Il prezzo della vita comoda
L'esperienza quotidiana nelle società contemporanee
è segnata profondamente nell'immaginario e nel vissuto
dalla categoria della comodità. Sia dove essa è
già presente in forma generalizzata - come in Occidente
-, sia dove si costituisce in sacche di benessere nel mezzo
di una situazione di privazione e miseria, la vita comoda si
impone come modello da seguire o da raggiungere, riassumendo
in sé tutti quelli che vengono comunemente intesi come
i vantaggi offerti dalla società dei consumi rispetto
ai modelli di organizzazione sociale che hanno preceduto la
sua affermazione.
Comodità può significare possibilità di
costruirsi un ambiente domestico confortevole, disponibilità
di una vasta gamma di alimenti in qualsiasi momento della giornata
o dell'anno, dotarsi di strumenti che rendano più semplici
e meno faticose alcune azioni quotidiane come gli spostamenti,
la cura della casa o le mansioni lavorative, l'accesso alle
cure mediche specialistiche, la possibilità di delegare
ad altri situazioni di rischio e di problematicità; si
tratta di una parola familiare, che ricorre continuamente nel
discorso comune e che tuttavia sfugge ad una definizione rigorosa
per adattarsi piuttosto ad un ambito di applicazione vastissimo.
Questa
pervasività e indeterminazione della categoria del comfort,
unita alla sua scarsa problematizzazione – alla comodità,
in fondo, è facile abituarsi –, segnalano che essa
mobilita ben più di qualche beneficio materiale. Recentemente,
Stefano Boni ha proposto una lettura della vita comoda come
di un fatto sociale totale, che condiziona le nostre vite ben
più in profondità di quanto non sembri ad un'analisi
superficiale. Nelle pagine di Homo comfort: il superamento
tecnologico della fatica e le sue conseguenze (elèuthera,
2014) egli indaga lo stile di vita informato dalla comodità
con uno sguardo antropologico, soffermandosi sulle trasformazioni
che esso produce nell'attivazione dei sensi e nell'attività
cognitiva umana.
Il quadro che emerge è quello di una progressiva perdita
di autonomia materiale e politica dell'uomo contemporaneo, in
diretta relazione alla riduzione della fatica nell'esperienza
comune.
La perdita di autonomia è in primo luogo tecnica: nella
vita quotidiana è ormai indispensabile il costante ricorso
a dispositivi tecnici sempre più sofisticati, il cui
funzionamento spesso sfugge a chi non dispone di conoscenze
specialistiche o il cui utilizzo è comunque limitato
ad alcuni usi previsti. Utilizziamo in maniera massiccia risorse
difficilmente riproducibili o non presenti in loco, quali gas
e petrolio. Ciò implica la necessità, per la conservazione
di questo stile di vita, della costante attivazione di circuiti
economici legati al sistema capitalista e alle sue gerarchie;
allo stesso tempo, la delega alle macchine e ai dispositivi
di compiti sempre più complessi determina la progressiva
scomparsa di saperi che costituivano modelli di adattamento
legati alle specificità dei singoli luoghi, e l'allentamento
di reti sociali la cui tenuta era essenziale per lo svolgimento
di alcune attività fondamentali alla sopravvivenza.
Il fatto che i nostri sensi si attivino ed entrino in relazione
più con delle macchine e degli oggetti artificiali prodotti
in serie, standardizzati, che non con il mondo organico e la
sua imprevedibilità determina alcune conseguenze non
immediate; gran parte delle informazioni e degli strumenti cognitivi
con cui costruiamo la nostra percezione e interpretazione del
mondo sono tratte da canali di comunicazione tecnologici che,
per loro natura, agiscono da schermo e come filtro sensoriale
rispetto al mondo esplorabile in prima persona, e allo stesso
tempo sono strutturati in maniera tale da permettere a pochi
gruppi di potere consolidati di irradiare i propri contenuti
e i propri messaggi con una forza inedita a livello planetario.
Si può anche parlare di una perdita a livello dell'autonomia
delle forme di vita: le istituzioni della società comoda
si caratterizzano infatti per un'attività di proliferazione
di norme e burocrazia volta a limitare sensibilmente, o a rendere
di fatto legalmente insostenibile, qualsiasi stile di vita che
si sottragga ai meccanismi del consumo e del comfort. Le norme
e le certificazioni igieniche possono determinare benefici per
la salute individuale, ma estromettono il singolo dalla diretta
valutazione del livello di salute propria e del proprio ambiente,
sancendo piuttosto il monopolio delle autorità sanitarie.
Parlare - come fa Zygmunt Bauman - dell'incertezza come strategia
di governo, a significare il senso di smarrimento e di paralisi
prodotto nelle masse da una visione del mondo come qualcosa
di precario e pauroso, acquisisce significato solo se viene
posto il contesto di una popolazione globale diventata largamente
dipendente dall'azione di queste strutture di governo e incapace
di emanciparsi attraverso la produzione di strategie di vita
alternative a quelle istituzionali.
Se le dirette capacità di controllo a cui i moderni soggetti
di potere possono fare ricorso risultano più palesi e
sono state spesso oggetto di studio e di analisi critica, il
dominio indiretto e il rapporto di sudditanza materiale che
intercorre tra la gran parte della popolazione delle società
contemporanee e le organizzazioni gerarchiche che forniscono
loro servizi e tecnologia appare molto più sottile e
difficile da porre sotto scrutinio.
Comodità, in questo senso, significa anche: non c'è
niente di cui sia necessario che tu sia protagonista, poiché
è più facile e comodo che tutto scorra da sé
nella maniera prestabilita. La struttura organizzativa si fa
carico di ogni situazione relegando l'individuo al ruolo di
spettatore.
Le conseguenze politiche si misurano direttamente su questa
dipendenza: si è legati sempre più strettamente
alle organizzazioni gerarchiche per la propria sopravvivenza.
La disabituazione all'azione, il “dominio indiretto“,
possono concorrere a spiegare perché la conflittualità
sociale, nonostante le criticità della società
contemporanea e gli interrogativi a livello di massa che si
sono aperti a partire dalla recente crisi economica circa la
desiderabilità dell'attuale sistema, si attesti in via
generale su livelli piuttosto bassi se paragonata ad altri periodi
storici.
Il senso dell'interazione sociale è indebolito; è
oggi possibile ricavarsi delle comode nicchie in cui rifugiarsi
e rinfrancarsi dalle asperità del confronto con l'altro,
relazione che perde così carattere necessario e si apre
ad essere vissuta in maniera più superficiale e accessoria.
Lo
scambio di denaro diventa quasi la relazione comunitaria privilegiata,
o minima, al di fuori della propria personale cerchia di alleanze
e di relazioni. Il senso della comunità si perde e si
afferma l'individualismo poiché l'esistenza comunitaria
non è più necessaria come prassi, anzi, ostacola
la commercializzazione di servizi e dispositivi tecnici che
suppliscono alle funzioni che una volta venivano demandate allo
sforzo comune e alla rete sociale.
Tornare all'imprevedibilità della
pratica
Se si può obiettare che la tecnica sia sempre stata
fondamentale alle strategie di adattamento e sopravvivenza della
specie umana, nell'ultimo pugno di decadi si è registrato
il superamento di un punto critico nel tipo di rapporto che
essa media per conto dell'uomo col mondo organico. Le macchine
esigono una standardizzazione che quest'ultimo non può
fornire se non a prezzo di una manipolazione radicale; l'uomo,
per affrancarsi dalla fatica, perde la tecnologia del proprio
corpo e allontana da sé esperienze forti e spiacevoli,
le quali tornano a lui come altrettante deficienze di pensiero
e di azione.
Non è un caso che recentemente si vada allargando la
categoria delle azioni politiche percepite come illegittime
quando non addirittura terroristiche: la scarsa dimestichezza
con le dinamiche reali della violenza e del suo effetto sui
corpi apre le porte all'amplificazione mediatica della pericolosità
di quelle dinamiche di lotta che rifiutano di risolversi su
di un piano esclusivamente virtuale. La libertà di pensiero
sopravvive in spazi – personali – di relativa autonomia
culturale, mentre spesso la semplice espressione – pubblica
– di una posizione critica riconducibile a concomitanti
situazioni di lotta comporta l'attivazione di misure repressive.
In conseguenza a tutta quest'analisi, la dimensione pratica
appare indispensabile alla negoziazione di forme di relazione
sociale che si allontanino dalla dipendenza tout-court
dal sistema che la comodità sottointende; fortunatamente,
il pensiero libertario si presenta da questo punto di vista
come fondamentale repertorio di idee ed esperienze a cui attingere
per individuare uno ad uno i meccanismi di dominio che ci stritolano
e approntare le debite contromisure. È necessario che
l'alternativa sia costruita ogni giorno, pezzo per pezzo, con
ogni persona, in ogni momento.
Roberto Viganò
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