anarchismo
La nuova resistenza
di alcuni compagni dell'Ateneo Libertario di Firenze a cura di Nicola Grifoni
Conflitto sociale e resistenza a tutte le forme di potere statale sono i mezzi per conseguire uguaglianza e autodeterminazione.
Pratiche assembleari, partecipazione, non-violenza e difesa dei territori sono le modalità.
Rinascita del conflitto sociale
Per cominciare bisogna riabilitare un concetto radicale, depresso e caduto in disuso da troppo tempo: bisogna sostenere la legittimità del conflitto sociale, che metta in discussione le teorie e gli strumenti funzionali alle schiavitù moderne e che riporti alla ribalta con rinnovata forza l'aspirazione all'uguaglianza e all'autodeterminazione di ogni singola persona e dell'intera società. Uguaglianza e auto-determinazione da praticare ora e subito, nelle pratiche quotidiane, sfidando regole e abitudini, senza rimandarla a concezioni metafisiche della rivoluzione. Perché il potere in realtà non si può 'abbattere', si può invece disattenderlo, e esautorarlo, recidendo i molti legami materiali psicologici e comportamentali che condizionano l'agire collettivo. Sfida che comunque e inevitabilmente espone alle 'attenzioni' della Legge e che, anche con queste modalità, sarebbe insostenibile se praticata individualmente; sfida invece possibile, accettabile e col tempo politicamente remunerativa se praticata collettivamente.
Un conflitto da praticare con idee fondanti che riflettano e permettano il riconoscimento della realtà e anche con la rinascita di nuovi vincoli di solidarietà. Un conflitto che escluda le armi. La storia ha dimostrato che le armi riescono a offendere solo le persone fisiche, casualmente anche persone innocenti e mai i centri di potere. Al contrario le organizzazioni del potere (che sono entità corporative, anche se minoritarie) possono solo rafforzarsi quando, nei conflitti tendenti a combatterlo, vengono usati strumenti di distruzione.
Il potere statale è il più navigato gestore di strumenti di guerra, controllo e manipolazione dei gruppi sociali; ai tradizionali strumenti di indagine e repressione si sono aggiunti altri raffinati strumenti tecnologici, tali da prevenire, o altrimenti convertire mediaticamente, ogni azione che erroneamente (o provocatoriamente) associasse le lotte sociali ad offese materiali contro uomini della nomenclatura. Il conflitto non deve essere banalizzato; il conflitto va invece spiegato, rivendicato e difeso ma deve anche essere condiviso da larghi strati di popolazione; per questo deve essere riferito esclusivamente alla contrapposizione di interessi reali e a pratiche intelligenti di disobbedienza e contrasto che riflettano la legittimità dei principi rivendicati e al contempo permettano la crescita di simpatia e solidarietà verso le lotte da parte di maggioranze oggi spogliate di mezzi, immaginazione e fiducia verso i propri simili.
L'attacco va oggi portato ai dispositivi culturali del potere, agli immaginari collettivi che sono una costruzione artificiale, un ricatto che si avvale di paure e complicità diffuse costruite nel tempo ma che possono essere smantellate come qualsiasi altra invenzione umana. Per questo scopo terapeutico è necessaria la presenza e la partecipazione del soggetto principale, cioè il malato (non dei presunti dottori che vogliono somministrare l'ultima medicina): ci vuole l'oppresso che diventa artefice della propria liberazione contro le proprie vecchie abitudini.
Occhio alle strategie sommerse dei sistemi di sicurezza
Ciò nonostante, anche in questa necessaria prospettiva, bisogna essere coscienti che il percorso non è affatto lineare e presenta molti pericoli; primo tra tutti la prevedibile reazione contrapposta dalle strutture del potere che sono molto attrezzate nel deprimere e reprimere manifestazioni di dissenso e di contrasto aperto verso i vincoli normativi dell'autorità istituzionali. Ma più della reazione manifesta che qualsiasi governo può praticare con mezzi repressivi, dobbiamo temere le strategie sommerse che ogni regime sedicente democratico ha dimostrato di attivare quando dei movimenti riuscivano a catalizzare consenso e partecipazione sociale.
La repressione o la penalizzazione può arrestare l'attivismo individuale o temporaneamente anche quello di piccole minoranze, ma non quando l'opposizione raggiunge dimensioni sociali. In queste circostanze i dispositivi di sicurezza attivati dallo Stato e da strutture parallele extraterritoriali sono strategie mimetiche che vanno dalla semplice provocazione durante manifestazioni a gravi azioni di terrorismo realizzate da gruppi d'azione che assumono, tramite rivendicazioni, proclami o infiltrati, le sembianze dei movimenti di liberazione che le strutture di potere desiderano abbattere. Queste procedure mimetiche, usate ampiamente in Italia dai tempi della strage di Piazza Fontana in poi, con le bombe sui treni e gli attentati di Brescia e di Bologna, fino a tempi più recenti e passate alla storia col nome di Strategia della tensione, sono tecniche di sabotaggio normalmente applicate in campo militare e fanno parte dell'attrezzatura procedurale prevista dai comandi Nato, codificate sotto il nome False flag (ovvero: sotto falsa bandiera).
Gli effetti di queste procedure sono molto efficaci per molti motivi: disorientano i veri sostenitori delle cause sociali che si trovano improvvisamente impreparati a comprendere dinamiche e responsabilità dei veri autori degli attentati e anche ad elaborare strategie difensive verso la canea che da tutte le parti si scatena contro di loro, trasformati in capri espiatori di colpe ben diverse. Mentre le iniziative terroristiche ricompattano attorno ai centri di potere tutte le forze conservatrici, riescono anche a dividere le varie anime dei movimenti e a isolare i gruppi che in maniera responsabile desiderano combattere le èlites del potere. Come più volte la storia ha mostrato, i soggetti scelti dai governi su cui scaricare la responsabilità di azioni efferate sono gli anarchici o persone a loro limitrofe a testimonianza di come la rivendicazione libertaria di poter vivere senza autorità, governi, gerarchie militari ed èlites economiche sia ancora al centro dei problemi reali e irrisolti, come anche delle preoccupazioni di auto-conservazione dei gruppi dominanti.
Comunque non sempre le strategie di potere guardano per il sottile quando è in gioco la loro esistenza o la loro brama di espansione. Qualsiasi gruppo politico, etnico o religioso, può strumentalmente diventare un capro espiatorio se in determinate circostanze i poteri chiamati in causa ne intravedono l'utilità. È il pragmatismo, e non le questioni ideali, il valore preminente della cultura dominante ed è a questo che tutto viene sacrificato.
Allo stesso modo il pragmatismo dominante non ha alcun problema a riciclare qualsiasi cultura nel suo sistema dopo averla divorata e disinnescata purché questa accetti posizioni subalterne all'interno del pantheon del consumo. È proprio questa capacità di uccidere l'autonomia delle culture e di farle rivivere come parodie, dopo morte, la forza degli attuali poteri dominanti che si ammantano di virtù democratiche.
L'anarchismo contro le azioni terroristiche
Bisogna essere preparati a difenderci anche dal pragmatismo mimetico dei 'servizi' segreti e da nuovi atti di terrorismo che questi prevedibilmente riattiverebbero quando le èlites politiche, economiche e finanziarie ricominciassero a sentirsi in pericolo dopo rivolte o forti cadute di consenso popolare e dell'economia. Per questo l'attività dei libertari deve prevedere una costante attenzione comunicativa contro il terrorismo che deve essere presentato per quello che oggettivamente è: l'espressione di una cultura militarista che non ci appartiene e che va combattuto con una decisa e coerente cultura anti-militarista, con una costante critica politica e, all'occorrenza, con accurate indagini che smantellino nuovi teoremi che associno le lotte sociali a nuove strategie della tensione.
L'anarchismo e i nuovi movimenti
Differentemente, l'interesse dell'anarchismo è rivolto verso i nuovi movimenti sociali, le nuove culture emergenti che periodicamente e imprevedibilmente rispuntano e spesso velocemente scompaiono. Con tutti i limiti delle culture estemporanee (soggette alle leggi dell'informazione che permettono scarsi radicamenti e rapide sostituzioni con nuove ondate generazionali) i movimenti sono comunque l'espressione genuina di quel surplus di umanità che contraddice periodicamente la relazione subalterna esistente tra cultura e leggi di mercato.
La maggioranza sarà riciclata tra le pieghe del sistema, una parte invece, quella più cosciente, porterà nuova linfa alle fila della ribellione. Tutto ciò è fisiologico e sarebbe un errore pretendere da movimenti compositi la maturità e la radicalità che possono essere acquisite solo dopo anni di esperienze e impegno sociale. Ciò nonostante, la capacità dei meccanismi economici nel riassorbire la protesta non funziona sempre nella stessa maniera e nemmeno i movimenti di ribellione si sviluppano con le stesse caratteristiche.
La rabbia che nasce dalla scoperta di dover ridurre alcuni consumi per chi vi era già abituato, essendo iscritta nelle stesse logiche del privilegio economico, avrà scarse possibilità di sviluppare un'opposizione proiettata a cambiare il mondo; invece i conflitti che rivendicano la difesa dell'ambiente, della salute e dei diritti negati o i valori come l'eguaglianza, la libertà, o risposte contro la repressione di lotte civili, alimentano vincoli culturali di fratellanza e tensioni ideali che aprono le porte a battaglie prettamente libertarie di lunga durata.
Inoltre anche i conflitti economici che non hanno un esito veloce ma si trascinano per lungo tempo, permettono alle persone coinvolte di sviluppare una maggiore coscienza sulle cause del proprio disagio, determinato da logiche di potere e sulla crisi, conseguenza ciclica dell'organizzazione economica capitalista. E questo è proprio il caso che stiamo vivendo. La crisi è troppo profonda per essere riassorbita in maniera indolore. Le retoriche sui sacrifici necessari e sulla crescita economica sono utilizzate da tempi troppo lunghi e, nel caso avessero creato illusioni, anche chi è schiavo può capire che la miseria è la condizione creata ad arte per la sopravvivenza e lo sfruttamento della schiavitù.
La rivolta è inevitabile e necessaria
La ribellione è un passo indispensabile per interrompere l'insano equilibrio della rassegnazione o della sudditanza; per scrollarci da un sonno a occhi aperti che dura da troppo tempo e ridarci finalmente il senso della realtà e dell'esistenza di forze interiori insospettate e insopprimibili; per comprendere e trasmettere che il vero significato della violenza non è racchiuso nelle vetrine infrante di qualche banca o nelle grida ritenute offensive rivolte contro qualche innominabile santone della politica, ma la quotidiana imposizione di regole che permettono la conservazione di potenti posizioni di privilegio e comando.
La ribellione è necessaria per ripulire anche i linguaggi dalle incrostazioni del potere e ridare i giusti significati alle parole, come per esempio 'populismo' oggi tanto ambigua quanto degradata, anche a sinistra, solo perché ricorda la parola popolo e la sua pretesa episodica di essere protagonista delle decisioni sulle cose che lo riguardano: parola usata esclusivamente nella sua accezione negativa perché evidentemente fa ancora paura, quando politici e giornalisti insistono a spiegarci in quale maniera è corretto fare politica.
La ribellione è ancora utile perché mostra che c'è dell'altro oltre a ciò che viene rappresentato nelle comunicazioni ufficiali; mostra che c'è una grande fetta di umanità, spinta nell'ombra dell'esclusione e dell'inutilità, a cui non viene data voce e che ha bisogno di emergere finalmente alla luce; mostra che c'è sofferenza, povertà, difficoltà ad avere vite soddisfacenti in un mondo in cui i valori trainanti sono diventati solamente quelli della produzione di beni materiali e della competizione; dove per svolgere qualsiasi attività economica si deve sottostare a molte forme di dipendenza oppure sottostare a leggi e soffocanti regolamenti amministrativi che conducono milioni di persone a passare l'intera esistenza cercando di far quadrare i conti che non potranno mai quadrare e dove il succo del proprio lavoro è costantemente assorbito da lontani controllori che in senso inverso non sarà mai possibile controllare.
La ribellione è giusta perché non ha senso dover sopportare che ci siano persone che comandano e altre che devono solo eseguire ordini, persone che governano e altre che possono solo essere governate. La ribellione è necessaria per segnalare che non potrà esserci pace finché ci saranno gerarchie e disuguaglianze sociali mantenute sotto silenzio, come se tutto ciò fosse naturale. La ribellione è salutare perché è contagiosa e perché molti altri ancora potranno comprendere che finalmente 'si può'. La ribellione è essenziale perché è un segno non fraintendibile di interruzione di un ordine insano e non potrà essere disconosciuta.
Nonostante ciò, le sollevazioni emozionali che siano solo il frutto di frustrazione e risentimento di masse dagli incerti confini etici e ideali, possono diventare nuovi collettori di forze della destra radicale o di azioni irrazionali, che verrebbero facilmente utilizzate dalle mutevoli strategie di potere. L'aggregante necessario per garantire uno sviluppo sano della rivolta non può essere che l'affermazione di progetti e di nuove pratiche di libertà collettiva.
Senza la capacità di immaginarsi protèsi verso forme di auto-governo e senza una preparazione culturale e all'occorrenza anche una capacità operativa per esercitarlo civilmente sul lungo periodo, come individui e come membri di una società attiva e plurale, anche la rivolta, caratterizzata solo come rabbiosa reazione di breve corso, sarebbe presto riconvertita in nuove e peggiori forme di assoggettamento al potere o sarebbe destinata al martirio, visti gli arsenali e i progetti di annichilimento che i corpi speciali di tutti gli stati stanno preparando in vista degli anni a venire.
L'incognita
A tale riguardo, è bene ricordare ancora che gli Stati aderenti alla Nato, in previsione del futuro peggioramento socio-economico globale, hanno da tempo elaborato progetti dove è previsto che le folle saranno trattate direttamente da corpi militari antisommossa, mentre anche la polizia sarà inquadrata con funzioni para-militari. Per gli strateghi delle future 'guerre asimmetriche' o di '4° generazione' il futuro nemico tornerà ad essere 'la classe pericolosa' di ottocentesca memoria, ovvero la 'criminalità sociale' rappresentata dal proletariato urbano esuberato dalle attuali politiche economiche insieme ai nuovi poveri inurbati da più ampi territori.
Gli elementi strategici delle future politiche securitarie contenute nel rapporto Nato: 'Operazioni Urbane nell'anno 2020'1, sono i seguenti: studio del profilo psicologico delle varie componenti del nemico sociale; modifica degli spazi e dei percorsi urbani per isolare alcune porzioni di territorio della città; isolamento informatico, idrico ed energetico delle comunità urbane ritenute nemiche; guerra psicologica per azzerare la capacità di resistenza dei rivoltosi prima dell'attacco militare; operazioni chirurgiche, destinate ad annientare il nemico; trattamento dei prigionieri con la tortura, per ottenere informazione sui loro collegamenti.
Per questo tipo di operazioni, oltre alle armi convenzionali, sono previsti nuovi equipaggiamenti tecnologici (già circolanti nei paesi Nato) che possono uccidere od invalidare minimizzando il danno alle strutture urbane: armi elettriche ad alta potenza, radiazioni elettromagnetiche, onde acustiche, raggi laser, bombe accecanti, gas paralizzanti con conseguenze mutagene e cancerogene, proiettili al fosforo bianco ecc. Un'altro dato interessante è che tra il personale militare preparato per addestrare i corpi speciali utili in queste operazioni ci sono anche tecnici italiani, oltre alle teste di cuoio USA, britanniche e di altri Paesi europei: tutte personcine che hanno potuto consolidare la propria professionalità nei teatri delle varie guerre umanitarie e che potranno finalmente applicare l'esperienze acquisite anche nel proprio Paese.
Altre informazioni relative alle operazioni di guerra urbana, riguardano i luoghi dove vengono effettuati gli addestramenti e le simulazioni: come importanti città del nord della Francia e anche sul territorio italiano, dove sono state create aree destinate alla ricostruzione di ambienti urbani, per la sperimentazione delle tecniche di guerra non convenzionale da praticare nelle strade, palazzi, fogne e altri ambienti sotterranei corrispondenti ai luoghi dove dovrebbero svolgersi le future operazioni di guerra.
Violenza e non-violenza
Non abbiamo intenzione di rinnovare questa vecchia controversia, che in passato ha avuto le caratteristiche di un contrasto pregiudiziale, prevalentemente ideologico o religioso; impostazioni che non ci sembrano mettere in evidenza la questione essenziale che dovrebbe ruotare intorno alla domanda: dove ci porterebbe uno scontro violento? A questa domanda ci sentiamo di rispondere che per noi non si tratta solo di evitare lo scontro perché la violenza è disumana: siamo infatti convinti di questo, ma il motivo sarebbe insufficiente quando le persone e i movimenti di liberazione fossero spinti contro la propria volontà a scegliere se farsi ammazzare inermi od opporre una resistenza a qualsiasi costo prima di affrontare il proprio annientamento.
Il problema non deve quindi essere posto su un piano morale, perché nei momenti estremi questo quesito ha il diritto di porselo solamente chi si trova a dover scegliere in tali circostanze drammatiche, come durante la resistenza partigiana. Il problema deve invece essere posto come scelta logica e strategica, cioè preventiva, che tenga conto della realtà oggettiva e riflettendo sulla vera natura di un progetto antiautoritario che ha delle forti potenzialità come pratica sociale ma inesistenti prospettive come progetto di lotta armata.
Accettare ideologicamente di affrontare lo scontro col potere sul piano militare sarebbe demenziale: significherebbe andare incontro alla disfatta fisica e culturale di qualsiasi progetto libertario e va quindi decisamente rifiutato come percorso strategico. Ciò non impedisce di concepire e praticare le lotte sociali con una decisa e continua azione di contrasto verso ogni scelta anti-sociale degli organi di potere. Il grande potenziale di un progetto antiautoritario risiede nella possibilità di coinvolgere larghi strati di popolazione in queste possibili azioni di contrasto per difendere gli interessi comunitari e questo potenziale non va in alcun modo compromesso.
Estese azioni comunitarie in grado di esautorare e rendere inapplicabili nella pratica delle impopolari scelte amministrative e di governo, difficilmente potrebbero essere neutralizzate, senza che gli apparati di potere si assumessero la responsabilità di praticare forme di decimazione. Ciò non è escluso in assoluto, ma la storia ha pure dimostrato che, se è vero che tali procedure producono effetti immediati, è anche vero che accelerano la fine di chi le pratica.
Estendere l'uso di pratiche assembleari, abituarsi a deliberare
Il percorso da intraprendere, senza facili presunzioni ma con chiara consapevolezza, è quello di un costante e modificabile esercizio all'auto-gestione, come individui e come membri di comunità aperte, piccole e grandi, locali ma interessate a tutto quello che accade altrove. La speranza non può risiedere solo in una eruzione di forze compresse ed egocentriche che rimangono incapaci di relazionarsi con settori più estesi della società; la speranza risiede in una permanente e irriducibile disponibilità all'impegno sociale diretto e partecipato con i propri simili, certamente portatori di diversità che richiederanno anche inevitabili mediazioni, ma sempre al di fuori e contro ogni pratica di delega politica la quale, a prescindere dalle singole volontà, si traduce sempre in governo delle persone.
Questo non significa che dobbiamo immaginarci un futuro roseo o di facili vittorie, né tanto meno illuderci di provocare eventi rivoluzionari che velocemente risolvano problemi di grossa portata: il processo è storico-culturale e richiede inevitabilmente l'impegno di molte generazioni.
Si tratta invece di assumersi responsabilità decisionali ed azioni sociali di contrasto che facciano ricorso a pratiche assembleari per la difesa di beni comuni e contro pratiche autoritarie, istituzionali e non istituzionali. Inoltre non è più immaginabile che importanti cambiamenti strutturali possano realizzarsi all'interno di ambiti nazionali o di qualche improbabile isola felice; qualsiasi importante evento locale che portasse discontinuità alle logiche di potere sarebbe riassorbito o represso se, al contempo o per reazioni a catena, non emergessero in molti luoghi eventi analoghi per merito di movimenti emergenti.
Ciò non è impossibile, principalmente perché le condizioni materiali e culturali locali sono ormai sempre più globalizzate e altrettanto globali sono diventati gli strumenti di comunicazione che rendono possibili i contatti e la trasmissione di contenuti ideali e politici. La dimensione cosmopolita delle èlites privilegiate e senza radici culturali che non siano esclusivamente quelle del denaro, potrà essere contrastata e disarticolata solamente da una dimensione internazionale dei movimenti che sappiano recuperare o sviluppare nuove profonde radici locali alimentate da valori diversi dal nazionalismo e incentrati su quelli di un nuovo egualitarismo partecipativo, solidale e potenzialmente decisionale.
Le condizioni per lo sviluppo di una dimensione globale dei movimenti ci sono tutte, basta ricordare l'apparizione e la contaminazione simultanea di fenomeni senza frontiere, come gli 'indignados' e 'Occupy', o la dimensione europea della reazione studentesca alle politiche liberiste dei vari governi nazionali, le rivolte nel nord-Africa, Grecia e Turchia e ancor di più la prospettiva globale della emigrazione che non potrà avere soluzioni locali visto che le sue cause sono simili in molti luoghi e il suo incremento sarà inevitabile e prevedibilmente di lunga durata.
Come si può credere ancora che l'emigrazione, le sue comuni cause economiche e le contaminazioni culturali possano essere trattate con dei criteri di ordine pubblico? Chi può pensare che gli esodi dalle guerre e dai serragli della miseria, prodotti dal cosiddetto 'sviluppo', possano essere arrestati con delle leggi securitarie e coi campi di concentramento allestiti nelle fortezze del nord del mondo, il cui appellativo 'ricco', d'ora in poi non può che generare sarcasmo?
Azione di lungo corso
Ma torniamo alla necessaria dimensione locale: l'aspettativa di estendere le pratiche solidali e libertarie a strati di popolazione sempre più ampi, bisogna sia rafforzata dalla consapevolezza che il potenziale successo non risiede nella vittoria di singoli eventi ma nella progressiva crescita di partecipazione a pratiche di auto-governo.
In fondo, tutte le forme di oppressione, dallo sfruttamento alla coercizione e negazione di libertà, alla guerra, o alle schiavitù volontarie esistono solo per carenza dell'impegno diretto e della volontà di resistenza di tutta la società civile.
Il compito dei movimenti di liberazione dovrebbe essere quello di promuovere, partecipare, criticare, ascoltare, sperimentare, correggere, controllare e difendere la capacità inventiva e il coraggio ancora inespressi di una società di persone che possono assumersi responsabilità, esprimere capacità deliberative che salvaguardino percorsi di eguaglianza sociale e liberarsi dai vincoli autoritari della legge e degli interessi economici dominanti.
Il nostro agire deve essere visto come una sperimentale e tenace attività di inseminazione e cura di pratiche libertarie ed egualitarie che possono dare dei frutti solo dopo lungo e costante apporto di humus al substrato culturale in cui operiamo. Come la storia ha più volte mostrato, i semi della coscienza e dell'autonomia che preludono a grandi cambiamenti radicali possono rimanere ibernati o repressi per molto tempo prima di emergere, con vigore, in concomitanza di eccezionali situazioni favorevoli, in terreni ormai fertili.
In pratica, tutto si risolve in un processo educativo di lungo corso che parte da noi stessi, dal piccolo al grande; processo educativo che faccia ricorso a capacità auto-critiche, che ci consenta di identificare gli errori commessi nella difesa o nella gestione del bene comune e che ci permetta di sviluppare nuove competenze, di cambiare più volte i nostri percorsi, ma non di piegarci a condizioni imposte che dequalifichino la vita e neghino i principi fondamentali di libertà, eguaglianza, solidarietà, salvaguardando sempre la nostra instancabile osservazione di una realtà mutante; riferimenti che hanno da sempre caratterizzato il pensiero e le pratiche delle migliori tradizioni anarchiche.
Il più fecondo lavoro, preparatorio di importanti cambiamenti, è probabilmente quello che in maniera sotterranea o poco visibile permetta la crescita indisturbata di una profonda e diffusa coscienza che renda possibile una imprevedibile e forte germinazione.
La consapevolezza di questo necessario percorso, non deve naturalmente esimerci dal ricercare, giorno per giorno, relazioni con tutti i soggetti che sono interessati a portare discontinuità e cambiamento alla politica e ai comportamenti sociali: soggetti molto spesso impegnati in diversi movimenti di lotta operanti sul territorio, inerenti temi e zone di conflitto che ci riguardano a pieno titolo, per tutte le ragioni che abbiamo fino a qui esposto.
Volendo essere ancora più espliciti, per chiarire i possibili campi di intervento politico oggi significativi, questi saranno inevitabilmente gli stessi campi che i vari poteri usano per incrementare il proprio dominio e che abbiamo già attraversato nella nostra breve analisi, ma usati in senso inverso, cercando di sottrarre loro lo spazio vitale di cui si nutrono, a partire dagli stessi valori esistenziali, modificando i riferimenti culturali individuali, per permettere alle persone di trovare il coraggio di disattendere le aspettative dei governi e dei gruppi dominanti, con forme di disobbedienza civile, cominciando da noi stessi.
È un lungo lavoro a ritroso, tendente a costruire potere sociale, in ogni luogo in cui questo è stato eroso o distrutto; a cominciare dai posti di lavoro, ma di fronte all'attuale impoverimento di immaginari che per il momento sono stati contratti violentemente allo spazio esclusivo della sopravvivenza economica, è bene anche guardare oltre, verso altre attuali aree di resistenza, che sono per ora attentamente delimitate da efficaci dispositivi di potere; aree limitrofe, sottoposte ad altre forme di violenza, ma con forti probabilità di crescita, e che potrebbero evolvere verso più ampie e complesse connotazioni identitarie.
In quali ambiti incrementare la resistenza?
Possiamo ben apprezzare alcune di queste zone di resistenza;
delineiamone brevemente alcune, già capaci di esprimere
caratteri di movimento.
Lotta al razzismo. Saremmo ben felici che il dispositivo
di esclusione razzista decrescesse così velocemente come
è cresciuto negli ultimi anni, ma sappiamo che non sarà
così. Le sue cause sono da rintracciare nelle stesse
strategie del potere economico, sia mondiale, sia nazionale
e anche in quelle di politicanti locali, che incrementando le
paure verso il diverso possono assicurare futuro alle proprie
squallide carriere. Tutto questo non decrescerà in tempi
brevi per gli stessi motivi migratori, militari, economici e
politici che continuano a mietere vittime e si presenta come
un fronte di lotta che i libertari devono assumersi come punto
strategico, per trovare soluzioni pratiche di aiuto e per aprire
nuovi fronti comunitari.
Antimilitarismo. L'informazione sul ruolo crescente che
è stato assegnato ai militari, da quando è stata
inaugurata l'era delle 'guerre preventive', è
un altro punto strategico (opposizione storica per gli anarchici,
ma destinata a diventare un importante obiettivo condiviso da
altri movimenti) visto l'esponenziale allargamento delle aree
di crisi e delle guerre, che vengono sempre più create
come strumenti di crescita economica dalle potenze che intravedono
il limite delle proprie capacità di sviluppo. Il progressivo
investimento di risorse in armamenti2 e la contemporanea
rimodulazione di corpi speciali di polizia con funzioni militari
all'interno degli stati della 'comunità europea'
la dice lunga sugli scenari dei prossimi anni e sulla necessaria
attenzione dei movimenti per la crescita di un consapevole e
forte movimento antimilitarista.
Difesa dei territori e delle comunità locali dalle
distruzioni ambientali e dalle speculazioni. Non crediamo
necessario dilungarci oltre su questo argomento, avendone già
accennato: esiste una cultura ecologica ed esistono movimenti
locali, che vanno aiutati a crescere, fisicamente e qualitativamente,
di pari passo alla crescita dei vari tentativi autoritari di
modifica ed espropriazione delle risorse ambientali, che impoverendosi
impoveriscono anche le relazioni umane e la qualità del
vivere.
Partecipazione alle lotte in difesa dei diritti del lavoro.
Più in generale, ai movimenti di resistenza verso le
politiche di austerità che continueranno ad essere imposte
dei vari governi anche nel prossimo futuro. Prepararsi a energiche
forme di opposizione popolare.
Approfondimento delle capacità personali a poter vivere
con minori risorse economiche. Non solo per fronteggiare
eventuali peggioramenti a causa di possibili implosioni dei
mercati, ma anche per sperimentare cosa veramente è vitale
per ognuno e cosa è solo un valore simbolico di cui ci
possiamo liberare; provare a razionalizzare quello che veramente
ci serve con quello che disponiamo o che potremmo disporre modificando
parte delle nostre abitudini; provare tutto ciò possibilmente
interessandoci di esperienze altrui; provare a investire maggiormente
sulle relazioni, affinando le affinità, cercando di capire
anche le diversità, ma sottraendoci alle relazioni improduttive
sotto il profilo umano. Se possibile, imparare a fare nuovi
mestieri, provare a produrre in proprio per necessità
o per piacere, accettare di imparare da chi ne sa più
di noi, investire anche su ciò che non conosciamo di
noi stessi, incrementare le conoscenze che possono aumentare
il nostro grado di autonomia. Esiste da tempo tutta una cultura
che si muove in questo senso: è una cultura minoritaria,
un po' ghettizzata, talvolta con qualche vena fideistica, ma
a parte le modalità delle singole persone, le potenzialità
che esprime sono una sicura risorsa per il futuro: è
una cultura trasversale e necessario collante di culture più
prettamente politiche.
Naturalmente gli ambiti di intervento anti-autoritario degli
anarchici e dei movimenti non si esauriscono nei temi proprio
sopra accennati; ci sono molte altre forme di privilegio e di
sopraffazione, non solamente istituzionali, che meritano attenzione
e necessario contrasto sociale (la violenze sulle donne, la
discriminazione verso le minoranze sessuali, i disservizi e
il disinteresse - pubblici e privati - verso gli anziani od
altri soggetti deboli della società, gli abusi sull'ambiente,
gli animali e sull'alimentazione, lo svilimento della cultura
e della scuola, ecc.).
Le esemplificazioni fatte in questo documento sono volutamente
limitate e sintetiche, avendo preferito, nel breve spazio disponibile,
investire la maggiore attenzione alla descrizione delle logiche
che sottostanno alle varie espressioni del potere e a quella
di come potenziare l'attrezzatura culturale, psicologica e relazionale
indispensabile per chi intende iniziare percorsi di resistenza
e costruzione sociale libertaria.
La resistenza sarà necessariamente plurale e multiforme,
così come lo sono le nostre esperienze e le condizioni
di partenza del nostro essere e del nostro agire. Cerchiamo
di vivere questa pluralità come una ricchezza e di utilizzarla
bene.
Quello che invece non saremo disponibili a tollerare né
a supportare è l'adeguamento della resistenza ad altre
logiche autoritarie - anche se formulate in funzione di lotte
o strategie politiche - che pretendano di dirigere i movimenti
impegnati contro le varie configurazioni del potere.
Alcuni compagni dell'Ateneo Libertario
Firenze 2013
- Chi volesse avere più notizie circa questo rapporto,
può leggere la pubblicazione: A chi sente il ticchettio.
Materiali dal convegno antimilitarista di Trento – 2 maggio
2009 – Rompere le Righe Edizioni - Trento, 2009. Esiste
anche ampia documentazione sul web sotto la voce 'operazioni
urbane anno 2020'.
- Un enorme spreco di risorse: dal 2001 l'investimento dello
Stato italiano per spese militari é in costante aumento.
Nel 2001 l'Italia era all'11° posto mondiale per spese
belliche, nel 2005 é al 7° posto. Nel 2011 le spese
militari stanziate con voto bipartisan sono state 24,9 miliardi
di Euro e la spesa per i sistemi di Arma é incrementata
dell'8,4% rispetto al 2010. In Afganistan sono mantenuti 4350
uomini e 883 mezzi terrestri. In un periodo in cui i governi
votano i tagli all'Università e si cancellano posti
di lavoro, allo stesso tempo viene progettato l'investimento
iniziale di 18 miliardi di Euro solamente per l'acquisto dei
caccia-bombardieri nucleari il cui costo provvisorio è
di 200 milioni di Euro per ogni singolo aereo. Solo per la
breve operazione di intervento italiano in Libia, tra bombe
e missili, sono stati sottratti agli italiani 28 milioni di
Euro. Mentre le difficoltà aumentano in molti settori
produttivi, le industrie belliche italiane permangono al settimo
posto, essendo forti esportatrici e rastrellando i gettiti
delle finanziarie dei vari governi italici. Il maggiore produttore
Italiano é Finmeccanica, uno dei maggiori produttori
mondiali, che tra il 2008 e il 2009 ha aumentato gli utili
del 250% pur riducendo gli occupati. Molte anche le aziende
a capitale straniero: FIAT, Impregno, Maltauro, Gemmo. Attualmente
sono in corso di attuazione progetti per l'ampliamento e il
potenziamento di varie basi militari italiane dove, come approvato
'comunitariamente' a Bruxelles, vengono installati
sistemi integrati di controllo e comando atti a elaborare
le informazioni di intercettori terrestri, aerei, navali e
satellitari per permettere attacchi ovunque in tempo reale
e al di fuori di qualsiasi altra interferenza politico-istituzionale,
in barba a chi crede ancora nel valore pratico della Costituzione.
Secondo le parole del responsabile dei programmi di armamenti
Nato, Ludwig Decamps, ''il nuovo sistema di difesa AGS sarà
in grado di supportare crescenti requisiti operativi anche
per la gestione di crisi interne e la sicurezza nazionale...”
Questo
testo
è un capitolo del documento “Combattere il
potere. Evoluzione delle strategie di dominio e crescita
di nuove pratiche libertarie”, elaborato come elemento
di discussione per l'Ateneo Libertario.
Il documento integrale è leggibile presso l'Ateneo
Libertario, Borgo Pinti, 50/r, Firenze.
Per contatti:
ateneolibertariofirenze@inventati.org.
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