A bordo vasca/
Considerazioni di un istruttore di nuoto
Si parla spesso della figura dell'educatore all'interno della
scuola o della famiglia, ma mai in relazione ad attività
diverse, quali scuole di calcio o corsi di nuoto. Si fanno spesso
analisi sulla scuola; essa, così com'è, non è
altro che madre di futuri schiavi del lavoro e del consenso.
Essendo istruttore di nuoto, vorrei addentrarmi dunque in questo
settore per dimostrare come il sistema-scuola sia un sistema
ben più ramificato.
Da poco più di quattro anni insegno in una scuola nuoto
genovese; ho scelto questo percorso perché sono cresciuto
in piscina ed ero interessato ad insegnare ad altri lo sport
che per anni ho praticato e sopratutto per lavorare con i bambini.
Sapevo benissimo che insegnare nuoto non sarebbe stato facile,
ma ciò che non avrei mai pensato di dover fare era di
essere un punto di riferimento educativo dei bambini durante
i miei corsi e sopratutto cominciare ad analizzarmi come figura
pedagogica.
I corsi nuoto sono così strutturati: vi è un maestro
e vi è un alunno che deve imparare. Bisogna capire innanzitutto
chi è l'istruttore, se svolge il proprio lavoro perché
gli piace insegnare o per guadagnare due soldi, anche se purtroppo
spesso è così.
Questo deve insegnare a nuotare ai propri allievi, deve insegnare
un qualcosa che non è naturale per i bambini. Spesso
per svolgere questo suo compito egli fa ricorso all'autorità:
impartisce un comando, l'allievo ubbidisce e copia il movimento
che viene mostrato senza che ne capisca il motivo e l'utilità,
con il minimo sforzo dell'insegnante.
Una prima differenza di ruoli tra allievo e maestro la si ha
con le relative posizioni, chi comanda è in piedi a bordo
vasca e chi deve nuotare dentro l'acqua. Spesso si pensa che
questa sia dovuta forzatamente alla conformazione della piscina,
ma non è totalmente vero. Sedersi sul bordo è
un modo molto banale per ovviare a ciò; ci si bagnerà
ma il bambino sente che gli sei vicino, che puoi condividere
le sue difficoltà, non ti vede come un essere supremo
ma come un compagno. Purtroppo i dirigenti delle piscine non
amano questo modo di fare, in quanto poco professionale.
L'insegnante è un educatore; si è a bordo vasca
sia per insegnare a nuotare sia per insegnare il rispetto verso
gli altri, e ciò ultimamente è sempre più
necessario. È necessario catturare la fiducia e l'attenzione
del bambino, che è la parte più difficile del
corso; non si può pensare di farlo stando distaccati
e considerando che ci sia una differenza tra istruttore e allievo.
Spesso si vedono maestri che rispondono in modo secco e freddo
al bambino, come per dire che non interessa niente della vita
del fanciullo: molto sbagliato. A noi deve interessare tutto
ciò che l'allievo fa nella vita, cosa ha fatto a scuola,
se si diverte con gli amici, se ha problemi in casa, perché
in questo modo sai chi ti trovi davanti in quel momento. Giornata
negativa? Il bambino ha bisogno di sfogarsi e probabilmente
in acqua sarà su di giri e ti ascolterà meno,
non si può pretendere allora di comandarlo a bacchetta
e ottenere dei risultati; anzi, rischi che indietreggi in ciò
che ha imparato precedentemente. Giornata positiva? Allora sai
che sarà più attento e potrai lavorare sulla tecnica
e la precisione della nuotata.
É sempre più difficile lavorare vedendo il comportamento
che molti hanno verso i bambini e ragazzi, considerati come
soldati che devono andare alla guerra (sperando non lo diventino
in un futuro prossimo).
Non è detto poi che il problema sia l'istruttore. Egli
viene delegato, dai genitori paganti, per fare raggiungere determinati
risultati al proprio figlio e nel caso questi non vengano raggiunti,
significa, ai loro occhi, che l'insegnante non è all'altezza
del proprio compito. Dunque questo inizia il proprio lavoro
con il timore, spesso inconscio, di non riuscire in ciò
e, di conseguenza, sceglie il metodo più facile e veloce
di insegnamento.
Marco Casalino
Ricordando Joe Cono/
Un calabrese emigrato negli USA
Solo poco tempo fa abbiamo avuto una triste notizia: un caro
compagno e amico della nostra biblioteca, Joe (Joseph) Cono,
si è spento ai primi di aprile del 2013, a Monte Sereno
(California).
Joe, classe 1924, proveniva da una famiglia di origine calabrese
molto povera. Il padre, Domenico, contadino, era emigrato negli
USA dal paese natale, Stefanacoli, e si era stabilito a New
York, dove aveva fatto mille mestieri riuscendo a sopravvivere
e a inviare aiuti alla famiglia (la moglie Caterina e quattro
figli) rimasta in Italia durante tutto il ventennio fascista.
A Stefanacoli, Joe è un ragazzo vivace che compie gli
studi fino al completamento delle magistrali. Nel fervore dei
mesi immediatamente successivi alla fine dell'occupazione nazifascista
e alla fine della guerra si avvicina, tramite un vecchio militante,
alle idee repubblicane e anticlericali. Nel '46 dà vita
nel suo paese al Circolo Repubblicano radunando un gruppo di
giovani. Nel 1947 la famiglia raggiunge il padre a New York.
Joe appena giunto negli USA si iscrive alle scuole serali e
a vari corsi professionali. Tramite Giuseppe Lo Priato, zio
materno, inizia a leggere la stampa libertaria e a formarsi
una discreta cultura politica. Negli anni successivi si trasferisce
nella costa Ovest degli USA, a Los Angeles, dove conosce l'attivista
anarchica Janny Danny, la cui casa è un punto di incontro
per molti compagni. Joe stringe con lei un forte legame di amicizia,
partecipa alle manifestazioni, alle conferenze e alle feste
libertarie, conosce Cesare Giannotti e il figlio Carlo, Bruno
Pedrola, Joe Cocchio, Vecchietti e altri compagni.
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Pisa, primavera 2001 - Joe Cono all'ingresso della Biblioteca Franco Serantini, insieme a Graziella Petronio e Furio Lippi (della Biblioteca stessa) |
Successivamente si trasferisce a Gilroy - ospite nella casa
di due compagni della vecchia generazione: Maria e Sam De Rosa
- e da lì a San Francisco, dove vive la figlia dei De
Rosa e dove frequenta la vivace comunità italo-americana,
fortemente intrisa di ideali anarchici e pacifisti. In quel
periodo lavora dove capita e conosce molti altri compagni della
vecchia generazione come Harry Finck, John “the cook”
(Vincenzo Ferrero), i coniugi Vercellino, Giuseppe Massidda,
Lino Molin. Proprio per seguire un vecchio compagno, Riccardo
Faramelli, che gli insegna il mestiere di muratore, si stabilisce
a Los Gatos. Lì sposa Angie Vercellino dalla quale avrà
due figli. Avvia un'attività di giardinaggio e con l'aiuto
dei compagni si costruisce una casa. Ma la sua passione per
lo studio, i suoi molteplici e variegati interessi culturali
e la consapevolezza - comune a tutti i compagni della comunità
di immigrati - dell'importanza di documentarsi e acquisire conoscenze
per battere il nemico e diffondere il verbo libertario, lo portano
a riprendere gli studi. Pur continuando a lavorare, riesce a
laurearsi in filosofia e poi in sociologia. Per un certo periodo
insegna all'università di San José ma, intollerante
alle regole e alle formalità della vita accademica, lascia
l'insegnamento per tornare alle sue grandi passioni: il giardinaggio
e l'attività politica.
Nel corso degli anni, i compagni più anziani gli lasciano
carte, libri, giornali, foto, ricordi; all'inizio del 2000 Joe
decide di trasferire la parte più importante di quella
preziosa raccolta in Italia, presso la nostra biblioteca. Nel
2006 ha un primo malore, che però non lo fiacca, nonostante
l'età Joe resiste e continua a guardare al futuro ma
un nuovo attacco lo porta via nei primi giorni della primavera
dello scorso anno.
Le compagne e i compagni della Serantini ricordano commossi
Joe, del quale ci manca il sorriso e lo spirito libero, e inviano
un saluto alla sua famiglia.
Biblioteca “Franco Serantini”
Pisa
Dopo Barcellona/
Storie e amori d'anarchie (in Italia)
Dopo Barcellona, lo spettacolo scritto da Sergio Secondiano
Sacchi, che racconta attraverso le canzoni la storia del movimiento
libertario, approda in Italia. Sul palco di Firenze e di Sanremo
artisti da sempre impegnati come Juan Carlos “Flaco”
Biondini, Vittorio De Scalzi, Peppe Voltarelli e Alessio Lega.
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Silvia Comes |
Il 2 marzo a Barcellona è stato un successo. Quella sera
il Teatre Joventut de L'Hospitalet de Llobregat era strapieno
e oltre duecento persone non sono riuscite ad entrare. In sala
ce n'erano più di 600 in attesa di uno spettacolo intitolato
Cançons d'amor i d'anarquia il cui protagonista
principale era il cantautore Joan Isaac, uno dei simboli della
canzone d'autore catalana. La proposta era accattivante e coraggiosa.
Parlare oggi di anarchia in un grande festival come il BarnaSants
– che tra l'altro ha insignito lo spettacolo con il Premio
della Critica 2014 – e in una città che, per quanto
una delle patrie del movimiento anarchico, si è oramai
trasformata in una delle mete del turismo di massa europeo non
è cosa facile. Una motivazione in più c'era. Il
2 marzo ricorrevano i 40 anni dell'assassinio “legale”
di Salvador Puig Antich, il giovane libertario catalano militante
del Movimiento Ibérico de Liberación (MIL) che
fu l'ultimo antifranchista ad essere garrottato dal regime di
Francisco Franco. E sono stati in molti a rendergli tributo,
a ricordarlo e a omaggiarlo quella sera al Teatre Joventut.
Cançons d'amor i d'anarquia è un racconto.
Il racconto di alcuni episodi della lunga vita del movimento
libertario e anarchico. Un racconto fatto di canzoni, ma anche
di immagini, di video e di danza. Un racconto che a Barcellona
si è concluso proprio con A Margalida, la canzone
che nella seconda metà degli anni Settanta Joan Isaac
scrisse per Salvador Puig Antich. Un racconto che non si è
però fermato alla sola Barcellona, ma è approdato
anche in Italia grazie al Club Tenco e a Cose di Amilcare, l'associazione,
nata nel 2012 nella città di Gaudí, che funge
da ponte culturale tra la canzone d'autore italiana e catalana.
Ne avevamo parlato su queste pagine qualche mese fa con un'intervista
a Sergio Secondiano Sacchi, fondatore del Club Tenco insieme
ad Amilcare Rambaldi e di Cose di Amilcare insieme a Roberto
Molteni e a chi sta scrivendo questo articolo. Con l'approdo
in Italia, Cançons d'amor i d'anarquia si è
trasformata, per dirla in qualche modo, in Storie e amori
d'anarchie. Le lingue sono veicolo di culture e tradizioni,
di storie e di amori, di sofferenze e di passioni. Mai devono
essere barriere. E così è stato, con uno spettacolo
cantato in più lingue e interpretato da artisti di diversi
paesi. Quello italiano è stato un doppio incontro per
queste storie e questi amori d'anarchie. Prima a Firenze e poi
a Sanremo.
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Peppe Voltarelli e Olden |
Italia, Spagna, Francia, Argentina e Stati Uniti
Nel capoluogo toscano per il concerto del Primo Maggio in una
serata targata CGL-Coop, promossa da Sergio Staino. Una serata
emozionante, in cui sono stati consegnati anche i premi “Cavallo
del Lavoro” – tra i premiati anche Francesco Guccini
–, con la sala dell'Obihall gremita. Oltre un migliaio
di persone sulle rive dell'Arno. Storie e amori d'anarchie
si è aperto con una breve performance di danza contemporanea
dell'inglese Julyen Hamilton. Nel mentre le prime immagini venivano
proiettate sullo sfondo e arrivavano le note dell'Inno della
rivolta della Scraps Orchestra. Frammenti dei loro bei dischi,
tra cui il pregiato Il diavolo a mezzogiorno del 2005,
si sono convertite nella colonna sonora dei video musicali che
hanno introdotto ciascuna delle diciotto canzoni che compongono
lo spettacolo. Dei video che, sotto l'attenta regia di Michelangelo
Ricci, hanno tracciato un file rouge in grado di legare
i diversi episodi dell'intera rappresentazione. Episodi che
si svolgono nei cinque paesi che tra Otto e Novecento sono stati
la patria di anarchici e libertari: Italia, Spagna, Francia,
Argentina e Stati Uniti. E così, tra questi paesi e queste
lingue – italiano, spagnolo, catalano, francese e inglese
– si snoda il racconto lungo un secolo, dalla comune di
Parigi del 1871 fino alla strage di piazza Fontana del 1969.
Nel mezzo tante altre storie alcune conosciute, altre meno:
gli incidenti di Haymarket Square del 1886 e la tragica fine
del sindacalista e cantautore svedese, ma americano d'adozione,
Joe Hill; le vicende degli anarchici italiani scacciati dalla
Svizzera a inizio secolo; la figura di Simón Radowitzky,
autore dell'attentato che colpì il capo della polizia
Ramón Falcón responsabile della repressione della
Settimana rossa di Buenos Aires nel 1909; le lotte degli anarchici
argentini della FORA; le peripezie della banda Bonnot; le trincee
della Grande Guerra; Sacco e Vanzetti; la storia della CNT;
i viaggi e le fughe di Buenaventura Durruti; la formazione delle
Milicias Antifascistas durante la Guerra Civile spagnola, il
maggio parigino e il già ricordato assassinio “legale”
di Salvador Puig Antich ad un anno e mezzo dalla morte del dittatore
Francisco Franco.
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Wayne Scott |
Accompagnati da un quartetto di giovani musicisti fiorentini
(Marco Poggiolesi alla chitarra, Leonardo Volo al pianoforte,
Antonio Masoni alla batteria e Michele Staino al contrabbasso),
a ridare vita alle canzoni di tutto un secolo sono state le
voci del chitarrista che ha accompagnato per una vita Guccini,
Juan Carlos “Flaco” Biondini, della voce e anima
dei New Trolls, Vittorio De Scalzi, di Peppe Voltarelli, Alessio
Lega, Joan Isaac, Silvia Comes, Anna Roig, Olden e Wayne Scott.
Memorabile La locomotiva di Guccini interpretata in catalano
dalla brava Silvia Comes, Sacco e Vanzetti cantata a
cappella da Joan Isaac e Olden, Né dio né padrone
di Leo Ferré interpretata da un poderoso Voltarelli,
La canzone del maggio di Fabrizio De Andrè cantata
in francese, catalano e italiano rispettivamente da Anna Roig,
Joan Isaac e Olden, la bella Eight Hour Day interpretata
da Wayne Scott e Miserere Capinere di Mario Buffa Moncaldo
con un De Scalzi da solo, con la sua voce e con un pianoforte.
E un finale emozionante come pochi: sul palco tutti gli artisti
insieme a intonare Here's to you di Joan Baez dedicata
a Giuseppe Pinelli, “morto innocente” 45 anni fa.
Il pubblico in piedi tutto, a cantare con gli artisti.
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Joan Isaac |
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Juan Carlos “Flaco” Biondini |
In piedi, ricordando Pinelli
E dopo Firenze, il 2 e il 3 maggio è toccato a Sanremo,
all'interno di una due giorni sulla riviera ligure segnata da
molti appuntamenti: incontro con gli artisti in mattinata, proiezioni,
conferenze e concerti nelle piazze della città vecchia
al pomeriggio e due spettacoli serali al Teatro del Casinò.
Una due giorni dedicata ad Amilcare Rambaldi, finalmente ricordato
anche nella sua città. Rambaldi non ha bisogno di presentazioni:
geniale organizzatore culturale, raffinato conoscitore della
musica e della canzone, fu l'ideatore nel lontano 1945 del Festival
di Sanremo e poi, nel 1972, fondatore del Club Tenco che darà
vita alla più importante rassegna internazionale della
canzone d'autore ormai arrivata alla sua 38ª edizione.
Il 2 maggio è stata la volta di uno spettacolo intitolato
Cose di Amilcare, che si è diviso in due tempi.
Il primo dedicato a Barcellona, a quello che è stata
e a quello che è ora. Sul palco si sono avvicendati Joan
Isaac, che ha anche duettato con Giorgio Conte, e alcuni giovani
artisti di punta della fertile vita musicale della città
catalana, come Rusó Sala & Caterinangela Fadda e
i Dinatatak, un gruppo che rappresenta molto bene il melting
pot barcellonese. Il secondo tempo è stato invece
dedicato ai Premi Rambaldi. Sul palco due mostri sacri della
canzone d'autore europea: il portoghese Sérgio Godinho
– che nel 1995 fu l'ultimo Premio Tenco della gestione
Rambaldi e che nel 2013, non a caso, è stato il primo
Premio Rambaldi – e Mauro Pagani a cui è stato
consegnato, proprio dal cantore della Rivoluzione dei garofani,
il Premio opera di Marco Nereo Rotelli, un artista che trasforma
la parola in pittura, scultura e luce e che è stato anche
l'autore di tutte le preziose scenografie dello spettacolo.
Il fondatore della Premiata Forneria Marconi e storico collaboratore
di Fabrizio De Andrè, accompagnato da Eros Cristiani
alle tastiere e Joe Damiani alla batteria, ha ripercorso la
sua lunga carriera toccando l'apice con Creuza de mä,
di cui proprio quest'anno si celebrano i trent'anni, presentata
insieme a Godinho, Isaac e De Scalzi. Ma i momenti da ricordare
sono stati molti, come i duetti e le sorprese. Una su tutte:
Perfect Day di Lou Reed interpretata in italiano da Vittorio
De Scalzi. Un'anticipazione di un nuovo disco dedicato al poeta
di Brooklyn a cui sta lavorando l'associazione Cose di Amilcare.
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Tutti sul palco. In ordine da sinistra: Alessandro Certini, Vittorio de Scalzi, Juan Carlos “Flaco” Biondini, Wayne Scott, Olden, Peppe Voltarelli, Anna Roig, Joan Isaac e Silvia Comes |
Sabato 3 maggio, poi, il gran finale con la riproposizione sulla
costa ligure di Storie e amori d'anarchie. Pienissimo
il Teatro del Casinò che ha accolto la rappresentazione
dello spettacolo con qualche piccolo cambiamento rispetto al
primo maggio fiorentino. Non c'era Alessio Lega, Julyen Hamilton
è stato sostituito dal bravo Alessandro Certini nella
performance d'apertura e il quartetto di musicisti fiorentini
è stato sostituito da un quartetto tutto catalano composto
da Enric Colomer al piano, Jordi Camp al basso, Yerai Hernández
alle chitarre e Lluís Ribalta alla batteria. E una novità.
Invece di Vigliacca, la bella canzone di Alessio Lega
dedicata alla Grande Guerra, è stato Olden a riportare
il pubblico alla tragedia dei quattro anni di trincea con un'interpretazione
indimenticabile di O Gorizia, tu sei maledetta. Il ricordo
di molti è andato al Festival dei Due Mondi di Spoleto
del 1964, quando il Nuovo Canzoniere Italiano presentò
la canzone all'interno dello spettacolo “Bella ciao”
e ci furono incidenti in sala mentre Michele Straniero e Fausto
Amodei cantavano O Gorizia tu sei maledetta / per ogni cuore
che sente coscienza / dolorosa ci fu la partenza / e il ritorno
per molti non fu. E un altro finale emozionante. Con il
pubblico un'altra volta in piedi per ricordare Giuseppe Pinelli.
Storie e amori d'anarchie è uno spettacolo necessario
in questi tempi bui e cupi dove la memoria delle lotte passate
è sempre meno presente. Ricordare per non dimenticare.
Ricordare per ripensare il nostro presente e sognare un futuro
diverso.
Steven Forti
Brescia/
Pino Pinelli a scuola
Nel mese di aprile l'Assessorato alla Pubblica Istruzione del
Comune di Brescia, in vista delle celebrazioni per il 28 maggio
(40° anno dalla strage di Piazza della Loggia), ha proposto
ad ogni scuola l'adozione di una vittima del terrorismo realizzando
una formella, da porsi all'interno di ogni edificio scolastico.
Ad ogni scuola è stato assegnato un nominativo, una vittima
da commemorare. Mercoledì 28 maggio la formella che ricorda
Giuseppe Pinelli è stata posta sui muri dell'istituto
in cui insegno a fianco di un elaborato realizzato dagli studenti,
che commemora la strage di Piazza della Loggia del 1974 e ci
rammenta che “La memoria non si cancella”.
Una piccola cosa, ma mi son reso conto che spesso quando varco
l'ingresso della scuola lo sguardo va a cercare Pino.
Nei primi anni 70 quando ho iniziato a sentirmi parte di una
storia condivisa, l'immaginare una formella per Pinelli all'interno
di un edificio scolastico, non poteva che avere un sapore del
tutto surreale.
Agostino Perrini
Ricordando Salvador Gurucharri/
Un impegno duraturo e tenace
Salvador Gurucharri (1936-2014) ha avuto una vita segnata dall'impegno
libertario. Nei primi anni Sessanta assunse, con pochi altri,
una nuova sezione della CNT, la Defensa Interior, destinata
a realizzare attacchi, anche violenti, al franchismo e alle
sue strutture dentro e fuori della Spagna. L'esperienza durò
alcuni anni e permise a Salva e ad altri di conoscere dall'interno
le carceri francesi che affiancavano quelle spagnole. Questa
esperienza è narrata, con la documentazione conservata
soprattutto da Salva, nel libro che scrisse insieme a Tomás
Ibáñez, Insurgencia Libertaria. Las Juventudes
Libertarias en la lucha contra el franquismo (Barcellona,Virus,
2011).
Per diversi anni, in un modo o nell'altro, Salva si occupò
di sostenere la lotta antiautoritaria in Spagna, anche nella
difficile fase della cosiddetta “transizione” dopo
la morte (nel suo letto!) del dittatore e l'avvio di un regime
istituzionale formalmente democratico (con notevole continuità
dell'apparato statale franchista). Nei momenti più difficili
di questa delicata militanza, lo ricordava Salva, compariva
a Barcellona un compagno italiano, Franco Leggio, che si metteva
a disposizione per l'aiuto concreto. È stato uno dei
non pochi momenti di solidarietà libertaria tra spagnoli
e altri movimenti europei e americani.
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Salvador Gurucharri |
Lo conobbi personalmente nell'estate del 1982, al primo dei
miei frequenti viaggi a Barcellona. Lo contattai, con altri
due importanti militanti come Diego Camacho (Abel Paz) e Luis
Andrés Edo, alla ricerca di un appoggio per un possibile
scritto su Malatesta in Spagna. Era il 50nario della scomparsa
di Errico e la Spagna aveva sempre occupato un posto particolare
nella sua frenetica attivitá internazionale. Sapevo che
Errico era stato alcune volte, di sicuro nel 1892, a contattare
i compagni in vista di un'insurrezione comune contro re e capitalisti
di tutta Europa. Mi risposero irridendo il mio impegno storico
ed esprimendo una forte diffidenza e un'ostilità evidente
nei confronti degli storici di professione, in particolare dei
compagni, che pretendevano ricostruire fasi e problemi del più
importante movimento anarchico della storia.
Dopo la morte di Edo e di Diego, Salva era rimasto l'unico della
peña (circolo) che si era riunito ogni giorno
in un caffé per discutere di molti aspetti dell'anarchismo
teorico e pratico. Si trovavano vicino alla Libreria di Salva,
Los Artales, nella centralissima Plaza del Pí, e avviavano
spettacolari discussioni ideologiche e politiche coinvolgendo
anche i clienti del caffé Amagatotis. Gli animati incontri
(vere rivoluzioni verbali) durarono una decina di anni finché
non incontrarono le proteste di chi voleva solo gustare un caffé
o si orientava in senso antilibertario. Le riunioni poi si dissolsero
nell'attività quotidiana del movimento, anche allora
molto vivace nella città catalana, la “Mecca dell'anarchismo”.
Le aspre critiche di Salva erano dirette verso il modo burocratico
di intendere l'organizzazione, l'attitudine troppo personalistica
della leadership, la riflessione incerta e superficiale sul
grave compromesso che portò, per diversi mesi tra il
1936 e il 1937, esponenti dell'anarchismo spagnolo a collaborare
con i partiti antifascisti fino al punto di assumere incarichi
di governo.
Tra i vari tentativi di rafforzare il movimento a Barcellona
dopo il suo ritorno nel 1976, Salva riuscí di avviare
la libreria “Rosa de Foc”, uno dei nomi storici
della Barcellona ribelle, che continua tuttora ed è un
punto cruciale per la conoscenza del passato e del presente
della galassia libertaria. Per una decina di anni, poco prima
del 2000, la sua “direzione” di Solidaridad Obrera,
portavoce della CNT catalana, cercò di legare il giornale
ai movimenti di base e ai confronti tra libertari di diverse
tendenze. La sua scelta editoriale si notava anche dai disegni
che un giovane compagno, col soprannome di Nono, dedicava al
giornale mettendo in evidenza questo o quell'aspetto paradossale
del potere. Con il nuovo secolo, Salva riuscì a concretare
un progetto pluridecennale, la costruzione di una guida della
ricca bibliografia di e sull'anarchismo spagnolo di opere apparse
fino al 2000 (Barcellona, Rosa de Foc, 2004).
Devo ringraziare una volta di più la pazienza e l'attenzione
con cui lesse il manoscritto di “Anarchia e potere nella
guerra civile spagnola” dandomi suggerimenti e consigli
preziosi. Avevamo in progetto di aggiornare la bibliografia
fino al 2010, ma la sua scomparsa ha fatto rinviare sine
die anche questo ambizioso programma.
Di Salva mi resta lo spirito critico e ipercritico, il sarcasmo,
l'ironia con cui affrontava i molteplici aspetti del movimento
a Barcellona. Era uno degli ultimi “vecchi” ad aver
vissuto, in prima linea, la lotta antifranchista e la difficile
ricostruzione della CNT a metà degli anni Settanta. La
sua memoria era assai utile per orientarsi in quel labirinto,
entusiasmante ma talvolta triste, nel quale quasi si persero
gli sforzi e le speranze per una rinascita in forze del movimento,
sia specifico che anarcosindacalista, come molti si aspettavano.
Ad ogni modo, le valutazioni negative e pessimiste dell'ambiente
libertario barcellonese si acompagnavano ad un impegno duraturo
e tenace per dare corpo e testa al diffuso spirito antiautoritario
che, anche ultimamente, si è espresso nelle proteste
popolari di questa città eccezionale.
Claudio Venza
P.S. Di sicuro Salva sarebbe stato contrario ai ricordi che
in queste settimane hanno espresso suoi amici e compagni. Ricordiamo
comunque quelli di Octavio Alberola, a lungo al suo fianco,
riportato in http://www.alasbarricadas.org/noticias,
di Tomás Ibáñez in Bulletin du CIRA, n.
70, Eté 2014, p. 12 e di Nono in htpp://www.territoriokadaver.blogspot.com.es.
Jean Jaurès/
Un socialista contro la prima guerra mondiale
“Jean Jaurès profeta della Sinistra”.
Ricordo di uno dei padri del socialismo europeo a cento anni
dalla morte. Una delle canzoni piu famose di Jacques Brel è
dedicata proprio a lui.
Da mesi in Francia, specie negli ambienti della sinistra, è
tutto un brulicare di iniziative per ricordare quell'eccezionale
pensatore, politico e giornalista dell'emancipazione degli ultimi
che fu Jean Jaurès, di cui il prossimo 31 luglio ricorre
il centenario della morte. Riconosciuto nel “vulcano che
vomita ghiaccio” per la sua oratoria dirompente e ammaliante,
il fondatore del Partito Socialista francese e dello storico
quotidiano l'Humanité (oggi testata del Partito
Comunista francese) fu un inflessibile sostenitore della trasformazione
della proprietà individuale capitalista in proprietà
sociale, i suoi sagaci articoli (scrisse anche per la Depéche
de Toulouse e La petite République) declinavano
all'incitamento di una lotta che portasse alle realizzazione
di un progetto mutualistico e cooperativo di umanità.
A parte alcune bieche speculazioni politiche che si sono verificate
nel recente passato – alle elezioni europee del 2010 il
partito dei Le Pen fece stampare dei manifesti con su scritto
“Jaurès avrebbe votato per il Fronte Nazionale”
- ancora oggi il suo pensiero politico e filosofico rimane tra
i prediletti e i più discussi nella sinistra francese.
Jaurès partiva da una base politica, diciamo, marxista,
ma il suo umanesimo riponeva profonde radici nel mondo classico.
A lui bisogna riconoscere lo sforzo compiuto per tracciare il
percorso (non facile) che portasse all'unificazione dei socialisti
francesi e ad erigere quella repubblica sociale in cui dovevano
trovare sintonia le correnti rivoluzionari con le componenti
riformiste. Nato nel 1859 a Castres, nel Sud della Francia,
Jaurès si laurea in filosofia e diventa professore all'Università
di Tolosa, qui si distingue per le due doti di “inesauribile
parlatore”, nel 1885 viene eletto per la prima volta al
Parlamento, sarà deputato socialista nel 1893 grazie
ai consensi dei minatori di Carmaux che trovarono in lui un
referente affidabile per le loro lotte. Perde il seggio di parlamentare
nel 1898 (ma lo riconquisterà quattro anni dopo) per
aver denunciato gli intrighi di potere intorno al caso Dreyfus
di cui fu acerrimo sostenitore della tesi innocentista. Oltre
a battersi per l'affermazione di un socialismo riformista, dalle
pagine dell'Humanitè la sua penna diventerà
il megafono per un mondo di pace, e per tale obiettivo guarderà
con interesse e costanza all'amalgama tra spiritualismo e cristianità.
Fortemente radicato nel suo territorio d'origine, Jaurès
unì all'irrefrenabile lavoro di giornalista e politico
quello di saggista: tra le sue opere vanno ricordate Azione
socialista (1899), Storia socialista (1901), Studi
socialisti (1902). Allo scoppio della prima guerra venne
fuori fortemente il Jaurès antimilitarista, tant'è
che il 14 luglio del 1914 fece adottare al congresso della Sfio
(Sezione francese dell'Internazionale Operaia) un ordine del
giorno per proclamare uno sciopero dei socialisti europei contro
i venti di guerra. Fu questo l'ultimo grido di battaglia del
“Jaurès umanista intransigente”, infatti
il 31 luglio 1914 venne assassinato mentre cenava con degli
amici al Cafè du Croissant di Parigi da Raoul Villain,
un giovane nazionalista sostenitore dell'entrata in guerra della
Francia contro la Germania. Una delle ultime e più belle
canzoni di Jacques Brel è dedicata proprio a Jaurès:
e senza voler confezionare nessun santino, il cantautore belga
si chiede cosa hanno guadagnato gli assassini nell'ammazzarlo?
Canta Brel: “Pourquoi ont-ils tué Jaurès?”
(Perché hanno ucciso Jaurès?). E ancora: “Pourquoi
ont-ils tué Jaurès?”.
Mimmo Mastrangelo
Francia/
Asif Hussainkhil, un migrante sulle onde della libertà
Sei assi di legno, bastoni di plastica a formare l'albero,
un blocco di polistirolo avvolto da un telo di plastica come
galleggiante, un lenzuolo a mo' di vela. Con il materiale recuperato
nel campo dei migranti di Calais in Francia, Asif Hussainkhil,
33 anni, fuggito dall'Afghanistan nel 2000, ha costruito una
zattera e il 5 maggio scorso ha tentato di attraversare lo stretto
della Manica. Voleva andare dallo zio e dai cugini in Inghilterra
navigando per i 34 km che separano Calais da Dover.
Hussainkhil è stato recuperato dalla Guardia costiera
dopo mezz'ora. La sua zattera senza timone era alla deriva,
e lui, con indosso una giacca leggera, senza bussola né
cibo, soffriva già di ipotermia. Salvato da una probabile
morte, Hussainkhil ha detto ai soccorritori di essere “scocciato”,
perché già due volte era stato fermato. Come ha
spiegato al Daily Mail, in passato aveva provato a raggiungere
la costa inglese a nuoto, con assi di legno come pinne. Questa
volta, con la zattera, era convinto di riuscirci. “Durante
il viaggio cantavo, ero felice. Stavo andando nella giusta direzione.
Ci proverò ancora, il mio destino è andare in
Inghilterra”, ha detto.
La foto del salvataggio suscita rabbia e ammirazione. A Calais
arrivano migliaia di migranti in fuga dai conflitti (tremila
quelli identificati nei primi cinque mesi del 2014). Il 2 luglio
scorso 610 persone, di cui 121 minorenni, sono stati sgomberati
dal misero campo di tende e da alcuni edifici occupati.
Hussainkhil, con la sua zattera contro le onde e i confini tracciati
sulla pelle dell'umanità, è come quelle piante
inaspettate che spuntano dagli incavi delle rocce. La sua ostinazione
è amore per la vita e la libertà.
Daniele Ferro
Ronchi (Go)/
Dei legionari o dei partigiani?
Nasce il 18 luglio 2013, per iniziativa di alcuni cittadini/e
di Ronchi, la pagina facebook per chiedere il cambio del nome
di Ronchi dei Legionari in Ronchi dei Partigiani!
Ronchi deve il suo attuale nome alla spedizione dei Legionari
capeggiati da Gabriele D'Annunzio, che il 12 settembre 1919
casualmente da qui partirono per l'avventura politico-militare
di occupazione di Fiume.
A portare a quel mutamento, proposto il 4 ottobre del 1923 dal
Consiglio comunale popolar-fascista, sarà il seguente:
“Rammentando la nobile ed audace Impresa del Comandante
G. D'Annunzio, il quale partì con i suoi Legionari da
Ronchi, per suggellare l'Italianità della Città
di Fiume, rendendo con ciò noto per la seconda volta
il nome di Ronchi nella storia delle rivendicazioni italiane”.
In realtà Mussolini ritardava l'attuazione di tale richiesta
come formulata dai fascisti di Ronchi probabilmente perché
in competizione con D'Annunzio e la sua immagine pubblica.
Per sollecitare la modifica gli interessati in una seduta straordinaria
del Consiglio Comunale di Ronchi deliberarono di nominare “cittadino
onorario” Benito Mussolini. Quindi, il 2 novembre del
1925 con un Regio Decreto, il nome diventa “Ronchi dei
Legionari” contestualmente all'attribuzione a Mussolini
della cittadinanza onoraria.
A partire dal movimento che si è creato con la proposta
di cambio di denominazione di Ronchi, il 14 aprile 2014 la città
di Ronchi delibera la revoca della cittadinanza onoraria a Mussolini.
Quasi due ore di dibattito per approvare la mozione come presentata
dal consigliere di Rifondazione Comunista, su impulso dell'iniziativa
avviata dal gruppo Ronchi dei Partigiani.
Al
di là della proposta politica che passa anche attraverso
una provocazione culturale, questo stimolo è anche un'occasione
di analisi storico-sociale. In data 14 giugno, infatti, a Ronchi
si è tenuto un convegno sulla toponomastica locale patrocinata
da ANPI, ANED, Associazione slovena Jadro, con la libreria La
linea d'ombra e la casa editrice Kappa Vu che a breve pubblicherà
gli atti del convegno. L'iniziativa, curata da Luca Meneghesso,
ha visto tra i relatori Maurizio Puntin (esperto di toponomastica),
Alessandra Kersevan (storica ed editrice), Piero Purini (storico),
Wu Ming1 e Boris Pahor (scrittori), Marco Barone (blogger e
attivista) oltre ad interventi di tipo artistico-culturale.
In seguito a questa iniziativa, estremamente partecipata in
sala con più di 300 persone presenti e che ha avuto buona
visibilità sulla stampa locale, le forze della destra
hanno avuto una reazione compatta. Casa Pound, Fratelli d'Italia,
Forza Nuova, Fiamma Tricolore, anche Ex Granatieri ed anonimi
contro Ronchi dei Partigiani, annunciano raduno per il 2019
e iniziano una raccolta di firme a difesa del suffisso dei Legionari
e dello status quo. Evidentemente anche a distanza di quasi
un secolo le forze che tuttora sostengono “dei Legionari”
legato a Ronchi sono le stesse.
Per fortuna anche l'ANPI, con un libro curato dal presidente
provinciale onorario Silvano Bacicchi, ha sottolineato la totale
estraneità della comunità ronchese alla marcia
su Fiume e l'identità antifascista.
Il progetto “Ronchi dei Partigiani” continua. Per
la dignità di queste terre e dei suoi abitanti, contro
il fascismo.
Luca Meneghesso
Canton Ticino/
Il Circolo Carlo Vanza ora è a Bellinzona
Dopo dieci anni di presenza a Locarno, il Circolo Carlo Vanza
CCV è stato obbligato a trasferirsi e ha trovato una
nuova sede a Bellinzona, in via Convento 4.
Fondato a Minusio nel 1986, il Circolo, oltre all'archivio su
e del movimento anarchico e libertario ticinese, possiede una
biblioteca di 5'000 tra libri e opuscoli orientata sui temi
dell'anarchismo, dell'autogestione, dell'antimilitarismo, del
libero pensiero, consultabili sul posto o ottenibili in prestito.
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Bellinzona (Svizzera). Nella nuova sede del Circolo Carlo Vanza, uno scorcio dell'esposizione delle opere di mail-art Bakunin 1814-2014. Per il bicentenario della nascita |
Durante gli anni di permanenza a Locarno il CCV ha promosso
abbastanza regolarmente appuntamenti culturali e di carattere
politico indirizzati non solo al movimento, ma anche a persone
esterne interessate.
Dopo qualche mese impiegato a preparare il nuovo locale e a
trasferire documenti e mobilio da Locarno a Bellinzona, infine
il 24 maggio vi è stata l'inaugurazione della nuova sede
e numerosi sono stati i compagni, i simpatizzanti e i curiosi
passati a dare un'occhiata all'archivio sistemato a nuovo. Per
l'occasione sono state esposte le opere del progetto di mail-art
organizzato dal CCV per il bicentenario della nascita di Michail
Bakunin. Quasi centocinquanta i contributi giunti da tutto il
mondo.
Ora si tratta di rimboccarsi le maniche e riprendere le attività
con nuova lena in un posto dotato di maggiore spazio rispetto
alla vecchia sede, e benché situato in un quartiere dormitorio
è raggiungibile in venti minuti a piedi dalla stazione
o coi mezzi pubblici.
La presenza di parecchi giovani tra gli intervenuti all'inaugurazione
può servire da stimolo per le future attività
che riprenderanno dal prossimo mese di settembre.
L'occasione per una visita potrebbe essere l'assemblea annuale
prevista per sabato 13 dicembre.
Per essere informati mettetevi in contatto all'indirizzo: circolo-vanza@bluemail.ch.
L'orso (e)retico
I 200 anni di Mikhail Bakunin/
Conferenza internazionale di Pryamukhino
Quando i pneumatici della Lada famigliare di Sergey
Kornilov transitano sobbalzando bruscamente, dal lucido asfalto
sovietico, allo spesso materassino di polvere giallastra dello
sterrato che porta a Pryamukhino, le lontane immagini della
metropoli moscovita putiniana si nebulizzano nell'atmosfera
bucolica delle terre avite di Mikhail Bakunin. Oltre il fiume
Osuga (al quale Alexander, padre del noto rivoluzionario,
dedicò una struggente poesia di sapore romantico) l'emozione
diviene intensa e crea percezioni visive stupefacenti, al limite
dell'assurdo, riflesse sullo schermo chiaro della notte luminosa
del margine meridionale del famoso “anello bianco”
di S. Pietroburgo. In effetti, la lunga fila di izbe
in legno e lo spartano cartello in cirillico dell'atteso paese,
posto a oltre duecentocinquanta chilometri nord-ovest da Mosca,
contrastano surrealisticamente con le sagome palladiane degli
edifici di culto eretti dall'architetto Nikolaj Aleksandrovi
L'vov (eclettico personaggio “illuminato” vissuto
nella seconda metà del '700, tra le altre, autore
nel 1798 del suo Russky Pallady, ovvero una traduzione
riadattata de I quattro libri dell'architettura di Andrea
Palladio) amico ed estimatore della famiglia Bakunin. Un moto
di commozione pervade Tatiana Bakounine, belga di nascita, discendente
diretta del grande Mikhail, mentre osserva i poderi collettivizzati
durante il lungo periodo di governo del Kolchoz locale (ora
lasciati in stato di semi abbandono), seduta stoicamente sui
sedili consunti della “Fiat dell'URSS”, come la
chiama ironicamente Sergey, organizzatore di punta del Convegno
di studi per i 200 anni di Mikhail Bakunin. L'accoglienza è
quella tipica delle genti russe: izbe aperte, sorrisi, presentazioni
dirette, capacità di mettere a proprio agio qualsiasi
ospite nazionale ed internazionale, nonostante gli ostacoli
linguistici. La due giorni di approfondimenti sulla figura,
la vita e le azioni di uno dei “padri dell'Anarchismo”,
si apre così, in un clima di totale accoglienza individuale
e collettiva. Il calendario degli interventi, che si tengono
nell'aula magna della piccola scuola in stile collettivistico
del paese, prevede un taccuino degli appuntamenti di tutto rispetto.
Nelle giornate di sabato 12 e domenica 13 luglio, parlano “a
cascata” i seguenti relatori che trattano temi inusuali
e specifici: 1) Tatiana Bakounine (Belgio), Che cosa rappresenta
per me Mikhail Bakunin?. 2) Piotr Ryabov (Russia), Mikhail
Bakunin e la Filosofia del XX secolo. 3) Giulio Spiazzi
(Italia), Bakunin e l'educazione alla ribellione. 4)
Franco Buncuga (Italia), Bakunin e l'arte. 5) Hikaru
Tanaka (Giappone), Gli anarchici giapponesi e Bakunin: fattori
di background e loro interpretazioni. 6) Dmitry Rublev (Russia).
Condizione scientifico-politica privilegiata: la preoccupazione
di Bakunin circa il ruolo dell''intelligentsia' nello sviluppo
socio-politico della società. 7) Vadim Damier (Russia)
esperto in anarco-sindacalismo, Bakunin: dal federalismo
all' anarchismo. 8) James Goodwin (USA). 'Conversando
con Bakunin': il contributo di Grigorii Maksimov agli studi
Bakuniniani. 9) Jean-Christophe Angaut (Francia), Bakunin
e il ruolo rivoluzionario dei 'déclassés'.
10) Andrey Levandovsky (Russia), Alexander Kornilov, biografo
di Mikhail Bakunin. 11) Ivan Zadorozhnyuk (Russia), Il
200 esimo anniversario di tre rilevanti combattenti contro ogni
forma di autocrazia: Lermontov, Shevchenko, Bakunin. 12)
Sergey Kornilov (Russia), Miti attorno a Bakunin. 13)
Valery Dolzhnikov (Russia), Tendenza 'riconciliatrice' nell'attività
politica di Mikhail Bakunin tra il 1830-1860. 14) Alexander
Lanevsky (Polonia), Mikhail Bakunin nella memoria e nel pensiero
degli anarchici polacchi contemporanei. 15) Oleg Safronov
(Russia), Aspetti di storia delle società primitive
nella interpretazione di Bakunin.
A questi interventi “di cartello”, si è aggiunta
(purtroppo solo in lingua russa) tutta una serie di altre relazioni
di studiosi, giornalisti e ricercatori della figura storica,
politica e filosofica di Mikhail Bakunin correlata alle sintesi
principali.
Intervista a Jean-Christophe Angaut
(Professore di filosofia presso l'École normale supérieure
Lettre et Sciences humaines di Lione. Ha partecipato alla conferenza
con un intervento dal titolo “Bakunin e il ruolo rivoluzionario
dei déclassés”).
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Jean-Christophe Angaut al lavoro nella izba di Sergey Kornilov |
Jean-Christophe, tu sei considerato uno dei pochi massimi
esperti della figura strorico-filosofica e del pensiero di Bakunin
in Francia, cosa ti porti a casa da questo Convegno?
“Sì, l'hai detto a ragione”, sghignazza Angaut
divertito. “Bakunin è la mia passione, il mio studio,
il mio orizzonte di ricerca. Dall'anniversario dei 200 anni
mi porto in Francia innanzitutto, l'aver vissuto un momento
realmente 'alternativo', dove il tratto più significativo
è stato quello della 'fratellanza' tra tutte le componenti
anarchiche presenti al convegno di studi. Il che, è molto
importante. Come una sorta di 'specialista' della figura di
Bakunin, per me, incontrare altri studiosi di così alto
livello è stato fondamentale, ho imparato tanto nell'ascoltarli
e penso di aver dato un utile contributo anche a loro e a tutti
con la mia relazione.”
Da ciò che vediamo, sembra proprio che l'Anarchia
colleghi pacificamente le genti. Che cosa pensi del rapporto
attuale tra giovani ed anarchia?
“Si, l'anarchia la si vive nella vita di ogni giorno.
Ammiro tantissimo il senso di semplice ed efficiente organizzazione
che pervade qualsiasi meeting organizzato da anarchici.
Si lavora insieme, non sorgono problemi irrisolvibili, c'è
un senso immediato di solidarietà che ci lega. È
veramente una esperienza speciale. In questo incontro importante,
c'erano veramente tanti giovani che, immagino, più che
pensare all'Anarchia, si siano messi alla prova come
natural born anarchists”... Jean-Christophe, abituato
a stare con i giovani nei licei francesi, se la ride ed aggiunge:
“La Teoria è realmente una cosa secondaria;
il vivere l'anarchia è invece, come vediamo qui, il fatto
oggettivo più importante.”
In poche parole, qual è stato il fulcro del tuo
intervento?
“Ho dedicato la mia tavola di discussione a ”Bakunin
e il ruolo rivoluzionario dei déclassés“.
Ho focalizzato il mio studio su quello che ritengo essere uno
dei più importanti aspetti presente negli scritti di
Bakunin, considerando l'attualità dei movimenti rivoluzionari:
mi riferisco al ruolo rivoluzionario che Bakunin riconosce a
gruppi sociali o nazionali che sono generalmente relegati ai
margini o addirittura rifiutati dagli altri socialisti rivoluzionari
del suo tempo e più precisamente nella storia del marxismo.
Come gruppi sociali 'reietti' intendo riferirmi ai contadini,
ai giovani, ai fuorilegge, insomma a tutta quella gente che
il marxismo ha storicamente aggregato sotto la denominazione
infame di Lumpenproletariat o 'sotto-proletariato' e
che Bakunin aveva individuato con il termine francese déclassés.
Come 'gruppi nazionali' io intendo la gente appartenente a tali
ambienti sociali che costituiscono una forte proporzione numerica
nella loro società e che risiedono in nazioni che non
sono ancora totalmente integrate nel dominio capitalista (sempre
che una nazione abbia mai conosciuto una tale completa integrazione)
e qui, penso a casi quali quelli dell'Egitto e della Tunisia.”
Intervista a Sergei Kornilov
(Presidente del comitato promotore della Conferenza di Pryamukhino).
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Sergey Kornilov nella sua Izba di Pryamukhino. Alle sue spalle le mappe storiche dei fondi dei Bakunin |
Sergei, puoi brevemente illustrarci la storia di queste
conferenze annuali?
Si può dire che questa che abbiamo appena concluso era
la Conferenza del Giubileo, dunque la più importante
tra tutti i 14 convegni che abbiamo tenuto in questi lunghi
anni. Abbiamo dunque dovuto affrontare problemi organizzativi
nuovi, come quello degli alloggiamenti o del vitto di così
tanti partecipanti (circa un centinaio). Comunque da questo
particolare convegno si intuisce tutto il percorso svolto fino
ad ora. I temi di confronto e discussione cambiano, ma lo scheletro
della struttura rimane. Il comitato organizzatore ha dovuto
lavorare duramente per poter accogliere con riguardo, specialisti
provenienti da Francia, Italia, Polonia, Giappone, Brasile,
Stati Uniti ecc., un'esperienza e una risposta forte che non
si era mai avuta, così partecipata, negli anni precedenti.
A giudicare comunque dagli attestati di stima, pensiamo di essere
stati all'altezza del compito, nonostante vi sia da fare ancora
molto per ciò che riguarda le traduzioni istantanee,
la proiezione di slides ed immagini ecc.
Cosa rappresenta per te Bakunin?
“È una domanda interessante. Fin dalla prima infanzia,
ho sentito risuonare questo nome tra le mura domestiche. I miei
parenti stretti, mio bisnonno e sua moglie erano contadini al
servizio dei Bakunin. Riuscii finalmente a farmi un'opinione
personale di Mikhail solo nel 1970 quando Natalia Pirumova pubblicò
la sua celebre biografia. All'epoca io avevo trent'anni, e ovviamente
c'era l'Unione Sovietica e l'atmosfera era chiaramente differente
rispetto ai tempi attuali. Mi accorsi comunque che la figura
del grande rivoluzionario russo veniva trattata in maniera stereotipata
e così pure, l'idea di anarchia. Comunque, dopo il crollo
dell'Unione Sovietica, riuscii a comprendere meglio quale fu
l'importante peso politico di quella biografia, uscita in un
periodo di ristrettezze culturali. Quando andai dunque in pensione
iniziai a dedicare, anima e corpo al recupero di ciò
che rimaneva, anche fisicamente, della permanenza del padre
dell'anarchismo a Pryamukhino. Costituii così un fondo
per la salvaguardia di questo luogo ed iniziai a proporre in
comitato, le conferenze sulla figura del filosofo rivoluzionario.”
Cosa resta ancora da fare?
“Come sempre dobbiamo continuamente lottare. Attualmente
v'è in corso una specie di contenzioso strisciante tra
noi e l'amministrazione. Ciò che proponiamo di particolare
per la sola figura di Mikhail Bakunin, nota bene, con il consenso
generale della gente di Pryamukhino, come ad esempio, una via
dedicata al suo nome, una lapide ove venga ricordato singolarmente
ecc., viene costantemente 'virato' d'autorità, dalle
varie amministrazioni, in memoriali dedicati 'ai Bakunin'. La
nostra attuale e futura lotta, sarà di arrivare ad ottenere
un riconoscimento certo, per questo grande uomo dalla caratura
di pensiero e d'azione internazionale, messosi a servizio di
tutta l'Umanità.”
Intervista a Mikhail Tsovma
(Membro organizzatore e responsabile per le relazioni internazionali).
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Mikhail Tsovma, orgnizzatore e addetto alle relazioni internazionali per il comitato di Pryamukhino |
Mikhail, nel corso degli anni i Convegni di studi sono
transitati da una fase più generica sull'importanza storica
di Pryamukhino, a quella più spiccatamente 'orientata'
di analisi politica della figura di 'uno' dei Bakunin,
ovvero di Mikhail il rivoluzionario... In Italia, ad esempio
all'Ateneo degli Imperfetti di Mestre, è stata rimarcata
l'attualità del pensiero di Mikhail Bakunin...
Sì, è vero, penso che attualmente ciò che
ha detto il nostro pensatore sia straordinariamente d'attualità,
soprattutto per ciò che concerne l'analisi sul potenziale
predominio delle classi che detengono il 'potere della
conoscenza', della 'tecnica' delle 'scienze' e che
conoscono, data la loro posizione privilegiata, meglio di altri,
come le società 'debbano', dal loro punto di vista,
essere governate (è ciò è capitato anche
durante il periodo marxista sotto forma di potere burocratico
e così pure in Cina e in altri Stati satelliti). Per
questo ed altro, penso che Mikhail Bakunin sia tuttora un importante
filosofo, un interessante pensatore sociale, considerando che
egli visse nel pieno delle sue forze, più di un centinaio
di anni fa, ed è per questo interessante analizzare come
una persona, con l'attività del suo cervello, possa approcciare
con visioni corrette, tante situazioni particolari, collegate
allo sviluppo del sociale, anche di altre epoche. Dunque sottolineo
che Bakunin, pur essendo un rivoluzionario del suo tempo, è
ancora in grado di infonderci ottime indicazioni sulle problematiche
dei nostri giorni.
Qual è il lascito di questo Convegno?
Principalmente tanto lavoro. Ciò che abbiamo fatto prima
per organizzarlo è solo parte di quello che ci aspetta
ora. Verrà fatta una pubblicazione in lingua russa degli
atti della conferenza e questo, per noi, rimane di primaria
importanza, in quanto può sembrare strano ma Mikhail
Bakunin, per ragioni storiche e politiche non è così
ben conosciuto in Russia. Nei Paesi occidentali vi sono numerosi
testi che riguardano la sua figura. Qui, no. Perciò nostro
compito ora, è diffondere il più possibile il
suo pensiero tra la gente, in particolar modo oggi, nella situazione
sociale in cui versiamo. In Russia, attraverso il suo attuale
Governo, sta avvenendo una paradossale accelerazione verso...
il passato, con il ritorno alla religione ortodossa istituzionalizzata,
al conservatorismo più gretto, all'autocrazia. Per cui,
abbiamo bisogno che il pensiero di Mikhail Bakunin venga sempre
più conosciuto e compreso.
Giulio Spiazzi
Piazza Errico Malatesta a Milano/
Ricordando l'anarchico italiano
Finalmente anche Milano ha una piazza dedicata a Errico Malatesta
(Santa Maria Capua Vetere 1853 - Roma 1932), di gran lunga la
più importante e influente personalità dell'anarchismo
di lingua italiana. Dopo tanti politici, uomini di stato, rivoluzionari
di professione, spesso di dubbio spessore etico, un bella targa
fa giustizia di questa mancanza. A oltre 80 anni dalla sua morte,
ci voleva.
Peccato che la piazza sia inaccessibile al pubblico, dal momento
che - con la sua relativa targa - si trovi in una proprietà
privata, per la precisione nel giardino della casa di Arturo
Schwarz, ex-gallerista, ex-editore, amico e abbonato sostenitore
(e, in qualche occasione, anche collaboratore) della nostra
rivista fin dal primo numero.
Abbiamo tratto questa informazione dalla rivista on-line
Odissea (http://libertariam.blogspot.it), su segnalazione del
suo fondatore e direttore Angelo Gaccione, che qui ringraziamo.
Cuba/
Gli anarchici, la Cia, i servizi di sicurezza
Alcuni giorni fa, nella prima settimana di agosto, gli strumenti
di costruzione massiva di opinione a Cuba, in mano alla “Sicurezza
dello Stato”, al “Burò Politico”, e
ai Dipartimenti Ideologici del MINFAD e MININT, ci hanno regalato
un nuovo capitolo della storia delle loro imprese nella lotta
diretta alle operazioni sovversive del goberno yanqui.
Il tema di oggi ci arriva attraverso Associated Press, presentata
questa volta come una seria agenzia di stampa internazionale:
viene denunciata una ulteriore modalità di sovversione
in Cuba, orchestrata dalla USAID, attraverso l´invio di
agenti a basso costo e scarsa formazione professionale di origine
latinoamericana, per il reclutamento di giovani cubani, “contatti
stella”, così dicono, per la “generazione
di una rete di volontari per la trasformazione sociale”
a Cuba, e per “costruire un attivismo contro il governo”,
attraverso corsi di educazione sessuale e protezione contro
il HIV, con il fine attraverso questi temi di “reclutare
giovani, insegnando loro come organizzarsi da soli”.
Su tutto questo noi, che abbiamo fondato la Rete di Osservatorio
Critico circa dieci anni fa e che abbiamo inoltre costituito
il Laboratorio Libertario Alfredo Lopez quattro anni fa, avevamo
ed abbiamo, tra gli altri propositi per nulla nascosti, anche
“la generazione di una rete di volontari per la trasformazione
sociale a Cuba”, però specificatamente in un senso
antiautoritario ed anticapitalista.
Volevamo, e vogliamo, non “reclutare”, perché
non siamo sergenti di nessuna gerarchia militare, bensì
promuovere il gusto per l'organizzazione autonoma, assemblearia
e orizzontale, che permetta di agglutinare energie e potenziare
fraternità, che prefigurino la società che vogliamo,
senza comandanti né capi, né soldati obbedienti,
e, inoltre, volevamo e vogliamo fare attivismo, non semplicemente
contro l'attuale goberno cubano, ma contro tutte le forme
di relazioni interpersonali nocive alla dignità, utilizzate
da coloro che governano, da quelli che si lasciano governare,
e da quelli che combattono un governo per sostituirlo con un
altro, nei momenti e luoghi piú diversi.
Volevamo e vogliamo fare queste cose perché nascere e
vivere a Cuba e conoscere in prima persona la deriva autoritaria
della Rivoluzione Cubana, è stata l'esperienza che ci
ha resi più rivoluzionari, più anticapitalisti,
più antiautoriari, più antisessisti, più
antiomofobici, più ambientalisti indipendenti, più
antipatriarcali, più libertari, ed a molti di noi, più
anarchici.
Se non abbiamo avuto grande successo in questo si deve, oltre
alla nostra inconsistenza ed inefficienza, anche al fatto che
il goberno cubano ha saputo indiscutibilmente creare
una società tanto in salute quanto sottomessa, tanto
patriottica quanto dipendente dalle autorità, tanto unita
di fronte all'imperialismo yanqui, quanto indifesa di
fronte alla burocrazia ed i suoi poteri...
Tutto ciò ha dato luogo a che i minori di 35 anni di
età in Cuba, oltre ad essere in un processo di estinzione,
in assai poche occasioni possono incontrarsi nelle strade per
fare qualcosa di diverso dall'essere spettatori passivi dei
passatempi statali per la massa o consumatori manovrabili dell'offerta
di divertimento non statale autorizzato. Questo è il
contesto ideale perché gli agenti della USAID possano
svolgere il loro compito, preceduto però dal lavoro sporco
gratuito che già durante decenni hanno saputo attuare
gli agenti che proteggono il nostro “Stato rivoluzionario”.
Se la USAID da quattro anni sta reclutando giovani latinoamericani
per trovare nuove marionette che possano svolgere il proprio
lavoro sporco a Cuba, a loro, ai cubani comuni come noi, ed
alla Sicurezza di Stato cubano diciamo: noi non riceviamo
ordini da nessuno e nemmeno li diamo. Viviamo in un mondo
nostro, stretto e fragile però reale e palpabile, dove
non siamo né pecore né pastori.
Il significato del comunismo
Siamo quello che siamo e facciamo, perché pensiamo che
il comunismo si fa qui ed ora, e non è un decreto governativo
che si maneggia discrezionalmente, secondo gli indicatori economici
dello Stato imprenditore e benefattore, perché pensiamo
che una società non finisca di essere capitalista quando
gli sfruttatori del lavoro altrui sono “nazionalizzati”
per lasciarne uno solo, fosse anche il più benevolo e
umanitario.
Non finiremo mai di ripetere che il comunismo non è nè
può essere un semplice “Stato comunista”,
ma un processo sociale verso la comunicazione della vita, dall'arte,
prodotto diffusamente con le energie e l'immaginazione, la pazienza,
il coraggio, e molte altre cose, dei collettivi e delle persone
che vogliono costruirlo; e se non è questo sarebbe solo
il nome di un altro regime di oppressione che incontrerà
magari sempre argomenti sublimi e metodi fallaci per perpetuarsi.
Se la rivoluzione non ha potuto essere quello che doveva e quello
che annunciavano i suoi portavoce, perché l'imperialismo
è troppo vicino e...., allora i membri della cosiddetta
“generazione storica” ed i suoi adepti, lo avrebbero
pensato meglio e non avrebbero fatto la rivoluzione, perché
la geografia è più difficile da cambiare delle
mentalità, o avrebbero smantellato tutte le concetrazioni
di potere corruttore, per accorciare il tempo in cui sarebbe
sparita la fatidica funzione di quadro politico, annunciata
da Fidel Castro 46 anni fa! E non si sarebbero avvelenati tanti
giovani cubani con il tentatore “miele del potere”
che lo stesso caudillo ha confessato.
Se c'è qualcosa che abbiamo ricevuto in questi anni nell'Osservatorio
Critico nel Laboratorio Libertario Alfredo Lopez è stata
la solidarietà internazionale con idee, risorse e mezzi
per fare quello che facciamo, da parte di compagni che –essendo
militanti attivi anticapitalisti- mai ci hanno chiesto di fare
corsi di educazione sessuale per mascherarci, nè nulla
che gli somigli, e meno ancora hanno preteso il compimento di
ordini o suggerimenti, di fatto mai ci hanno detto quello che
dobbiamo fare.
Abbiamo fatto esattamente ciò che abbiamo voluto o potuto,
nel momento e nel luogo di nostra scelta, che è come
dire che abbiamo fatto ciò che è scaturito da
dialoghi e dal consenso tra chi di noi ha voluto fare qualcosa.
La nostra più recente iniziativa, la “I Giornata
Primavera Libertaria”, è stata possibile grazie
alla solidarietà dei nostri compagni fuori dall'isola,
però è stata una sorpresa anche per loro, che
hanno avuto notizia di questa attività solo quando l'abbiamo
fatta conoscere pubblicamente.
E prima di arrivare a questa Giornata, allo scopo di proporre
esplicitamente una prospettiva libertaria su temi svariati,
mai abbiamo nascosto in alcun spazio a Cuba la nostra identità
e le nostre attività, quando qualcosa di simile è
accaduto è stato per non distruggere il dialogo di esperienze
concrete con uscite ideologiche fuori luogo o per rispettare
spazi autonomi degni.
Niente da nascondere
Per tutto questo, signori agenti della CIA e della USAID, possiamo
dirvi che potrete inviare tutti i vostri impiegati e reclutatori
che desiderate, e sperperare il denaro dei vostri disciplinati
contribuenti, almeno con noi. Ed ai cittadini agenti della Sicurezza
dello Stato cubano comunichiamo: non abbiano nulla da nascondere,
i nostri compagni di idea nel mondo non sono imprenditori milionari,
né aristocratici filantropi, nè politici progressisti
che vengono a mettere a sacco l'“immagine di Cuba”
per vincere elezioni nel loro paese, e nemmeno sono rappresentanti
di potenze imperialiste emergenti diventate, insieme alle rimesse
economiche dei familiari dei cubani che se sono andati, il sostegno
decisivo dei governanti cubani per mantenere la loro voluminosa
burocrazia politica, amministrativa e militare, così
come i dispositivi di controllo sociale della onnipresente Sicurezza
di Stato cubana, che periodicamente necessita fatti come quelli
riferiti per garantire la permanenza integra dei suoi interessi
e del suo stile di vita, quando non c'è molto lavoro
di controspionaggio spettacolare da assolvere.
I compagni nel mondo
I nostri compagni nel mondo non sono quegli antiimperialisti
di facciata, che sognano un inconfessabile capitalismo rivoluzionario
terzomondista o semplicemente “leninismo di mercato”
che già ora svegli e davanti ai microfoni chiamano “Socialismo
del XXI Secolo”. I nostri compagni non chiudono gli occhi
di fronte alle turbie incoerenze dei caudillos progressisti
di turno per poi svegliarsi un giorno come intellettuali “confusi”
o “delusi”. I nostri compagni sanno meglio di molti
politici di sinistra che la forma più effettiva di essere
antiimperialista è essere antiautoritari, che è
il modo più sicuro per non perdere la testa nel labirinto
paralizzante di “buoni governanti/cattivi governanti ”,
e poter concentrare le energie per progettare spazi e esperienze
dove siano innecessari gli stessi governanti.
Per questo non abbiano nulla di cui vergognarci rispetto a coloro
con cui ci relazioniamo e continueremo facendo ciò che
facciamo, non per denaro, non per ordini ricevuti, e nemmeno
solo per motivi di coscienza, ma anche perché è
proprio quello che ci piace fare.
Nella società cubana, che abbiamo conosciuto nei nostri
anni di vita cosciente, sono accadute molte cose ed altre continuano
ad accadere intorno a noi e non sono state introdotte dagli
agenti della USAID, bensì dagli stessi che fecero, sostennero
e ora vivono di questa “Rivoluzione Cubana”.
Ci annoia la “massificazione della cultura” della
quale nemmeno più parlano i suoi promotori locali, però
continua operando identica a se stessa, senza smettere di essere
quello che sempre è stata: un'altra mascherata per controllare
la creatività e convertire in cultura il controllo totale
dello Stato.
Ci repellono i loro docili “intellettuali critici”,
gagliardi e giovani, dai capelli fluenti o meno, però
eruditi prematuri nella aritmetica dell'equilibrio e della convenienza,
che fanno qualsiasi cosa per scalare e viaggiare all'estero
e, in molti casi, scappare, senza dover passare per i tramiti
truffaldini disegnati dal MININT.
Sentiamo pena per quelle migliaia di eccellenti medici cubani
che, svezzati nelle carenze d'ogni tipo, confrontando miseria
come la emulazione nella docilità, e la ipocrisia esistenziale,
vanno in Brasile o in altri paesi a svolgere un lavoro ineguagliabile,
come unica via per trovare un'ancora di salvezza, un mezzo con
cui vestire i propri figli e rammendare la loro vita.
Professiamo una tenerezza infinita per tutti quei lavoratori,
nostri padri e nonni, che offrirono le loro migliori energie
e la loro stessa vita per la “Rivoluzione” ed oggi
sono cittadini di scarto, dai quali i leader politici solo si
aspettano che continuino ad essere pazienti, comprensivi, e
come buoni integranti del già “milionario”
precariato cubano, godano delle bontà del plurimpiego
dopo essere stati giubilati.
Ci spaventa la qualità umana dei bambini e dei giovani
che stanno uscendo dalle scuole, prodotta dalla tremenda crisi
di senso in cui si trova l'educazione nel nostro Paese, in istituzioni
ridipinte e riparate, però dove i maestri, nella miseria
di sempre, alienati e controllati in tutto, “insegnano”
ai bambini ed ai giovani solo quello che conviene agli interessi
degli amministratori dello Stato e alla sua polizia mentale,
con le incoerenze più insostenibili, mentre gli studenti,
i padri, e le comunità di vicini non possono decidere
nulla in un assunto così cruciale e con effetti a lungo
termine per le loro vite.
Capitalismo statale
Ci vergogniamo delle acrobazie tecnocratiche e economicistiche
della cosiddetta “attualizzazione del modello economico
cubano” e del Nuovo Codice del Lavoro, dibattuti ed approvati,
come in altre campagne anteriori, nel mezzo di un montaggio
mediatico dispotico, che ha impedito qualsiasi discussione pubblica
seria e ragionata tra il popolo lavoratore sugli effetti di
simili parti.
Percepiamo continuamente la disperazione suicida della élite
governante dell'isola, nel tentativo di salvare la “Rivoluzione
Cubana”, insegna dorata e con un certo prestigio che nasconde
ora un capitalismo statale ordinario, con alcune notevoli successi,
però in una crisi di produzione ormai permanente, non
solamente limitata al piano economico ma anche a quello culturale,
a quello simbolico, a quello morale, che a loro parere si potrà
risolvere con “l'ossigeno” velenosamente vivificatore
degli investimenti diretti dei loro equivalenti stranieri: i
grandi capitalisti del mondo.
In questo impegno ai governanti cubani non serve una gioventù
imbevuta di alti valori, che nascono solo nella terra nutrice
della libertà di pensiero e di scelta. A loro servono
giovani competitivi e atomizzati, addestrati nel gioco creativo
con la retorica dominante d'ogni momento, e preparati per il
calcolo ragionevole del costo/beneficio di ciò che fanno.
A loro non serve l'autogestione dei lavoratori e delle comunità,
nè un movimento cooperativo vivo, nè progetti
partecipativi, nè municipio sovrani, nè dinamiche
associative aliene al lucro ed al pagamento di imposte, nè
nulla di simile che possa condurre a rivitalizzare le potenzialità
liberatrici che una volta, fugacemente, ebbe la rivoluzione
cubana, e che potrebbero condurre verso una socializzazione
e comunicazione concreta nella vita quotidiana di Cuba.
Sono mossi solo dal maneggio dolciastro e assuefacente delle
parole che un tempo erano la sintesi dei valori attivi in ampi
strati del popolo cubano. E soprattutto li guida l'esempio ispiratore
dei loro soci: i vincenti e criminali burocapitalisti cinesi,
che massacrarono in Piazza Tienanmen l'espressione più
pura della gioventù di quel paese, al solo fine di mantenere
incolume il loro potere, liberando il cammino per riciclarsi
come grandi imprenditori di taglia mondiale; o le potenti imprese
brasiliane, oggi all'avanguardia della produzione di alimenti
transgenici, sostenitori di un governo come quello del PT, che
ha saputo tradire la sinistra sudamericana e massacra ora la
propria gente riversata nelle strade.
Per tutto questo e perché lo abbiamo deciso: siamo anticapitalisti,
antisessisti, antiomofobici, antipatriarcali, libertari e in
vari casi anarchici, e continueremo facendo quello che pensiamo
di dover fare, quello di sempre: forgiare, promuovere ed apprendere
autonomia e autorganizzazione dal basso, delle persone, dei
vicini, dei lavoratori, degli studenti, dei giovani, degli anziani...
Ed insieme a loro non smetteremo di relazionarci coi nostri
compagni nel mondo, che nei più dissimili ed avversi
scenari, non lasciano morire la dignità umana e sono
come noi anticapitalisti, antiautoritari, antisessisti, antiomofobici,
antipatriarcali, ambientalisti indipendenti, libertari e, in
molti casi, anarchici.
Laboratorio libertario “Alfredo
Lopez”
Cuba
traduzione di Max “Alf” Serini
L'Avana, 21 agosto 2014
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