me, risulterà essere un 'valore aggiunto' al
progetto stesso e al territorio. Lavorare e stare con i bambini
non significa per forza “insegnare” loro a studiare
o a far fare delle cose. Per me è uno 'scambio' e così
anche per gli adulti sarà un momento di crescita di interrelazione
tra persone diverse anche in età. Ricevere qualcosa da
un bambino/a di cinque, dieci o quindici anni sarà un
momento importantissimo per tanti di noi adulti. Vi saranno
senz'altro momenti intensi di crescita comune per noi e per
chi ci sta' attorno. Parteciperanno senz'altro Matteo e Tobia
i miei due figli di nove e cinque anni che accompagnerò,
come genitore a crescere, seguendo chiaramente delle scelte
di vita principalmente politiche.
E se un giorno venissero qui alcuni bambini/e della scuola
a chiederti di accompagnarli/e a 'fare il pane'?
Gianfranco sorride soddisfatto. “Mi sto' già preparando.
'Accompagnatore fornaio', sarebbe fantastico! “
Potrebbe essere un elemento prezioso attuabile, di quella
'educazione integrale' auspicata in svariate teorie libertarie...
“Certamente! Nella mia formazione politica dagli anni
'70 e '80, ho sempre contemplato Ivan Illich e Alexander Neill
ed ho sempre pensato che ciò che dicevano e facevano
loro, si poteva prima o poi farlo scendere sul terreno della
pratica anche qui da noi. Per me quindi è una conseguenza
naturale estendere ciò alla nostra comunità educativa.”
Considerando che citi Summerhill, che cosa hai provato
oggi quando hai visto arrivare ad Urupia, proprio il nipote
di Alexander Neill, Henry Readhead?
A Gianfranco gli si illuminano subito gli occhi. “Proprio
ora ho detto a un mio amico che nel 1982 lessi un libro [il
noto: 'I bambini felici di Summerhill' n.d.a.] che parlava di
una scuola in Inghilterra, Summerhill appunto, che mi entusiasmò
a tal punto da regalarlo successivamente a tante altre persone
che via via incontravo e, che parlava appunto delle pratiche
educative libertarie in cui erano coinvolti i bambini e le bambine
di quella scuola. Ebbene, ho appena detto a questo amico con
emozione: 'sai che uno di quei bambini felici è qua?'
Proprio ad Urupia? Per me, qui si sta' chiudendo un cerchio,
anzi, io 'lo lascerei aperto' a dir la verità, però,
tanto per intenderci sono quelle cose che tu le insegui per
una vita e poi, quando meno te l'aspetti, riesci a prenderle
al volo. Sono veramente emozionato, tra l'altro dorme proprio
di fianco a me su nella zona notte... ah, ah, ah”, afferma
Gianfranco sorridente.
G.S.
A colloquio con Henry Readhead, nipote di Alexander Neill
Se non erro, tuo nonno Alexander era scozzese?
“Sì. Lui era uno scozzese “doc”, in
tutti i sensi. Io ho solo 'un quarto' del suo sangue”.
Sorride Henry divertito.
A Summerhill, è rimasto qualche 'retaggio' tipicamente
“Scottish”?
“Summerhill è ormai internazionale, e ciò
che di scozzese sopravvive nella nostra comunità educativa
quasi centenaria, riguarda senz'altro il ricordo di mio nonno
Alexander e probabilmente una forte sensibilità sociale
tipica della sua terra natia. Ma in questo momento particolare
della storia del Regno Unito, preferisco non commentare”.
Sottolinea Henry con sottile ironia.
Attualmente come viene vista Summerhill dal contesto educativo
ufficiale, considerando che ha quasi cento anni di attività
alle spalle? La vostra realtà educativa è a tutt'oggi
etichettata come “sperimentale”?
“Sì, ancora oggi Summerhill appartiene alla 'branca
sperimentale' dell'Istruzione del Regno Unito, e quello che
mi sorprende è che essa vi rimarrà così
sancita, per ancora altri cento anni. Spero di no, ma da noi
è difficile cambiare visuale di giudizio. Dal punto di
vista del nostro Governo, l'educazione in genere e per il prossimo
futuro, viene percepita ancora come proiettata 'molto lontana
dal modello educativo attuato a Summerhill'.
Lo stato mira a inserire i giovani in ambienti prettamente accademici,
dove vige la ferrea legge delle 'statistiche'. Credono ancora
negli esami, vogliono che le future persone vengano 'formate'
in modo appunto formale ed accademico proprio perché
non riescono a cambiare prospettiva progettuale. Per il Governo
'educazione accademica' rimane sinonimo di 'sicuro successo'
imprenditoriale. Noi invece pensiamo che sia importante che
ognuno abbia la possibilità di 'trovare felicemente se
stesso in ciò che gli piace fare', che possa prendere
autonomamente le proprie decisioni per quella che sarà
la sua prospettiva di vita, e così la felicità
nelle proprie scelte, per noi costituisce il suo reale 'successo'.
Il fatto di essere molto ricchi, di possedere una grande quantità
di denaro o di avere 'successo in questo tipo di società',
per noi non ha grande importanza. Ecco perché penso che
il nostro stile educativo sia considerato a tutt'oggi dalle
autorità come “molto lontano” da ciò
che vogliono loro.
Una buona cosa per Summerhill è accaduta nel 2000 quando
abbiamo portato a giudizio il Governo perché, quando
vennero precedentemente a 'ispezionare' Summerhill avrebbero
dovuto prima informarsi sulla 'filosofia di Summerhill' e tenerne
dunque conto nelle loro relazioni. A tal proposito erano tenuti
a venire con un professionista capace di comprendere ciò
che avevamo da tanto tempo messo in campo. Una volta ottenuto
questo per decisione del tribunale, l'ispezione venne effettuata
positivamente proprio perché qualcuno conosceva approfonditamente
le nostre pratiche. L'ispezione risultò dunque positiva
perché Summerhill si dimostrò essere quello che
Summerhill in effetti è e non per ciò che il resto
dell'Educazione nel nostro Paese esprime. In questo senso”
aggiunge sorridendo Henry Readhead “non penso che a tutti
gli esaminatori Summerhill sia piaciuta tanto, ed in effetti
al Governo ancora non siamo così ben graditi, ma ora
essi devono pensare bene cosa devono fare prima di venire nuovamente
a 'visitarci'. Comunque, proprio perché l'indirizzo dell'educazione
governativa va tutt'ora in senso opposto a quello di Summerhill,
molta gente ci guarda e ci ricerca proprio come una buona possibilità
educativa 'altra'. Per cui, spero che le 'pressioni' statali
nei nostri confronti, col tempo si attenuino.”
Hai qualche ricordo particolare di tuo nonno Alexander
Neill?
“Ho vissuto al cento per cento i suoi insegnamenti che,
amorevolmente Zoe, sua figlia e mia madre mi ha messo a disposizione
nel corso della mia auto-formazione. Io nacqui nel 1977 ed Alexander
purtroppo morì agli inizi dei '70, così non fece
in tempo a vedermi. All'interno della nostra famiglia, Alexander
viene ricordato come una persona estremamente amorevole, delicata,
dotata di un genio intuitivo assoluto. Dicono che a me siano
'passate' fisicamente le sue mani.”
Da lì forse parte la tua carriera di musicista?
“Probabilmente sì”, afferma Henry sorridendo
“è una buona 'eredità', ma, non riuscirò
mai ad eguagliare le sue doti. Comunque Summerhill, ci insegna
questo: ognuno viva felice ciò che è, ed io sono
contento di quello che sono, nella vita e nel lavoro sono cento
per cento me stesso.”
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Henry Readhead sorride al motto del nonno Alexander Neill |
Qual è la vostra percezione di come venite vissuti
nel Regno Unito o altrove da parte del diversificato movimento
per l'educazione libertaria, considerando appunto la vostra
quasi centenaria militanza?
“Sappiamo di essere stati e di continuare ad essere 'fonte
d'ispirazione' per tanta gente e per tanti gruppi, sia da noi
che nel resto del mondo. Attualmente non abbiamo le forze, per
traghettare ulteriormente le nostre idee e pratiche di 'lotta
educativa' all'esterno di Summerhill; siamo molto assorbiti
nel lavoro che svolgiamo, molto affaticati, ma questo è
normale e mia madre Zoe comincia ad essere anziana e non ha
bisogno di ulteriori 'grane' rispetto a quelle che dobbiamo
continuamente affrontare. Comunque il fatto di fungere ancora
e in maniera continuamente rinnovata, come punto di riferimento
per le scuole libertarie di ogni dove, ci lusinga e ci rafforza
nella 'tenuta' e nel continuare ad essere ciò che siamo.
Attualmente comunque il nostro principale obiettivo è
quello di concentrare tutte le nostre forze su Summerhill. Summerhill
è in cammino da novantatré anni e ci auguriamo
tutti che essa possa proseguire il suo e direi, 'nostro', percorso
educativo per almeno altri cento anni di vita. Per me questo
è sufficientemente importante. Stiamo ancora battagliando
con il Governo della Corona, oppure ci scontriamo con la stampa
e, dunque, siamo sempre sul 'chi vive'.
Capitemi, è difficile che qualcuno di loro venga da noi
a dirci 'oh che bello, state facendo un lavoro eccezionale ed
importante, per cui, forza ragazzi continuate così...'.
È esattamente l'opposto. È molto più facile
sentire 'Oh, Dio, ancora quella spazzatura, continuate con queste
storie di una educazione differente... ecc.' e così
battagliamo in continuazione con tante situazioni. Comunque
io intimamente supporto e comprendo il bisogno di portare l'educazione
libertaria alla gente. Penso che sia realmente una 'grande'
cosa da continuare a fare e, mi piacerebbe avere più
energie per impegnarmi in questo, ma attualmente io e noi stiamo
già combattendo tenacemente, per mantenere in vita Summerhill
e questa 'continuità che fa storia' è già
una forma potente di resistenza.”
Questa 'resistenza' di cui parli potrebbe essere associata
alla storia relativamente breve delle realtà educative
libertarie italiane?
“Assolutamente si! Stare su un territorio, in un contesto
civile e sociale per una decina d'anni, vuol dire già
'fare storia dell'educazione libertaria', e questa è
per me la via migliore da praticare. Se noi battagliamo duramente
con le istituzioni, le sfidiamo, loro, che sono più forti
ed hanno più mezzi, risponderanno con un maggior grado
di durezza. Si tratta dunque di 'continuare ad esistere con
coerenza', evitando il più possibile, quando si può,
scontri frontali eclatanti che non portano altro che alla distruzione
di un percorso e, al contempo risulta necessario testimoniare
nella durata, ciò in cui si crede e per cui ci si impegna
con forte passione.
La filosofia e le vedute educative di Alexander Neill ci insegnano
che quella è la strada che noi vogliamo percorrere. Ma
Summerhill, in quanto organismo in continuo confronto, esprime
pure una propria ulteriore visione educativa 'esportabile in
altri contesti' e, proprio per questo non è un caso che
abbia avuto così tanto successo per ben novantatré
anni. Queste idee piano piano penetrano anche nella società.
Molti problemi dell'educazione di stato e del tipo di società
che abbiamo adesso potrebbero essere risolti proprio attraverso
la pratiche attuate da tempo a Summerhill. Per me, dunque, risulta
estremamente importante continuare a diffondere le idee di Alexander
Neill, estendere i suoi pensieri a riguardo dello sviluppo sociale,
emozionale, mettendo in luce le sue visioni di uguaglianza ed
estrema fiducia nel fare dei bambini/e. Il mio e nostro compito
è così quello di non far recidere a chicchessia
il tenue filo che ci tiene tutti uniti o collegati nel costruire
un altro tipo di educazione e nel continuare coraggiosamente
a rafforzare questo legame, per far vivere nel tempo Summerhill.”
G.S.
Altre voci da Osimo a Genova
Mareggen di Genova e Serendipità di Osimo, sono due giovani
realtà aderenti alla Rete nazionale, presenti al V Convegno
REL di Urupia: Mareggen con Mara, è al terzo anno di
percorso con una comunità educativa che attualmente segue
un profilo “itinerante” in spazi (anche pubblici)
fissati periodicamente, mentre Serendipità di Osimo (che
a settembre inizierà anch'essa il cammino della primaria),
con Emily e Veronica, è al secondo anno attivo di percorso
(nella scuola materna) in un contesto “bucolico”
posto sulle aggraziate colline marchigiane. Queste due comunità
educanti, rispondono con la concretezza del fare, al tema dell'incidentalità,
mostrando il loro agire particolare, come incontro autentico
con la realtà quotidiana d'imprevisto, portata dai bambini/e.
Parla Veronica della “Serendipità” di Osimo.
“A tal riguardo (e questo viene anche proprio dal nostro
nome 'Serendipità', ovvero la sensazione che si prova
quando si incontrano cose inaspettate mentre se ne stanno cercando
altre, e che idealmente lo abbiamo sposato nel suo significato
più pregnante, proprio perché i bambini ci insegnano
questo 'accadere'), la nostra scuola è situata in campagna
e, a seguito di quotidiane passeggiate nei boschi e sulle colline,
molti oggetti e molte occasioni di incontro generano incidentalmente
un forte interesse nei bambini/e. Una volta rientrate, noi raccogliamo
tutte queste 'scoperte', come gli scheletri degli insetti, le
'palle di pelo e piume' lasciate dai rapaci dopo la digestione,
e quindi poi, collettivamente le osserviamo, le disegniamo,
vi disquisiamo sopra ecc., si fanno tanti passi in avanti, assieme,
sulla strada dell'auto-apprendimento.
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Veronica (a sinistra) e Emily di Serendipità Osimo |
Abbiamo trovato delle ossa e con queste i bambini/e volevano
costruire uno scheletro completo; ciò ci ha portato anche
ad andare in biblioteca per prendere una serie di testi sul
mondo animale. Pur essendo testi di carattere scientifico è
stato bello vedere l'interesse di questi piccoli studenti di
quattro-cinque anni, tutti all'opera con interesse per costruire
questo scheletro e, alla fine ce l'hanno fatta. Anche la morte
in sé viene dunque affrontata tranquillamente come uno
degli eventi naturali, personali e famigliari della vita, dai
quali si possono trarre insegnamenti costruttivi.”
Mara di Mareggen interviene attraverso la sua esperienza educativa
genovese, collocando l'incontro con l'incidentalità come
una “possibilità di vivere il presente anche nell'assenza
di una progettazione. Io la vedo molto proiettata nei riguardi
di un ambiente 'esterno'. Mareggen nasce tre anni fa ma quest'anno
abbiamo scelto di creare un'esperienza educativa semi-itinerante,
e quindi a tutti gli effetti i bambini/e hanno dei punti di
riferimento con alcune 'strutture' che sono però intrinsecamente
collegate con l'ambiente esterno [ad es. spazi civici nell'area
pedonale del porto di Genova, n.d.a.]. Il viversi quotidianamente
nell'ambiente esterno, dà molte possibilità d'espressione,
di scelta e di libertà, nell'incidentalità. Nel
senso che il bambino/a che esce per strada, non sa che cosa
potrà trovare in essa, in quel momento e in quel giorno
e perciò l'accompagnatore dà molta fiducia al
giovane che auto-apprende e alla sua possibilità di crescere
attraverso la 'scoperta', le sue intime osservazioni.
Il bambino/a 'inciampa' in ciò che sperimenta: vede l'operaio
che lavora, scopre nelle vie del porto una falegnameria ecc.
e da lì nasce proprio l'interesse specifico nell'approfondire
una realtà piuttosto che un'altra. Da questo 'incidente
del qui ed ora' può nascere un lavoro su un sapere che
man mano diventa sempre più strutturato. Ed il bello
è che accompagnando bambini/e diversi/e, non è
riproponibile la medesima cosa successivamente, in quanto varia
a seconda della sensibilità di chi è messo in
gioco dal momento, dalla situazione e dalla scoperta. Se la
scuola tradizionale è basata su una programmazione che
si ripete ogni anno uguale, indipendentemente dal gruppo di
bambini/e presenti, l'incidentalità dà invece
valore a quello che interessa realmente e in quel momento preciso,
al bambino. Essa 'guarda' da che cosa è attirato e anche
alla modalità con cui è attirato. Un'uguale
domanda su un soggetto incontrato può far scaturire interessi
diversi in differenti osservatori e così bambini/e e
accompagnatori sviluppano nella fiducia reciproca, percorsi
individuali oltre che collettivi, ritagliati sulle personalità
e capacità messe in gioco senza giudizi od obblighi di
risposta.”
Giulio Spiazzi
giuliospiazzi@gmail.com
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