La giornata in carcere di un ergastolano
Durante il progetto “Scuola-Carcere” la domanda che ci fanno più
spesso i ragazzi è come trascorriamo la giornata. Ed
è la domanda che ci mette più in difficoltà
perché non è facile descrivere il nulla. Poi ognuno
di noi si gestisce la giornata come vuole, io leggo, scrivo,
sogno, m'incazzo, penso, insomma, cerco di vivere. E soprattutto,
nonostante che sono passati tanti anni, tutte le mattine quando
mi sveglio mi meraviglio sempre di trovarmi in una cella poiché
quando incominci ad abituarti a vivere in carcere hai perso
per sempre la libertà. La mia giornata tipo si può
riassumere in poche righe perché in carcere più
che vivere s'immagina di stare al mondo. E un ergastolano per
tentare di vivere deve imparare a saper morire. Io inizio a
morire appena mi sveglio al mattino. Normalmente mi alzo all'alba.
Non mi alzo subito. Sto un po' abbracciato al mio cuore. E di
prima mattina inizio a ricordargli che è inutile che
si danni l'anima perché non possiamo farci niente perché
la nostra situazione non può cambiare. Poi, all'improvviso,
quasi per smettere di pensare, mi alzo dalla branda. E inizio
la mia giornata. Accendo la televisione. Ascolto il primo telegiornale
del giorno. Bevo un bicchiere d'acqua. Mangio una mela. Metto
la caffettiera sul fornellino. Bevo il caffè. E inizio
a lavarmi i denti. La barba me la faccio ogni tre giorni. Faccio
le pulizie in cella. E poi mentre aspetto l'apertura dei cancelli,
mi metto a passeggiare. Tre passi avanti e tre indietro. E osservo
la mia cella. C'è poco: due brande, una sopra l'altra,
un tavolino, uno sgabello e un paio di stipetti attaccati alle
pareti. Poi guardo i sorrisi delle foto attaccate in una parete
dei miei due nipotini. I muri odorano di muffa, umidità
e cemento armato. Invece le sbarre della finestra, il cancello
e il blindato, puzzano di ferro. Il soffitto è giallo,
il colore della nicotina. Alle otto e mezzo scendo nella redazione
di “Ristretti Orizzonti”. È il posto più
bello del carcere, dove mi sento meno prigioniero, leggo la
“Rassegna Stampa” si discute, ci si confronta e
s'incontrano gli studenti del progetto “Scuola-Carcere”.
Il pomeriggio rientro in cella. Accendo la radiolina. Ascolto
un po' di musica. E inizio a rispondere alle numerose lettere
che ricevo. Alle sette e mezzo di sera chiudono il cancello
della mia tomba. Pochi sanno che quando una guardia gira la
chiave di una serratura di un cancello di una cella è
come se girasse un coltello nel cuore di un detenuto. Accosto
il blindato per avere un po' d'intimità. In carcere siamo
circondati da tante persone, ma in realtà spesso siamo
solo con noi stessi perché la solitudine è la
nostra unica compagnia. Inizio a cucinarmi qualcosa perché
quello che passa l'amministrazione spesso è insufficiente
e immangiabile. Poi accendo la televisione per ascoltare i telegiornali,
per sapere cosa accade nel mondo dei vivi. Se non c'è
niente d'interessante, spengo la televisione e mi metto a leggere,
a scrivere e a parlare con me stesso. Mi piace soprattutto leggere
e scrivere. I libri che leggo mi servono per segare le sbarre
della mia finestra, quelli che scrivo per scavalcare il muro
di cinta. Intanto si fanno le undici di sera. E il mio cuore
mi avvisa che mi aspetta un'altra notte da ergastolano. Spengo
la luce. Mi metto a letto. Di notte gli ergastolani si accorgono
di più di quanto si è infelici. Soli. E smarriti.
La notte è l'ora del dolore. Ed è il momento più
brutto della giornata.
Dei sogni persi. Quando non riesco a dormire subito, mi alzo
dalla branda. E mi metto a passeggiare nella cella da una parete
all'altra verso il nulla. Ogni tanto mi affaccio dalle sbarre
della finestra per vedere se nel cielo ci sono le stelle. E
se c'è la luna. Spesso afferro le sbarre con le mani.
Le stringo con tutta la mia forza per vedere se riesco a spezzarle.
Non ci riesco e allora ritorno nella branda.
Intanto s'è fatta la mezzanotte e dico le ultime parole
al mio cuore: Sogna anche per me un fine pena e per una volta
accontentami. E se non puoi farlo, smetti di battere, perché
solo tu puoi darmi la libertà perché domani inizierà
tutto da capo. Sarà peggiore di oggi. E sarà così
per il resto dei miei giorni. Poi mi addormento perché
non posso fare altro.
Carmelo Musumeci
Carcere di Padova
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