Premio Tenco
Resistenze e canzone d'autore
di Steven Forti / foto di Roberto Molteni e Fabrizio Fenucci
Dal 2 al 4 ottobre si è tenuta a Sanremo la 38esima edizione del Premio Tenco, dedicata alle Resistenze e con invitati d'eccezione. Come i premiati: Gianni Minà, Maria Farantouri, Plastic People of the Universe, José Mário Branco e John Trudell. Ma sono molte le cose stimolanti che si sono potute vedere e ascoltare in quei giorni sulla riviera ligure...
Quella di quest'anno non è
stata un'edizione come le altre del Premio Tenco. Per varie
ragioni. Innanzitutto perché si festeggiavano i quarant'anni
dalla prima rassegna della canzone d'autore, tenutasi nell'ormai
lontano 1974. Il Club Tenco era nato sì nel 1972 grazie
al coraggio e al genio di Amilcare Rambaldi, ma solo due anni
dopo sono iniziate le rassegne. E si cominciò subito
forte. Nelle prime due edizioni i premiati furono quelli che
potremmo definire i simboli di un'epoca: Leo Ferré, Sergio
Endrigo, Giorgio Gaber, Domenico Modugno e Gino Paoli (per il
1974), Vinicius de Moraes, Fausto Amodei, Umberto Bindi, Fabrizio
De André, Francesco Guccini e Enzo Jannacci (per il 1975).
Nei 38 anni successivi sarebbero arrivati poco a poco i premi,
e nella maggior parte dei casi la partecipazione, di altri numi
tutelari della poesia che si fa canzone: Atahualpa Yupanqui,
Chico Buarque de Hollanda, Paolo Conte, Silvio Rodríguez,
Tom Waits, Caetano Veloso, Pablo Milanés, Elvis Costello,
Nick Cave e tanti, tanti altri. Questa sarebbe dunque dovuta
essere la 40esima edizione, ma in due occasioni e per ragioni
diverse, la rassegna o non si è celebrata (1987) o non
è stata propriamente una rassegna, ma solo una manifestazione
(2012). E dunque, bisognerà attendere il 2016 per festeggiare
le nozze di Smeraldo del Premio Tenco.
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Paola
Turci |
Resistenza, Resistenze
Non è stata questa però l'unica ragione dell'eccezionalità
della 38esima edizione da poco conclusa. Si è tornati
anche – e questa è forse la grande novità,
una di quelle novità che lascia il segno – a una
rassegna a tema. E il tema non è cosa di poco conto,
come si suol dire. Un tema dalle molte sfaccettature e dalle
molte letture: le Resistenze. Non al singolare, ma al plurale.
Resistenze politiche, certamente, ma anche sociali, culturali,
linguistiche, umane. “Sanremo diventa capitale della musica
grazie alla Resistenza” ricorda Sergio Secondiano Sacchi
in apertura al numero speciale de Il Cantautore, la rivista-libro
che esce in occasione della rassegna, quest'anno in un'edizione
di 44 pagine in formato vinile curata graficamente da Stefania
Minozzi e Fabio Santin di ApARTe. Sanremo diventa difatti capitale
della musica grazie a Amilcare Rambaldi, che fu partigiano rappresentante
del Partito Socialista nel CNL locale e relatore della sottocommissione
artistica con il compito di trovare iniziative per il rilancio
economico della città. Ed è ancora lo stesso Sacchi
a mettere in evidenza il trait d'union della rassegna di quest'anno
con il suo fondatore e con lo spirito stesso del Tenco: “al
Tenco siamo tornati a essere, un poco, resistenza anche noi.
Con una rassegna che non è affatto la manifestazione
di un'improponibile nostalgia, ma della Memoria. Quindi, del
Presente.”
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Eugenio
Finardi |
Dall'Europa dell'Est all'Italia
”Le Resistenze sono tante, milioni di milioni...”.
Mi si permetta citare un famoso slogan pubblicitario coniato
dal compositore Pier Emilio Bassi non per togliere importanza
e singolarità all'esperienza della guerra partigiana
italiana, ma per sottolineare come i fenomeni di resistenza,
con le loro diversità e le loro sfaccettature, siano
una costante del passato e del presente, tanto italiano quanto
internazionale. Questa rassegna ce ne ha dato un'ulteriore prova.
Presentata, come tradizione vuole, da un sempre energico e ironico
Antonio Silva, la rassegna è iniziata non come di consueto
con Lontano Lontano, bensì con Le Deserteur
di Boris Vian nella traduzione italiana di Luigi Tenco, interpretata
da una carismatica Paola Turci. Si è passati poi ad un
set composto da sei canzoni, tradotte in italiano da Alessio
Lega e Sergio Secondiano Sacchi e arrangiate da Rocco Marchi,
per mostrare la resistenza e il dissenso interni ai regimi del
socialismo reale dell'Europa orientale. Dei video hanno introdotto
le sei canzoni – interpretate da alcune delle voci più
interessanti della musica italiana – dei russi Bulat Okudzava,
Vladimir Vysotskij e Aleksandr Galic, del cecoslovacco Karel Kryl
e del polacco Jacek Kaczmarski.
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Simone
Cristicchi |
Le storie di questi poeti e cantautori si assomigliano nella
loro diversità: esilio, arresti, proibizione di esibirsi,
prigione, sofferenze. Kaczmarski, il più giovane di tutti,
classe 1957, dopo aver appoggiato Solidarnosc, è costretto
all'esilio ed è a questa esperienza che dedica La
nostra classe, interpretata, sul palco del Teatro del Casinò
di Sanremo, da un giovane italiano che vive all'estero, Olden.
I tre “poeti-cantanti” russi rappresentano le tre
diverse maniere di confrontarsi con la realtà: la tristezza,
il dolore e la disposizione alla comprensione di Okudzava (Premio
Tenco 1985), il grido disperato di Vysotskij (unico Premio Tenco
assegnato alla memoria, nel 1993), l'ostinazione, la denuncia
e lo scherno di Galc. E tre canzoni hanno rappresentato queste
loro poetiche: Zitto e mosca (Piccolo valzer dei cercatori
d'oro) di Galic cantata da Alessio Lega, Il bagno alla
bianca di Vysotskij e A Volodja Vysotskij di Okudzava,
entrambe interpretate da Eugenio Finardi, che, non a caso, nel
2008 aveva già cantato in italiano Vysotskij dedicandogli
un intero disco, “Il cantante al microfono”, accompagnato
dall'orchestra Sentieri Selvaggi. Anche Paola Turci ha dato
voce al grande cantautore russo Okudzava, cantando la sua Canzone
georgiana. Il cecoslovacco presente in questo set, Karel
Kryl, e la sua bellissima Amore, è stato interpretato
da Pierpaolo Capovilla, che, oltre al “lavoro di rock
star” con il Teatro degli Orrori, recentemente ha anche
portato in giro per l'Italia un reading tratto da La religione
del mio tempo di Pasolini.
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Vratislav
Brabenec |
Sul palco del teatro del Casinò di Sanremo sono saliti
poi i cecoslovacchi Plastic People of the Universe, uno dei
premi Tenco di questa 38esima edizione. Attivi da 46 anni, devono
il loro nome a una canzone di Frank Zappa (Plastic People,
contenuta nell'album “Absolutely Free” del 1967)
e il loro stile a Captain Beefheart. Il quintetto ha vissuto
numerosi cambi di formazione e attualmente degli “storici”
rimane solo Vratislav Brabenec, sassofonista e clarinettista,
nonché poeta. La loro storia è legata a doppio
filo al dissenso nella Cecoslovacchia comunista. Nel 1976 vengono
arrestati con l'accusa di “teppismo” per aver partecipato
a un festival underground: Brabenec sconta otto mesi di carcere
e il loro manager, il poeta, critico e storico dell'arte Ivan
Jirous, ben diciotto. È proprio per reazione all'arresto
del gruppo che Václav Havel e altri quattro intellettuali
lanciano la Charta 77, il documento in difesa dei diritti umani
e civili che porterà dodici anni dopo alla Rivoluzione
di Velluto. Dei Plastic People of the Universe “storici”,
come si è detto, rimane ora solo Brabenec, affiancato
da altri cinque musicisti, tra cui la bassista e cantautrice
Eva Turnova.
Ma non ci sono state solo le resistenze dell'Europa orientale
nella prima serata del Premio Tenco. Simone Cristicchi ha offerto
una visione personale della resistenza, tra le mura degli ex-manicomi
(Ti regalerò una rosa), il ricordo degli anziani
reduci di guerra della ritirata di Russia del '43 (L'ultima
notte degli alpini, canto corale di Bepi De Marzi) e i magazzini
in cui sono affastellate e dimenticate le masserizie di chi
è dovuto fuggire dalla propria terra, come gli esuli
istriani alla fine della Seconda Guerra Mondiale (Magazzino18).
Matti, esuli e soldati. E di soldati, e non solo di soldati,
hanno cantato anche i Modena City Ramblers (MCR), per l'occasione
insieme a Stefano “Cisco” Belotti, storico leader
della band che dal 2005 ha intrapreso la carriera solista. Di
quei soldati che nell'autunno del 1943 hanno scelto la via delle
montagne nel centro e nel nord Italia per combattere il nazi-fascismo.
Ma non solo di soldati, appunto, hanno cantato i Modena City
Ramblers. Con loro sul palco è stato il momento della
Resistenza, con le canzoni che la band emiliana ha portato in
lungo e in largo per oltre vent'anni e con gli omaggi ai canti
che hanno trasformato quell'epoca in un'epopea, a volte rischiando
di limitarla a un recinto troppo ristretto. Una su tutte: Bella
Ciao. Ma prima i MCR hanno omaggiato Fausto Amodei con Per
i morti di Reggio Emilia e tra i brani che hanno proposto
del loro repertorio non poteva mancare I cento passi,
dedicata a Peppino Impastato, ucciso dalla mafia il giorno del
ritrovamento del cadavere di Aldo Moro.
Prima della loro esibizione, i Modena City Ramblers hanno consegnato
il premio Tenco all'Operatore Culturale di questa edizione a
Gianni Minà. Un altro resistente in tutto e per tutto,
dalle sue trasmissioni televisive degli anni Ottanta e Novanta
fino ai più recenti progetti, come la rivista letteraria
Latinoamerica e tutti i sud del mondo. L'America Latina,
uno degli amori di Minà, e terra di resistenze in un
continente trasformato come non mai dall'imperialismo statunitense
negli anni della Guerra Fredda e dal neoliberismo globalizzante
nell'ultimo ventennio. E uno dei punti di contatto con il Tenco,
a cui Minà è legato da un forte vincolo di amicizia
fin dai primi anni della rassegna sanremasca.
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Eugenio Finardi |
Dal Portogallo della Rivoluzione a Léo Ferré
In questo premio Tenco le Resistenze non sono mai state proposte
come scatole chiuse, ma si sono incrociate e incontrate più
volte, a dimostrazione di come la memoria sia un lavoro di continuo
scavo nel passato. Così, nella seconda e nella terza
serata, quelle del 3 e del 4 ottobre, molte Resistenze si sono
incontrate più d'una volta, offrendoci una panoramica
su diverse storie, diversi passati e diverse aree geografiche.
Un altro set, questa volta dedicato al Portogallo, ha voluto
ricordare, nel suo quarantesimo anniversario, la Rivoluzione
dei Garofani che il 25 aprile del 1974 ha posto fine ad una
dittatura durata 48 anni. Una rivoluzione pacifica, è
bene ricordarlo, il cui segnale d'inizio – non è
un caso – è stata la messa in onda della canzone
Grândola Vila Morena di José Afonso.
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Alessio
Lega & José Mário Branco |
I grandi poeti-cantautori portoghesi di quell'epoca sono tutti
legati direttamente alla resistenza alla dittatura di Salazar
e Marcelo Caetano e al processo rivoluzionario che ha inizio
dopo il 25 aprile. È stata l'algherese Claudia Crabuzza
a cantare Zeca Afonso, poeta impegnato e coltissimo, il vero
e proprio traghettatore dal Fado ai nuovi ritmi nel Portogallo
dei primi anni Sessanta. Sérgio Godinho, altro cantautore
omaggiato, come vedremo tra poco, ricorda come Os Vampiros,
la canzone di Zeca Afonso pubblicata nel 1963, fu “un
meteorite caduto con un boato in acque paludose. [...] In una
casa dove non c'erano pareti, Zeca aveva aperto una finestra.
Ancora con le sbarre, ma pur sempre una finestra.” È
lì che inizia la rivoluzione della canzone portoghese
che porterà a dischi che segneranno un'epoca, come Os
Sobrevivientes (1971) e À queima-roupa (1974)
dello stesso Godinho, Margem de Certa Maneira (1972)
e FMI (1982) di José Mário Branco, P'ró
Que Der e Vier (1974) e Por Este Rio Acima (1982)
di Fausto, O Canto e as Armas (1970) e Que nunca mais
(1975) di Adriano o Cantigas do Maio (1971) e Venham
mais cinco (1973) di Zeca Afonso. “Portane cinque”,
la canzone che ha interpretato Claudia Crabuzza, è quella
che dà proprio il titolo a quest'ultimo album, che può
essere considerato l'anticipazione della Rivoluzione dell'anno
successivo. Diodato ha poi cantato Le foto dal fuoco
di Godinho, mentre Chiara Civello la meravigliosa Fa che
ricordi il sogno di Fausto. Alessio Lega, che, anche in
questo caso con Sergio Secondiano Sacchi, ha tradotto in italiano
i brani e che non poteva mancare in una rassegna dedicata alle
Resistenze, è salito sul palco per offrire al pubblico
Preghiera delle anime incensurate e Ciò di
cui l'uomo è capace di José Mário Branco,
che ha duettato con il cantautore leccese.
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Andrea Satta, cantante dei Têtes de Bois |
Anche lui premio Tenco di questa edizione, Branco è
stato la figura centrale di quella generazione irripetibile,
sia come arrangiatore sia come produttore, nonché come
grande innovatore della musica portoghese. Esiliatosi a Parigi
nel 1963, quando era ricercato dalla PIDE, Branco è stato
difatti, tra le tante cose, l'arrangiatore di Grândola
Vila Morena e uno dei principali animatori del collettivo
del Gruppo di Azione Culturale (GAC), una delle molte esperienze
che hanno lasciato il segno durante e dopo la Rivoluzione. Persona
di grande coerenza e integrità, qualche anno fa, dopo
aver pubblicato il suo ultimo disco – dal titolo sintomatico:
Resistir é Vencer – Branco ha deciso di
smettere di esibirsi, facendo un'eccezione per il Premio Tenco.
Ad accompagnare Branco e gli altri interpreti, come anche nelle
altre serate della rassegna, una resident band formata
da Rocco Marchi – che è stato anche in questo caso
l'arrangiatore dei brani – al pianoforte e chitarra, Francesca
Baccolini al contrabbasso, Guido Baldoni alla fisarmonica, Marco
Santoro al fagotto e Valeria Sturba al violino e al theremin.
L'omaggio al Portogallo rivoluzionario non si è però
concluso con questo affascinante set. I Têtes de Bois,
una delle realtà più interessanti della canzone
d'autore nostrana, hanno interpretato in italiano Lisbona
quando albeggia, indimenticabile canzone di Sérgio
Godinho che i Têtes de Bois avevano già inciso
nel 2008, duettando con il cantautore di Porto per l'album “Quelle
piccole cose”. La band romana guidata da Andrea Satta
ha omaggiato un altro resistente a tutto e a tutti: Léo
Ferré. Con il poeta e cantautore libertario, i Têtes
de Bois hanno instaurato ormai uno stretto legame. Sia per due
dischi, Léo Ferré, l'amore e la rivolta
(2002) e il recentissimo Extra (2014), che contiene anche
un pezzo inedito di Ferré, L'eautontimorumenos,
e un brano, Il tuo stile, dove la voce è quella
del compianto Francesco Di Giacomo. Ma anche per ragioni personali
e familiari: Luca De Carlo, trombettista della band, è
infatti il compagno di Marie Cécile, la figlia che Ferré
ha avuto dalla moglie Marie.
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Esther Béjarano |
Esther Béjarano, novant'anni di resistenza
Uno dei momenti più emozionanti di tutta la rassegna
è stata l'esibizione di Esther Béjarano, la “ragazza
con la fisarmonica”. Nata nel 1924 in Saarland da una
famiglia ebrea askenazita perfettamente integrata nella comunità
tedesca, Esther Loewy, divenuta in età adulta Béjarano
dal cognonome del marito, viene mandata in un campo di lavoro
vicino Berlino nel 1941, mentre i genitori vengono fucilati
in un bosco insieme ad altri 30 mila ebrei. Nell'aprile del
1943 è trasferita ad Auschwitz, dove riesce a salvarsi
suonando la fisarmonica nell'orchestra femminile del lager.
Esther la fisarmonica non l'aveva mai suonata, mentre sì
aveva ricevuto lezioni di pianoforte fin da bambina: il padre
ne era insegnante, oltre che essere cantore capo di una comunità
ebraica. La sua storia è raccontata nel bel libro La
ragazza con la fisarmonica. Dall'orchestra di Auschwitz alla
musica rap, curato da Antonella Romeo, editrice, traduttrice
e biografa italiana di Esther. Grazie alla sua fisarmonica,
Esther riesce a salvarsi: nel novembre del 1943 viene trasferita
a Ravensbrück e all'inizio del 1945 viene liberata da russi
e americani. Ma la resistenza di Esther non si conclude qui,
tutt'altro. Come precisa Bruno Maida nella prefazione al libro
sopra citato, la sua è “la scelta di praticare
ogni giorno una resistenza civile”. E così è
stato lungo tutti i suoi 90 anni, che Esther porta con un'energia,
uno spirito e un ottimismo che pochissimi possono solo immaginare.
Dopo la guerra, va in Palestina e entra nel coro operaio Ron,
col quale tiene concerti in mezza Europa, con canti antifascisti
in yiddish, russo ed ebraico. Ma la discrimazione per i palestinesi
porteranno lei e il marito, Nissim Béjarano, ad andarsene
da Israele nel 1960 e a fare ritorno in Germania. Accompagnata
dalla sua centenaria fisarmonica Hohner, non ha mai smesso di
cantare e di suonare, contro tutte le discriminazioni, contro
il razzismo e la xenofobia, i rigurgiti neo-nazisti e le ingiustizie,
arrivando a collaborare cinque anni fa con un duo rap italo-turco
di Colonia. Nel repertorio che porta in giro e che ha proposto
anche a Sanremo, accompagnata in quest'occasione dal figlio
Joram, musicista anche lui, e da un fisarmonicista d'eccezione,
Gianni Coscia, ci sono Brecht, Theodorakis, Boris Vian, Bella
Ciao... Non aveva mai cantato, invece, una canzonetta alla
moda nella Germania degli anni Trenta contenuta nel film Bel
Ami che era obbligata a cantare ad Auschwitz. L'ha fatto
per la prima volta al Premio Tenco.
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Vinicio Capossela con il suo baglamas |
Tra rebetiko e canzone d'autore: la Grecia che resiste
Ancora connessioni e interconnessioni in questo Premio Tenco.
La Grecia è stata un altro trait d'union tra una
serata e l'altra. Venerdì infatti Vinicio Capossela,
che ormai possiamo considerare l'ambasciatore della Grecia della
crisi in Italia, ha riconfermato l'attualità e il valore
della musica rebetika, a cui ha dedicato i suoi ultimi lavori:
il disco “Rebetika Gymnastas”, Tefteri. Il libro
dei conti in sospeso e il film Indebito, a cui ha
lavorato insieme al regista Andrea Segre. Accompagnato da Manolis
Pappos al bouzouki e da Vasilis Massalas alla chitarra, Capossela,
con il suo baglamas e una sola manica della giacca infilata
– come i mangas che suonavano il rebetiko nelle
taverne del Pireo negli anni Venti e Trenta – ha riproposto
solo una canzone del suo repertorio, Scivola, vai via,
offrendo poi un triplo omaggio: a Fabrizio De André con
Quello che non ho, a Vladimir Vysotskij con Gimnastika
e alle vittime dei lager con Suona Rosamunda. Tutto riarrangiato
al ritmo dei 9/8 del rebetiko.
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Maria Farantouri |
Ma non c'è stata solo la resistenza del milione e duecentomila
Greci che nel 1923, alla fine della guerra greco-turca, sono
stati costretti ad abbandonare le loro città nella nuova
Turchia di Kemal Atatürk e a tornare all'antica patria,
che li accolse con diffidenza e ostilità, ma anche la
resistenza vissuta durante la dittatura dei colonnelli tra 1967
e 1974. Un anno che ci riporta con la mente anche al Portogallo
della Rivoluzione dei Garofani. Sabato sul palco è salita
Maria Farantouri, insignita anche lei del premio Tenco 2014.
Nata nel sobborgo ateniese di Nea Ionia, che negli anni Venti
aveva ospitato molti dei rifugiati dall'Asia Minore, Farantouri
è stata, fin dai primi anni Sessanta, giovanissima, una
delle collaboratrici più strette di Mikis Theodorakis,
insieme ad altri conosciuti interpreti (Grigoris Bithikotsis,
Dora Yiannakopoulou e Soula Birbili). In quei sette terribili
anni, dall'esilio parigino, Farantouri è stata l'ambasciatrice
di un Theodorakis incarcercato e di una Grecia che resisteva,
utilizzando le canzoni come strumento di denuncia contro il
regime militare, esibendosi in decine e decine di concerti di
solidarietà in tutto il mondo. Farantouri canta e incide
testi di autori scomodi per il regime, come i poeti Seferis
e Ritsos, e nuove versioni di opere precedenti di Theodorakis,
come “Epitaphios” e “Epiphania”, alla
base dell'entechno, la rivoluzione estetica della musica
greca che ha saputo unire gli stili musicali popolari e la poesia,
realizzata dal compositore che aveva già sofferto arresti
e torture durante l'occupazione italiana e tedesca del paese
ellenico e durante la Guerra Civile greca. Ma nell'esilio parigino
Farantouri collabora anche con il compositore Manos Hadjidakis
e, ancora con Theodorakis, che la raggiunge a Parigi una volta
scarcerato, canta le Sette canzoni tratte dal Romancero
gitano di Federico García Lorca e il Canto General
di Pablo Neruda.
Ancora connessioni di resistenze: nel 1974 la Grecia che resiste
canta la Spagna sotto il giogo franchista da quasi quarant'anni
e il Cile trafitto al cuore l'anno precedente dal colpo di Stato
di Pinochet, finanziato e appoggiato, come nel caso del colpo
di Stato dei colonnelli greci dell'aprile del 1967, dagli USA.
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Gianni Minà |
Dalle Resistenze italiane agli Stati Uniti d'America
Oltre alla voce di Maria Farantouri – indimenticabile
la sua interpretazione di Sto Perigiali –, la serata
conclusiva della 38esima edizione del Premio Tenco ha visto
la partecipazione anche di due esponenti delle resistenze italiane.
Raffinatissima la proposta della Scraps Orchestra, gruppo mantovano
guidato da Stefano Boccafoglia che era già stata al Tenco
nel 2000. Formatasi all'inizio degli anni Novanta e con all'attivo
dischi qualitativamente altissimi (”Organi in movimento”,
“Il Diavolo di Mezzogiorno”, “Nero di Seppia”)
la Scraps Orchestra ha lavorato in svariate occasioni sul passato
italiano (dal delitto Matteotti – nella canzone On
Matteotti, Socialista (Il Falco Alla Colomba) – alla
guerra partigiana – con l'album “Resistenze”,
uscito sotto il nome di JasBand – fino alla strage di
Piazza Fontana e alla vicenda di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin)
e ha collaborato con progetti di resistenza nel territorio,
come la costruzione e la gestione di una CasAlloggio per persone
disabili senza famiglia o che attraversano situazioni di grave
emergenza insieme alla “Coop. C.H.V.” di Suzzara.
Sul palco del Teatro del Casinò di Sanremo hanno proposto
tre loro brani – Quindicidiciotto, La staffetta
e Ricette scadute – intervallati da accenni di
Bella Ciao e di Fischia il vento, interpretati
in una chiave ben distinta alla vulgata dei Modena City Ramblers,
e una canzone inedita, preparata appositamente per il Premio
Tenco: La verità, nient'altro che quella. Un testo
di grande profondità e finezza che racconta, come recita
il sottotitolo della canzone, La strana vita del compagno
Nicola Bombacci. Bombacci fu segretario del PSI durante
il biennio rosso e fondatore del Partito Comunista nel gennaio
del 1921, ma dopo una singolare traiettoria e l'approdo al fascismo,
venne fucilato dai partigiani sulle rive del lago di Como nell'aprile
del 1945, prima di essere esposto alla pompa di benzina di Piazzale
Loreto, a fianco dei cadaveri di Mussolini e della Petacci.
Una vita e una storia scomoda, difficile da comprendere, di
un politico che non fu mai un opportunista e, suo malgrado,
è stato un fabbricatore di resistenze.
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La Scraps Orchestra |
L'altra resistenza italiana è stata quella di David
Riondino, artista poliedrico e instancabile. Come cantautore
ha inciso una decina di album, ha lavorato nel cinema sia nelle
vesti di attore (in dodici film di registi come i fratelli Taviani,
Marco Tullio Giordana, Gabriele Salvatores) che in quelle di
regista (Cuba libre – Velocipedi ai tropici e Shakespeare
in Havana) e di sceneggiatore (Troppo sole diretto
da Giuseppe Bertolucci). In teatro ha recitato in una dozzina
di lavori condividendo la scena, tra gli altri, con Paolo Rossi,
Sabina Guzzanti (sua compagna di vita per diversi anni) e Dario
Vergassola. È conduttore e autore radiofonico (Vasco
de Gama con Dario Vergassola e, soprattutto, Il dottor
Djembè, con Stefano Bollani) e protagonista televisivo
(da Banane e Zanzibar RaiOt). Brillante autore
di improvvisazioni poetiche, soprattutto in ottava rima, è
stato la firma di punta di storiche riviste satiriche come Tango
e Cuore e ha pubblicato sette libri. Diversi disegnatori
famosi, come Milo Manara, Sergio Staino e Roberto Perini hanno
illustrato sue canzoni e il suo mondo musicale. Nel 1994 ha
vinto la targa Tenco per la migliore canzone con il brano La
ballata del sì e del no.
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David
Riondino |
Riondino ha fatto ridere, molto, ma soprattutto riflettere,
con un brano come Riformate il diritto di famiglia, una
ballata ispirata al Decameron di Boccaccio (Madonna
Filippa), una poesia recitata dedicata all'attuale premier
(L'acrostico Renzi) e due straordinari canti degli Alpini
rimaneggiati in chiave satirica. Riondino ha riportato tutti
all'attualità, a quel “resistere”, che al
giorno d'oggi, in un mondo in cui siamo di nuovo in guerra,
dovrebbe declinarsi anche e soprattutto come “esistere”,
“nel senso più profondo, inevitabile, pieno”.
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Enric Hernàez. Sullo sfondo un'immagine di Joe Hill |
E dall'Italia l'ultimo volo del Tenco 2014 è stato
verso gli Stati Uniti con due storie e due protagonisti di epoche
diverse e lontane. Un set ha ricordato Joe Hill, immigrato svedese
diventato uno dei simboli del sindacalismo americano di inizio
dello scorso secolo dell'Industrial Workers of the World (IWW).
Hill fu anche uno dei primi scrittori di canzoni di rivendicazione
e la voce più originale del canzoniere wobbly,
arrivando ad essere considerato il padre della folk music di
protesta che avrà, negli Stati Uniti, in Woody Guthrie,
nel recentemente scomparso Pete Seeger e in Bob Dylan i suoi
indimenticati continuatori e massimi esponenti. In Italia, però,
le canzoni di Joe Hill non sono conosciute quanto dovrebbero
e nemmeno la sua drammatica vicenda: Hill venne fucilato nella
prigione di Sugar House, nello stato dello Utah, il 19 novembre
del 1915, per un crimine che molto probabilmente non ha mai
commesso.
A Sanremo lo hanno ricordato Dente e Brunori SAS, che hanno
cantato, nella traduzione italiana di Sergio Secondiano Sacchi,
Vai, vai, vai e Il predicatore e lo schiavo, mentre
il cantautore catalano Enric Hernáez – simbolo
di un'altra resistenza: quella dell'idioma e della cultura catalana
– ha musicato e interpretato nella lingua di Ausiàs
March El testament de Joe Hill, che non è né
una poesía né una canzone, ma il testamento del
sindacalista svedese-americano. Non delle parole al vento, come
quelle che lo stesso Hill disse poco prima di cadere sotto il
piombo del plotone di esecuzione: “Non piangetemi, organizzatevi!”
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John Trudell e la sua band |
La chiusura di quest'edizione della rassegna è toccata
a un simbolo vivente della resistenza che si fa poesia e canzone:
John Trudell, quinto e ultimo premio Tenco 2014. Agitatore politico,
dal 1969 al 1971 Trudell è stato il portavoce dei nativi
americani durante l'occupazione dell'ex carcere di Alcatraz
e nel 1973 diventa il segretario dell'American Indian Movement,
carico che abbandona il 12 febbraio del 1979, quando un incendio
doloso uccide i suoi tre figli, la moglie in attesa del quarto
figlio e la suocera. John Trudell è uscito dal profondo
dolore che lo ha colpito grazie alla musica e all'incontro con
Jackson Browne. Inizia a scrivere e nel 1983 esce il suo album
d'esordio, Tribal Voice. Da allora Trudell non ha smesso
di scrivere e di esibirsi, portando in tutto il mondo la storia
di un popolo che ha vissuto il maggior genocidio dell'epoca
moderna. A Sanremo, accompagnato da tre musicisti, Trudell ha
cantato cinque pezzi del suo vasto repertorio: See The Woman,
It is What It Is, From The Heart, Reason To This e This
Day Do We. Come sottolineano ne Il Cantautore Massimo
Pirrotta e Davide Sapienza, il poeta-cantore della cultura degli
indiani d'America è “dotato della completezza e
del legame con la poesia, della spoken-word, dell'agire armonioso
abbinato al “fare” rock” e “le sue parole
risuonano di quella semplice verità, ormai complicata
da vivere oggi, per una società scissa dal vero potere
della vita: l'appartenenza alla Madre Terra”.
Il Premio Tenco è ritornato a lasciare un segno. Un'edizione
impeccabile. Una tre giorni intensissima e qualitativamente
di alto livello. Aspettiamo ora la prossima. Come si diceva
un tempo, “Arrivederci ad ottobre 2015”.
Steven Forti
Il Tenco di giorno
di
Roberto Molteni
Il
Tenco non si svolge solo di notte. Le iniziative che il
Club Tenco organizza durante l'anno sono quasi sempre
accompagnate da incontri e appuntamenti “collaterali”
che riservano sempre grandi sorprese e protagonisti di
assoluto rilievo. Anche la tre giorni sanremasca di quest'anno
ha visto un programma intenso di attività che a
partire dalla tarda mattinata sono continuate fino a tutto
il pomeriggio. Song drink e incontri con gli artisti,
presentazioni di film, libri e progetti legati alla canzone
d'autore, incontri con intellettuali e operatori culturali.
Tutto, rigorosamente, legato a doppio filo al tema della
Rassegna di quest'anno: le Resistenze.
Di film se ne sono visti tre: Pussy Riot. A Punk Prayer
di Mike Lerner presentato da Giandomenico Curi, Indebito
di Vinicio Capossela e Andrea Segre e Musica contro
le mafie. L'alternativa di Claudio Martello. Un documentario,
sotto l'egida di Libera, che racconta un progetto quanto
mai necessario e che fa della musica un veicolo di riscatto
di un territorio martoriato da un problema, purtroppo,
ancora irrisolto.
Le grandi tematiche affrontate nelle serate della Rassegna
sono state al centro degli incontri pomeridiani, curati
e presentati da Enrico de Angelis, Sergio Secondiano Sacchi
e Antonio Silva. Oltre che dal film di Capossela e Segre,
la Grecia è stata al centro di un dettagliato intervento
di Franco Fabbri, storico leader degli Stormy Six, dedicato
alla canzone del paese ellenico. Maria Gloria Rosselli,
curatrice della sezione di Antropologia e Etnologia del
Museo di Storia Naturale di Firenze, ha parlato delle
culture dei nativi americani, mentre Esther Béjarano,
accompagnata dalla sua biografa e traduttrice italiana
Antonella Romeo, ha raccontato una storia lunga novant'anni,
tra Auschwitz e il nuovo millennio, sempre insieme alla
sua fisarmonica e con uno spirito di resistenza che ben
pochi possiedono. Gianni Minà, premio Tenco all'Operatore
Culturale 2014, ha emozionato con i ricordi di oltre quarant'anni
di impegno politico, sociale e culturale e con l'America
Latina delle sofferenze e delle speranze sempre in primo
piano.
Due sono stati i libri presentati in quest'edizione: Lavorare
con lentezza. Enzo del Re, il corpofonista di Timisoara
Pinto, dedicato al compianto cantastorie pugliese che
era stato ospite durante la Rassegna del 2010 e El
peso de la nación. Nicola Bombacci, Paul Marion
y Óscar Pérez Solís en la Europa
de entreguerras di Steven Forti, che racconta la vita
di tre dirigenti politici comunisti che negli anni compresi
tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale sono passati
al fascimo in Italia, Francia e Spagna. Tra questi, Nicola
Bombacci a cui la Scraps Orchestra ha dedicato una canzone
presentata nella serata conclusiva della rassegna.
Non poteva mancare poi uno spazio dedicato a progetti
di vera e propria “resistenza”. L'imprescindibile
esperienza di riscoperta della cultura popolare italiana
de I Dischi del Sole e del Nuovo Canzoniere
Italiano, attivi ormai da cinquant'anni, è
stata raccontata da uno dei suoi protagonisti, Cesare
Bermani, mentre Giuseppe Gennari ha parlato del Festival
Léo Ferré, arrivato in questo 2014 alla
sua diciannovesima edizione. Si è presentata anche
una realtà importante come quella del Premio
Bianca D'Aponte, dedicato alla cantautrice aversana
scomparsa nel 2003 a soli 23 anni, arrivato alla sua decima
edizione. Un progetto che, grazie alla collaborazione
con l'associazione Cose di Amilcare, dal 2015 avrà
un respiro internazionale con un concerto annunciato per
il prossimo 8 marzo a Barcellona in cui cantautrici di
oltre dieci paesi diversi canteranno nella loro lingua
le canzoni di Bianca D'Aponte.
In questa 38esima edizione della Rassegna della Canzone
d'Autore - Premio Tenco, c'è stata una novità:
gli incontri pomeridiani sono continuati nella piazzetta
dei Dolori della “Pigna”, il quartiere tutto
vicoletti e scalinate della città vecchia di Sanremo.
Tre recital dove una voce narrante ha accompagnato il
viaggio proposto da un cantautore tra poesie, musiche
e storie di resistenza. Il sardo Carlo Doneddu e lo storico
Steven Forti hanno riportato il pubblico al dramma e alle
sofferenze della Grande Guerra, di cui proprio quest'anno
si ricorda il centenario, recuperando Un anno sull'altipiano
di Emilio Lussu – a cui proprio Doneddu nel 2006,
con i Figli di Iubal, aveva dedicato un disco –
e mostrando come nelle trincee del Carso, del monte Baldo
e dell'altipiano di Asiago nascano, non solo il fascismo,
ma anche alcune resistenze che ritorneranno nella storia
italiana. Nella seconda serata è stato Olden, accompagnato
da Sergio Secondiano Sacchi, a riproporre in italiano
“la poesia spagnola che si è fatta canzone”
di quattro poeti che hanno sofferto la morte o l'esilio
a causa della barbarie franchista: Federico García
Lorca, Antonio Machado, Miguel Hernández e Rafael
Alberti. Il terzo e ultimo incontro di questa trilogia
intitolata “Le rose di Amilcare”, piccolo
omaggio ad Amilcare Rambaldi, storico fondatore del Club
Tenco e della Rassegna della Canzone d'Autore, ha visto
il cantautore catalano Enric Hernáez, accompagnato
ancora dalla voce di Steven Forti, cantare i poeti della
sua terra in una lingua che è stato, ed è
ancora, un simbolo di resistenza. Da Joan Vergés,
Josep Palau i Fabre e Àngel Guimerà a Joan
Brossa e David Castillo fino a Joan Salvat Papasseit,
in cui Hernáez ha duettato con l'algherese Claudia
Crabuzza.
Roberto Molteni |
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