Quelle bruschette della disobbedienza
di Mimmo Lavacca
Il 2 febbraio 2004 a Monopoli (Bari) centinaia di persone, agricoltori in testa, occuparono il porto per protestare contro la frode sistematica dell'importazione illegale di olio. L'idea era venuta a Veronelli. Che c'era.
Negli anni novanta il porto di Monopoli era considerato uno
dei principali approdi da parte di navi cisterna piene di olio
di dubbia provenienza. Olio che dopo il suo sbarco diventava
magicamente extravergine nazionale. Sempre negli anni novanta,
un gruppo di compagni aveva messo in piedi una piccola associazione
dal nome Assudd, e il raddoppio delle consonanti esse
e di voleva significare gente fastidiosa, tosta, rognosa.
Bene, decidemmo che tra le varie iniziative era giunto il momento
di incazzarsi sullo scempio che ogni giorno veniva perpetuato
a danno degli olivicoltori monopolitani.
Quelle continue navi cisterne nel porto di monopoli davano un
segnale di una cittadina indifferente alle truffe e alle sorti
dell'agricoltura. Sapevamo che quell'immagine non rappresentava
i pugliesi e cosi decidemmo di agire. Avevamo bisogno di una
autorità, di una persona di indubbio valore tecnico e
sociale, una persona che potesse darci una mano ad accendere
un grande faro sul porto di Monopoli e su tutto quello che di
negativo rappresentava per la città e per la Puglia.
Convenimmo tra i compagni che l'unica persona che poteva darci
una mano era Luigi Veronelli.
Qualche giorno dopo trovai il numero della casa editrice EV
e chiamai. Chiesi di poter parlare con il maestro Luigi Veronelli.
Telefonata che non dimenticherò facilmente. Telefonata
che mi gira ancora in mente per la cortesia nell'ascoltarmi,
la concretezza nelle risposte e nelle proposte. Una voce e un
timbro di grande spessore. In quella bellissima telefonata del
gennaio 2004 Luigi mi ascoltò, era al corrente e sapeva
perfettamente quale fosse la situazione nel porto di Monopoli
e mi propose senza indugi un'azione di disobbedienza civile.
L'obiettivo era di occupare la banchina del porto di Monopoli
e salire su una delle navi cisterna ancorate alla banchina.
La sua proposta fu chiara, precisa e tosta. Con la stessa convinzione
io accettai. Finalmente un atto di ribellione contro le migliaia
di tonnellate di olio scaricate nel porto. Da quella telefonata,
da quella bellissima intesa, si realizzò la più
bella, la più nutrita, la più variegata manifestazione
di protesta in agricoltura. Da quella telefonata hanno preso
avvio tante cose con Luigi e con tutto il mondo che gli girava
intorno.
La manifestazione fu progettata nell'area di pertinenza della
capitaneria di porto. Area vietata da sempre a qualsiasi manifestazione.
La mattina del 2 febbraio del 2004 centinaia di persone si ritrovarono
al porto di Monopoli per dare vita a un momento di di disobbedienza
civile. Luigi sembrava il pifferaio magico. Arrivarono da tutta
Italia, arrivarono dalle campagne del sud della Puglia, arrivarono
agricoltori dalle campagne monopolitane. Bellissimo, tanta gente
che manifestava finalmente contro le importazioni selvagge di
olio.
Gli agricoltori avevano portato il loro olio, il loro pane e
i loro pomodori. Furono allestiti, nell'area vietata, tavoli
della qualità e furono offerte bruschette della disobbedienza.
Gino parlava con tutti e tutti parlavano con lui, attorniato
dagli agricoltori pugliesi. La mattinata si concluse con un
successo di partecipazione, per me e per noi, impensabile. A
pranzo fummo invitati in campagna da amici agricoltori e si
formò una grande tavolata. Persone e agricoltori che
arrivavano alla spicciolata per il solo piacere di parlare con
Gino o farsi una foto con lui.
Il pomeriggio avevamo organizzato un dibattito nella chiesa
sconsacrata di San Pietro e Paolo nella città vecchia
di Monopoli. Tanta tanta gente. La batteria dei politici in
prima fila ad ascoltarlo. Gino fu grandioso, continuò
ad affascinare tutti i presenti, grandi racconti, grandi intuizioni,
grandi storie agricole. Parole semplici, ma efficaci come macigni.
Scosse coscienze e menti appassite. Rimane e rimarrà
la più importante e grande manifestazione agricola mai
realizzata nei nostri territori.
Il diario di quella giornata fu impreziosito da un regalo che
lui volle fare all'agricoltura del sud. La manifestazione si
svolse il 2 febbraio, giorno del suo compleanno. La scelta del
2 febbraio non fu casuale. Io lo considero un grande omaggio
agli agricoltori pugliesi. Alcuni numeri di quella giornata,
oltre alle centinaia di agricoltori e cittadini: c'erano una
sessantina di organizzazioni presenti alla manifestazione, una
decina di emittenti nazionali e locali, una quindicina di testate
giornalistiche.
Una giornata indimenticabile, ancora grazie.
Mimmo Lavacca
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Etichetta di un vino prodotto con uva fogarina in ricordo di Gino Veronelli |
Il vin dell'avvenire
di Diego Rosa
Un ricordo delle numerose lotte e dei progetti. Sempre in favore della libertà, della natura e dei piaceri della vita.
Luigi (Gino) Veronelli ha sempre condotto tenacemente e seriamente
qualsiasi attività e progetto intrapresi. Una vita, la
sua, piena di proposte portate avanti lottando con competenza,
genialità e senza cedimenti. Filosofo, scrittore, giornalista,
enologo, gastronomo, anarchico individualista.
Tre definizioni, apparse nel tempo, lo riassumono in modo soddisfacente:
Sua nasità, Anarchenologo, Hombre vertical (così
definito da Gianni Mura). Gli sono stato amico, ricambiato,
con piacere e per mia fortuna. Mi ha sempre affascinato il suo
insistente “camminare la terra” che lo vedeva affrontare
tutte le particolarità e realtà della vita con
una curiosità infinita. Il suo cercare soluzioni e sostenere
proposte piene di una inattaccabile ovvietà. La lotta
perenne contro i vini e i cibi industriali, l'invito a migliorare
sempre la ricerca, anche istituzionale, per garantire e attuare
le sue idee. Ne sono conferma le sue ultime battaglie per le
De.Co. (spesso osteggiate all'interno del mondo anarchico) e
per l'olio. Nella sua vita ha “ridotto” l'Anarchia,
la sua Anarchia, ad un concetto essenziale e inequivocabile
da cui non si può fuggire: l'assunzione di responsabilità.
“Né Dio, né Stato, né Padroni”,
certo, ma soprattutto assumersi le proprie responsabilità
per un mondo di eguali e lottare sempre fino in fondo, in modo
non violento, per ciò in cui si crede. Questo è
ciò che spetta all'uomo e questa è stata la chiave
di lettura di tutta la sua vita.
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Manifesto di un'iniziativa dedicata al “vin dell'avvenire” ovvero il lambrusco del contadino |
Ha camminato la terra coi piedi e con la testa, ci ha messo
dentro le mani per conoscerla e farla sua, ha accettato gioie
e dolori e, come amava ripetere, ci ha fatto l'amore. La natura,
la grande madre a cui tornare alla fine. Ci ha insegnato a non
seguire pedissequamente gli “esperti” di vino e
cibo nei loro abbinamenti, ma cercare le eccellenze e sperimentare
provando e riprovando. Celebre e scandalosa è la sua
frase a proposito di quella che era diventata la moda rassicurante
dell'abbinamento tra cibi e vini: io ti dico la mia, ma tu prova
e riprova perché il vino è un amante infedele.
Nel 2007, con l'amico, mio e di Gino, Giuseppe Caleffi, abbiamo
costituito la Cellula Veronelli di Gualtieri, dedicando
poi a Veronelli una saletta dell'”Osteria della merla”,
il nostro ritrovo. Un modo per ricordarlo, non per santificarlo,
con iniziative molto diverse tra loro e con la presunzione che
gli sarebbero piaciute, che vi avrebbe partecipato se fosse
stato ancora tra noi. Gli abbiamo dedicato un Convegno: “Il
Veronelli politico”. Si è svolto rigorosamente
a tavola tra cappelletti e trippe in brodo, guancialini di maiale
brasati, torta sbrisolona e tanto lambrusco. Relatori Gianni
Mura, Marc Tibaldi e Gianandrea Ferrari. Un'altra iniziativa
è stata, sempre rigorosamente a tavola, la lettura di
suoi scritti, pensieri e aforismi: “cinquanta commensali
leggono Veronelli”. Abbiamo presentato serate dedicate
ai cibi, per esempio quella sui “cappelletti”, dove
le “risdore” del luogo portavano i loro cappelletti
con le varianti che ogni famiglia ha consolidato nel tempo e
fatte proprie. Abbiamo presentato libri, non solo di cucina
o vini, tra cui la trilogia di Rino De Michele dedicata alla
cucina libertaria. Abbiamo organizzato serate di musica popolare
e, col “duo Pinon e Fernando” (che Gino ha conosciuto
e apprezzato), di intrattenimento tra i tavoli. C'è stato
poi anche il ricordo, con i Folkin' Po, della folk singer locale
Giovanna Daffini. Ci siamo immersi nel Fluxus col “Concerto
per pangrattato e grattugia” di Philip Corner e Phobe
Melville a seguito della presentazione del libro di Ivanna Rossi,
incentrato sulle ricette di recupero del pane. Ci siamo accodati
al suo “t/Terra e libertà/critical wine”
con le nostre serate di “Critical wine, uno alla volta”
in cui un produttore proponeva i vini a prezzo sorgente ai clienti
della “merla” durante la cena. Sempre in tema di
vino abbiamo dedicato a Gino un'etichetta della riscoperta Fogarina:
quattro bicchieri salutano, dalla sponda del Po, la barchetta
che porta Veronelli verso la foce dopo la sua morte. Una barchetta
rigorosamente anarchica. Nostro intento era anche fare in modo
che il vero Gino, dopo la morte, non fosse posto nel “Giardino
dei frutti dimenticati”, dove finiscono spesso i personaggi
scomodi che la società è costretta, per la loro
grandezza, a osannare in vita. L'esperienza ce lo insegna. Un
ricordo particolare, l'ultimo che ho di lui, risale a fine agosto
del 2004, quando con la compagna Christiane e Andrea Bonini
ha partecipato ad una iniziativa sul “prezzo sorgente”
al Lido Enza di Brescello, il paese di Don Camillo e Peppone
(da cui il manifesto con la falce e, al posto del martello,
la bottiglia di lambrusco “divino”). Questa festa,
ed è stata veramente una grande festa, era dedicata a
“Il vin dell'avvenire”, cioè il lambrusco
del contadino. L'ultima immagine che ho di lui è quella
mentre firma, richiesto dai commensali che facevano la fila,
i manifesti come fosse una pop-star. È stata la sua ultima
apparizione pubblica.
Termino con due storielle Sufi dedicate a Gino. Quando gliele
ho raccontate ha riso felice. La prima è questa. “Un
uomo quando torna a casa dal lavoro è solito suonare
il flauto in attesa della cena. Lo fa da anni, ma ultimamente
la moglie sente che suona sempre la stessa nota. Allora gli
chiede come mai non fa come gli altri che usando più
note creano delle belle armonie. Il marito gli risponde che
“gli altri stanno cercando la loro nota, io invece l'ho
già trovata”. Nella seconda storia ci troviamo
in un piccolo albergo di notte, in campagna. Il proprietario
ha spento tutte le luci e se n'è andato in paese. Quando
torna vede che le luci del salone al piano terra sono accese.
Incuriosito, entra nel salone dove vede un cliente carponi che
sta cercando qualcosa sotto i mobili. Gli chiede se ha perso
qualcosa e l'altro risponde di sì, che ha perso qualcosa
in giardino. Ma allora perché lo cerca nel salone? “Perché
qui c'è la luce” è la risposta. In queste
due storie c'è Gino, l'amico che ha lottato tutta la
vita convinto che l'utopia non è l'irraggiungibile, ma
ciò che non si è ancora raggiunto. L'ha fatto
mettendo al centro di ogni sua azione la natura e l'uomo libero
e uguale e il godimento dei piaceri della vita.
Diego Rosa
Una “città ideale”
di Domenico Liguori
Il comunalismo libertario e l'impegno degli anarchici di Spezzano Albanese (Cs) affascinò Veronelli, che li andò a trovare nel 2004.
Credo corresse l'anno 2003 quando alcuni compagni di Cosenza
e della presila cosentina organizzarono in loco un incontro
pubblico con Luigi Veronelli, già presente in Calabria
per altre iniziative. Ci andai, partecipai, intervenni ed illustrai
in breve l'impegno degli anarchici e dei libertari di Spezzano,
in sintonia con le problematiche territoriali che nell'incontro
si affrontavano. Evidenziai soprattutto le iniziative dell'allora
Comitato Popolare “Spezzano è... “,
di cui i libertari erano i promotori, tutto basato sul recupero
dei prodotti tipici locali come fonte di saperi e di sapori
e sulla metodologia autogestionaria propria del comunalismo
libertario (attivo da alcuni decenni in loco), quale prassi
protesa a stimolare la comunità a rendersi socialmente
artefice del proprio futuro.
Luigi, che aveva seguito con estrema attenzione l'intervento,
alla fine esclamò con gioia: “Spezzano è
la mia città ideale, non mancherò di venire a
trovarvi”. Io colsi subito l'occasione per invitarlo a
partecipare alle manifestazioni estive di “Spezzano è...”
e lui accettò con entusiasmo l'invito, tant'è
che nell'ambito della seconda edizione di “Spezzano è..”
del 21/24 Agosto 2003 il manifesto che pubblicizzava l'evento
preannunciava che per il 22 Agosto Luigi Veronelli sarebbe stato
con noi in un apposito incontro-dibattito organizzato per l'occasione.
Ma le cose non andarono così: problemi di salute sorti
all'ultimo momento impedirono a Luigi di poter prendere parte
all'evento.
Nel febbraio del 2004 però, a grande sorpresa ricevo
una telefonata: “sono Luigi Veronelli sto in Puglia e
fra qualche giorno intendo passare per Spezzano. Che ne dite?”.
Cogliendo come si suol dir la palla al balzo, gli espressi tutto
il mio entusiasmo e in quattro e quattr'otto, in fretta e furia
organizzammo nella sala consiliare di Spezzano Albanese una
pubblica manifestazione con dibattito e buffet dei nostri prodotti
tipici per salutare l'evento.
Il 5 Febbraio del 2004 Luigi giunse a Spezzano con Andrea Bonini
mentre stavamo per allestire la sala che in pochissimo tempo
si riempì di popolo. Fu una serata bellissima, e interessantissima
si rivelò la relazione di Luigi sulla denuncia del prepotente
monopolio delle multinazionali e sul recupero e la valorizzazione
dei prodotti locali attraverso un processo autogestionario.
Molti furono gli interventi e quasi tutti centrati sul tema
De.Co. di cui “Spezzano è...” da tempo
si stava interessando.
Concludemmo la serata in grande convivialità in un ristorante
locale a suon di canti anarchici, vino e prodotti tipici, con
la promessa di Luigi che sarebbe stato a fianco della nostra
attività e che sicuramente sarebbe più volte ritornato
a trovarci. Nell'autunno del 2004 partecipammo a Roma alle manifestazioni
del Critical wine, incontrammo Andrea Bonini e gli chiesi subito
di Luigi, ma per risposta ricevemmo la notizia delle sue molto
precarie condizioni di salute. Solo qualche mese dopo e precisamente
a novembre apprendemmo che Luigi non era più fisicamente
tra noi. “Spezzano è...” in seguito
da Comitato Popolare si era trasformata in Associazione di Promozione
Sociale Luigi Veronelli.
Oggi l'associazione non è più in vita, ma sempre
vivi in noi e nell'attività comunalista in cui qui a
Spezzano continuiamo ad essere impegnati permangono il legame
con Luigi e con le sue idee ed azioni libertarie.
Domenico Liguori
Fare a pezzi un discorso
di Simonetta Lorigliola
Il movimento t/Terra e libertà/critical wine, portato avanti da Gino Veronelli, aveva lo scopo di abbattere la retorica dei discorsi sulla buona tavola fatti dai critici e dalla TV. E anche oggi, più che ricordare lui, ricordiamoci delle sue idee e battaglie. E portiamole avanti.
A Gino Veronelli non sarebbe piaciuto essere commemorato. Lo diceva spesso che avrebbe voluto che fossero le sue idee, non la sua persona, a rimanere attive nel ricordo, e soprattutto nelle pratiche quotidiane. Lo diceva riferendosi a Benedetto Croce, che altrettanto spesso citava, a sproposito, forzandolo a sé, come maestro del pensiero anarchico.
Nemmeno a chi pensò, collettivizzò e diede vita al movimento t/Terra e libertà/critical wine, a cui Veronelli prese parte attiva e propositiva negli ultimi anni della sua vita, sarebbe piaciuto e piacerebbe entrare nel dispositivo reazionario del ricordo.
Le parole d'ordine di quel movimento nuovo e dirompente nel mondo del vino, se mai ce ne sono state, erano provocazione e sobillazione.
L'interesse per il cibo, il vino e tutta la cultura materiale, che generò tale movimento, era semplicemente una scusa.
Alle compagne ed ai compagni che cominciarono a discuterne insieme non interessava immergersi in una folta schiera, oggi ancora più affollata e miseranda, di parlatori e ciarlatani che andavano (e vanno) cianciando sul buon salame della tradizione antica, sulla cipolla garantita da avamposti di tutela, su formaggi sopraffini affinati in grotte neolitiche e venduti a 80 euro il chilo. O che gareggiano con le pignatte dentro, per dirla con Veronelli, mammativvù. Il discorso intorno a una materia prima o a un prodotto trasformato dall'uomo, che gira vorticosamente su se stesso e su se stesso si avviluppa arrivando a soffocare ogni significante, e ogni sua possibile connessione con il mondo, è merdre gastronimique. È scarto semiologico. È assopimento sociale.
t/Terra e libertà/critical wine lo ha fatto a pezzi. Ha scardinato i confini del buono, sfondando le porte delle filiere produttive. Luigi Veronelli era in prima linea, scansando i numerosi nasi storti di chi diceva fosse uscito di senno, a mettersi coi pezzenti dei centri sociali. Era il 2001. Nessuno o quasi utilizzava la parola filiera. Indagare le filiere, in ogni loro aspetto è uno strumento di libertà, si diceva. Si parte dalla terra, da come viene lavorata, con quali strumenti ed ausili, con quali concessioni all'agrochimica o all'ingegneria genetica (e ai loro lugubri custodi e accumulatori d'argent). Si passa poi alle trasformazioni, indagate in ogni loro singolo aspetto. Si arriva al lavoro e, infine, al prezzo e al meccanismo di offerta che porta al consumo.
Tutti questi aspetti devono stare assieme per descrivere sinteticamente ed analiticamente la filiera. Tutti, fino a giungere al prezzo, il più ostico da denudare. Nessuno può e deve restare escluso, pena l'irrealizzabilità della filiera trasparente e, quindi, lo svuotamento di una sua sostanziale utilità per il produttore ed il consumatore che intendano scegliere una via virtuosa, ossia una filiera che realizzi l'amore totale per il buono: ambiente, terra, lavorazioni, persone, prezzo.
Il libro manifesto del movimento t/Terra e libertà/critical wine, edito da DeriveApprodi nel 2004 (Sensibilità planetaria, agricoltura contadina e rivoluzione dei consumi, il sottotitolo) e le pratiche che lo accompagnarono, nonché i numerosi interventi pubblici di Veronelli, dicevano tutto questo. E molto di più.
Il cibo, il vino e tutti i prodotti della terra o della trasformazione agivano in un unico scenario in cui gli attori, con la stessa responsabilità e lo stesso piacere di esserci, erano i produttori e i consumatori, uniti dalla scelta per la filiera totalmente trasparente. Ecco perché venne coniato il termine co-produttori ad indicare una linea di fuga da ruoli imposti dall'incorruttibile economia di mercato. Tagliare le intermediazioni per diventare co-produttori. La filiera diretta è la seconda intuizione geniale del movimento, realizzata da subito con gli eventi dedicati ai vignaioli e alle produzioni alimentari (Verona, Brescia, Milano, Genova, Sarzana, Venezia, Torino, Monopoli, Lario, Jesi...) e con i mercati autogestiti da produttori e consumatori, ovvero co-produttori, che avvengono in molti centri sociali e piazze della penisola.
E che ancora oggi in molti di questi luoghi continuano ad esserci, vivi e frequentati. La sperimentazione macchinica del movimento cadde sui centri sociali, che esprimevano anche le persone che il movimento felicemente animavano. Spazi franchi da cui gettare nelle realtà urbane una formula (ormai) sconosciuta: i mercati autogestiti. Da non confondersi con i blandi mercati della terra (e dintorni) che copiosi seguirono, spesso basati sull'apparato istituzionale e sulle logiche di controllo di certificazioni, appartenenze, etichette a garantirne eterologamente la «qualità».
Di bontà, qualità e libertà
«Qualità» era uno dei termini di cui t/Tl/cw
si fece acerrimo nemico poiché totalmente svuotato di
ogni senso e foglia di fico dell'industria alimentare e della
sua rete di distribuzione e promozione.
Piuttosto si parlava di bontà, unita a libertà
ed autogestione, che andavano di pari passo con trasparenza
totale (la filiera) e autocertificazione ovvero, e qui Luigi
Veronelli era in primissima fila, con «l'atto di responsabilità
individuale» di ogni produttore che dichiarasse apertamente
le sue pratiche agricole e/o produttive. Nacquero le schede
di autocertificazione, strumento semplice per mettere in contatto
diretto produzione e consumo, anche in assenza fisica del produttore.
Lo strumento ebbe successo ed è oggi ancora utilizzato
in molte realtà che in mille differenti rivoli hanno
moltiplicato ed evoluto le esperienze di t/Tl/Cw.
Strumento provocatorio, la scheda, che denuncia la certificazione
tradizionale ed i suoi rischi. Molti obiettarono che fosse inabile
a stare sul mercato poiché inadatta alle logiche di import-export
o di grande distribuzione. Obiezione insensata: la dimensione
delle produzioni coinvolte non prevedeva, per costituzione e
per scelta, una vendita spersonalizzata e sconfinata. Anche
i sassi sanno che le certificazioni servono prevalentemente
ai grandi gruppi, per cui è impossibile gestire ogni
informazione e contatto con chi acquista, se non in forma di
marketing. Non è piccolo è bello contro
la mostruosità del grande. Sono semplicemente due differenti
esistenze, due opposti approcci ontologici alla t/Terra e alle
relazioni che essa genera e contiene.
C'è chi dice, da qualche anno, che oggi questi temi non
siano più attuali poiché c'è stato chi
ne ha svuotato la potenza disarmante, disinnescandoli. Forse
è così.
È certamente vero che t/Tl/cw si sciolse in una accesa
assemblea di tutte le realtà che ne fecero parte. Atto
terribile, per alcuni, ma sanificante poiché ha generato
immunità da ogni apologia possibile.
Eppure pensare di consegnare questa cultura materiale e sua
cassetta degli attrezzi ad altre mani ed anche a potenti organizzazioni
soltanto perché ne utilizzano, oggi ed ampiamente, spunti
e lessico, sarebbe un atto doppiamente mortifero.
Veronelli sosteneva che è centrale, sempre, festeggiare
la vita. E, citando Charles Fourier, diceva anche che la felicità,
unica meta massima concepibile di ogni individuo e di ogni società,
andava pensata non tanto affidandosi alle calcolate pratiche
analitiche, pur importanti, quanto piuttosto all'aperta immaginazione.
Il patrimonio immaginativo e la dirompenza di t/Tl/cw sono morti
con la sua fine?
Luigi Veronelli ha sepolto con le sue ceneri le sue idee di
una gastronomia liberata?
Ci restano soltanto inerti ricordi?
Negli ultimi eventi veronesi t/Tl/Cw aveva trasformato il proprio
nome in Terre ribelli/Critical wine. Ribellione. Rivolta. Parole
via via sempre più impronunciabili e impresentabili.
Eppure in grado di divenire pratiche dirompenti, oggi più
di ieri. Non le rivolte di sparuti gruppi autoreferenziali.
Ribellarsi è altro. È in ogni atto quotidiano,
in ogni parola scambiata con chiunque. È nella ricerca
di nuove parole e nuovo senso per una gastronomia che non può
essere lasciata in mano a chi ne sta dilapidando meticolosamente
ogni connessione alla comunità, al piacere sociale.
Non è vero che cibo e vino vanno abbandonati perchè
sono temi ormai infruttuosi per il mutamento. La tavola va riapparecchiata
oggi. A beneficio comunitario Va riapparecchiata non ricordando
il passato e utilizzando le stoviglie della nonna divenute trendy.
In tavola oggi ci va una veronelliana (da Veronelli, oltre Veronelli)
cassetta degli attrezzi che può servire ad una sola cosa:
nuovo utilizzo e nuove dirompenze enogastroniche. E che siano
magari brutte, sporche e cattive. Purché vadano dappertutto.
E dimostrino che la tavola apparecchiata è, materialmente,
bene comune. Miccia. Innesco. Futuro.
Simonetta Lorigliola
continua
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