Chiapas
Il
24 maggio scorso il subcomandante Marcos si è suicidato
“politicamente”: nel corso di un incontro
zapatista, nella Selva Lacandona, ha annunciato la propria
scomparsa come leader e figura-simbolo dell'Esercito Zapatista
di Liberazione Nazionale.
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Pubblichiamo
in queste pagine:
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Murale
all'interno del Caracol di oventic |
Il potere diluito
di Orsetta Bellani
Con tutta la sua specificità, il movimento zapatista ha cercato e cerca di affrontare “dal basso” la questione concreta del potere e del governo. Rotazione degli incarichi, assemblearismo, strutture di ascolto, tentativo di coinvolgere le comunità nella gestione quotidiana.
Un'esperienza interessante e inevitabilmente contraddittoria.
Ne parliamo con Arturo, 27 anni.
Il nostro ruolo è orientare la società
civile con l'esempio della nostra democrazia interna.
Vogliamo darle tempo affinché possa cominciare a far
funzionare la nuova cultura politica che consiste nel “comandare
ubbidendo”, come facciamo nelle comunità.
Comandante Tacho1
Arturo2 mischia le carte e le riparte. Davanti
a noi si estendono Los Altos de Chiapas, che in questa zona
ricordano le colline toscane, anche se siamo a più di
mille metri sul livello del mare.
Dobbiamo vigilare la strada che inizia lontano e traccia una
linea marrone sulle montagne verdi e dolci, dalla vegetazione
bassa. Spesso alziamo lo sguardo dal tavolo di gioco, per assicurarci
che non arrivi l'esercito. Anche se da più di un anno
non entra nella comunità di San Felipe3,
l'assemblea ha deciso di continuare con i turni di guardia.
L'ultima volta che è arrivato, racconta Arturo, i suoi compagni con un ordine di arresto hanno fatto in tempo a scappare. Un giudice li cerca per la resistenza che hanno organizzato a un'impresa canadese, che vorrebbe estrarre l'oro nascosto tra le pietre della loro collina. Per farlo contaminerebbe la falda acquifera con il cianuro, rendendo l'acqua imbevibile.
Arturo poggia sul tavolo un cellulare che suona una musica ranchera
e giochiamo. Vince, mi arrabbio, mi prende in giro. Tutti gli
zapatisti che ho conosciuto sono ironici e antidogmatici, a
differenza di molti rivoluzionari latinoamericani. “Dovreste
coltivare un po' di senso dell'umorismo”, ha consigliato
il subcomandante Marcos durante la sua ultima apparizione pubblica.
“Non solo per la salute mentale e fisica, ma anche perché
senza non si può comprendere lo zapatismo4”.
Arturo ha 27 anni e appartiene a una delle due famiglie zapatiste di San Felipe. Le altre si dividono
tra priiste (vicine al Partido Revolucionario Institucional-PRI5)
e simpatizzanti zapatiste aderenti alla Sexta, prima
chiamata Otra Campaña6,
l'iniziativa lanciata dall'EZLN nel 2005 con la Sesta Dichiarazione
della Selva Lacandona. La proposta zapatista è riunire
i soggetti antiliberisti e apartitici di tutto il mondo, politicamente
affini all'EZLN, creando una rete di collettivi solidali tra
loro che riconoscano, allo stesso tempo, la singolarità
di ogni contesto. Si tratta di costruire un mundo donde quepan
muchos mundos, un mondo che contiene molti mondi7.
A San Felipe, racconta Arturo, antizapatisti e filozapatisti vivono insieme senza tensioni esplicite, ma ci sono comunità in cui la convivenza può creare problemi così forti da sfociare nel paramilitarismo. I Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti (MAREZ), infatti, non occupano uno spazio geografico separato dai municipi ufficiali, ma coesistono su giurisdizioni e territori paralleli.
“Che differenza c'è a San Felipe fra zapatisti e aderenti alla Sexta?”, chiedo ad Arturo.
“Siamo tutti indigeni maya tzotziles e dal punto di vista ideologico non ci sono differenze rilevanti”, mi spiega. “Però noi zapatisti possiamo essere chiamati a ricoprire un incarico politico all'interno dell'organizzazione, o possiamo essere convocati dalla Giunta di Buon Governo per costruire una scuola o una clinica”.
“Secondo usi e costumi”
Arturo mi dice che non ha mai fatto parte della Giunta di Buon
Governo8, ma prima o poi gli
piacerebbe. La Giunta è l'organo di governo zapatista
e ce n'è una per ogni Caracol, le “zone zapatiste”
create nel 2003 come reazione al tradimento dei partiti politici.
Nell'aprile 1995, nel paese di San Andrés Larráinzar9
(Chiapas) iniziarono i dialoghi di pace con il governo messicano,
a cui gli zapatisti chiedevano il riconoscimento del diritto
dei popoli indigeni10 a lavoro,
terra, casa, alimentazione, sanità, educazione, indipendenza,
libertà, democrazia, giustizia, pace, informazione e
cultura. Che venisse, in pratica, riconosciuto il loro diritto
ad esercitare l'autonomia, ossia la facoltà di governarsi
in modo indipendente e con le proprie leggi, una delle principali
rivendicazioni dei popoli indigeni a partire dagli anni '70
nella lotta al colonialismo e all'integrazionismo11.
L'autonomia è stata praticata ancestralmente dagli indigeni
americani e il governo secondo “usi e costumi” non
è un'invenzione dell'EZLN12.
Prima dell'arrivo dei conquistadores europei, le comunità
si governavano seguendo le proprie regole e secondo la propria
visione del mondo. La logica politica che muoveva i governi
pre-ispanici e quelli che oggi vengono definiti “secondo
usi e costumi” è, essenzialmente, assembleare.
La comunità si riunisce per cercare il consenso in un
processo che può essere lungo e complicato, ma la decisione
finale metterà d'accordo tutti. Si tratta di prediligere,
nel processo decisionale, la democrazia all'efficienza, che
sarebbe senz'altro maggiore se il potere venisse affidato a
un piccolo gruppo.
Nel 2011 a San Cristóbal de Las Casas, davanti a un pubblico
rapito, il sociologo Boaventura de Souza Santos offrì
un esempio del metodo con cui le comunità indigene scelgono
i propri rappresentanti. Alle elezioni boliviane del 2010 un
candidato venne eletto con il 99% dei voti. L'opposizione, stupita
per la vittoria schiacciante e inverosimile, denunciò
la frode elettorale. Si scoprì poi che la comunità
si era riunita durante quattro giorni per decidere quale candidato
appoggiare e, una volta raggiunto il consenso, andò alle
urne votandolo in massa. Gli indigeni boliviani presero la loro
decisione attraverso il sistema consensuale della democrazia
comunitaria, e andarono poi alle urne per compiacere la democrazia
rappresentativa13.
La democrazia comunitaria degli indigeni mesoamericani ha caratteristiche
del tutto simili. Già nel XVI secolo gli spagnoli s'erano
accorti che i maya erano poco rispettosi delle autorità,
e più propensi a discutere in assemblea piuttosto che
affidarsi a capi politici. Scrive Eduardo Galeano nella sua
opera Specchi:
“I nuovi signori erano sconcertati: questi indios senza
re avevano perso l'abitudine a ubbidire. Frate Tomás
de la Torre raccontava, nel 1545, che i tzotziles di Zinacatán14
mettevano uno a dirigere la guerra e, quando non lo faceva bene,
lo toglievano e ci mettevano un altro. In tempo di guerra o
di pace, la comunità sceglieva come autorità la
persona che, fra tutte, sapeva ascoltare meglio.
Il potere coloniale dovette consumare molti flagelli e molte
forche per obbligare i maya al pagamento delle tasse e al lavoro
forzato. In Chiapas, nel 1551, il magistrato Tomás López
constatava che si negavano alla schiavitù e lamentava:
«È gente che lavora solo quando ha bisogno.»
E un secolo e mezzo dopo, a Totonicapán15,
il funzionario Fuentes y Guzmán dovette riconoscere che
il nuovo despotismo non era riuscito ad avanzare molto. Gli
indios continuavano a vivere senza una testa superiore a cui
obbedire, e fra di loro era tutta una riunione, una discussione,
un consiglio e un mistero, lasciando solo dubbi ai nostri16”.
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Municipi
del Chiapas con presenza zapatista. Fonte CIEPAC |
Niente stadio, ma una clinica erboristica
Io e Arturo parliamo del fuso orario. Gli dico che in Europa
l'orologio segna 7 ore in meno rispetto a San Felipe, e che
là saranno le 3 di notte. Mi chiede come faccio a non
aver sonno se nel mio paese è ancora buio, e come funziona
questa storia del fuso orario. Ammetto che non glielo so spiegare.
Domanda dov'è il mio paese, quante ore di autobus ci
vogliono per raggiungerlo, se si trova vicino agli Stati Uniti.
Mi dice che gli piacerebbe visitare gli Stati Uniti, e anche
Città del Messico.
Mi racconta di quando, nel marzo 2011, la Marcia del Colore
della Terra accompagnò la comandanta Esther fino a Città
del Messico, dove tenne un discorso di fronte al Congresso dell'Unione.
La mobilitazione, che attraversò metà del paese
per poi riempire la piazza centrale della capitale, venne seguita
da persone di tutto il mondo, tra cui 250 italiani. Lo scopo
della marcia era spingere il Congresso a ratificare gli accordi
di San Andrés, già firmati dal governo, che riconoscevano
il diritto all'autonomia indigena.
Il mese successivo tutti i partiti, tra cui il Partido de la
Revolución Democrática (PRD, di centrosinistra)
di Cuauhtémoc Cárdenas, che si era riunito varie
volte con l'EZLN, misero da parte gli accordi di San Andrés
e votarono un'altra legge. Questa non riconosceva l'autonomia
dei popoli nativi che si appellarono, inutilmente, alla Suprema
Corte.
A due anni dal tradimento del PRD, che portò gli zapatisti
a criticare aspramente il sistema partitico e gli intellettuali
di sinistra messicani, venne annunciata la creazione dei Caracoles.
Stanchi di aspettare che il Congresso sancisse il diritto all'autonomia,
gli zapatisti decisero unilateralmente di esercitarla17,
si staccarono definitivamente dal PRD e sospesero qualsiasi
tipo di contatto con il governo messicano. In questo senso,
il movimento indigeno chiapaneco si distingue da quelli di altri
paesi latinoamericani, come Bolivia ed Ecuador, per cui l'autonomia
è una necessità che viene continuamente negoziata
con lo stato18.
L'8 agosto 2003, anniversario della nascita di Emiliano Zapata,
l'EZLN annunciò la formazione delle Giunte di Buon Governo
per coordinare i Municipi Autonomi Ribelli delle cinque regioni
in cui fu diviso il territorio zapatista, chiamate, per l'appunto,
Caracoles19. Con la loro creazione,
l'EZLN separò la gestione militare da quella politica,
lasciando alle basi d'appoggio il governo delle comunità
nell'esercizio del mandar obedeciendo, il “comandare
ubbidendo” che è uno dei più noti ed efficaci
motti zapatisti.
“Qui il popolo comanda e il governo ubbidisce”,
scrivono all'entrata dei Caracoles. Ogni giunta rimane in carica
per tre anni, e le persone che ne fanno parte vengono destituite
se non rispettano il mandato dell'assemblea generale, che è
la massima autorità politica della zona. I membri della
Giunta non governano tutti insieme, ma per gruppi che si danno
il cambio ogni settimana o 15 giorni, a seconda del Caracol.
L'incarico non è retribuito ed è rotativo, scelta
che impedisce l'accumulazione di potere e di soldi nelle mani
dei governanti, visto che non ha senso comprare una persona
che dopo pochi giorni non ci sarà più.
Il mandato rotativo evita anche la professionalizzazione della
politica e la formazione di una casta di dirigenti: i membri
della Giunta di Buon Governo sono contadini che per un periodo
si prestano alla gestione della cosa pubblica, e che saranno
nuovamente contadini una volta tornati a casa dove, in loro
assenza, la comunità si sarà incaricata dei loro
campi e della famiglia20.
Il governo rotativo comporta, però, alcune criticità.
Esiste, ad esempio, un problema di continuità nell'implementazione
dei progetti che organizzazioni o persone esterne al movimento
propongono nei territori autonomi, che spesso si mettono d'accordo
con una Giunta di Buon Governo e quando tornano ce n'è
un'altra21.
La solidarietà nazionale e internazionale è molto
importante per gli zapatisti e si concretizza nella proposta
di progetti di vario tipo, come corsi di formazione nelle comunità
o opere infrastrutturali. In fila davanti all'ufficio della
Giunta di Buon Governo, oltre a chi vive nella zona ed è
in attesa di parlarle per questioni agrarie o inerenti giustizia,
salute, educazione e registro civile, spesso si trovano anche
persone venute da fuori per proporre il proprio progetto. Altri
sono lì per consegnare una donazione, e la Giunta di
Buon Governo deciderà in che modo investire i soldi senza
dover accettare le priorità dei donanti, come avviene
normalmente con fondazioni e ONG22.
Nel 2003 un gruppo di ragazzi di Bergamo arrivò alla
Realidad, nella selva Lacandona, per donare agli zapatisti il
denaro raccolto durante un torneo di calcio intitolato a Francesco
Romor, un tifoso veneziano morto prematuramente. I bergamaschi
avevano l'idea di utilizzare il denaro per costruire uno stadio
nella comunità di Guadalupe Tepeyac, ma la Giunta di
Buon Governo propose di investirlo nella costruzione di una
clinica erboristica, che riteneva più utile.
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Cartello
all'ingresso del Caracol di Oventic. “Per tutti tutto.
Niente per noi” |
Super-uomini? No grazie
L'antiverticalismo è presente anche nella struttura dell'EZLN. Se i partiti e le altre organizzazioni politico-militari mettono al vertice i propri leader e alla base i militanti, nell'EZLN le decisioni più importanti non vengono prese dalla cupola militare, ma dalle comunità. La stessa decisione di insorgere in armi, ad esempio, è stata presa dopo un lungo processo di confronto tra le basi zapatiste.
In un'intervista al giornalista uruguayano Raúl Zibechi, il comandante Tacho racconta come i comandanti e le comandante dell'EZLN, che possono essere politici o militari, vengono scelti dalle comunità:
“Tutti noi comandanti siamo stati eletti democraticamente
dalle assemblee delle comunità, o dai responsabili locali
che eleggono quelli regionali. L'assemblea elegge i delegati
al Comité Clandestino Revolucionario Indígena
(CCRI)23, perché i compagni
della base devono sapere chi eleggono e se le persone si comportano
male la base le toglie24”.
Fino al maggio 2014, il comando militare zapatista era affidato a Marcos, che ha più volte affermato che il fine ultimo dell'EZLN è scomparire come organizzazione militare. Per questo Raúl Zibechi ha coniato la paradossale definizione di “guerriglia antimilitarista”, sottolineando le differenze tra l'EZLN e le altre guerriglie latinoamericane, anche nel loro rapporto con i popoli indigeni.
Nel vicino Guatemala, ad esempio, la struttura di comando dell'Ejército
Guerrillero de los Pobres (EGP), che operò dal 1974 fino
agli accordi di pace del 1996, prevedeva che gli indigeni dovessero
sottostare alle decisioni dell'avanguardia meticcia. A partire
dagli anni '80, in Perú l'organizzazione armata Sendero
Luminoso seminava il terrore tra contadini e nativi, arrivando
a sgozzare quasi un'intera comunità di indigeni asháninka
nella selva amazzonica. In Nicaragua il governo rivoluzionario
sandinista deportò il popolo miskito dal luogo in cui
aveva sempre vissuto, per poi cambiare idea nel 1987 quando
ne riconobbe l'autonomia25.
“Qui in Colombia i movimenti indigeni rispettano l'Ejército
de Liberación Nacional (ELN) e in alcune regioni anche
le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC), ma ci
sono state tensioni molto forti”, spiega l'antropologo
colombiano Efraín Jaramillo. “Quando negli anni
'80 gli indigeni della regione del Cauca formarono il gruppo
armato Quintin Lame per difendersi dai latifondisti, le FARC
si proposero per addestrarli. I membri del Quintin Lame raggiunsero
il luogo dell'addestramento, e lì le FARC li fucilarono26”.
La logica dell'EZLN è molto differente. Alcuni suoi simpatizzanti un po' ciechi tendono a vedere gli zapatisti come super uomini e super donne incapaci di incorrere in tentazione o in errore, e le loro comunità come mondi perfetti e senza macchia. Questo, ovviamente, non è vero. Gli zapatisti sono persone come tutte le altre, capaci di provare sentimenti come ira o avidità. Sono però esseri umani provvisti di una forte etica e può sorprendere come il loro comportamento sia coerente con essa.
“Pensano che i figli e le figlie dei comandanti e delle
comandanti dovrebbero usufruire di viaggi all'estero, di studi
in scuole private e poi di alti posti nelle imprese e nella
politica”, scrive Marcos in Tra luce ed ombra.
“Che invece di lavorare la terra per ottenere il cibo
attraverso l'impegno e il sudore, dovrebbero farsi belli nelle
reti sociali e divertirsi nelle discoteche, esibendo lusso27”.
Un'idea di potere differente
Il sole si abbassa sulla comunità di San Felipe e con
lui la calura soffocante del pomeriggio. La campagna s'inonda
di luce e la piazzetta, dove di giorno pascola un asino solitario,
inizia a riempirsi di gente. È un rituale che si ripete
ogni giorno a San Felipe, costante e puntuale come il tramonto.
I priisti giocano a calcio, gli zapatisti e gli aderenti alla
Sexta preferiscono il basket. Le donne si siedono davanti alla
scuola, ogni tanto guardano la partita ma parlano d'altro. Le
gioie dello sport sono riservate agli uomini.
Arturo arriva con una chitarra, canta una canzone che parla
di un camaleonte e piace ai bambini. La cantano in coro mentre
altri si rincorrono, giocano a “esercito e zapatisti”,
una versione locale di guardie e ladri in cui tutti scelgono
il ruolo di zapatista.
Sono la nuova generazione del movimento, nata e cresciuta nelle
comunità ribelli, studiando con maestri zapatisti che
li educano all'autonomia, alla capacità di riflettere
e deliberare. In un'intervista alla giornalista Laura Castellanos,
il subcomandante Marcos ha spiegato che la nuova generazione
non si aspetta nulla dal governo né dai partiti, e sa
di doversi risolvere i problemi da sola28.
È una generazione cresciuta con un'idea di potere differente
da quella a cui siamo abituati29.
È un potere diluito, che non deve essere preso con la
forza ma ristrutturato dal basso a partire dalle comunità,
lontano dal verticalismo che domina le istituzioni, i partiti
politici e le organizzazioni sociali. Come dal leninismo che,
secondo Gustavo Esteva, ha dominato il modo di pensare della
sinistra come della destra:
“Il leninismo è un'ingegneria sociale imposta
dall'alto, dal tetto degli intellettuali e dei dirigenti, dopo
aver preso il potere statale. Uno stato che sarà fascista
se viene preso dai fascisti, rivoluzionario se lo prendono i
rivoluzionari. Uno stato che, in ogni caso, viene visto come
qualcosa di innocente che bisogna conquistare per poter fare
la rivoluzione, che basta cambiare i dirigenti per fare felice
il popolo, che togliendo Peña Nieto30
e mettendo al suo posto un altro risolveremo i problemi della
società31”.
Gli zapatisti vogliono invece cambiare alla radice la struttura
del potere e decentralizzarlo. Criticano i “rivoluzionari
di professione” che finiscono per avere un atteggiamento
autoritario e paternalistico nei confronti delle proprie basi.
Una concezione del potere che non fa che riflettere la democrazia
comunitaria e assembleare praticata dagli indigeni dalla notte
dei tempi.
Lo stesso Marcos ha raccontato di come la sua costruzione teorica
marxista abbia iniziato a dissolversi nel momento in cui è
entrato a contatto con la realtà indigena32.
In questa critica all'avanguardismo, la decisione di “far
scomparire” il subcomandante Marcos per lasciare spazio
alla collettività è stata un'incredibile lezione
di coerenza.
Orsetta Bellani
sobreamericalatina.com
Note
- Intervista al comandante Tacho di Raúl Zibechi, Caracol
della Realidad. Da Raúl Zibechi, Il paradosso zapatista.
La guerriglia antimilitarista in Chiapas, Elèuthera,
Milano, 1998, pag. 92.
- Nome inventato, per motivi di sicurezza.
- Nome inventato, per motivi di sicurezza.
- Subcomandante Marcos, Tra
luce ed ombra. Sul presente numero di “A”,
pp. 34-44.
- Partito conservatore che dal 1929 governa il Messico, con
una pausa tra il 2000 e il 2012.
- In un comunicato del gennaio 2013, l'EZLN ha annunciato che
la “Otra Campaña” si sarebbe chiamata “Sexta”.
- Neil Harvey, Más allá de la hegemonía.
El zapatismo y la otra política. In Bruno Baronnet,
Mariana Mora Bayo, Richard Stahler-Sholk (a cura di), Luchas
“muy otras”. Zapatismo y autonomía en las
comunidades indígenas de Chiapas, UAM, México,
2011, pag. 184-190.
- Gli zapatisti parlano di buon governo (buen gobierno) in opposizione
al cattivo governo (mal gobierno), como definiscono il governo
ufficiale.
- Municipio “ufficiale” che corrisponde al Municipio
Autonomo Zapatista di S'akamchen de los Pobres.
- Ai dialoghi di San Andrés parteciparono anche i rappresentanti
dei popoli indigeni di altri stati del Messico. Molti di questi
dirigenti sono poi confluiti nel Congresso Nazionale Indigeno
(CNI), creato nel 1996, entità che si riunisce periodicamente
e che esige il rispetto degli accordi di San Andrés e
l'autonomia dei popoli indigeni messicani.
- Araceli Burguete Cal y Mayor, Autonomía: la emergencia
de un paradigma en las luchas por la descolonización
en América Latina. In Miguel González, Araceli
Burguete Cal y Mayor, Pablo Ortiz-T. (a cura di), La autonomía
a debate. Autogobierno indígena y estado plurinacional
en América Latina, FLACSO, Quito, Ecuador, 2010,
pag. 63-94.
- Luis Hernández Navarro, Movimiento indígena:
autonomía y representación política.
In Giovanna Gasparello, Jaime Quintana Guerrero, Otras geografías.
Experiencias de autonomías indígenas en México,
Universidad Autónoma Metropolitana, Distrito Federal,
México, 2009, pag. 31-53.
- Atti del II Seminario Internacional de reflexión
y análisis: “Planeta Tierra, Movimientos Antisistémicos”,
San Cristóbal de Las Casas, 30 dicembre 2011 –
2 gennaio 2012. In http://chacatorex.blogspot.it/2011/12/2-seminario-internacional-de-reflexion.html.
- Paese maya tzotzil negli Altos de Chiapas, non lontano da
San Cristóbal de Las Casas.
- Città del sud del Guatemala. Nella zona vivono prevalentemente
indigeni maya quiché.
- Eduardo Galeano, Espejos, Siglo Veintiuno Editores,
Distrito Federal, México, 2008, pag. 126.
- Sull'esercizio dell'autonomia senza il “permesso”
del governo, vedi Shannon Speed, Ejercer los derechos/reconfigurar
la resistencia en las Juntas de Buen Gobierno zapatistas.
In Bruno Baronnet, Mariana Mora Bayo, Richard Stahler-Sholk
(a cura di), Luchas “muy otras”. Zapatismo y
autonomía en las comunidades indígenas de Chiapas,
UAM, México, 2011, pag. 155-156.
- Mariana Mora, Las experiencias de la autonomía
indígena zapatista frente al Estado neoliberal mexicano.
In Miguel González, Araceli Burguete Cal y Mayor, Pablo
Ortiz-T. (a cura di), La autonomía a debate. Autogobierno
indígena y estado plurinacional en América Latina,
FLACSO, Quito, Ecuador, 2010, pag. 291-315.
- I Caracoles vennero fondati sulle ceneri dei cosiddetti Aguascalientes.
Sono luoghi fisici che non ospitano solo l'ufficio della Giunta
di Buon Governo, ma anche la scuola e la clinica autonoma, negozietti
comunitari, la chiesa, dormitori per persone in visita (zapatisti
e non) e spazi ricreativi come campi da basket.
- Quaderni di testo della prima Escuelita Zapatista, Gobierno
autónomo I y II. I quaderni si possono scaricare
all'indirizzo http://anarquiacoronada.blogspot.it/2013/09/primera-escuela-zapatista-descarga-sus.html.
- Laura Castellanos, Corte de caja. Entrevista al Subcomandante
Marcos, Impresos Gráficos Publicitarios, 2008, pag.
42.
- Luis Hernández Navarro, Movimiento indígena:
autonomía y representación política.
In Giovanna Gasparello, Jaime Quintana Guerrero, Otras geografías.
Experiencias de autonomías indígenas en México,
Universidad Autónoma Metropolitana, Distrito Federal,
México, 2009, pag. 31-53.
- Organo che riunisce i comandanti e comandante dell'EZLN,
chiamato anche Comandancia.
- Raúl Zibechi, Il paradosso zapatista. La guerriglia
antimilitarista in Chiapas, Elèuthera, Milano, 1998,
pag. 59.
- Raúl Zibechi, Il paradosso zapatista. La guerriglia
antimilitarista in Chiapas, Elèuthera, Milano, 1998,
pag. 142-156. Sulle guerriglie latinoamericane vedi anche Alberto
Prieto, Las guerrillas contemporáneas en América
Latina, Ocean Sur, Colombia, 2007.
- Intervista di Orsetta Bellani a Efraín Jaramillo,
Bogotá (Colombia), marzo 2013.
- Subcomandante Marcos, Tra luce ed ombra.
Sul presente numero di “A”, pp. 34-44.
- Laura Castellanos, Corte de caja. Entrevista al Subcomandante
Marcos, Impresos Gráficos Publicitarios, 2008, pag.
37.
- Sul concetto di potere zapatista vedi Raúl Zibechi,
Zapatisti e Sem Terra. Movimenti sociali e insorgenza indigena,
Zero in Condotta, Milano, 2001, pag. 52–67. Segnaliamo
anche Pablo González Casanova, Los Caracoles zapatistas:
redes de resistencia y autonomía, rivista Memoria,
n. 176, México, 2003, pag. 14-19. E Cristina Híjar
González, Autonomía Zapatista. Otro mundo es
posible, AMV, México, 2008, pag. 94-116.
- Attuale presidente messicano, in carica dal 1 dicembre 2012.
- Gustavo Esteva, atti del seminario Las Venas Abiertas
del Chiapas Contemporáneo, San Cristóbal de
Las Casas, Chiapas, 23-25 ottobre 2013.
- Raúl Zibechi, Il paradosso zapatista. La guerriglia
antimilitarista in Chiapas, Elèuthera, Milano, 1998.
queste
lettere dal Chiapas
Orsetta
Bellani (La Spezia 1982) da alcuni anni scrive sulla nostra
rivista. Sullo scorso numero (“A” 391, estate
2014) è apparsa la sua prima lettera dal Chiapas,
intitolata San
Cristobal de Las Casas: la “città vampiro”
e l'insurrezione armata zapatista. Questa sua
serie di corrispondenze/riflessioni (che proseguirà
nei prossimi numeri della rivista) vuole contribuire a
tenere alta l'attenzione sull'esperienza zapatista, in
un periodo in cui sembra passata “di moda”.
Senza alcuna mitizzazione, ma con il profondo rispetto
per chi concretamente, quotidianamente, si impegna per
la realizzazione di un mondo migliore. Lì e oggi.
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