A dieci anni dalla sua scomparsa, ci piace ricordare Luigi “Gino”
Veronelli con questo dossier a più voci. Innanzitutto
la sua, di voce: ripubblichiamo in apertura cinque articoli
di Luigi Veronelli pubblicati su “A”
tra il 1999 e il 2005 (quest'ultimo evidentemente, postumo).
Il primo intervento abbiamo voluto che fosse di Gianni
Mura, giornalista poliedrico, esperto eno-gastronomico e
musicale (sua l'apertura a un altro dossier di “A”
su un altro grande: Georges Brassens), milanese e tante altre
cose, grande amico del Gino (e anche nostro). Andrea
Bonini, bergamasco, direttore del Seminario Veronelli, riflette
sul concetto di contadinità e sull'uso politico
che Veronelli ne ha fatto. E altre cose. Dell'influenza tra
i giovani e del ruolo da lui svolto si occupa Orazio
Gobbi, piacentino, dell'Associazione culturale Kairos. Gianandrea
Ferrari, della Federazione Anarchica (Fai) di Reggio Emilia,
ricorda quando Gino andò ad inaugurare la loro nuova
sede nel 2003. Sempre degli anarchici reggiani riproduciamo
il necrologio, affisso sui muri della città, del “nostro
anarchenologo”. Della rivista E.V. si occupa Angelo
Pagliaro, calabrese, che lancia un appello per vederla finalmente
on-line. Il ligure Massimo Angelini ricorda
i vari campi della loro amicizia e collaborazione. Un torinese
in terra di Liguria, Pietro Stara, ci
parla delle valenze anarchiche del suo linguaggio (così
caratteristico). Un ricordo a tutto tondo del Veronelli politico
(e non solo) è quello che 5 anni fa scrisse per noi il
friulano Marc Tibaldi, 5 anni dopo la
morte di Gino: lo ripubblichiamo. Il pugliese Mimmo
Lavacca ricorda quella manifestazione nel porto di Monopoli,
nel 2004, proposta da Veronelli: che ci andò e... Un
altro veronelliano reggiano (di Gualtieri, per essere
precisi), Diego Rosa, parla del suo
“camminare la terra” e spiega come nacque nel 2007
la Cellula Veronelli. Domenico Liguori
ricorda la visita del Gino a Spezzano Albanese (Cosenza) per
conoscere gli anarchici del posto, da sempre impegnati anche
in battaglie “agricole”. Simonetta
Lorigliola, di Trieste, analizza la storia collettiva di
t/Terra e libertà/critical wine e spiega perchè
quelle lotte siano ancora attuali: da riprendere in mano. Orazio
Gobbi ha poi realizzato 4 interviste con vignaioli, che
nella loro storia e nella loro attività “portano
il segno” delle idee e delle relazioni con il Gino: la
marchigiana cooperativa Aurora, i piemontesi
Giuseppe Rinaldi, Giovanni
Canonica e la cooperativa Valli Unite
– che produce anche il VINOTAV
solidale: una veronellata, che sarebbe piaciuta al nostro
indimenticato anarchenologo, amico, collaboratore, compagno
e abbonato sostenitore.
Lettera aperta ai
giovani estremi
di Luigi Veronelli
Perché i Centri sociali ed i Circoli
anarchici non si occupano di colture, oltre che di culture?
Una proposta di Luigi Veronelli, noto enologo e meno noto editore.
Nonché anarchico.
Che cosa può darvi un uomo della mia età se non
i dati dell'esperienza?
Solo oggi, più che settantenne, vedo con chiarezza: il
potere ha utilizzato - con un vero e proprio capovolgimento
dei propositi - ciò che era nei nostri sogni, anziché
far l'uomo più libero con il progresso, la scienza, la
macchina, la cultura ecc., renderne più rapido e sicuro
l'asservimento.
Ogni scoperta ed ogni invenzione - nate tutte (oso credere)
dal proposito di essere vantaggiose all'uomo - sono state deviate
ed utilizzate contro l'uomo. Basta guardarsi attorno, con un
minimo di senso critico e morale e ci si accorge che tutto,
ma proprio tutto, viene attuato per renderci servi.
Un tentativo che - pur essendo tutt'altro che escluse le violenze
e le atrocità dei vari fondamentalismi (sotto le tante
maschere, religione ed etnia in primis) - aggredisce
l'uomo, con i mezzi suadenti delle comunicazioni di massa.
Chiaro ed orrifico il fine: non più individui, non più
cittadini, non più un popolo, ma milioni di uomini e
donne, senza volto né storia, servi.
Ripeto: la macchina del potere ha posto al proprio servizio
gli uomini di lettere, di cultura e di scienza, i giovani “più
in vista” e i politici.
Uomini di lettere, di cultura e di scienza. Comprati.
I giovani più in vista. Utilizzati come paladini dell'industria
e del capitale, i migliori nello sport, nello spettacolo, nel
trattenimento e nelle arti. Giovani che, per denaro, esaltano
- forse inconsapevoli - una programmazione emmerdosa.
I politici nazionali e no... La comunità europea - in
cui avevamo pur posto speranze - ha emanato norme subdole e
fintamente igieniche per metter fuori gioco, a favore di industria,
conserve, salse, formaggi e salumi, prodotti in modo artigianale,
senza rischio reale alcuno, da millenni.
In modo più spettacolare e continuo, i mass-media, le
pubbliche relazioni, le promozioni e la pubblicità.
Ad ogni ora del giorno persuasori tutt'altro che occulti esaltano
ciò che dovrebbe civilmente essere condannato. Fanno
consumare le stesse cose in ogni angolo del mondo, costringono
a consumi non necessari anche i più poveri, impongono
alimenti geneticamente manipolati di cui si ignorano gli effetti
a tempo lungo sull'organismo umano - i cosiddetti alimenti transgenici,
che ci propongono l'uniformità dei gusti - ed annullano
il mutare delle stagioni. Mi limito ai due prodotti - simbolo:
la coca - cola e l'hamburger (se dis inscì?), uguali
- pensa tè - in ogni luogo del mondo.
Se vi sono una bevanda ed un cibo vecchi - che sentono e sanno
di vecchio - questi sono proprio la coca cola e l'hamburger.
L'uno e l'altra monotoni e statici. L'uno e l'altra tuttavia
esaltati come fossero prediletti dai giovani, nel futuro dei
giovani.
Perché la bevano e lo mangino - i giovani, dico - gli
debbono costruire attorno un “castello” (un castello?
Un finimondo) di pubblicità e promozioni plurimiliardarie.
Smette la pubblicità? Un castello di sabbia, pronto ad
andare in sabbia alla prima delle onde serie (”Onda d'Urto”,
mi vien da pensare, o “Muro del Magazzeno 47”).
I giovani prediligono - ed io vorrei esigessero - il nuovo e
il diverso. Tutto nuovo e tutto diverso - spazio alla creatività
- certo, ci viene da infinite evoluzioni, dalle millenarie lotte
e sofferenze di uomini perseguiti, nuovo e diverso. I giovani
si sono resi conto che la tradizione e la cultura sono non un
piedistallo, bensì un trampolino di lancio. Nuovo e diverso
presentati con una serie d'interventi critici, di note culturali
e di provocazioni, così da esaltare proprio nel nostro
sangue e nelle nostre idee, luci e coraggio. Ho parlato di tradizione
e di cultura. Un distinguo. Necessario.
Ciò che ci concedono e ci presentano i detentori del
potere, con le immense possibilità di corruzione del
denaro, anche quando ci viene presentato come cultura o peggio
(peggio da che vi è il tentativo di maligna subornazione),
come contro-cultura è, nei fatti, sottocultura. Noi siamo
- e qui lo dico da anarchico - la cultura, per definizione sempre
impegnata e nel domani.
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La copertina del libro “La questione sociale“, di Pierre-Joseph Proudhon, pubblicato da Veronelli editore nel 1957 |
Eversione e sovversione
Ineffabili e cinici mascherano il tutto con campagne puritane:
opererebbero per la purezza e la salvezza del genere umano.
Nei fatti si rischia che la terra non basti agli uomini, perché
l'industria e l'agricoltura industrializzata stanno desertificando
e avvelenando i terreni con la ricerca, senza limiti, del profitto.
La tragedia del genere umano sta per giungere al suo compimento,
proprio con la desertificazione, il degrado, la reale morte
della terra. È la terra la madre di ciascuno di noi,
la terra singola, la terra da cui siamo nati, la terra che camminiamo,
la terra su cui ci adagiamo, la terra di cui cogliamo i fiori
spontanei ed i frutti, la terra degli olivi e delle vigne, la
terra che coltiviamo di fiori, di frutta e di ortaggi, la terra
che ci dà le raccolte, la terra su cui facciamo l'amore.
Sono stati così “capaci” e potenti da portarci
al contrario di tutto. Il progresso anziché all'uomo
dovrebbe servire al potere. Proprio il progresso che ha l'imperativo
categorico di distruggerlo, il potere. Su quali giovani contare?
Sui giovani coraggiosi, propositivi, dialettici, attenti ed
esigenti. Giovani che sappiano opporsi al capovolgimento dei
fatti. Se i fatti denunciati sono veri - e non vedo alcuno che
possa smentirmi - è necessaria e urgente, nessuna possibilità
di rinvio, l'eversione e la sovversione.
Cercano d'imporci - la suadenza, la musica, i comici, il cinema,
quant'altro - le scelte quantitative. Tu, giovane, fai opera
di eversione e di sovversione, esigendo per te e per i tuoi
compagni, la qualità.
Ho avuto modo, per la loro civile frequentazione, di conoscere
meglio, tra i giovani, alcuni impegnati nei Centri Sociali e
nei Circoli Anarchici. Li ho trovati coraggiosi, propositivi,
dialettici, attenti ed esigenti.
Penso che siano i soli a poter svelare e rendere evidente agli
altri giovani, il tentativo in atto contro di loro, in quanto
contro la libertà e la terra. Uno dei fatti più
importanti di fine secolo, per quanto riguarda la nostra patria
(la patria è ciò che si conosce e si capisce)
è l'assunzione di responsabilità da parte del
partito catalano, “il partito dei Sindaci”. Rivendicano
le denominazioni comunali (leggi, se puoi, con attenzione da
pagina 20 a pagina 29 di “Ex Vinis” numero 42).
Un'assunzione di responsabilità difficile e pesante,
perché richiede tutta una lunga serie di studi, di verifiche
e di lavori. Opere che possono essere compiute in modo corretto
ed esauriente solo da giovani “idealisti”, giovani
che abbiano, quale prima preoccupazione, “la libertà
dell'altro”.
Un'assunzione di responsabilità - dall'una e dall'altra
parte - immensa, in grado di mutare il mercato a favore dell'uomo,
di mettere ai margini - in tempi più brevi di quanto
si possa credere - le multinazionali, la grande distribuzione
e i loro nutrimenti “anabolizzanti”, dell'intelligenza
e del fisico. Il nostro avvenire, e quello dei nostri figli
è in gioco, proprio - e in maniera più diretta
di quanto si creda - sulle necessità prime del mangiare
e del bere.
Non è affatto un caso che coltura e cultura abbiano identica
etimologia. Coltura significa coltivazione del terreno. Cambi
la o in u, cultura, ed hai il complesso delle conoscenze intellettuali.
“Il terreno arato non si distingueva da quello non ancora
messo a coltura”, leggi in Carlo Cassola. “Colui
che ha molta cultura ma scarso ingegno non ha nemmeno cultura,
perché la cultura non è davvero tale se non è
dominata, trasformata e assimilata dall'ingegno”, afferma
Benedetto Croce.
Il progresso - lo vediamo in ogni fatto di cui ci occupiamo
in modo sereno - è proprio coltura e cultura.
Perciò io m'auguro che i giovani estremi - la cui scelta
è già geniale - vogliano sollecitare i sindaci
delle città in cui operano, ad una presa di contatto
per un esame quanto più pacato e paziente delle possibilità
di collaborazione, secondo i due aspetti coltura / cultura.
Comune per Comune
Pacato e paziente perché nasceranno ostacoli proprio
nel momento in cui qualcuno nella controparte (qualcuno? Gli
asserviti al capitale e al potere), si accorgerà che
il catasto comunale di ciascuno dei prodotti agricoli, la zonazione
con la ricerca delle colture più adatte, il rilievo delle
particolari vocazioni d'ogni “oggetto” della terra
- fosse pure la misera patata - e le loro lavorazioni artigianali
in luogo, costituisce un atto mille volte più rivoluzionario
di qualsiasi violenza, e più oltraggioso e dannoso per
il capitale e il potere.
Gli argomenti della trattativa, anche economica, tra i Sindaci
e i Centri sono molti, dai più difficili - per cui sarà
necessario l'intervento di tecnici specializzati - ai più
semplici, per cui saranno tuttavia di altrettanta necessità
giovani trasparenti ed entusiasti.
Ogni centro dovrà assumersi il compito - rispetto al
territorio (di un solo Comune o di molti, secondo potenzialità)
- sia di studio, sia di attuazione. Studio storico (per esperienza
so che un terreno celebrato in antico per le sue produzioni
agricole è capace - se bene condotto - di ripeterle)
e studio tecnico (della zonazione, ad esempio, che consente
di individuare in un territorio vocato, le terre più
vocate). L'attuazione sia in accordo - mediato dai Sindaci con
delle aziende agricole esistenti - sia con la messa a coltura
delle terre demaniali.
Ma gli argomenti in discussione sono ben più ampi. Si
dovrà, ripeto, Comune per Comune, esaminare la validità
di un progetto riferito ai prodotti della terra, la vocazione
della terra stessa alle coltivazioni prospettate, l'esame delle
possibilità della trasformazione dei prodotti ottenuti
in formaggi, salumi, conserve, o marmellate, o altro... ma anche
il ripristino dei “valori” abbandonati, il recupero
dell'ambiente, il controllo delle regolarità (in primis
quelle relative alla prevenzione degli incendi) e l'equilibrata
manutenzione dei luoghi storici, dei parchi, dei boschi, delle
acque. Mi piace ricordare ai “miei” ragazzi, così
gelosi - giustamente gelosi - delle loro singolarità
e individualità, un fenomeno spiegato in ogni scuola.
È detto catalisi il fenomeno chimico per cui alcune sostanze
(chiamate catalizzatori), aggiunte anche in quantità
piccolissima a un sistema chimico, aumentano la velocità
della reazione senza che esse prendano apparentemente parte
alla reazione, cioè senza che tali sostanze, a reazione
compiuta, si trovino in alcun modo combinate con i reagenti
o con i prodotti della trasformazione.
La partecipazione dei giovani estremi ad una delle tante operazioni
previste per le denominazioni comunali, non implicherà
per nulla e in nulla, la temuta (pure da me) omologazione. Voi
potete essere i catalizzatori della riscossa, sia che vogliate
assumere responsabilità nel nuovo sistema, sia no. Giovani,
ponetevi in modo critico di fronte al progetto di globalizzazione.
Progetto che, nei fatti, è già in corso. Progetto
che implica il ritorno di ciascuno che non abbia capitale alla
schiavitù.
Luigi Veronelli
Postilla alla lettera
L'arma più efficace per imporcela, la schiavitù
- in un modo, in apparenza pressoché indolore - è
nei mezzi di comunicazione di massa, attraverso i quali con
trasmissioni solo in apparenza giovani e di contestazione, impongono
le forniture e i costumi del capitale.
Le prese di posizione e le “aggressioni” dei Centri
e, con forte incisività degli squatter, sono - con la
sola, ma grave penalità della violenza - esemplari. Fanno
saldo riferimento alla tradizione, vista, ripeto, non come un
piedistallo, bensì come un trampolino di lancio.
Con l'occupazione e la gestione dei palazzi, delle fabbriche
trasferite, dei boschi, dei terreni abbandonati o in gerbido,
vi è un effettivo ritorno ai valori. Io credo sia possibile
trattare i tanti aspetti di questa rivalutazione, con le conseguenti
economie nel dare e nell'avere, dei lavori eseguiti.
Ai giovani dovrebbero essere offerte, sia per frequentarle,
sia per gestirle, scuole di specializzazione ed assistenza sulla
pratica dell'edilizia, del restauro, delle coltivazioni agricole,
delle preparazioni elitarie, della difesa ecologica, della musica
e di quant'altro possa servire ai Comuni, per una messa in valore
e la redditività nel campo dell'ospitalità e del
turismo.
Punto di partenza, la messa a disposizione, dopo i necessari
e giustificati controlli, regione per regione, delle fabbriche
e delle attrezzature industriali ed agricole abbandonate e le
proprietà lasciate in gerbido, così che anche
siano rimesse in attività e in valore, col duplice vantaggio
del lavoro e dell'impegno dei giovani, che hanno scelto - moderno
monastero - il Centro, per spirito di solidarietà e d'indipendenza.
Ciò comporterà l'assunzione di manodopera sia
locale, sia dell'emigrazione.
Il capitale e il potere hanno scelto l'impietosa soluzione delle
tecnologie che limitano o addirittura non richiedono l'intervento
umano.
L'hanno imposte con una pubblicità sempre più
martellante. Ne consegue proprio la riduzione fino all'eliminazione
della manodopera specializzata e non. E proprio i giovani, primi
ad averne danno, sono costretti a servirsene - di quelle tecnologie
- per l'assenza di alternative.
Contro-cultura sono proprio tutte le azioni dei cosiddetti ben
pensanti... da sempre. Da qualche anno in modo così pesante
e con risultati orroreschi, da rendere appunto necessaria la
sovversione.
da
“A” 251 - febbraio 1999
Per
il Convegno internazionale anarchico del settembre 1984
(organizzato a Venezia dal Centro studi libertari/Archivio
Pinelli di Milano, dal CIRA di Lausanne, dall'Anarchos
Institute di Montreal e dal gruppo Machno di Marghera),
Luigi Veronelli decise, con quella generosità che
era un suo tratto tipico, di offrire buona parte del vino
messo a disposizione delle migliaia di anarchici presenti
in Campo Santa Margherita. E il vino scorse a fiumi durante
quella settimana. Anche perché, in stile con il
personaggio, non si trattò di un vino qualsiasi
bensì di produzioni di alta qualità (un
nome per tutti: il rosso servito <alla spina> altro
non era che Bricco dell'uccellone). Non c'è dubbio
che anche questo dono straordinario di Gino contribuì
alla buona riuscita dell'evento.. |
Terra e libertà
di Luigi Veronelli
Il
più noto enologo italiano lancia un appello ai “giovani
estremi”, in particolare dei circoli anarchici e dei centri
sociali.
E propone...
Quando mi chiedono cos'è l'anarchia, so solo rispondere:
la libertà dell'altro. È sufficiente per vantarmi
anarchico?
Sta di fatto che ho dedicato tutta la mia vita alla libertà,
mia e altrui con una scelta contadina collegata a Carlo Pisacane.
La fine millennio con l'affermazione della centralità
della terra - e di quanto ne segue: l'ambiente e l'agricoltura
- dovrebbe rendere chiaro ai giovani estremi che è stato
ed è un grave errore non essersene interessati e non
interessarsene.
I potenti - che sanno - hanno fatto e fanno di tutto perchè
la terra - intesa nelle sue diverse significanze - venga annullata,
persa la guerra, della violenza, puntano alla rivincita con
la finanza.
L'orrorizzante “globalizzato” della America Online
e Time Warner, società di 640.000 milioni di lire è
una ulteriore prova. Quante persone si potrebbero togliere dalla
miseria con l'impiego corretto di quella cifra mostruosa?
Non accorgersene - giovani estremi e voi in particolare dei
circoli Anarchici e dei centri Sociali - è il suicidio.
Dibattito pretestuoso
La lotta deve essere sì nelle città, ma altrettanto
certo e più ancora nelle campagne. Contro ogni fraintendimento.
È l'esigenza della qualità, soprattutto alimentare,
che ci rende più forti e capaci di opporci alla massificazione
ed alla protervia globalizzante.
Ho detto le parole che seguono al grande pranzo, in Percoto
di Udine, 29 gennaio, offerto alle “autorità”,
agli uomini di cultura ed ai vignaioli, dopo la proclamazione
dei premi Risit d'Aur alla civiltà contadina. Io avevo
l'incarico di consegnare il premio alle Donne del Vino, un'associazione
che raccoglie le vignaiole che operano, appunto, nelle vigne.
V'è un mio racconto mai scritto. Il mio racconto mai
scritto sul vecchio che, divenuto cieco, si dispera per l'impossibilità
di leggere i libri e, ancor più, di non riconoscere i
volti degli amici. Si arrabbia anche di non riconoscere quelli
dei nemici, cui rifiutare la mano.
Grazziaddeo le amiche friulane, le Donne del Vino, mi sono vicine.
Le riconosco una ad una. Potrebbero essere mie figlie. Lo sono,
nei fatti.
Il vino è il canto della terra verso il cielo. Ha i suoi
tenori e i soprano, contadini - agricoltori se volete - e contadine
che lavorano le vigne e ne vinificano le uve, con tutta la fatica,
l'intelligenza e la passione che vigna e vino esigono. I tempi
mutano e sempre più le donne si fanno protagoniste. Anche
nel mio campicello. Per cui a loro soprattutto chiedo consiglio
ed aiuto.
Siamo di fronte a un mutamento sociale di proporzioni inaudite.
Fallito il tentativo di schiavizzare l'umanità con la
violenza, è in atto quello di schiavizzarla con la finanza.
La terra è l'unico reale baluardo in grado di contrapporsi
e far fallire il proposito. Loro lo hanno capito. E fanno di
tutto per oltraggiarla ed annullarla.
I Risit d'Aur sono nati con il preciso proposito di esaltare
la civiltà contadina, e quindi la terra.
Anno via anno, con premi alla cultura di maggior impegno (se
di reale impegno non può non essere legata alla terra),
ai contadini ed agli artigiani.
La Terra madre. La Donna madre, le uniche capaci di generare.
La finanza è sterile, astiosa, implacabile. Corrompe
gli uomini, quelli del potere, politici e giornalisti, col danaro.
Primo, rigoroso ordine dei padroni: si metta a margine l'agricoltura,
la si ignori quanto più possibile ed è perciò
che nei programmi dei partiti l'agricoltura è, nella
realtà, assente.
Tre giorni fa in New York, si sono riuniti alcuni sopracciò
della politica e dell'economia - pensa té - per combattere
la povertà del terzo e del quarto mondo. Ciascuno di
loro era coperto di danaro. Non combattevano contro la povertà,
davano regole “per la povertà “ così
che l'orbe terracqueo sia provvisto di schiavi che si prendano
carico del lavoro e di padroni che li facciano sopravvivere
nei limiti stretti dei “benefici” consumistici.
Le tivvù, i quotidiani, i settimanali, hanno esaltato
l'orrorizzante “globalizzo” della America Online
e Time Warner, società di 640.000 milioni di lire. Quante
persone si potrebbero togliere dalla miseria con l'impiego corretto
di quella cifra mostruosa? Lo esaltano anzichè esecrarlo,
quell'ipertrofico potere, in mano ad una decina o poco più
di persone.
Proprio al contrario la povertà si combatte con l'insegnamento,
di luogo in luogo, delle tecniche di coltura della terra e con
l'approvvigionamento dei mezzi. Ogni uomo in ogni paese del
mondo, anche il più difficile per condizioni climatiche
(com'è dimostrato dagli esquimesi) - se è in grado
di conoscere le qualità della terra in cui è nato
e su cui vive, ed ha i mezzi adatti per coltivarla - si rende
libero. È libero.
Questa è l'inoppugnabile verità tenuta nascosta,
con rabbiosa protervia, da chi ha bisogno di schiavi.
Ed è proprio per ciò che mi rivolgo alla cultura,
ai premiati del Risit e alle Donne del Vino, in primis, perchè
mi aiutino nella battaglia intrapresa per eliminare la povertà
del nostro Sud.
Nel Sud vi sono più di un milione di olivicoltori che
non hanno raccolto le olive, quest'anno, da che il mercato gli
offriva il 40% in meno del niente dell'anno scorso.
L'80% del mercato - dicono - è in mano alle multinazionali,
Unilever e Nestlé in testa.
Nei supermercati sono in vendita i cosiddetti oli extra-vergine
di oliva, a meno di 6.000 lire, quando il costo contadino non
può - sottolineo, non può - essere inferiore a
10.000 lire (e dico dell'olio appena franto, non ancora confezionato
e senza alcun margine di guadagno).
Basterebbe che “le autorità” provvedessero
- e i giornalisti appoggiassero - due elementari norme: “essere
olio d'oliva il solo liquido ottenuto dalla sola frangitura
delle olive” e “è italiano l'olio d'oliva
franto da olive italiane” e quel milione di olivicoltori,
da poveri si farebbero benestanti, capaci, anzi costretti, ad
assumere manodopera.
È gravissima colpa dei politici, degli economisti e dei
giornalisti ignorare questo fatto che non ha nessuna possibilità
di smentita.
L'anno scorso, qui in questa sala ho dato il preannuncio delle
Denominazioni Comunali. Ciascun comune rivendica il diritto
di proteggere e valorizzare i prodotti e manufatti della propria
terra con l'esatto nome di ciascuna delle località. È
partito l'iter parlamentare ma io affermo: i Signori Sindaci
già possono dar atto alla denominazione comunale per
ciascuno dei loro prodotti con l'uso del potere notarile.
(Questo, amici dei circoli Anarchici e centri Sociali è
un fatto rivoluzionario, in grado di mettere ai margini le multinazionali
e di dare lavoro, serio e non flessibile, a milioni di giovani).
Chiedo una seconda volta aiuto agli uomini di cultura e a ciascuno
presente in questa grande sala, famosa per la distillazione
dei prodotti primi della terra, vinacce e frutti.
Luigi Veronelli
da “A”
262 - aprile 2000
Libera
di Luigi Veronelli
Si autodefinisce “anarchenologo”
e recentemente ha pubblicato con Pablo Echaurren un manuale
per enodissidenti e gastroribelli. In questo scritto critica
l'anticlericalismo, difende l'ateismo e...
Vi sono due Libera – associazioni – ciascuna da
me amata. L'una, la più conosciuta, in Sicilia, si occupa
di trovare ragazzi giovani che abbiano il coraggio di acquisire
le terre sequestrate ai mafiosi e di coltivarle (ha lavorato
bene, tanto d'aver avuto l'incarico gravoso, se non massacrante,
di occuparsi anche delle proprietà sequestrate alla 'ndrangheta
calabrese, che dicono ancora più feroce). Il fatto che
uno dei coordinatori sia don Luigi Ciotti mi fa pensare, forte
la presenza dei cattolici.
L'altra – non scrivo “la seconda” di puntuale
proposito – Libera, opera in Emilia ed è –
quanto meno lo credo – di impostazione anarchica e quindi
anche atea (come me).
Mi ha scritto Colby, uno di quei giovani attivi, per invitarmi
ad una tre giorni anticlericale. A causa dei miei occhi e delle
cure (ultime che mi costringono a frequenti viaggi in Germania)
non potrò parteciparvi.
Mi dispiace molto. Avrei detto loro, nella pubblica piazza,
che non è più possibile essere anticlericali.
Anche se è vero che le autorità e molti della
gerarchia ecclesiale fanno di tutto per far rinascere e alimentare
quel fenomeno deviante.
Ieri sera – 6 agosto, raitre, quasi notte, dopo la trasmissione
dei telegiornali nazionale e regionale – è andata
in onda una trasmissione sul rabbino Toaff, che ha lasciato
la sua carica – di massimo rabbino italiano, appunto in
Roma – per limiti di età. È stato un personaggio
duro, come tutti gli uomini di fede (credono l'impossibile,
possibile). Ha raccontato la sua storia di ragazzo e di uomo
perseguitato dalla bestialità nazista (...).
Il racconto ha avuto tre momenti di estrema commozione: la strage
di Sant'Anna di Stazzema, di cui fu uno dei testimoni; la benedizione
di papa Giovanni agli ebrei che uscivano dalla sinagoga romana
dopo la preghiera (quel papa contadino di immensa bontà
ed intelligenza, accortosene, aveva fatto fermare la propria
auto) e la partecipazione del presidente Pertini ai funerali
di una bimba ebrea uccisa in Roma da uno dei rigurgiti fascisti,
1982; sembra impossibile.
Sia Toaff, sia papa Giovanni erano uomini di fede, senza aggettivazioni
(ciascuno credeva nella sua, fondata accettazione delle fanfole
tratte dalla notte dei tempi). Sandro Pertini era di fede socialista,
con qualche attenuante quindi, quanto meno per l'aggettivazione
recente.
Tutti e tre i personaggi – in misura diversa, va da sé
– sono stati degni di rispetto e due, addirittura, amabili.
Nel mio vivere – ormai lungo – ho avuto frequentazione
e conoscenza di molti sacerdoti, quasi tutti, come logico, cattolici
e cristiani. Se ci penso, se ricordo le loro parole, a volte
aspre per i contrasti ideologici, debbo affermare essere stati,
in larga maggioranza, stimabili.
Dio e il diavolone
Certo, ciascuno fedele alle proprie credenze; altrettanto certo,
comprensivo, liberale, non violento e con una volontà
moderna, di privilegiare al loro interno le vocazioni comunitarie.
Si è soliti dire: “Beato chi ha la fede, perché
ha meno problemi”. È proprio vero?
È vero il contrario se – fatto certo dell'impossibilità
dell'impossibile, attraverso il pensiero e l'osservazione –
acquisisci, come per incanto, una grande serenità e perdi
il timore. Sì, il cosiddetto timore “iniziale”
(la condanna, secondo i fanfolisti, di ogni creatura che nasce),
la paura sia della colpa, sia della pena che obbliga il cristiano
verso Dio, il timore servile, il timore, appunto, di Dio.
Se ti liberi da ciò, le opere che fai lo sono per tua
scelta e non per l'imposizione di una verità rivelata.
Quando la mia Connie – una schnauzer gigante che mi affascina
per il perfetto disinteresse e la bellezza degli occhi –
avverte i primi lampi e ode i tuoni, corre verso di me, trema
e mi si accuccia tra le gambe.
Le dico: “Connie Connaccia, hai paura del diavolone, eh?
Ti prende stavolta il diavolaccio”. Dio e il diavolone.
L'uomo è un unico.
Frutto, come ogni altra “cosa” nata dalla Terra,
di miliardi e miliardi di congiunzioni e di casualità.
Si modifica già per la prima esperienza che lo porta
al pianto o al sorriso. Di qui l'importanza dell'educazione
in cui la parola colpa non dovrebbe mai entrare, né
come iniziale, né come futura.
Le iniziative saranno solo sue, inquinate molte volte da errori,
mai da colpe.
Non ho respiro antropologico per potermi soffermare su un argomento
così importante. Spero solo di farti intuire l'estrema
bellezza della tua singola libertà. Quella sì
capace di convincerti ad operare secondo etica e socialità,
a favore degli altri prima ancora che tuo.
Cerco di farlo con la comunicazione, l'unico modo – disgraziato
me – che conosco. Gli occhi hanno già dato un grosso
taglio alle mie possibilità. Temo, va da sé considerati
gli anni, altre malattie, col solo augurio: non tocchino il
cervello.
Ho avanti a me l'immagine di una quercia ormai stanca –
potrei dire un altro albero, più modesto; un ceppo di
rose – la stanchezza è tale da rifiutare ogni cura
incisiva.
Pensare alla morte come esaurimento – non comunico più
un valido pensiero, e non ghiande, e non rose – non dà
la benché minima inquietudine. Se mai, la lieve gioia
di ritornare alla Terra. Madre e anima.
“Etico e sociale sono sinonimi”
Amici di Libera – delle due Libera – ho dovuto
passare la soglia dei 77 anni (sto percorrendo il settantottesimo)
per accorgermi dell'assoluta sinonimia, anzi, l'identità
di due aggettivi: etico e sociale.
Dice il Grande Dizionario della Lingua Italiana: “L'etica
è la scienza della condotta umana, intesa come dottrina
del fine a cui tende il comportamento e dei mezzi atti a raggiungere
tale fine, o come ricerca del movente della condotta stessa
(e mira alla definizione della nozione di bene, ravvisato nella
felicità, nel piacere, nell'utile, nell'amore)”.
Si dice sociale – in un sistema culturale bene determinato
– ciò che agisce ed esprime compiutamente se stesso
e l'altro, alla fin fine il bene, la felicità, il piacere,
l'utile e l'amore proprio e dell'altro, all'interno di una socialità
compiuta.
Ragionateci, amici: etico e sociale sono sinonimi con una compenetrazione
esaltante.
Avviene così che uomini di immensa bontà e intelligenza,
militino in campi avversi. Molti uomini di immensa bontà
e intelligenza, credono ancora – e ci pare tanto assurdo
da poterli ritenere colpevoli – nelle verità rivelate,
diverse di luogo in luogo. Sino a far temere il ritorno di un
nazismo, proprio per le ragioni contro ogni ragione della fede.
Non è uno scandalo ch'io ripeta: se papa Wojtila –
meno santo di papa Giovanni, ma certo d'eccelsa forza e intelligenza
– fosse nato, anziché in una famiglia cattolica
di Polonia, in una famiglia musulmana dell'Iran, avrebbe avuto
una fede altrettanto assurda e incrollabile nella verità
rivelata da Maometto.
Ripeto: etico e sociale sono sinonimi. Per maledizioni millenarie,
in questo concetto è stata introdotta, sino a divenire
dominante, la necessità di una fede. Affermiamo l'esatto
contrario. È l'unica via per giungere alla cancellazione
dei delitti di ogni tipo, sollecitati da “verità”
che sono, quando non imposture, interpretazioni eccessive, a
volte sino al fanatismo ed alla persecuzione, di testi e saggi
profetizzanti e “poetici”. Ne hanno preso l'effettiva
gestione i peggiori: i politici, i militari e i finanzieri.
Le guerre, le violenze, le tragedie continueranno sino a che
esisteranno fedi che non siano la sola fede dell'uomo per l'uomo.
L'unica fede è dell'uomo per l'uomo
Abbiamo in noi, ciascuno – come ogni altro animale e
come gli altri organismi viventi – le nostre capacità
e possibilità. È a queste che dobbiamo richiamarci,
momento per momento, per arrivare alla consapevolezza, alla
tolleranza, alla non violenza e alla pace. La consapevolezza
soprattutto della vita, solo materiale, il che non toglie, anzi
moltiplica, il dovere dell'etica e della socialità.
L'anticlericalismo rinasce, purtroppo, dalla sempre più
pesante presa di possesso nel campo economico e mediatico degli
uomini peggiori “di fede”, stato via stato, nazione
via nazione. Uomini di fede, e proprio perciò giustificati
ad imporre la propria.
È banale citare il fatto incontrovertibile che nella
nostra Italia tutti i mezzi di comunicazione – tutti senza
esclusione alcuna – aumentino gli spazi dedicati alle
religioni; com'è logico, in particolare cattolica o cristiana.
Meno banale, anzi funesto sino a far temere la fine della Terra
(la Terra è l'anima) per eventi sempre più continui
e catastrofici nati dalle fedi ed attuati da chi ne trae macabri
profitti.
Luigi Veronelli
da “A”
293 - ottobre 2003
Propongo una
lista
di Luigi Veronelli
Il cambiamento può avvenire tramite il
voto, sostiene Veronelli, che si esprime contro l'assenza degli
anarchici dalle istituzioni pubbliche. Ma tra gli anarchici
non pochi pensano che “se la sia bevuta”
Il 5-6-7 dicembre, Fiera dei Particolari. La mia idea ha trovato
subito accoglienza dai ragazzi – per me lo sono –
del Leoncavallo che ha posizione e strutture in Milano tali
da poter accogliere i “miei” vignaioli.
So per esperienza quasi sessantennale del dissidio singolare
che nasce per una sorte inesplicabile di spontaneità,
in ogni persona che ha scelto, o comunque si obbliga a scegliere,
il percorso personale verso il massimo possibile di libertà.
Dovrebbe subito conseguirne – questo sì in modo
del tutto chiaro e spontaneo – la considerazione che il
massimo possibile di libertà proprio coincide con il
massimo possibile di libertà dell'altro.
L'ho sentito asserire, innumerevoli volte, dagli uomini della
sinistra. Purtroppo, pressoché subito, si smentivano
con avversioni imbarazzanti, ripetute, infinite. Prese di posizione
e di contrasto, dannosissime, con ogni iniziativa di “quell'altro”,
anche se a conoscenza della sua volontà di favorire,
comunque, la sinistra.
Di politica so nulla di nulla. Al termine della guerra che non
ho fatto per la giovane età (nel 1944 sino a mezzo 1945
sono stato internato in un campo di lavoro della vicina Svizzera
in cui avevo trovato rifugio) ho frequentato ogni luogo in cui
presupponevo di apprendere politica, con varie esperienze di
cui la più importante, dal '56, “I Problemi del
Socialismo” editi con Lelio Basso. Ne uscii nel 1959,
dopo un congresso in Napoli che aveva visto la vittoria di un
Nenni che considerava compagno il giovanissimo Craxi.
Da allora sono tornato a riferirmi – quanto a politica,
dico – alle parole delle lezioni ultime (debbo credere)
tenute da Benedetto Croce in Milano nel palazzotto liberale
di Corso Venezia, proprio di fronte ai Giardini Pubblici.
Ci aveva insegnato, con espressioni di notevole impegno e facilissima
comprensione, essere l'anarchia – pura, armonica e razionale
– il punto d'arrivo definitivo e finalmente gioioso del
lungo percorso umano.
Contraddiceva i teorici dell'anarchismo sui tempi. All'anarchia
– pura, armonica e razionale – si sarebbe potuti
arrivare dopo altri millenni di oppressione statale.
Semplice, vero? La mia politica è tutta lì, con
una convinzione: i mutamenti avvenuti con la fine del secondo
millennio, per merito (sì merito) della globalizzazione
– per cui non ho mai scritto no-global ma new-global –
hanno abbreviato i tempi dell'evenienza anarchica. Saranno meno
– io mi auguro, molto meno – di millenni per giungere
a quella che è un'utopia. Vivan las utopias.
|
Luigi Veronelli (Milano, 1926 - Bergamo, 2004) |
Per il progresso e la liberazione umana
Mi sono comportato, in ogni congiuntura ritenuta importante,
in modo da favorire la liberazione.
Certo, a volte ho sbagliato – faccio esempio nella scelta
del voto per un partito politico – mai, proprio mai, con
la volontà di sbagliare. Ho sempre considerato le opinioni
degli altri che si dichiaravano, anche, per la liberazione (esclusi
quindi, a priori, i fascisti e gli stalinisti) degne d'interesse
e di discussione. Più ancora, degne d'appoggio e d'aiuto
anche se, in qualche misura, in contrasto o quantomeno in sospensione,
rispetto all'anarchia (o, più modesto, rispetto al mio
pensiero di ciò che è o non è a favore
dell'anarchia).
Ecco allora, in particolare, la mia adesione a ciascuna delle
iniziative tese a soddisfare il progresso, appunto della liberazione
umana: circoli sociali, centri anarchici, volontariato anche
se “marcato” da fedi religiose, accoglienza immigrati,
quant'altro.
Ed ecco il mio convincimento – contro la decisione così
dannosa da parte dei dirigenti dei movimenti anarchici di un
distacco completo dal mondo politico e dalle sue evenienze –
di avere il maggior rapporto – ripeto: fatta esclusione
per fascisti e per stalinisti – con ogni parte, così
da portare avanti con discussioni dialettiche i problemi, anziché
bloccarli, sino agli episodi, purtroppo a volte violenti, di
ostilità. La società la cambi se la vivi, se ci
sei dentro, se puoi operare con trattative continue all'inizio
per un mutamento sino – non ti spaventi il termine –
all'eversione. Non ha nulla di antidemocratico. Quando condivisa
dalla stragrande maggioranza della popolazione, è l'apice
della democrazia.
Proprio nel ricordo delle parole di Benedetto Croce, la conferma
del massimo errore commesso dai teorici dell'anarchismo, del
socialismo e del comunismo. Per più di due secoli, tutto
l'ottocento e tutto il novecento, hanno teso a valorizzare le
invenzioni della scienza per una non meglio identificata modernizzazione,
anche a danno di ciò che era stato, nei millenni, a vantaggio
dell'uomo, l'agricoltura e l'artigianato in primis. Ho già
dichiarato la mia debolezza nell'argomentare di politica –
e più ancora nel farla – ma sino a oggi non ho
avuto seria contrapposizione al mio ripetuto assunto essere
stato il massimo degli errori l'ostacolo determinante ad un
reale progresso.
No al degrado e all'omologazione
Se vogliamo andare molto, molto avanti, dobbiamo tornare un
passo indietro. Ho scritto e scrivo dei prodotti della terra
non solo perché necessari alla sopravvivenza, soprattutto
perché esemplari di come un uomo capace possa vivere,
e far vivere i propri familiari, in condizioni di benessere.
I prodotti – sostengo anche quelli dei luoghi più
ostili, per la durezza delle condizioni ambientali – se
portati a compimento nella loro terra, assumono in sé
e per sé, a causa dell'inimitabilità, valori alti,
che trovano collocazione ed acquisto alla sola condizione che
siano proposti. Proprio da ciò scende l'affermazione:
le aziende agricole “industriali”, quelle che hanno
puntato anziché sui contadini, sui mezzi, non hanno,
nei fatti, ragione di esistere. Il mezzo, qualsiasi mezzo, che
non abbia l'assistenza fisica e intellettuale del singolo uomo,
contadino, esperto, porta a un degrado, se non a un degrado,
ad un'omologazione in qualche modo dannosa.
Lo stesso, identico, per ciò che riguarda la trasformazione
dei prodotti della terra. L'industria alimentare è un
controsenso da che porta alla pressoché immediata decadenza
delle valenze naturali. A parte il fatto che un'industria, per
definizione, non può non tendere al profitto senza il
purché minimo cedimento a ciò che è “sentimentale”.
Il contadino e l'artigiano, mettono certo in conto il profitto,
senza il quale non avrebbero la possibilità di vivere
e far vivere, ma ci aggiungono sempre, per ragioni storiche
e culturali, inalienabili contro ogni tentativo, la volontà
del ben eseguito e del coinvolgimento appunto sentimentale.
Qui, da noi, può sembrare ch'io sia l'inventore o lo
scopritore – fai tu – di una via nuova per la liberazione
dell'uomo. Mi piace contraddirlo. I contadini del Chiapas, proprio
con la Via Campesina, mi hanno, ci hanno, preceduto, con pene
e sacrifici inenarrabili. I risultati migliori li hanno ottenuti,
li stanno ottenendo, con l'instaurazione di trattative e quindi
con la rinuncia al solo mezzo delle armi, con le quali avrebbero
corso il rischio – io penso la certezza – dello
sterminio e dell'estinzione.
Sono le trattative – intransigenti nei luoghi in cui l'intransigenza
è necessaria – con le autorità a portare
attraverso modificazioni continue delle leggi, prima al miglioramento
della situazione sociale, poi all'eversione senza violenze di
cui non abbiamo paura. Anzi e meglio: di cui nessuno deve e
può avere paura.
Io mi auguro che la Fiera dei Particolari milanese – nata
sul successo clamoroso di Terra e Libertà/Critical Wine
veronese – inneschi una serie di manifestazioni in ogni
città italiana che dimostri agli ignari come sia iniziato
il terzo millennio, da cui l'uomo cosciente e rispettoso della
libertà propria ed altrui, si attende l'anarchia pura,
armonica e razionale.
Un gesto eversivo dei mercati sociali
I mercati che verranno ad aprirsi – con la messa in evidenza:
dei prodotti contadini e artigianali protetti dalle Denominazioni
d'origine Comunale, garantite da Sindaci che debbono essere
autorità amministrative e non politiche (non mi stancherò
mai di ripetere l'affermazione di Brunetto Latini, scrittore
fiorentino del '200 di cui Dante riconosceva la maestria «Le
uniche autorità cui è dovuto rispetto sono la
madre, il padre e il comune»; ove per comune era certo
intesa la comunità) – avranno condizioni di favore
esponenziale nei confronti di ogni altro ed in primis dei supermercati
delle multinazionali, con vantaggi appunto esponenziali a favore
dei contadini, degli artigiani e dei cittadini. Soprattutto
per la riduzione massiccia dei prezzi dovuta alla pressoché
totale scomparsa dell'intermediazione.
I politici – all'inizio entusiasti della mia proposta
1999 per una legge d'iniziativa popolare che imponesse le De.
Co. – hanno tradito proprio nel momento (ma forse scriverei
meglio proprio per il momento) in cui la legge costituzionale
n. 3 del 2001 ha nei fatti anticipato la necessità dell'iniziativa
popolare col passaggio del potere di legislazione (e di modifica
della legislazione) dallo Stato – non alle Regioni, non
alle Province – diretto al Comune; si sono infatti accorti
che quella legge, in quel dispositivo, era anarchica (s'indigni
pure chi pensa che legge e anarchia siano in contrasto; o meglio
legga Reclus).
Il successo – sono disposto a scommettere – clamoroso
ed eversore dei mercati sociali, proposti in ogni città,
convincerà – ed è proprio l'ora– gli
anarchici ad abbandonare l'assenza nelle istituzioni e quindi
anche dal voto.
Propongo infatti, da cittadino e non da politico, che già
nelle prossime elezioni europee siano presenti liste con simbolo
non equivoco di centri sociali, cui concorrano solo gli appartenenti
in giovane età dei centri sociali appunto, dei circoli
anarchici, del volontariato e delle associazioni di immigrati.
Per quanto scandalo possa aggiungere, fu interdizione –
ahinoi, intelligente – da parte dei conservatori più
maliziosi, l'aver convinto: sarebbe stato meglio, in base alle
loro teorie, che gli anarchici fossero assenti dalle elezioni.
Io – che non farò mai parte di una lista per la
sola ragione dell'età – dichiaro: fu vero e proprio
autolesionismo; ci è costato troppo caro.
Luigi Veronelli
da “A”
295 - dicembre 2003 - gennaio 2004
Riprendiamo questa inconsueta testimonianza,
d'accordo con l'autore, dalla rivista enogastronomica “Ex
Vinis”, diretta ed edita appunto da Veronelli.
Un incontro inatteso
di Luigi Veronelli
Cronaca dell'”incontro impossibile”
tra Veronelli e Gaetano Bresci. Sull'isola di Ventotene, nel
1964
Molti dei miei lettori – molti? Pressoché tutti
– si meravigliano delle mie cavalcate (cavalcate fuori
argomento). “Ex Vinis” è il titolo; solo
di vini dovrei scrivere e per estensione, di cibi e di turismo.
Considero d'obbligo giustificarmi. Scrivo di vini, di cibi e
di turismo, alla continua «presenza» dell'uomo.
Non rimpiango affatto di aver abbandonato – 1956, o giù
di lì – l'intrapresa via della speculazione filosofica.
Non ho rimpianto da che so che non ne sarei stato capace; che
mi sarei fermato – così come, alla fin fine, è
avvenuto – al primo intoppo. [...]. Mi sono occupato,
di contro, nel modo più completo e professionale di editoria.
I primi volumi furono di filosofia e di lettere; poi...poi mi
accorsi che non ero imprenditore – economico, dico –
e che mi sarebbe convenuto applicarmi a quel che mi riusciva
meglio: l'assaggio dei cibi e dei vini e il loro racconto. Cibi
e vini che riguardano in modo diretto, in modo più diretto
che ogni altro argomento, l'uomo e la vita.
Credo – da quegli anni cinquanta – che vi sia una
chiave reale, per una sorte felice dell'uomo, per una sua vita
migliore. Quella chiave bene si esprime in due parole: la libertà
dell'altro. Questa, solo questa, è la ragione per cui
non mi sembra di staccarmi da quel mio titolo, “Ex Vinis”,
quando non scrivo, puntuale, di vini di cibi e di turismo.
Ciascuno degli elementi di quel viaggio è sempre un gioco,
sempre rispettato. Sì, anche ora che mi decido, finalmente,
a raccontarti – amico lettor mio, amica mia paritaria
– di una vicenda in Santo Stefano, uno scoglio più
che un isolotto, pressoché sconosciuto, proprio di fronte
a Ventotene, isola grande.
|
Veronelli tra i ragazzi di un Critical Wine |
L'antica Pandataria Stassentire
Ventotene – per quelli della mia generazione, che uscivano
dall'orrifico fascismo (all'inizio della seconda guerra mondiale
avevo 14 anni) – non era il luogo di varie attrattive
che è oggi. Isola del mar Tirreno che appartiene (con
l'isolotto di Santo Stefano) al gruppo più orientale
dell'arcipelago delle isole Pontine.
Anticamente era chiamata Pandataria e vi furono deportati molti
illustri esponenti dell'aristocrazia romana e, addirittura,
delle famiglie imperiali come Giulia, Ottavia e Agrippina Maggiore.
Settembre 1964. Mario D'Ambra, allora l'indiscutibile, reale
promoter della vitivinicultura campana (i suoi vini d'Ischia
– Biancolella, Forrastera e Per'e Palummo, erano i soli
ad aver campo nei ristoranti d'Italia tutta), aveva invitato
me e i miei familiari, Maria Teresa, moglie, Benedetta, Chiara
e Lucia, figlie, per una vacanza in quello scoglio a lui caro
per la sconvolgente bellezza dei luoghi, la solitudine e la
caccia alle beccacce e ai beccaccini. Fossi saggio, avrei tenuto
un diario. D'estremo interesse per le tante «avventure».
Sì, s'era soli. Allo sbarco, in una cala minima e rocciosa,
aperta al mare mosso (si saltò, letterale, dal barcone
che ci aveva prelevati in Ventotene, su uno scoglio, bagnato
viscido, noi e le valigie), ci accolse un contadino e la sua
mula.
Lungo un viottolo, quasi sempre a picco sull'onde, carica, stracarica
la mula, giungemmo all'unica costruzione – aveva un non
so che di spagnolesco – ove ci accolse Mario. Era stata,
ci disse, la casa fuori del Penitenziario che si ergeva sul
culmine dello scoglio, imponente e tetro. Già allora
il sinistro luogo di pena era stato spogliato di tutto, proprio
tutto, sino a scardinare gli infissi, gli impianti igienici,
le tubature, i cancelli, le barre, quant'altro. Era ancor più
sinistro di quel che doveva già essere negli anni in
cui ospitava gli sciagurati, sventurati, derelitti.
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Veronelli
tra i ragazzi di un Critical Wine |
Condanna a morte
Penitenziario, per i condannati a vita. L'ergastolo. Nessuna
volontà di redimere. Solo persecuzione e pena. Sì,
quel mancato diario. Dell'avventure – tante, gioiose –
ne racconto una sola, tristissima.
Ho camminato i lunghi corridoi e le celle; ho sostato –
si arrovesciava il cuore – nelle «gabbie»
di rigore, un metro e mezzo, per un metro e mezzo, per un metro
e mezzo, sottosuolo. Chi v'era rinchiuso non poteva stare eretto.
Sapevo della lunga detenzione, in quelle celle, cui era stato
costretto Gaetano Bresci, il giovane atleta, giunto di lontano,
per attentare e uccidere, 29 luglio 1900, re Umberto I. Lo aveva
fatto. E oggi ci si rende ben conto: aveva sbagliato.
Oggi. Era venuto d'America, sdegnato per le repressioni vili
e sanguinarie, fine 1800 e convinto, allora, che uccidere un
re, colpevole verso l'umanità, fosse un atto risolutivo.
Fu rinchiuso in una delle gabbie, sottosuolo, in Santo Stefano.
Se la cammini, l'isola, anche nei luoghi più incantati
per l'ardire senza eguali della bellezza, appena ti estranei,
senti voci non solo del vento. Ti raccontano le persecuzioni
di cui fu oggetto, in quelle gabbie, un metro e mezzo, per un
metro e mezzo, per un metro e mezzo.
Gaetano visse da uomo libero.
Non rinnegò la sua idea. Non ottenne un metro, per un
metro, per un metro, di più. Non ergastolo. Fu condanna
alla morte. Morì pesto e battuto nella carne (la sua
anima non poteva essere battuta, pestata, offesa, era l'Anima),
dieci mesi dopo, 22 maggio 1901.
Maria Teresa e le figlie, in quel periodo tra i più belli
della nostra vita, una volta sola si accorsero del mio turbamento.
Quando entrammo nel minimo cimitero, infoibato tra le rocce
(ti voltavi ed era un paradiso: il mare e un po' decentrata,
l'isola di Ventotene), una frase all'ingresso: «Qui finisce
la giustizia degli uomini. Qui comincia la giustizia di Dio»,
minime croci di ferro arrugginito e dei cartigli ai piedi. Là,
proprio là, il cartiglio di Gaetano Bresci.
Piangevo, va da sé; Maria Teresa mi guardava commossa.
Mi prese la mano. Sorprese le bimbe e ammutolite.
Trascrissi, a uno a uno i nomi dei cartigli:
entrando a sinistra:
Montalbano G. 15.4.1906/11.7.1959
De Roma Francesco 15.2.1945
Donatangelo Pasquale 13.9.1954
Durante Felice 14.3.1944
Lai Salvatore 28.9.1931
Entrelli Rocco 16.8.1950
Mediati o Mediali Rocco 26.2.1952
Imbrindo Domenico 9.7.1950
Iacono Lucio 21.2.1940
Forte Michele 24.9.1945
De Rocca Salvatore 26.5.1949
Toscailli o Roscailli Benedetto 6.12.1943
distrutta
Giorgi Luigi 27.6.1914
distrutta
entrando da destra:
distrutta
Lota Kasem 16.2.1945
Dosko o Posko Nazir 9.6.1945
Ussello Giuseppe 15.5.1945
Galdi Giuseppe 16.5.1938
Nangini Guido 28.10.1946
Saracco Natale 29.5.1926
distrutta
Di Benedetto Vincenzo 19.11.1918
Sacchi Luigi 20.9.1917
Carota Antonio 25.4.1915
Reda o Beda Giuseppe 9.10.1915
Si scendono 3 gradini a destra
Pilia Benigno 19.2.1923/22.7.1962
Di Santo Rufino 11.6.1888/12.5.1957
Bresci Gaetano 22.5.1901
Messina Pietro 27.8.1908/26.4.1962
Lizio Rossano 17.1.1904
De Cuzei Giuseppe 12.6.1904
Pannuccio Antonio 25.9.1904
Monte Gaetano 3.5.1904
Biase Donadio 18.2.1904
Gemina (?) Domenico 30.10.1904
si scendono 3 gradini a sinistra:
distrutta
Baetta Filadelfo 30.3.1909 ?
Rodessi Giovanni 14.6.1909
Fissore Giuseppe 31.1.1909
Tupponi Sebastiano 30.3.1908
Lai Antioco 29.6.1908
Baches Raffaele 7.11.1906
Quante volte mi sono chiesto: sarebbe stato giusto confidare
prima questa mia scoperta? Come sarà, oggi, quel desolato
luogo? Avrei dovuto – avrei voluto – divenisse meta
di un pellegrinaggio mio – mio, solo mio – annuale.
Fare di quel luogo la mia Mecca. Non ci sono mai tornato. Questo
non ritorno pesa, sull'animo mio, come un macigno.
Luigi Veronelli
tratto dal “Bollettino n. 16”, dicembre 2000,
del Centro Studi Libertari di Milano
Le foto che illustrano questo dossier sono state scattate
presso Il Centro sociale “La Chimica” di Verona.
Si ringrazia per la collaborazione Simonetta Lorigliola, responsabile
informazione del CTM Altromercato di Verona.
da “A”
308 - maggio 2005
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