Perché il mondo sta ignorando la rivoluzione dei curdi in Siria?
In questo numero ho deciso di pubblicare un articolo sulla
situazione della guerra di resistenza del popolo Curdo in Siria
di David Graeber, il noto antropologo libertario. Anche se non
condivido totalmente la sua equazione Rojava-Spagna 1936 trovo
interessante la provocazione. Nei prossimi numeri mi occuperò
ancora della questione, approfondendo la situazione geopolitica
della regione.
Andrea Staid
Nel 1937, mio padre si arruolò volontario per combattere
nelle Brigate Internazionali in difesa della Repubblica Spagnola.
Quello che sarebbe stato un colpo di Stato fascista era stato
temporaneamente fermato da un sollevamento dei lavoratori, condotto
da anarchici e socialisti, e nella maggior parte della Spagna
ne seguì una genuina rivoluzione sociale, portando intere
città sotto il controllo di sistemi di democrazia diretta,
le fabbriche sotto la gestione operaia e le donne ad assumere
sempre più potere.
I rivoluzionari spagnoli speravano di creare la visione di una
società libera cui il mondo intero avrebbe potuto ispirarsi.
Invece, i poteri mondiali dichiararono una politica di “non
intervento” e mantennero un rigoroso embargo nei confronti
della repubblica, persino dopo che Hitler e Mussolini, apparenti
sostenitori di tale politica di “non intervento”,
iniziarono a fare affluire truppe e armi per rinforzare la fazione
fascista. Il risultato fu quello di anni di guerra civile terminati
con la soppressione della rivoluzione e quello che fu uno dei
più sanguinosi massacri del secolo.
Non avrei mai pensato di vedere, nel corso della mia vita, la
stessa cosa accadere nuovamente. Ovviamente, nessun evento storico
accade realmente due volte. Ci sono infinite differenze fra
quello che accadde in Spagna nel 1936 e quello che sta accadendo
ora in Rojava, le tre province a larga maggioranza curda nel
nord della Siria. Ma alcune delle somiglianze sono così
stringenti, e così preoccupanti, che credo sia un dovere
morale per me, in quanto cresciuto in una famiglia le cui idee
politiche furono in molti modi definite dalla Rivoluzione spagnola,
dire: non possiamo fare sì che tutto ciò finisca
ancora una volta allo stesso modo.
La regione autonoma del Rojava, così come esiste oggi,
è uno dei pochi raggi di luce – un raggio di luce
molto luminoso, a dire il vero – a emergere dalla tragedia
della Rivoluzione siriana. Dopo aver scacciato gli agenti del
regime di Assad nel 2011, e nonostante l'ostilità di
quasi tutti i suoi vicini, il Rojava non solo ha mantenuto la
sua indipendenza, ma si è configurato come un considerevole
esperimento democratico. Sono state create assemblee popolari
che costituiscono il supremo organo decisionale, consigli che
rispettano un attento equilibrio etnico (in ogni municipalità,
per esempio, le tre cariche più importanti devono essere
ricoperte da un curdo, un arabo e un assiro o armeno cristiano,
e almeno uno dei tre deve essere una donna), ci sono consigli
delle donne e dei giovani, e, in un richiamo degno di nota alle
Mujeres Libres (Donne Libere) della Spagna, un'armata composta
esclusivamente da donne, la milizia “YJA Star” (l'”Unione
delle donne libere”, la cui stella nel nome si riferisce
all'antica dea mesopotamica Ishtar), che ha condotto una larga
parte delle operazioni di combattimento contro le forze dello
Stato Islamico.
Come può qualcosa come tutto questo accadere ed essere
tuttavia perlopiù ignorato dalla comunità internazionale,
persino, almeno in gran parte, dalla sinistra internazionale?
Principalmente, sembra, perché il partito rivoluzionario
del Rojava, il PYD, lavora in alleanza con il turco Partito
Curdo dei Lavoratori (PKK), un movimento combattente marxista
impegnato sin dagli anni Settanta in una lunga guerra contro
lo Stato turco. La Nato, gli Stati Uniti e l'Unione Europea
lo classificano ufficialmente come “organizzazione terroristica”.
Nel frattempo, l'opinione di sinistra lo descrive spesso come
Stalinista.
Ma, in realtà, il PKK non assomiglia neppure lontanamente
al vecchio, organizzato verticalmente, partito Leninista che
era una volta. La sua evoluzione interna, e la conversione intellettuale
del suo fondatore, Abdullah Ocalan, detenuto in un'isola-prigione
turca dal 1999, lo hanno condotto a cambiare radicalmente i
propri scopi e le proprie tattiche.
Il PKK ha dichiarato che esso non cerca nemmeno più di
creare uno Stato curdo. Invece, ispirato in parte dalla visione
dell'ecologista sociale e anarchico Murray Bookchin, ha adottato
una visione di “municipalismo libertario”, invitando
i curdi a formare libere comunità basate sull'autogoverno,
basate sui principi della democrazia diretta, che si federeranno
tra loro aldilà dei confini nazionali – che si
spera che col tempo diventino sempre più privi di significato.
In questo modo, suggeriscono i curdi, la loro lotta potrebbe
diventare un modello per un movimento globale verso una radicale
e genuina democrazia, un'economia cooperativa e la graduale
dissoluzione dello stato-nazione burocratico.
A partire dal 2005 il PKK, ispirato dalla strategia dei ribelli
zapatisti in Chiapas, ha dichiarato un cessate il fuoco unilaterale
nei confronti dello Stato turco e ha iniziato a concentrare
i propri sforzi nello sviluppo di strutture democratiche nei
territori di cui già ha il controllo. Alcuni si sono
chiesti quanto realmente sinceri siano questi sforzi. Ovviamente,
elementi autoritari rimangono. Ma quello che è successo
in Rojava, dove la Rivoluzione siriana ha dato ai curdi radicali
la possibilità di condurre tali esperimenti su territori
ampi e confinanti fra loro, suggerisce che tutto ciò
è tutt'altro che un'operazione di facciata. Sono stati
formati consigli, assemblee e milizie popolari, le proprietà
del regime sono state trasformate in cooperative condotte dai
lavoratori – e tutto nonostante i continui attacchi dalle
forze fasciste dell'ISIS. Il risultato combacia perfettamente
con ogni definizione possibile di “rivoluzione sociale”.
Nel Medio Oriente, almeno, tali sforzi sono stati notati: particolarmente
dopo che il PKK e le forze del Rojava per combattere efficacemente
e con successo nei territori dell'ISIS in Iraq per salvare migliaia
di rifugiati Yezidi intrappolati sul Monte Sinjar dopo che le
locali milizie peshmerga avevano abbandonato il campo di battaglia.
Queste azioni sono state ampiamente celebrate nella regione,
ma, significativamente, non fecero affatto notizia sulla stampa
europea o nord-americana.
Ora, l'ISIS è tornato, con una gran quantità di
carri armati americani e di artiglieria pesante sottratti alle
forze irachene, per vendicarsi contro molte di quelle stesse
milizie rivoluzionarie a Kobané, dichiarando la loro
intenzione di massacrare e ridurre in schiavitù –
si, letteralmente ridurre in schiavitù – l'intera
popolazione civile. Nel frattempo, l'armata turca staziona sui
confini, impedendo che rinforzi e munizioni raggiungano i difensori,
e gli aeroplani americani ronzano sopra la testa compiendo occasionali,
simbolici bombardamenti dall'effetto di una puntura di spillo,
giusto per poter dire che non è vero che non fanno niente
contro un gruppo in guerra con i difensori di uno dei più
grandi esperimenti democratici mondiali.
Se oggi c'è un analogo dei Falangisti assassini e superficialmente
devoti di Franco, chi potrebbe essere se non l'ISIS? Se c'è
un analogo delle Mujeres Libres di Spagna, chi potrebbero essere
se non le coraggiose donne che difendono le barricate a Kobané?
Davvero il mondo – e questa volta, cosa più scandalosa
di tutte, la sinistra internazionale, si sta rendendo complice
del lasciare che la storia ripeta se stessa?
David Graeber
traduzione di Federico Vernarelli
Questo articolo è originariamente apparso su The
Guardian l'8 ottobre 2014 con il titolo Why is the world
ignoring the revolutionary Kurds in Syria?. http://www.theguardian.com/commentisfree/2014/oct/08/why-world-ignoring-revolutionary-kurds-syria-isis
Kurdistan
Una nuova organizzazione della società
di Giran Ozcan
Spunti libertari, organizzazione ecologica ed emancipazione femminile
KCK (Unione delle Comunità del Kurdistan) è il
nome dato a questa organizzazione sociale. Il nome - e la preparazione
del suo quadro teorico - è stato proposto dal leader
del PKK Abdullah Ocalan dalla sua cella della prigione sull'isola
di Imrali in Turchia; nonostante ciò, sia Ocalan sia
il PKK riconoscono senza indugi gli indispensabili e inestimabili
contributi forniti da Murray Bookchin.
Il KCK è un'organizzazione ombrello democratica, confederale,
libera da stato/gerarchia/sfruttamento del Kurdistan libero.
All'interno dell'organizzazione sociale KCK realizzata tra le
montagne del Kurdistan, il concetto di denaro è superfluo.
I bisogni economici degli abitanti sono internamente soddisfatti
attraverso una gestione condivisa delle risorse. Nonostante
il denaro sia utilizzato nei rapporti commerciali intrattenuti
con l'esterno, all'interno il concetto di denaro è inconcepibile.
Nessun singolo o comunità entro l'organizzazione KCK
avverte il bisogno di generare un surplus di denaro o
di risorse. I surplus sono costantemente redistribuiti
e, in questo modo, utilizzati. Rifacendosi alle società
pre-gerarchiche e pre-sfruttamento, l'organizzazione KCK adotta
la cultura del dono piuttosto che quella dello scambio.
La gestione condivisa dell'agricoltura assicura una produzione
ed un consumo di risorse auto-sufficienti, rendendo di conseguenza
irrilevanti surplus, valore di scambio e mercificazione
di beni.
Il tentativo di emancipazione femminile, da parte dei membri
del PKK e della sua leadership, ha avuto inizio con la “distruzione
della virilità”. Un attacco nei confronti della
falsa virilità inoculata nei soggetti maschili da parte
del sistema patriarcale. Questa infusa falsa virilità
faceva in modo che, mentre ogni uomo, in ogni cellula del suo
corpo, veniva sfruttato e oppresso da parte del sistema capitalistico,
questi a sua volta non si astenesse dallo sfruttare la propria
madre, sorella, figlia e moglie.
Questa strategia è derivata dall'indagine teorica di
Abdullah Ocalan, che lo ha successivamente portato ad affermare
che “le donne sono le prime colonie'' e che il
primo sfruttamento non è stato quello avvenuto ai danni
della classe lavoratrice, bensì quello delle donne. Questo
è il motivo per cui l'eguaglianza di genere tra le montagne
del Kurdistan è ottenuta attraverso sforzi paralleli
di rafforzamento dei poteri delle donne e purificazione degli
uomini dalle malattie del patriarcato e dell'organizzazione
gerarchica della società.
Le conseguenze pratiche di questo approccio sono: l'equa rappresentanza
delle donne all'interno di tutte le posizioni amministrative
tramite un sistema co-presidenziale e l'autonoma organizzazione
ideologica, politica, sociale e militare delle donne sotto l'organizzazione
autonoma: KJB (Unione Suprema delle Donne).
All'interno del Kurdistan libero, le comunità sono organizzate
in modo da non considerarsi una minaccia per l'ambiente. Quando
possibile, le fonti di energia rinnovabili sono favorite; al
contempo, le risorse energetiche come l'acqua e il gas sono
consumate in modo simbiotico al fine di sostenere tanto la società
quanto l'ambiente.
È promosso il vegetarianismo e la caccia è totalmente
bandita, così come la deforestazione (è permesso
bruciare solo rami e alberi secchi). Tutto questo è basato
sulla premessa che l'ambiente non è fonte di profitto,
bensì fonte di vita; l'utilizzo dell'ambiente per sete
di profitto soccombe di fronte al riconoscimento di quest'ultimo
come fonte di vita.
Alcuni affermano che il PKK “non chiede più
uno stato nazionale per i kurdi''. È la verità.
Ad ogni modo, ciò che non risulta vero è la ragione
a cui ricondurre questo cambio di paradigma.[...]
Gli sviluppi in Rojava (Siria del nord) mostrano che la filosofia
del leader del PKK Abdullah Ocalan, invece di rendere più
moderate le richieste, sposta, per contro, l'asticella più
in alto. Questo è il motivo per cui Rojava non sta combattendo
solo per proteggere la propria organizzazione sociale dagli
attacchi di gruppi estremisti, ma anche per proteggersi dagli
attacchi dei rappresentanti del sistema di capitalismo globale
come il KDP, il governo turco, il regime di Assad e l'assordante
silenzio dell'occidente!
Il Movimento di Liberazione del Kurdistan guidato dal PKK non
sta più chiedendo uno stato nazionale kurdo, il quale
riprodurrà solamente sfruttamento, strutture gerarchiche
e diseguaglianza di genere; sta piuttosto facendo appello ad
un sistema alternativo di organizzazione sociale in cui la questione
kurda si risolva parallelamente alle questioni dello sfruttamento,
dell'emancipazione di genere e della liberazione di tutti gli
uomini. La sua proposta a questo riguardo è il KCK.
Giran Ozcan
traduzione di Carlotta Pedrazzini
Questo articolo è originariamente apparso in www.kurdishquestion.com
con il titolo Socialism, gender equality and social ecology
in the mountains of Kurdistan.
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