Mytunes
Un
po' come il precedente “L'ultimo disco dei Mohicani”
(che vi avevo segnalato su “A” 360, febbraio 2011)
anche questo Mytunes - Come salvare il mondo, una canzone alla
volta di Maurizio Blatto (ed. Baldini&Castoldi, Milano,
2014, pp. 464, €16,00) sembra ma non è un libro
che racconta i dischi: è un libro di storie, storie piccole
e semplici che a volte però si complicano, e la musica
è una scusa buona. L'autore vi ha raccolto, in versione
modificata e riadattata (un remix: forse sarebbe più
appropriato dire così...) alcuni interventi pubblicati
in questi ultimi anni dal mensile rock “Rumore”,
del quale è un collaboratore storico. Ma attenti: tutt'altro
che una di quelle imprese furbette per rivendere vecchie cose
già vendute, il libro si rivela come una raccolta brillante
di riflessioni, confessioni e testimonianze sull'influenza importante
e imprevedibile che la musica può avere -ed ha effettivamente
avuto, stando a quanto si legge- sulla costruzione dei meccanismi
del ragionamento, sulle scelte e sulle decisioni, sul rapporto
con i familiari e gli amici, in una parola sulla vita dell'autore.
Suddiviso in una settantina abbondante di racconti brevi, ciascuno
l'intreccio di una canzone con una o più briciole di
vita privata, il libro scorre senza scossoni né drammi
né apocalissi del cuore tra pop e rock in un arco di
tempo che va grosso modo dalla fine degli anni Sessanta dello
scorso secolo a quasi i nostri giorni.
“Qui non ci sono tutte le mie canzoni preferite”
- avverte Maurizio - “Molte sono davvero quelle che mi
hanno salvato la vita e fatto piangere, ma altre figurano semplicemente
come perfette meteore di un passato buffo o al pari di buone
scrivanie su cui appoggiare filosofia da cameretta”. Siccome
le strade personali non passano necessariamente per le enciclopedie
ufficiali del rock, ci sono dentro “I say a little prayer”
cantata da Aretha Franklin e “I see a darkness”
di Will Oldham, “Fortunate son” dei CCR e “Shipbuilding”
di Elvis Costello cantata da Robert Wyatt, ciascuna con un suo
perché e spesso con più d'uno. E ne sono rimaste
fuori, con ogni probabilità con dei perché altrettanto
numerosi ed altrettanto validi e circostanziati, molte altre
canzoni, a migliaia.
Si può raccontare questo libro anche da un'altra prospettiva,
considerandolo cioè come un'autobiografia con colonna
sonora. Fatto strano, sebbene contenga essenzialmente dei riferimenti
a “cose sue” e fatti e ragionamenti personali, ho
trovato il libro curiosamente condivisibile. Nel corso della
lettura mi sono ritrovato frequentemente in sintonia con Maurizio,
al punto di sorprendermi di aver vissuto certe situazioni simili
(la precarietà dei dischi presi in prestito e la scomparsa
frequente di quelli prestati agli amici, le cassette miste fatte
mettendo le canzoni in fila convinti che in qualche modo ci
riguardino e addirittura ci assomiglino, l'irresistibile impulso
di ficcare il naso nel reparto dischi quando entriamo in casa
d'altri, l'autoradio mangiacassette estraibile ma scomodo da
portarsi in giro perché grosso come un tostapane, e potrei
continuare noiosamente la lista per qualche pagina) e ad aver
reagito press'a poco alla stessa maniera a certe canzoni stimolanti.
Eppure non abbiamo la stessa età (lui ha nove anni meno
di me), abbiamo percorsi scolastici distanti (il mio molto più
corto del suo), siamo vissuti in aree geografiche diverse (grande
città del nordovest lui, provincia del nordest io) e,
se alla diversità tra la sua e la mia ipotetica playlist
personale potesse essere attribuito un qualche significato ideologico,
non credo di sbagliare nell'affermare che ascoltiamo preferibilmente
cose differenti.
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Maurizio Blatto |
Una lettera dal futuro
“Mytunes” è così ben congegnato che
lo si può leggere in maniera disordinata (un racconto
qui e adesso, un altro un'altra volta, senza seguire l'ordine
delle pagine né quello cronologico di pubblicazione delle
canzoni) senza sminuirne impatto e intelligenza: ecco, l'impressione
complessiva e duratura che ho tratto da questa lettura è
che sia stata una lettura intelligente, oltre che godibile.
Capace di un grande e sincero gesto d'amore sull'importanza
del lavoro delle cicale, così spesso sottovalutato rispetto
a quello delle formiche, Maurizio Blatto si mantiene sempre
a grande distanza dallo scrivere le lodi dei cantanti e degli
autori e dei musicisti, concentrandosi sui piccoli particolari
di ciascun pezzo, sulle pieghe nascoste degli arrangiamenti,
sui ritagli di testo più significativi, a volte soffermandosi
sui ragionamenti che stanno dietro al testo e svelandone l'intimità.
Ma, ripeto, credo che qui dentro si non volesse affatto raccontare
delle canzoni: le canzoni per Maurizio sono il pretesto per
raccontare di sé e delle proprie fantasticherie, per
analizzare le sue suggestioni e certe sue manie, per guardare
indietro e sorprendersi in una vecchia foto e, complice il tempo,
scrivere a sé stesso una lettera dal futuro che contiene
sì carezze d'incoraggiamento e pacche sulle spalle, ma
anche qualche pedata ben assestata in forma di critica pungente
degli usi e costumi dell'adolescenza, degli anni vissuti in
branco per scacciare la paura, delle contraddizioni che non
si è stati abbastanza capaci a risolvere. Una specie
di misura della distanza tra quello che ci sarebbe piaciuto
fare e quello che invece ci si è ritrovati a dover fare,
grazie alla buona musica e soprattutto nonostante la cattiva
musica tutt'attorno.
Marco Pandin
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