Rivista Anarchica Online





Abbiamo davvero bisogno dei radicali?

In margine e in coda all'interessante confronto sul saggio Libertà senza rivoluzione di Berti, chiusosi qualche numero fa sulla rivista, e in riferimento all'intervento di Nicosia “Per un riavvicinamento tra anarchici e radicali” su “A” 390 (giugno 2014), sono rimasto incuriosito dalla notizia di un dibattito aperto su “Radicali e anarchici: un incontro possibile” che si è tenuto il 2 luglio scorso a Milano e cui hanno preso parte Adamo, Cappato e gli stessi Berti e Nicosia. Senz'altro stimolante l'invito comparso sul sito radicali.it che recita:
“A oltre quarant'anni dalle marce antimilitariste, che videro insieme radicali e anarchici, si è assistito negli ultimi anni a una ripresa di interesse, da parte di militanti e simpatizzanti radicali, nelle tematiche prima anarco-liberiste e poi anarchiche in senso lato.
D'altra parte, nel mondo anarchico si è venuto sempre più abbandonando il richiamo al rivoluzionarismo di tipo ottocentesco per un approccio più critico e pragmatico, che ha trovato il culmine nell'ultimo libro di Nico Berti Libertà senza rivoluzione e nel dibattito che ne è scaturito sulle pagine della pubblicistica anarchica. A loro volta i radicali sono impegnati in una ripresa dei temi forti riguardanti i diritti civili (questione carceraria, questione del “fine vita”, antiproibizionismio, etc.) che non dovrebbero lasciare indifferenti i vari ambienti della galassia libertaria. Tutto ciò suggerisce che sono forse maturi i tempi per una ripresa in qualche forma di rapporti, politici e/o culturali, tra mondo anarchico e mondo radicale.”
Notiamo giusto en passant come gli estensori, bontà loro, abbiano qui correttamente voluto restituire e riconoscere il titolo di “libertari”, di cui i radicali si ostinano a fregiarsi da decenni, agli storici e legittimi detentori anarchici. Ecco un'ennesima differenza tra anarchici e radicali: noi, libertari, lasciamo che loro si chiamino come vogliono, pronti eventualmente a rivendicare col confronto le nostre prerogative; mentre loro, liberisti, sarebbero probabilmente già corsi all'ufficio brevetti per assicurarsi la proprietà esclusiva del marchio.
Fuor di celia. Nella sua nota “Perché i radicali hanno bisogno degli anarchici (e viceversa)” sul sito istitutodipolitica.it Nicosia affermava in febbraio: “Libertà senza rivoluzione segna una cesura col movimento (anarchico) stesso, sfidandolo sul piano di alcuni dogmi e miti, come quello della rivoluzione, del socialismo se non del comunismo. Berti ha invitato il mondo anarchico al confronto con il mondo liberal-democratico, cosa che gli anarchici si sono sempre rifiutati di fare, finendo, come icasticamente dichiara Berti, con il rappresentare solo se stessi. [...] Berti invece vuole che il movimento anarchico esca dal suo splendido isolamento, e che, dopo la sconfitta del comunismo e la vittoria su scala mondiale del capitalismo, impari a confrontarsi con le questioni del potere, [...] vuole che gli anarchici smettano di fare i rivoluzionari “della domenica” e si confrontino con proposte concrete sul fronte politico, anche in nome del “meno peggio”, o del second best. [...]
Il fatto è che da quarant'anni i radicali si definiscono “libertari” e hanno agito esattamente su questa linea di condotta, hanno individuato temi specifici di stampo liberale/libertario, hanno lottato per specifiche riforme politiche, i cosiddetti “diritti civili”: leggi sul divorzio, sull'aborto, sull'obiezione di coscienza, sulle droghe, sulle carceri. Si tratta di altrettante opzioni di second best rispetto a quanto previsto dalla palingenesi dell'anarchismo, che si nutre di soli first best, ma che in realtà dà prova solo di impotenza.
Ecco, gli anarchici che accettassero il terreno della liberal-democrazia potrebbero battersi per questi e altri diritti civili, senza rinunciare a nulla del proprio bagaglio storico e teorico, che è davvero imponente. Per contro, i radicali appaiono in crisi profonda, nonostante la creatività del leader, proprio per non possedere non solo solide basi teoriche che fungano da criterio orientativo (nelle iniziative radicali si ha sempre l'impressione della casualità delle scelte), ma anche un immaginario sufficientemente stimolante ed evocativo. Orbene, se gli anarchici hanno da prendere dai radicali la cultura dei second best, i radicali hanno da assumere dagli anarchici il relativo immaginario, dando così più fascino e spessore alle proprie iniziative, per ora fondate solo su un richiamo, non troppo fascinoso, al concetto un po' mitologico di “Stato di diritto”. [...] Insomma, tra radicali e anarchici si potrebbe dar vita a uno stimolante scambio politico tra, da un lato, specifiche proposte concrete in nome dell'antiproibizionismo (che è una forma storicamente assunta dal liberalismo), e, dall'altro lato, un corposo bagaglio teorico, evocativo e immaginifico, nonché un pizzico di tensione utopica, che non ha mai fatto male a nessuno”.
Allora saremmo invitati da Nicosia e da Berti ad un matrimonio politico in cui, ci par di capire, gli anarchici dovrebbero, “senza rinunciare a nulla del proprio bagaglio storico e teorico” se non ad “alcuni dogmi e miti, come quello della rivoluzione”, accettare il terreno della liberal-democrazia in nome del meno peggio, pena “il rappresentare solo se stessi” e l'assoluta impotenza, portando in dote “un pizzico di tensione utopica” e “dando così più fascino e spessore” ai radicali in crisi di identità. Proposto così ci sembra un matrimonio di interessi... radicali. A noi i matrimoni già piacciono poco, ché anzi siamo per la libera unione di liberi individui fuori da ogni vincolo legale, ma se pure volessimo costituire una coppia di fatto non sceglieremmo certo i radicali. Pannella certo, e più adesso che si è lasciato crescere il codino, un po' di simpatia e di tenerezza ce la fa: ma non può essere amore, al più due chiacchiere davanti a una canna, magari su Tav e F-35. Inutile ricordarlo a braccetto con Berlusconi e in tuta mimetica in Croazia venti anni fa, a fare da testa d'ariete contro l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori dieci anni fa. Per non smarrirci su strade altrui, pur senza rifiutare il dialogo, ricordiamoci invece di Bakunin: “Giustizia, ovvero eguaglianza, ovvero libertà”.

Paolo Papini
Roma



Troppi, rassegnati e indifferenti

Chi ha avuto la bontà e la pazienza di leggere i miei contributi benevolmente ospitati da questa Rivista negli ultimi anni sa che la politica estera era (ed è) l'ambito prevalente della mia ricerca, pur con tutte le limitazioni che l'avanzare dell'età mi ha progressivamente imposto. E ciò, non soltanto perché quello che si agita in questo mondo, spesso fuori di testa, mi ha suggestionato e spinto a fornirne testimonianza, quanto perché ho nutrito la convinzione che, finita o in rapida estinzione l'epoca del colonialismo occidentale in vaste aree del pianeta (dall'India all'Indocina, dal Medio Oriente all'Algeria), la geopolitica del pianeta sarebbe stata stravolta da pulsioni complesse a lungo sopite, dal declino di culture e assetti politico-sociali per lungo tempo egemoni e dall'emergere prepotente di nuovi protagonisti sullo scenario dell'epoca che drammaticamente viviamo.
Da qualche anno a questa parte, però, mi sorprendo assai scomodo nella parte di chi può in una certa misura assistere da spettatore – per quanto partecipe – a vicende spazialmente lontane dai suoi luoghi originari. Mi ritrovo, cioè, del tutto coinvolto, dolorosamente coinvolto nella spirale di chi il declino lo avverte, oltre che sulla propria pelle, negli occhi smarriti della gente che incrocia nelle strade sempre più anonime e convulse della città, nella sorda lamentazione quotidiana del commerciante che perde clienti, nella mano tesa dell'uomo di colore che nessuno aveva avvertito della pericolosità di un viaggio verso il miraggio di un benessere inesistente. In un certo modo – adesso lo percepisco con chiarezza – avevo percorso a ritroso il viaggio da un continente di certo sofferente ma pieno di speranza e di prospettive quanto meno suggestive, ad una società intristita e priva di futuro. Visionavo quotidianamente l'elettroencefalogramma piatto di una rassegnazione diffusa anche in compagni e conoscenti che ricordavo vivaci e reattivi, capaci di metabolizzare in fretta sconfitte cocenti.
Certo, il recupero borghese, sostanzialmente reazionario, sul movimento del Sessantotto, l'involuzione craxiana e vent'anni di berlusconismo non potevano non lasciare segni profondi, ma non era soltanto questo, c'era dell'altro, molto d'altro. C'era l'involuzione dei rapporti interpersonali, l'arroccamento in un privato arcigno ed escludente, la difesa ad oltranza di quei piccoli privilegi – o ritenuti tali – che il sistema in declino elargisce per aumentare la conflittualità interna ed allargare la sfera del proprio dominio. C'era il rifiuto verso qualsiasi azione collettiva che servisse ad arginare la deriva di una società impazzita o, quanto meno, a testimoniare il profondo disagio di un popolo annichilito da una crisi interminabile.
Così, a me, che tornavo metaforicamente a casa, dopo un lungo periodo di distrazioni, lo stato della comunità che, sempre metaforicamente, avevo temporalmente lasciato mi appariva profondamente lacerato da pulsioni regressive difficili da arginare con gli strumenti canonici della politica tradizionale.
Quello che sembrava emergere con particolare evidenza era la disarmante, diffusissima inconsapevolezza della gravissima stagione che la comunità nazionale stava attraversando. Certo, la crisi economica incideva in profondità sulla carne viva della popolazione. I circa quattro milioni di disoccupati, la povertà che dilagava anche in ceti sociali normalmente risparmiati da questa calamità, l'insostenibile condizione giovanile, tutto questo era evidente e nessuno poteva ignorarlo. Ciò che veniva sottovalutato o che la pubblica opinione e persino i movimenti antagonisti sembravano non volere affrontare era l'involuzione autoritaria, la deriva populistica, la rincorsa verso un plebiscitarismo astorico che il governo Renzi ha impresso alla politica italiana, in accordo con Berlusconi, l'intramontabile personaggio di una farsa raggelante su cui ancora non cala il sipario.
Renzi, dunque, gigantesco parto mediatico, affabulatore arrogante di una narrazione infarcita di slogan, capofila di una compagine governativa priva di spessore politico ma abilissima a diffondere acriticamente i messaggi del Capo. Alcuni osservatori vedono in Renzi la versione giovanil-avanguardistica di una rediviva Democrazia Cristiana, disposta ad ogni compromesso pur di ritornare a governare il Paese; e, in effetti, il sospetto è che l'azione convergente del moderatismo di destra, testimoniato da Forza Italia con i suoi satelliti, e quello di gran parte del Pd (quello, per intenderci, che ha bruciato Prodi nella corsa alla presidenza della Repubblica) possa finire per confluire in un'unica aggregazione di centro, largamente maggioritaria nell'elettorato italiano. In questa direzione si spiegherebbe il sostegno di Berlusconi alle riforme renziane, anche quando queste contraddicono palesemente gli assunti cardine della Destra (legislazione a favore degli omosessuali, dell'integrazione degli immigrati e, soprattutto, dell'ultima trovata di Renzi, nel progetto della nuova legge elettorale, di attribuire il premio di maggioranza al partito che risultasse primo dall'esito delle urne, piuttosto che alla coalizione, norma che penalizzerebbe proprio il partito di Berlusconi, attualmente attestato al 12/14% dei consensi). Con l'ipotizzato progetto del partito unico, si spiegherebbero anche le continue umiliazioni cui Renzi sottopone le minoranze del suo partito, quasi un invito ad affrettarne l'uscita.
A prescindere poi dal progetto di un grande partito di Centro, molti altri segnali forti portano a sospettare che i veri accordi del Nazareno mirino a mutare radicalmente l'assetto politico-sociale del Paese. La presunta richiesta indilazionabile degli italiani per una radicale riforma delle istituzioni serve a Renzi (e a tutti coloro che come lui guardano nostalgicamente al programma della P2 di Licio Gelli) per bypassare tutti gli organi dello Stato garanti del rispetto della Costituzione e degli equilibri tra i poteri dalla Costituzione previsti. Il Parlamento è ormai privato delle sue prerogative, costretto dai numerosi ricorsi al voto di fiducia ad approvare decreti governativi sotto la costante minaccia di crisi istituzionali, difficilmente risolvibili in un Paese profondamente depresso e disgregato. Sono funzionali al disegno eversivo i partiti, che un tempo, nel bene e nel male, elaboravano i temi della politica e selezionavano le nuove classi dirigenti; i sindacati in profonda crisi di rappresentanza che ne delegittimano la funzione; i poteri decentrati, regioni, province e comuni, travolti dagli scandali, via via sempre più privati delle rimesse statali, che non riescono a garantire i servizi essenziali alle proprie comunità; la magistratura, in continua delegittimazione da parte del potere esecutivo e dalle sue stesse deficienze, è anch'essa in preda a fenomeni correntizi e conflitti interni di potere che ne minano la credibilità. Infine, un Capo dello Stato che nel marasma generale, si affretta a lodare una “legge di stabilità”, una finanziaria decisiva per il futuro prossimo della nazione, prima ancora che l'esecutivo la scrivesse: arriverà infatti sul suo tavolo tre giorni dopo le esternazioni laudative, e, per di più, senza la ratifica della Ragioneria dello Stato.
Per sintetizzare brutalmente, insomma, siamo un Paese in caduta libera, sul quale il duo Berlusconi-Renzi gioca le sue carte per soggiogarlo ulteriormente e condurlo ad un assetto di repubblica presidenziale dove l'esecutivo disponga di tutti i poteri decisionali.
Così il metaforico ritorno ai problemi di casa mia si conclude con l'amara constatazione che, se le cose stanno come ho tentato di descriverle, ci sono molti – opposizioni istituzionali e movimenti antagonisti – che non hanno fatto sino in fondo il proprio mestiere e, per incapacità o insipienza, hanno infoltito le schiere dei rassegnati e degli indifferenti.

Antonio Cardella
Palermo



Expo 2015/Lettera aperta a Vandana Shiva

Domenica scorsa, 12 ottobre 2014, erano presenti centinaia di persone provenienti da tutta Italia e non solo (era presente anche il rappresentante di Via Campesina dal Sudafrica, espressione del mondo contadino più consapevole, radicale); erano presenti anche contadini per scelta, giovani che hanno deciso di ritornare alla campagna, Gas, collettivi e centri sociali. Alla Ri-Maflow, fabbrica occupata e autogestita dai lavoratori, c'era il meglio di quanto si muove in Italia sul tema della nuova ruralità dalla Rete degli Ecovillaggi alle fattorie occupate.
Questa partecipata e qualificata assemblea faceva seguito ad una grande manifestazione, circa tremila persone, tenutasi a Milano il giorno prima, “Expo fa male” e ad altre assemblee ugualmente partecipate tenutesi in mattinata. Orbene, in qualità di dirigente, sono stato anche il presidente, dell'associazione nazionale di seedsaver Civiltà Contadina [...] nel mio intervento ho chiesto, pubblicamente, perché un personaggio importante, della caratura di Vandana Shiva abbia deciso di far da testimonial a quell'evento contro il quale si erano mobilitate le realtà presenti con una serie infinita di motivazioni.
Senza ricordare i recenti arresti, a dimostrazioni dell'intreccio criminale tra 'ndrangheta, mafia del cemento, trasversale come sempre, Expo “Nutrire il pianeta. Energia per la vita“ dimostra (ma lo sapevamo, noi che viviamo in Lombardia, sin dall'esordio di questo sciagurato megaevento) che subito 1800 ettari di buona terra sono stati e saranno seppelliti da una coltre di asfalto e cemento, tra costruzioni, strade ed autostrade, tangenziali inutili, centinaia di contadini espropriati [...] Ed intorno a questi espropri, contro la costruzione di queste tangenziali, sono nate in ogni paese intorno all'area, associazioni, comitati, collettivi, per resistere a questa devastazione immane. Una vittoria, suffragata dall'azione della magistratura è stata anche ottenuta. La ditta Maltauro che sta effettuando i lavori per la contestatissima via d'acqua, i suoi dirigenti, indagati per malversazioni varie, sospettata di infiltrazioni criminali. Il Comitato “No canal” ha visto dimostrate dalla magistratura le sue denunce sul seppellimento di rifiuti tossici a latere di quei lavori. Sulla stampa si possono trovare articoli e servizi in abbondanza.
Fosse solamente per questo, ci saremmo aspettati di trovare Vandana Shiva dalla nostra parte.
Ce la immaginavamo, come Josè Bovè, come altri grandi dirigenti di movimenti contadini nel mondo a difendere queste terre minacciate, distrutte da Expo, invece, è lì, su You Tube a far da testimonial e parlare di necessità di “nutrire il pianeta”.
Quale pianeta? Ci vien da dire, ne esiste solo uno, e quei poteri che ad Expo stanno avendo vita, lo vogliono morto, plastificato, cementificato, vogliono i suoi contadini schiavi ed asserviti, benchè il grande, mai visto prima, planetario, immane lavoro di greenwashing effettuato [...] Quella domenica alla Ri-Maflow, tantissimi interventi, analisi, lucidi e dettagliati su questa Expo universale; in rete ci sono tutti, tanti aspetti analizzati, sviscerati in profondità. Expo sarà la pietra tombale sulla biodiversità europea, la porta spalancata al transgenico, noi riteniamo, signora, che l'uso di personaggi come lei, Vandana Shiva, serva ad indorare la pillola e siano il tocco più raffinato a questo maquillage intorno a quella losca operazione a nome Expo.
Altri, li abbiamo sentiti di persona, come il regista Ermanno Olmi, pubblicamente, hanno espresso il loro desiderio di volersi ritirare da questo ruolo di Ambassador di Expo.
Lei ha un ufficio a Firenze, “Navdanya” ha una sezione italiana, possibile che i suoi responsabili per l'Italia non le abbiano detto nulla? Questa lettera aperta, signora Vandana Shiva esige una risposta.
Noi ci aspettiamo che giunga presto alle sue orecchie; infinite analisi, libri, documentazioni sono a sua disposizione per capire, valutare, decidere.
Sappia che a noi, variegato mondo di seedsaver, contadini per scelta, collettivi, Gas, un mondo in marcia per una vita libera il più possibile dal profitto; per noi irriducibili ed appassionati, innamorati della Terra, noi che abbiamo letto, studiato, assimilato che “small is beautiful” che crediamo nella convivialità, nelle comunità, nei rapporti di vicinato, nelle medicine dolci; a noi che abbiamo una visione olistica del mondo interessa molto una sua risposta. E confidiamo in questa, qualunque essa sia, per radicarci ulteriormente nei territori, nei luoghi nei quali viviamo e coltiviamo, nelle campagne e città d'Italia, luoghi contri quali Expo 2015, questa Expo si appresta a sparare, con milioni e milioni di euro di sola comunicazione, una campagna di offuscamento, di seppellimento che non ha eguali. Noi abbiamo letto, ben prima che questo evento si manifestasse le implicazioni planetarie, decisive, letali, sulle sorti dell'agricoltura mondiale. Dopo Expo nulla sarà come prima.
E ci permetta di dirlo, è solamente grazie al nostro lavoro di base, di controinformazione, al nostro faticoso, tenace lavorio di formiche che, alla fine, qualche buon seme, non Ogm, si salverà.
Ci aspettiamo una risposta e che Lei voglia incontrarci. Ci siamo formati sui suoi libri, come su quelli di altri grandi come Commoner, Bookchin, Illich, non ci deluda.
Saluti di terra e di semi.

Teodoro Margarita
Asso (Co)



Le soluzioni del cruciverbanarchico di “A” 393

Orizzontali
4. Ergastolo
6. Malatesta
7. Emma
9. Antifa
11. Brassens
13. Gatto
15. Michail
18. Veronelli
19. Notav
22. Ponte
23. Bandiera
24. Murray
26. Riscaldamento
27. Camillo
28. Fai
Verticali
1. NoMuos
2. Vanzetti
3. Sante
5. Guerra
8. Fontana
10. Comune
12. Settimana
13. Gaetano
14. Disobbedienza
16. Lli
17. Rom
20. Anar
21. Anarchik
25. Addio



Sacco e Vanzetti/No alla riabilitazione di Stato

Sul numero 392 (ottobre 2014) della rivista è riportata la comunicazione che il 5 ottobre si sarebbe tenuto a Villafalletto un convegno - cui avrei dovuto partecipare anch'io come relatore - in ricordo di Vincenzina Vanzetti, sorella di Bartolomeo. Nelle note relative alla mia persona leggo: presente nell'agosto 1977 alla proclamazione ufficiale della riabilitazione dei due anarchici a Villafalletto. Sebbene ciò corrisponda al vero (io ero effettivamente presente) intendo precisare che la mia (e quella degli altri anarchici torinesi) non fu una semplice presenza ma una dura contestazione alla riabilitazione di Stato di Sacco e Vanzetti. Sia a Torino che a Villafalletto interrompemmo gli oratori ufficiali designati scontrandoci con il servizio d'ordine del PCI. A Villafalletto murammo abusivamente una lapide con queste parole: Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti / assassinati dallo Stato perché anarchici / Il vostro sacrificio rafforza la nostra volontà di lotta / Gli anarchici (cito a memoria).
È merito degli organizzatori del convegno su Vincenzina Vanzetti l'avermi invitato a parlare, per sentire la voce anche di chi nell'agosto del 1977 aveva guastato la festa, di chi non riconosceva quel proclama del governatore del Massachusetts che per il Comitato per la Riabilitazione di Sacco e Vanzetti - di cui Vincenzina era l'anima - rappresentava il raggiungimento del massimo obiettivo.
Per motivi organizzativi l'incontro è stato spostato al 12 ottobre, giorno in cui purtroppo avevo impegni lavorativi. Ho quindi inviato una relazione scritta, che è stata letta ai presenti.

Tobia Imperato
Torino



Poesia/Essere anarchici

essere anarchici significa essere significativi
significa rispondere ogni secondo della vita
al primo istinto distinto dell'ego
significa non tradirlo
il tuo ego
significa farlo cresce
nella consapevolezza
di vivere insieme
ad altri
milioni di ego come il tuo
ognuno col suo spazio
la sua dignità
la sua fame
di stronzaggine
di modesta antipatia
di essenziale alterezza
sarà l'ego a capire quando dovrà fermarsi
una risata lo fermerà
lo farà tornare in carreggiata
dove milioni di ego camminano
inseguendo i propri bisogni
e sogni bis
nell'alto terreno
nello spazio infinito
dove c'è posto per tutti

essere anarchici significa parlare d'amore
vivere
costruire una famiglia
distruggerla
prendere una donna o un uomo
lasciarla o lasciarlo
prenderne un altra senza farle
del male senza ferirla o ferirlo
sapendo che in ogni momento
ci può essere la
fine della storia
l'inizio dell'altra
informare
a volte
è meglio di curare
infondere fiducia
a priori
è meglio
di disilludere

essere anarchici significa
amare i cattivi
seguire il male con occhio critico
capirne le ragioni
renderlo innocuo
prima che esploda
essere anarchico significa
volere per non potere
essere avere e aspirare
stare fermi e muoversi
planare
soffrire
gioire
morire e rinascere
credere in dio direttamente
se dio non esiste
o bruciare
dentro l'acqua dei più impetuosi ruscelli
la propria spiritualità

essere anarchici significa lustrarsi gli occhi
quando
le merci ti chiamano
ti invitano a comprarle
ti dicono ma tu senza noi cosa sei?
lascia le idee
lascia gli ideali
lascia ogni forma di cultura
segui la traccia dei nostri perizoma
sali sull'albero delle mucche appese
e spremi nel verso della felicità
quello delle freccette disegnate
guarda come ti sorride lo specchio!
sei bello
pulito
profumato ogni centimetro di te
è ben curato ti rappresenta di dà dignità
altro che la coccarda o la bandiera rossa nera
sei nel 21 secolo
l'occhio
vuole tutta la sua parte
ora l'occhio comanda per il tuo bene stare
per il pannolino senza germi di tuo figlio
il lavaggio intimo di tuo moglie
stai bene
lasciati le tue pene
il tuo giudizio sul mondo

essere anarchici
significa averlo sempre il giudizio sul mondo
anche se non c'è
s'è scontato
se disturba dirlo
se pare paradossale
perché è il tuo giudizio
sul mondo perché
viene da te
da dentro perché
essere anarchici significa essere minatori
di se stessi
significa trovare le pietre inutili
e comprarle al mercato esterno come oro
essere anarchici significa lottare per se stessi
imprendere per se stessi
essere grandi
per se stessi
essere merde per se stessi
essere anarchici significa
costruire il
proprio bel mondo
e non darlo ad esempio agli altri

essere anarchici significa
non incontrare nessuna resistenza
perché nessuna resistenza esiste per un vero anarchico
essere anarchici significa cantare
here's to you nicola and bart
e piangere anche dopo
la centesima volta che l'ascolti
essere anarchici significa senza legge
perché non ci sono
leggi per un anarchico
non c'è stato
non c'è vertice
perché ognuno ha il proprio vertice
perché ognuno ha la propria vetta
e quella vetta'
è la sua merce assoluta
cha gettata in alto
da un pollo arrostito
si trasforma in MAESTOSO rapace senza artigli

essere anarchici significa essere
aquila e preda
che insieme si nutrono di vita di gioia di libertà
di rispetto reciproco
essere anarchici significa capire prima di tutto e di tutti
che ognuno di noi
che compare SU questa terra
deve poter AVERE felicità
e per avere felicità deve
mangiare
dormire essere una casa
un medico un sogno
una donna
o un uomo
tutti devono essere ciò
che si sente di avere

essere anarchici significa
essere unici
stronzi con se stesso e docili con gli altri
significa cercare la propria strada laddove
le strade si diramano
s'incrociano
si moltiplicano
si sfiorano si guardano
senza mai scontrarsi e se si scontrano
semplicemente s'includono dentro le strade degli altri

essere anarchici significa
prendere come prima cosa
tutti i coltelli
le pistole i fucili le armi
le cose che possono uccide e fonderle
in un pensiero unico
questo si' un pensiero
di pace e giustizia
dove la violenza non può esistere perché non concepita
contro un essere
vivente pensante o meno
sapendo che la violenza più subdola
è la violenza dell'ignoranza

essere anarchici significa
pensarsi colti
supremi
arrivati
autonomi in genio mira e felicità
essere anarchici non significa essere liberali
ma libertari
c'è una grande differenza
i liberali si fanno proteggere dalle nefandezze fatte
i libertari si proteggono dalle ingiustizie che verranno

essere anarchici
non significa essere dei parassiti
come dei generosi
o degli avidi
o dei ruffiani
o degli assassini

essere anarchici
significa che tutto può convivere
dentro la propria caverna illuminata
che usciranno anche bruto e i suoi amici
e hitler
e stalin
e.... salto francesco
che mai sarebbe diventato figlio di ricco

essere anarchici significa
potarli alla fonte
all'inizio del gioco
farli cadere dall'alto
dalla splendida forma mentis
che un anarchico (solo lui)
ha coltivato

essere anarchici è un mito
che si mette in moto
un uomo mai domo che pensa
si ferma
agisce e rimane tale
di buona
pasta con l'amaro che la bocca conserva
come il veleno
che cacciato
serve per curare-

essere anarchico

essere anarchico
ora con mai
incontrerai.

Stefano Enea Virgilio Raspini
per le cucine del popolo
Massenzatico (Re)


I nostri fondi neri

Sottoscrizioni. Marco Pandin (Montegrotto Terme – Pd) 70,00; Andrea Pasqualini (Vestenanuova – Vr) ricordando Angelo Sbardellotto, 30,00; a P.I. la sua compagna, 500,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Amelia Pastorello e Alfonso Failla, 500,00; Alberto Ciampi (San Casciano Val di Pesa – Fi) ricordando Pier Carlo Masini, 10,00; Giovanni Orru (Nuoro) 20,00; Stefano Baronio (Seniga - Mi) 500,00; Enrico Moroni (Settimo Milanese – Mi) 10,00; Giorgio Meneguz (Brovello Carpugnino – Vb) 10,00; Roberto Palladini (Nettuno – Rm) 20,00; Francesco D'Alessandro (Sesto San Giovanni – Mi) 380,00; Angelo Pagliaro (Paola – Cs) in ricordo di Franco Pasello, 10,00; Daniele Del Freo (Carrara – Ms) 20,00; Michele Pansa (Tropea – Vv) 10,00; Giancarlo Attena (Napoli) 100,00. Totale € 2.190,00.

Abbonamenti sostenitori. (quando non altrimenti specificato, trattasi di euro 100,00). Stefano Stofella (Rovereto – Tn); L. D. (Ancona); Patrizio Quadernucci (Bobbio – Pc); Andrea Morigi (Savignano sul Rubicone – Fc); Angelo Mario Monne (Dorgali – Nu); Alfredo Mazzucchelli (Carrara). Totale 600,00.