Secondo noi, Marcos
La “scomparsa” del subcomandante ha suscitato diversi pareri. Di seguito riportiamo due opinioni inviateci.
Il signore degli specchi e il principio del capo
di Federico Battistutta
Non mi stupirei se molti simpatizzanti dell'EZLN digerissero
a fatica le últimas palabras del subcomandante
Marcos. Non tanto e non solo per il suo addio definitivo e il
conseguente sentimento di nostalgia verso l'epopea del Sup.
Ma soprattutto perché queste ultime parole colpiranno
nel segno rispetto a chi in questi anni ha persistito nel coltivare
l'immagine (mitica? epica? romantica? da feuilleton o
da fumetto?) dell'eroe rivoluzionario. Nella “società
dello spettacolo”, in cui i rapporti sociali sono mediati
da immagini, il subcomandante Marcos si è rivelato non
essere altro che una maschera, un pupazzo, un ologramma; è
il 'signore degli specchi' (secondo la bella definizione di
Vázquez Montalbán), una geniale invenzione da
parte della gente del Chiapas per portare l'attenzione, altrimenti
negletta, sulla propria condizione. A quanto pare riuscendoci
appieno: tutti siamo caduti dentro questo congegno, avversari
e sostenitori. E ora, gli zapatisti e le zapatiste, decidono
di porre fine alla loro creatura.
Adesso, a cose fatte, che ne faremo del simulacro di Marcos
fra le mani? Una sindone o un'icona mediatica? Oppure seguiremo
il suggerimento presente all'interno di quest'ultima dichiarazione:
«dovreste coltivare un po' di senso dell'umorismo, non
solo per la salute mentale e fisica, ma anche perché
senza senso dell'umorismo non si può comprendere lo zapatismo.
E quello che non capisce, giudica; e quello che giudica, condanna».
E, con questo giusto dosaggio di umorismo, ripensare il nostro
rapporto con la politica. A ben vedere, questa è l'ultima
tappa di un sovvertimento delle categorie del politico a cui
Marcos ci aveva già abituati con le precedenti dichiarazioni:
con lui, infatti, il comunicato politico esce dall'angusto lessico
algido e burocratico (vi ricordate i comunicati delle varie
organizzazioni armate negli anni Settanta?), per divenire atto
creativo. Si può veramente dire che l'immaginazione prende
il potere (meglio: lo demolisce).
Andiamo al cuore di tutto il comunicato: «É una
nostra convinzione ed una nostra pratica che per ribellarsi
e lottare non sono necessari né leader né capi
né messia né salvatori. Per lottare si ha solo
bisogno di un po' di vergogna, un tanto di dignità e
molta organizzazione». Quale distanza dal líder
máximo cubano e dai più recenti epigoni! È
dunque possibile farla finita, una volte per tutte, con l'idea
di capo in ogni sua possibile declinazione e sollevare la testa,
percorrendo con i propri simili tratti di strada in piena orizzontalità?
Nella Selva Lacandona dicono di sì. Con insistenza.
C'è un video (lo si trova facilmente su youtube) in cui
Marcos dichiara la sua intenzione di togliersi il passamontagna
e mostrare a tutto il mondo il suo volto. Lo si vede chinare
il capo, afferrare con una mano il passamontagna, quindi strapparlo
via; dopodiché compare il viso di un ragazzo indio e
subito dopo il medesimo gesto - quello di togliersi il passamontagna
- lo vediamo ripetuto e ogni volta compare un volto differente:
giovani, anziani, bambini, maschi, femmine, bianchi, gente di
colore e così via. Come dire: tutti siamo Marcos. Il
subcomandante non esiste perché tutti siamo Marcos quando
solleviamo il capo e decidiamo di prendere la vita nelle nostre
mani.
Proviamo allora a leggere la storia di Marcos anche alla luce
di quanto accade a casa nostra. «Sventurata la terra che
ha bisogno di eroi», diceva il Galileo di Brecht. E, da
questa prospettiva, l'Italia è davvero una terra di estrema
sventura. La prolungata agonia in cui versa la nostra democrazia
rappresentativa ha affidato al culto del capo l'ultima possibilità
per sopravvivere. In questa semplice chiave è possibile
leggere le vicende della cosiddetta “seconda repubblica”.
Se tangentopoli aveva sepolto il “sistema dei partiti”,
(n.b.: gli stessi partiti che una manciata di anni prima dichiaravano
di aver superato gli anni di piombo in nome dei sacri valori
costituzionali), se nei raggruppamenti politici da tempo non
crede più nessuno, si sono allora fatte avanti liste
costruite intorno a questo o quel leader. Basta ideologie, basta
partiti: prima con Berlusconi, ora Renzi (per non parlare di
Grillo e della sua alternativa). La democrazia rappresentativa
vuole salvarsi con una svolta autoritaria. È infatti
sufficiente raschiare un po' e dietro il culto del capo vediamo
all'opera il führerprinzip, il tristemente famoso
“principio di supremazia del capo”. Anche la sinistra
– o ciò che rimane di essa – anziché
innescare una controtendenza, ha finito per accodarsi, triste,
a tale indirizzo (v. le varie liste in cui campeggiano i nomi
di Vendola, Ingroia e, infine, Tsipras; con quest'ultimo si
è toccato in qualche modo il fondo: non essendoci a disposizione
una figura leader in casa nostra si è dovuta cercarla
nel resto d'Europa).
Qui l'appello di Marcos diventa allora per noi una vera e propria
sfida, da raccogliere con ironia, con dignità e molta
fantasia; anche se difficile, se non impossibile, per i politici
nostrani. (Marcos, in una conversazione con Montalbán,
aveva affermato che «un partito politico non può
afferrare la proposta zapatista in quanto uno dei suoi aculei,
tra i più pungenti, è la critica dei politici
di professione, e questo indipendentemente dalla loro posizione
politica»).
Federico Battistutta
La fine del Sup è il funerale dell'Autorità
di Valerio Morosi
Il Subcomandante Marcos, portavoce dell'Ezln ed additato dal
governo come leader degli stessi insorgenti chiapanechi, ha
smesso di esistere il 25 maggio 2014. Il tutto, come ormai noto,
è stato dichiarato dallo stesso interessato in un incontro
pubblico in ricordo del compañero Galeano, vilmente
ucciso in un attacco paramilitare il 2 maggio scorso. Il portavoce
zapatista è ritornato nella notte scura degli indigeni,
nell'oltretomba da cui vengono tutte le voci del suo popolo.
Si è inoltrato nell'oblio dei 500 anni di sfruttamento
che separano il presente dall'arrivo dei conquistadores occidentali
e cessa di far sentire la sua voce e diffondere i suoi comunicati
ironici, sferzanti e spesso commoventi.
Chi non conosce lo zapatismo e i suoi metodi, o ha da sempre
scambiato il movimento per il classico foco guevarista,
resterà perplesso da una simile manovra. Chi era affezionato
ai libri del Subcomandante, alle sue parole, alle sue storie
– ed effettivamente le capacità letterarie della
persona che si celava dietro pipa e passamontagna sono state
ampiamente riconosciute in tutto il mondo – sarà
sinceramente rimasto dispiaciuto da questa decisione. Ma chi
fa parte della seconda categoria sa anche che questa sparizione
è figlia di una logica coerente con l'ideologia libertaria
dell'Ezln.
Da tempo ormai il movimento neo-zapatista del Chiapas ammetteva
di essere giunto ad un punto di svolta. Dopo vent'anni di insurrezione,
di lotta giornaliera tesa ad instaurare una propria autonomia
contro i soprusi del governo, una nuova generazione di uomini
e donne si era ormai formata sotto le insegne dello zapatismo.
Furono peraltro queste stesse compagne e compagni indigeni ad
accogliere nel 2013 le migliaia di persone venute da tutto il
mondo per partecipare all'Escuelita Zapatista, un momento di
rilancio dell'Ezln che ha nuovamente mostrato al mondo le potenzialità
organizzative e coordinative del movimento, oltre al cuore e
alla forza del popolo originario della Selva Lacandona. Durante
questa occasione i partecipanti hanno avuto la possibilità
di vivere per alcuni giorni nelle comunità che costituiscono
l'ossatura dell'Ezln, ovvero le “basi di appoggio”.
Grande assente di questi incontri, caduti tra l'altro durante
il ventennale dell'insurrezione chiapaneca – 1° gennaio
1994 –, è stato poi lo stesso Subcomandante Marcos.
È evidente che il significato della mancata apparizione,
letta inoltre nell'ottica della precedente cessione al Subcomandante
Moises del comando dell'esercito, sia stato la volontà
di mostrare quali siano i veri detentori del potere: le comunità,
gestite localmente da autorità rappresentative mediante
un sistema di distribuzione degli incarichi auto organizzato
in maniera totalmente assembleare.
La sparizione della figura del Subcomandante è frutto
di una esigenza di chiarezza, tesa a togliere ogni dubbio relativo
alla gestione del potere nell'Ezln; tesa a mostrare come le
teste e i media occidentali, accecati da pregiudizi inveterati
relativi al culto della personalità, alla necessità
di un leader, alla personificazione del comando, abbiano in
realtà sempre preso un abbaglio. Marcos sta all'Ezln
come il proverbiale dito indice alle persone che vi si nascondono
dietro – gioco in cui la colpa dell'errore è sempre
dovuta all'osservatore – e l'Occidente, non accorgendosi
di ciò, ha sempre mistificato la portata della rivoluzione
in Chiapas.
Purtroppo la circostanza che ha occasionato la rivelazione è
tra le più tristi in assoluto. È stato dopo l'assalto
al Caracol (ovvero il centro coordinatore della zona) di La
Realidad, la distruzione della clinica lì costruita e
l'omicidio barbaro di Galeano che le comunità hanno finalmente
deciso di por fine alla “leggenda” del Subcomandante,
un fantasma troppo ingombrante per il popolo chiapaneco, seppure
la decisione fosse appunto nell'aria da tempo. Per la volta
definitiva l'Ezln ha detto basta alle personificazioni e agli
ideali autoritari, alle guerriglie fochiste, alle teorie delle
avanguardie operaie, alle menzogne del mandato popolare incondizionato
ad un manipolo di rivoluzionari di professione.
Ma sono sicuramente le ultime parole del Subcomandante quelle
che possono rendere maggiore giustizia alla decisione: “Non
ci saranno dunque case-museo o targhe di metallo con su scritto
qui è nato e cresciuto. Né ci sarà chi
dirà di essere stato il subcomandante Marcos. Né
si erediterà il suo nome o il suo incarico. Non ci saranno
viaggi pagati all'estero per tenere conferenze. Non ci saranno
trasferimenti né cure in ospedali di lusso. Non ci saranno
vedove né eredi. Non ci saranno funerali, né onori,
né statue, né musei, né premi, né
niente di quello che il sistema fa per promuovere il culto della
personalità e per sminuire la collettività. Il
personaggio è stato creato ed ora i suoi creatori, gli
zapatisti e le zapatiste, lo distruggono”.
La morte di Marcos acquista il significato simbolico di sacrificio
nei confronti di Galeano; “Pensiamo che sia necessario
che uno di noi muoia affinché Galeano viva. E per soddisfare
la morte impertinente, al posto di Galeano mettiamo un altro
nome affinché Galeano viva e la morte non si porti via
una vita, ma solo un nome, poche lettere prive di senso, senza
storia propria, senza vita. Quindi abbiamo deciso che Marcos
da oggi smette di esistere [...]. Alla fine chi capirà,
saprà che non se ne va chi non c'è mai stato,
né muore chi non ha vissuto. E la morte se ne andrà
via ingannata da un indigeno col nome di lotta di Galeano, e
sulle pietre posate sulla sua tomba tornerà a camminare
ed ad insegnare, a chi lo vorrà, la base dello zapatismo,
cioè, non vendersi, non arrendersi, non tentennare”.
Foto di Galeano sono state diffuse sui media alternativi; egli
è l'unico zapatista di cui esistano immagini senza il
passamontagna; anche questo fatto è fortemente simbolico,
perché il volto coperto è da sempre il maggior
simbolo del movimento. Uno dei suoi molteplici significati è
quello del “coprirsi per essere finalmente visti”
dopo un lungo e silenzioso inverno di schiavitù durato
secoli. A Galeano invece il volto, nella morte, è stato
restituito, cosa che fa di lui un nume e che apre la sua memoria
e immagine all'eternità. Galeano non è il primo
zapatista morto per la causa e temiamo tutti che non sarà
nemmeno l'ultimo. Ma questo suo aperto ricordo, questa restituzione
del suo volto a noi tutti, fa di lui una incarnazione di tutti
i militanti indigeni caduti durante la lotta per la libertà.
Anche qualcosa di più di un nuovo Marcos.
Il sacrificio del Sup non è quello di un leader,
ma la fine indolore che inganna sia la morte sia i pregiudizi
del comando, e rivela che l'autorità è solamente
un fantoccio da svellere tramite la volontà e la ragione.
Valerio Morosi
Tirai una freccia al vento
per farlo sanguinare
Fabrizio De André
chiusura
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