Mediazioni letterarie fra medico e paziente
1.
Più per ragioni connesse alla degenerazione del biologico
che per ragioni connesse alla generazione del culturale, in
questi ultimi mesi, mi sono trovato costretto ad approfondire
la mia conoscenza di quella particolare forma di letteratura
costituita dai cosiddetti “bugiardini” - o, più
prosaicamente, quei testi scritti che accompagnano le medicine
nelle loro confezioni.
Bene, dopo numerose letture, posso dire che, nella maggior parte
dei casi, questi testi lasciano perplessi. Sono spesso oscuri
– scritti in un gergo medico-biologico che sembra fatto
apposta per allontanarne il fruitore ultimo e più interessato
–, vagamente minacciosi – come alla voce “effetti
collaterali”, o “possibili effetti collaterali”,
e alla voce “controindicazioni” – e, se considerati
per la loro funzione di istruzioni, inefficaci. Dopo la lettura,
dunque, perlopiù, mi trovavo a pencolare tra due soluzioni:
tornare dal medico, o telefonargli, per chiedere lumi e tranquillità,
oppure buttar via il tutto (testo più medicinale).
Credo di non essere il solo ad essersi fatto un'opinione del
genere. Ed è per questo che, trovandomi per una volta
di fronte ad un'eccezione, mi decido ad affrontare l'argomento.
2.
Giunto al quinto antibiotico della mia sfortunata stagione –
numero solo le medicine appartenenti all'ormai vasta classe
degli antibiotici e trascuro quelle appartenenti ad altre tipologie
-, m'imbatto – finalmente – in un bigliettino scritto
con cognizione di causa e ritengo pertanto che possa essere
assunto a modello.
Innanzitutto un'osservazione sullo stile: il testo si rivolge
direttamente al lettore – dandogli del “lei”
che, ormai – quando l'uso del “tu” nelle comunicazioni
pubbliche è spesso vilmente truffaldino –, è
più spesso segno di correttezza che di familiarità.
Poi:
“conservi questo foglio. Potrebbe aver bisogno di leggerlo
di nuovo”
Poi: “Contenuto di questo foglio”, ovvero un “indice”
vero e proprio, così composto:
che cosa è H (chiamiamolo così) e a che cosa serve;
che cosa deve sapere prima di prendere H;
come prendere H;
possibili effetti indesiderati;
come conservare H;
contenuti della confezione e altre informazioni.
In realtà questo sesto punto contiene altri tre paragrafi:
come si presenta H contenuto nella confezione;
il nome del titolare dell'autorizzazione all'immissione in commercio
e il nome del produttore;
questo medicinale è autorizzato negli Stati membri dello
Spazio Economico Europeo con i seguenti nomi:
dove compaiono tre varianti, perché in Francia non si
chiama H ma X. E in Spagna si chiama Y.
La conclusione del testo, poi, si avvale di questa frase: “Questo
foglio è stato rivisto l'ultima volta il” (e segue
una data che, nella circostanza, risaliva ad un paio di anni
fa).
3.
Pensavo anche come sarebbe bello se i libri – o, almeno, certi libri – si adeguassero a questa modalità di rapporto con il lettore. Sarebbe forse un mondo migliore quello in cui, venendo finalmente sgravato di quell'aura di sacertà che lo circonda da secoli, il libro venisse presentato al suo eventuale lettore con tutte le cautele di un medicinale. Anche il libro può avere “effetti indesiderati” – si pensi alle opinioni: un libro potrebbe cambiarle –; anche di un libro occorre sapere qualcosa prima di leggerlo – si pensi alle condizioni in cui è stato scritto; anche un libro può avere una sua “durata” dopo la quale è da considerarsi irrimediabilmente “scaduto” (da questo punto di vista, per esempio, potremmo dire che la Bibbia ha ormai raggiunto un livello di tossicità insostenibile dalla specie umana?).
Anche di un libro, poi, può essere calibrata la corretta “posologia”. Quante pagine al giorno – e in che momenti leggerle – per adulti e quante per bambini, per esempio. Oppure: entro quanti giorni deve essere finito. Anche un libro, infine, può averci le sue “controindicazioni”: mai la sera, per esempio, oppure sconsigliato in gravidanza, ma anche la sua incompatibilità con certe convinzioni – per esempio, con convinzioni di ordine religioso – meriterebbe di essere segnalata.
Potrebbe essere un'idea per l'editore desideroso di riallacciare un rapporto amichevole e leale con il lettore e potrebbe essere anche il primo passo verso l'epoca in cui il costo dei libri – o di certi libri (e qui il problema della loro selezione si farebbe urgente e spinoso) – saranno a carico della cosiddetta Mutua.
4.
Secondo Russell Lee – che era un medico ottocentesco –,
un tempo l'autorità del dottore “era esattamente
come l'infallibilità papale: il medico è l'autorità
suprema, può fare quello che vuole, perché quello
che lui vuole è giusto”. È stata la lunga
– lunghissima – epoca in cui si potevano ancora
raccontare barzellettine come quelle del medico al capezzale
di “Henry”, il paziente modello: “il medico
dà un'occhiata ad Henry e, rivolto alla moglie, dice “Marion, mi dispiace Henry è morto” e Henry
salta su indignato, “Come morto? Non sono morto, sono
vivo”. E Marian, “Rimettiti giù, Henry, vuoi
saperne più del dottore?”. Annota Edward Shorter
nella sua Tormentata storia del rapporto medico paziente (Feltrinelli,
Milano 1986, pag. 179) che è negli anni Settanta del
secolo scorso che i medici cominciano a rendersi conto della
graduale scomparsa di quella tipologia di pazienti che “tutto
supinamente accettavano”, ma, presumibilmente, l'affermazione
del tutto vera non è. Il medico che conosciamo oggi –
quello del servizio pubblico – è ridotto a non
guardarci più in faccia (in Synecdoche, New York, un
bel film di Charlie Kaufman, se ne danno esempi tragicamente
esilaranti) e a “passarci carte” per poter aver
accesso ad altri medici, specialisti, che di noi ignorano tutto.
Il risultato è che il paziente non ha più una
storia e che, pertanto, si ritrova subordinato ad un'autorità
altrettanto indiscutibile della precedente – forse ancora
più indiscutibile perché sempre più nascosta
e anonima, comunque inavvicinabile.
Se ne torna a casa, questo paziente, a rimuginare sui misteriosi
risultati delle analisi e sulle parche parole dello specialista
e, quando va bene, con nuove medicine fra le mani. Ne apre le
confezioni e legge. Perlopiù, non è detto che
capisca. Se prova a capire, se legge tutto per bene, spesso,
rabbrividisce. Ha paura. Ed è solo.
Felice Accame
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