Figli fra le sbarre
Purtroppo una delle cose più brutte del carcere è
che non ti danno abbastanza spazio da tentare di essere un buon
padre. E in fondo la limitazione della libertà è
la cosa per la quale si soffre di meno, perché in Italia
è quasi impossibile conciliare la vita da detenuto con
quella di padre e marito.
L'altro giorno nella Redazione di “Ristretti Orizzonti”
mi è capitato di leggere il Protocollo d'intesa, da poco
firmato, tra Ministero della Giustizia, Autorità garante
per l'infanzia e l'adolescenza e Bambini senza sbarre onlus.
E ho amaramente sorriso leggendo che i funzionari dell'Amministrazione
Penitenziaria si sono impegnati a “favorire il mantenimento
dei rapporti tra genitori detenuti e i loro figli, salvaguardando
sempre l'interesse superiore dei minorenni” e di “tutelare
il diritto dei figli al legame continuativo con proprio genitore
detenuto, che ha il diritto/dovere di esercitare il proprio
ruolo genitoriale” perché sono fortemente convinto
che, come al solito, questi rimarranno principi dichiarati e
mai applicati.
Poi mi sono ricordato di uno dei tanti colloqui che ho fatto
in tutti questi anni di carcere.
Fissavo il pavimento, il soffitto, le sbarre e le pareti della
mia cella. Come un'anima in pena camminavo avanti e indietro
per la stanza. Cercavo di mettere ordine nei miei pensieri.
Avevo la mente piena d'amore. C'erano delle volte che mi pentivo
di essermi fatto arrestare vivo perché soffrivo che i
miei figli mi venivano a trovare in carcere. Per loro avevo
sognato un padre migliore di quello che ero riuscito a essere.
Avevo sempre paura di avere rovinato la vita anche ai miei figli.
Stavo aspettando il colloquio ed ero in pensiero per i chilometri
che la mia famiglia doveva fare per raggiungere Sulmona. Ero
sempre ansioso quando dovevo abbracciare i miei figli. Fuori
c'erano la neve e il ghiaccio. Ero preoccupato per le condizioni
della strada. Fuori il cielo era nuvoloso e la temperatura doveva
essere sotto lo zero. Finalmente le guardie mi chiamarono. Si
prepari per il colloquio. Risposi subito: Sono pronto!
Evitai di dirgli che ero già pronto dalla sera prima.
Dopo dieci minuti due guardie mi presero in consegna. Mi perquisirono
e mi portarono nella sala colloquio. Nel locale c'era il solito
bancone divisorio, dove da una parte c'erano i parenti e dell'altra
i detenuti.
Da entrambi i lati c'era una serie di panche, dove sedersi.
Nella stanza c'erano già alcuni detenuti che facevano
colloquio con i parenti. Vidi che c'era un posto libero dove
il locale finiva. Mi diressi subito lì. Era in fondo
alla stanza, dalla parte opposta delle guardie che controllavano
la sala dietro un vetro. Diedi un'occhiata intorno. La sala
era pitturata dai colori del carcere. Le pareti di grigio e
il soffitto di bianco. Il tavolaccio divisorio era consunto.
Odorava di sofferenza. Chissà quante ne aveva viste.
Dopo pochi minuti vidi aprirsi la porta. Entrarono, spingendosi,
insieme sia mio figlio sia mia figlia. Sia lui, sia lei, ci
tenevano a entrare per abbracciarmi per primi. Era la solita
scena che si ripeteva da anni. Quando li vidi feci fatica a
respirare. E non riuscii a evitare che il mio cuore ruzzolasse
dal petto per correre ad abbracciarli. Il mio cuore arrivava
sempre prima di me. Io invece rimasi fermo in piedi al bancone
ad aspettarli. Stava arrivando prima mia figlia, ma mio figlio,
all'ultimo momento, diede una spallata a sua sorella e mi abbracciò
per primo. Mi baciò. Lo strinsi stretto con le braccia.
Ero felice di vederlo. Me lo mangiai con gli occhi. Erano mesi
che non lo vedevo. Notai che stava diventando sempre più
alto. Poi venne il turno di mia figlia. Ci baciammo sulle labbra.
Poi lei appoggiò la testa sulla mia spalla e le accarezzai
i capelli. La mia compagna dietro aspettava il suo turno e vedendo
che io e mia figlia non ci staccavamo sussurrò: Ehi!
Ci sono anch'io! Sorrisi. Mi staccai da mia figlia. Ed io
e la mia compagna restammo a guardarci per qualche istante.
Poi la abbracciai a lungo. E il mio cuore si aggrappò
a quello di lei. Non ci dicemmo nulla, intimiditi dagli sguardi
dei nostri figli. Ci sedemmo sulle panche. Mia figlia mi afferrò
subito la mano. Imitato da mio figlio che mi prese l'altra.
Rimanemmo in silenzio per qualche momento per lasciare parlare
i nostri cuori. Guardai con soddisfazione i miei figli. Erano
tutta la mia vita. L'unica cosa che avevo per essere felice.
Poi parlò per prima mia figlia: Papà come stai
qui? Le sorrisi: Bene! Sono stato fortunato che mi hanno
portato proprio qui, non potevo capitare meglio, la direttrice
è brava e mi ha accolto bene.
Le nascosi che appena arrivato mi avevano sbattuto alle celle
di punizione, nella cella liscia, perché mi ero rifiutato
di fare nudo le flessioni sopra uno specchio.
Mio figlio scrollò la testa: Papà, ma dici
così in tutti i carceri che ti trasferiscono.
Mia figlia fece un sorriso storto a suo fratello: Uffa! Stavo
parlando io a papà.
Io e la mia compagna ci scambiammo un'occhiata. E capii subito
cosa mi stavano dicendo i suoi occhi. Te l'avevo detto che
sono ancora gelosi e quindi era meglio che te li portavo uno
per volta! Alzai le spalle.
E le feci un largo sorriso. Era da qualche tempo che desideravo
vederli tutti e due insieme. Mia figlia riprese a parlare: È
vero però papà... in qualsiasi carcere che
ti mandano, ci dici che stai bene, lo dicevi anche in quel brutto
carcere dell'Asinara, dove non hai mai voluto che ti venissimo
a trovare.
Cambiai discorso: Spero che non stiate avendo dei problemi
con i vostri amici perchè avete un papà in carcere.
Rispose subito mio figlio: No! Papà che dici! Io sono
fiero di te. Piuttosto è lei...
E si voltò verso sua sorella. Che si vergogna con
i suoi amici figli di papà che vanno al liceo scientifico.
Mia figlia gli diede un calcio da sotto il bancone. E stizzita
negò: Non è vero papà... Voglio
solo che i miei amici non lo sappiano che sei in carcere perché
non sanno la persona meravigliosa che sei. E non voglio che
pensino male di te perché sei qui.
Le feci una carezza sul viso. E fai bene! Non c'è
bisogno che lo sappiano tutti dove si trova vostro padre.
Mio figlio intervenne contrariato: Io invece lo dico a tutti
i miei amici.
Corrugai la fronte: E fai male perché non c'è
nulla da essere orgogliosi ad avere un papà in carcere.
Mio figlio mi fece un sorriso mesto. E triste. Non arrenderti
papà... non arrenderti mai, noi ti aspettiamo a
casa.
Poi parlò mia figlia. E mi guardò dritto negli
occhi: Papà comportati bene... mi raccomando
non fare casini... perché se fai il bravo sento
che alla fine ti faranno uscire. Alzai lo sguardo al soffitto
con aria innocente. Non avevo mai avuto paura di qualcuno o
di qualcosa nella mia vita. Avevo paura solo di deludere mia
figlia. Le feci gli occhi dolci. E le sorrisi: Da quando
in qua sono i figli che dicono al padre di fare i bravi...
non dovrebbe essere l'incontrario?
Mia figlia rispose al mio sorriso. Nel frattempo la guardia
aveva gridato il mio nome.
Il colloquio è finito. Mi alzai di controvoglia.
E rivolgendomi ai miei figli dissi loro: Uscite per primi...
lasciatemi qualche secondo con vostra madre. Poi mi chinai
per abbracciare mio figlio che mi sussurrò: Ti voglio
bene papà. Lo abbracciai ancora più forte.
Anch'io te ne voglio. E gli diedi una pacca sulle spalle.
Poi venne il turno di mia figlia. Rimanemmo un attimo in silenzio.
Parlò per prima lei. Io avevo la gola secca. Papà
la spesa te l'ho fatta io... e ti ho fatto il sugo con
i piccioni... poi mi scrivi se ti è piaciuto...
ti ho comprato anche un maglione pesante. Feci finta di
non vederle gli occhi lucidi. Lei non piangeva quasi mai davanti
a me. Ero venuto a sapere che piangeva sempre dopo. Grazie
amore... adesso vai. Lei mi abbracciò ancora
una volta. Papà, io ti vorrò sempre bene. Ti
aspetterò sempre, non mi sposerò mai fin quando
non uscirai. Poi lei si voltò subito per non farsi
vedere nel viso. E andò via per lasciare il posto a sua
madre.
La mia compagna mi abbracciò. Io la baciai. Stai attenta
ai bambini. Lei mi sorrise controvoglia: Quali bambini?
Non lo vedi che i tuoi due figli ormai sono grandi.
L'accarezzai.Vai piano con la macchina... ti amo. Lei
annuì. Anch'io.
La guardia mi aveva già chiamato tre volte per avvisarmi
che il colloquio era già finito. E la lasciai andare
via. E pensai con amarezza che avevano fatto tutto quel viaggio
per solo un'ora di colloquio dietro un bancone.
Carmelo Musumeci
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Frase
anonima scritta sulla parete di una cella |
I
detenuti non hanno sesso
come gli angeli
(petizione per il diritto all'affettività in
carcere)
Nelle
carceri in Croazia sono consentiti colloqui non sorvegliati
di quattro ore con il coniuge o il partner. In Germania
alcuni Lander hanno predisposto piccoli appartamenti in
cui i detenuti con lunghe pene possono incontrare i propri
cari. In Olanda, Norvegia e Danimarca vi sono miniappartamenti,
immersi nel verde, forniti di camera matrimoniale, servizi
e cucina, con diritto di visite senza esclusioni relative
alla posizione giuridica dei reclusi.
In Albania, una volta la settimana, sono previste visite
non sorvegliate per i detenuti coniugati. In Québec,
come nel resto del Canada, i detenuti incontrano le loro
famiglie nella più completa intimità all'interno
di prefabbricati, siti nel perimetro degli istituti di
pena, per tre giorni consecutivi. In Francia, come in
Belgio, sono in corso sperimentazioni analoghe: la famiglia
può far visita al detenuto in un appartamento di
tre stanze con servizi, anche per la durata di quarantotto
ore consecutive.
In Canton Ticino (Svizzera) chi non fruisce di congedi
esterni può contare su una serie articolata di
colloqui anche intimi in un'apposita casetta per gli incontri
affettivi. In Catalogna (Spagna) si distinguono i “Vis
a vis”, incontri in apposite strutture attrezzate
per accogliere famigliari e amici. La possibilità
di coltivare i propri affetti è prevista anche
in alcuni Paesi degli Stati Uniti e in tutte le altre
parti del mondo.
In Italia invece fare l'amore con la donna che ami è
un reato. Nel nostro paese dicono che la famiglia è
la principale e basilare formazione sociale intermedia
che costituisce la “prima cellula” della società.
E che la persona umana conserva pienamente anche nella
condizione di detenzione il suo diritto inalienabile alla
manifestazione della propria personalità nell'affettività.
Eppure io e la mia compagna sono ventitré anni
che sogniamo l'amore senza poterlo fare. Lei, anche dopo
tanti anni, è ancora l'amore che avevo sempre atteso.
Mi ricordo ancora le sue prime parole, i suoi primi sorrisi
e i suoi primi baci. Da molti anni viviamo giorni smarriti,
perduti e disperati. Da tanti anni lei ama e si fa amare
da un uomo senza più speranza e futuro. Da ventitré
anni il suo amore mi dà vita di giorno e di notte.
Eppure da molti anni i suoi sorrisi sanno di tristezza,
delusione e malinconia perché da tanti anni le
mie mani non la accarezzano. Da ventitré anni penso
a lei in ogni battito del mio cuore. Da molti anni mi
sta dando tanto ed io invece così poco, perché
lei per me è il mare, il cielo, il sole e l'aria
che respiro. Eppure da tanti anni ci abbracciamo, ci baciamo
e ci amiamo solo con i nostri pensieri.
In carcere gli affetti e le relazioni, il rapporto stesso
di un individuo con le persone amate, con la propria vitalità
e con i desideri, viene sepolto. Di fronte all'impossibilità
di coltivare i sentimenti, se non in forme frammentarie
ed episodiche (i colloqui, le lettere, le telefonate dalla
sezione) spesso i detenuti e le detenute cancellano l'idea
di potersi sentire ancora vivi e vive nel cuore. Mentre
il corpo viene abbandonato come un cadavere nel fiume,
oppure, al contrario, imbalsamato nella cura ripetitiva
degli esercizi in palestra, fino a raggiungere una forma
perfetta quanto inservibile.
Carmelo
Musumeci
La petizione #AmoreTraLeSbarre, lanciata da Carmelo
Musumeci, sarà consegnata al ministro della Giustizia
Andrea Orlando. |
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