dibattito anarchismo oggi
Anarchismo in divenire
di Andrea Papi
Smettiamola di rappresentarci come fossimo in guerra permanente contro immagini/fantoccio, che ormai servono solo come spauracchio del potere per tenerci impegnati in “faccende” destinate all'annichilimento. Per un nuovo anarchismo costruttivo e sperimentale. Il dibattito è aperto.
Per moltissimi il mondo attuale
è poco attraente e per tantissimi altri sta diventando
addirittura invivibile. Una condizione diffusa che di per sé
dovrebbe essere sufficiente a spingere masse umane insoddisfatte
verso un'alternativa di liberazione sociale. Il palese fallimento
storico del bolscevismo inoltre avrebbe in teoria dovuto favorire
adesioni ai movimenti anarchici, che dovrebbero pullulare di
adepti e simpatizzanti irresistibilmente attratti. Invece assistiamo
a un impoverimento della presenza militante, mentre si registrano
adesioni, in alcuni casi consistenti, verso comportamenti, pratiche
ed esperienze riconducibili al senso e alla qualità delle
proposte anarchiche (decisioni collettive attraverso forme di
democrazia diretta, rifiuti di gerarchie, tensioni egualitarie,
cooperazioni e solidarietà mutualistiche condivise, ecc.)
spesso senza riconoscersi e definirsi tali e ben lungi dall'essere
militanza in senso classico.
In altre parole l'anarchismo sta cambiando forma e modo d'essere
fuori dai canali collegati all'esperienza “ufficialmente”
codificata. Per questo suppongo che sia in atto un rinnovamento
spontaneo, fatto di spinte libertarie schiette e genuine, che
il vecchio anarchismo non è in grado di assorbire o integrare
(o perché non vuole, o perché non lo capisce o
perché non ne è capace, a parte qualche raro sporadico
caso). Non è lontano dalla realtà asserire che
in questa fase sta prendendo piede e si sta manifestando autonomamente
un “anarchismo dal sapore nuovo”, tale proprio perché
fin dal suo sorgere è scollegato da quello esistente
storicamente riconosciuto.
Nulla di male in sé. Per certi aspetti anzi può
essere visto come un bene. Il “cosiddetto vecchio”,
soprattutto per la gravosità intrinseca della sua poderosa
storia, da decenni appare facilmente sclerotico e non infrequentemente
immobile, mentre, data la sua natura peculiare di “movimento”,
dovrebbe essere perennemente in “moto”, genuinamente
capace di rinnovarsi senza rimanere ancorato pesantemente a
schemi divenuti vecchi e obsoleti. Se però il “nuovo”
(aggiungo io), con tutta la sua molteplicità di manifestazioni,
prima o poi non si collegherà al “vecchio”
innovandolo culturalmente ed esperienzialmente, molto difficilmente
riuscirà a conservare quell'integrità libertaria
che ne distingue il sorgere, per essere (ahimé!) assorbito
da logiche e visioni che lo ricondurranno al malefico “grembo
autoritario”, sempre in agguato.
Sapersi rinnovare vuol dire prima di tutto acquisire la capacità
di aggiornare la lettura della realtà, per coglierne
i movimenti, le mutazioni e gli spostamenti. Poi si dovrebbero
ipotizzare, per sperimentarli, mezzi e metodi adeguati a contrastare
in modo efficace e intelligente il contesto dispotico che esercita
il dominio, per tentare di superarlo o eliminarlo, in definitiva
per arrivare a farne a meno, allo scopo di vivere relazioni
sociali che ne siano prive attraverso tensioni anarchiche liberanti
e libertarie. A me sembra chiaro che un simile percorso, che
non può che definirsi facendosi, di necessità
dovrebbe riuscire a spurgarsi da schematismi e ideologismi di
sorta che ne appesantiscono il cammino, di fatto sabotandolo
e impedendolo.
Non
si dovrebbero aver più remore ad abbandonare i vecchi
schemi che definiscono il percorso rivoluzionario, proponenti
una narrazione del conflitto sociale che, più o meno
consapevolmente, si presenta come fosse assoluta, quasi a sottintendere
che non ne può esistere altra (logica dogmatica dell'“unica
via possibile”). È in questo versante con tali
propensioni che l'adesione alla “lotta di emancipazione”
può scadere in atteggiamenti fideisti e religiosi.
Pensare e agire “in grande”
Tutto è veramente cambiato e continua a cambiare e l'anarchismo,
se è autentico, non può essere inteso come fisso
o bloccato. Come tutto ciò che è vivo e in movimento
non può essere guardato come se fosse immobile: proprio
come un corpo che cresce ha subito e continua a subire costanti
cambiamenti di sviluppo. Rispetto ai primi momenti in cui fu
concepito e pensato, nei limiti del possibile attuato, è
anche profondamente cambiato il contesto planetario circostante,
come pure sono cambiati gli stimoli, il tipo di sguardi e l'immaginario,
tutto ciò insomma che definisce una visione del mondo.
Come tutte le visioni del mondo, si può trasformare e
dilatare rimanendo intatto nella sua sostanza. Avendo ben presente
questa dinamica non ritengo affatto che si debba intenderlo
come un'ideologia, anche se qualcuno ogni tanto ci prova, forse
nell'illusione di fissarne un'assolutezza che di fatto non gli
appartiene.
La vecchia narrazione su cui ci siamo formati ci parla, per
esempio, di rivoluzione insurrezionale, per prendere il potere
e imporre la dittatura del proletariato, come sosteneva il marxismo/leninismo,
o per abbattere lo stato, come han sempre sostenuto gli anarchici.
Per entrambi si dovrebbero conquistare i “Palazzi del
Potere”, nell'un caso per impossessarsene e farli propri,
nell'altro per distruggerli ed eliminare ogni forma di autoritarismo
politico. Oggi non c'è più nessun “Palazzo”
da conquistare, mentre, per le condizioni in cui ci costringono
a vivere, siamo perennemente immersi in una dimensione di scontro,
che può anche sforare in logiche di guerra, senza più
nemici né luoghi chiaramente identificabili da contrastare.
Forse ogni tanto si riuscirà pure a vincere qualche scaramuccia
con le forze di polizia, ma siccome il dominio vero non è
più nelle cose di un tempo e ha generato altre forme
di potere altamente sofisticate, non avremmo comunque risolto
nulla.
La vecchia narrazione ci raccontava che tutto ruota attorno
alla lotta inconciliabile tra borghesia e proletariato, a uno
scontro permanente tra padroni e sfruttati intrinseco nella
struttura su cui si fonderebbe la società capitalista,
vista addirittura quasi come l'ultima forma strutturale della
storia. Una visione rigida, che non riesce a contemplare le
dinamiche dell'attuale liquidità sociale (per dirla alla
Bauman), né la complessità delle reti globali
nelle quali si sta avviluppando il mondo nel suo insieme. Le
nuove servitù e i novelli schiavi sono masse umane imbrigliate
che rappresentano una realtà molto più intricata
e articolata della vecchia working class di marxiana
memoria, mentre la rete globale della speculazione, che alimenta
e favorisce un'oligarchia finanziaria capace di assoggettare
alla propria avidità l'economia produttiva, è
qualcosa di veramente molto più composito e frastagliato
della vecchia borghesia capitalista d'antan. Il mondo si sta
avviluppando in qualcosa di molto più ingarbugliato e
multiforme del lineare conflitto dialettico ipotizzato a suo
tempo.
Non abbiamo più di fronte semplicemente generali, re,
capi di governo, padroni e tutte quelle figure che hanno sempre
impersonato il potere come comando e volontà d'imposizione.
Non fraintendetemi, tutti questi figuri sono ancora sparsi ovunque,
ma non rappresentano più l'apice della concentrazione
del potere da cui dipendono le sorti del mondo. Il dispotismo,
base fondante della qualità delle relazioni, continua
ad amplificarsi, ma subisce mutazioni che ne cambiano la qualità
delle forme e i metodi d'imposizione. È in atto un prepotente
significativo passaggio dal “comando” alla “costrizione
oggettiva”, quale fondamento della capacità di
dominare.
Per tutto ciò non possiamo più continuare a profonderci
in un'estenuante guerra di opposizione, che si vorrebbe rivoluzionaria,
nell'illusione perpetuata di abbattere caduche strutture di
poteri sempre meno potenti, in alcuni casi in estinzione. Dovremmo
invece cominciare a pensare e agire “in grande”
(intendendo grande in termini cosmici), intraprendendo e inaugurando
seriamente una stagione dedita soprattutto a costruire e sperimentare,
in tutte le forme creative possibili, il nuovo e diverso che
pensiamo realizzi la liberazione e la libertà agognate,
smettendo di rappresentarci soprattutto come fossimo in guerra
permanente contro immagini/fantoccio, che ormai servono solo
come spauracchio del potere per tenerci impegnati in “faccende”
destinate all'annichilimento.
Andrea Papi
|