movimenti
Occupy occupa
di David Graeber e Yuk Hui
A Hong Kong la volontà di instaurare una democrazia elettorale è solo l'inizio di un movimento di resistenza più ampio contro la governance neoliberale autoritaria. E il movimento si estende a macchia d'olio.
Ogni volta che si proclama la fine del movimento Occupy, eccolo risorgere altrove: in Nigeria, in Turchia, in Brasile, in Bosnia… Recentemente, a Hong Kong, l'inattesa rinascita del collettivo Occupy Central, che, nel 2011, aveva contestato la banca HSBC in solidarietà con gli occupanti di Zuccotti Park a New York, ha paralizzato la città per più di una settimana.
Questo fenomeno non attiene a una semplice innovazione semantica o strategica da parte dei militanti. Il 2011 ha trasformato completamente la nozione stessa di rivoluzione democratica.
I movimenti del 2011 non sono nati negli Stati Uniti, ma in Africa del Nord, da dove, dopo aver attraversato il Mediterraneo, hanno raggiunto la Grecia e la Spagna. Tuttavia è stato necessario che andassero a colpire l'epicentro del capitalismo americano perché si moltiplicassero a livello mondiale, dall'Argentina al Sudafrica.
Per un certo periodo, si è pensato a una parentesi rivoluzionaria, promossa dai giovani statunitensi ostili al sistema politico-economico liberale. In pochi mesi, la maggior parte di questi movimenti ha smobilitato. Vista retrospettivamente, si può affermare che si trattava certo di una rivoluzione, ma non nel senso che ci si aspettava. Quando gli storici analizzeranno il 2011, lo paragoneranno al 1848: le insurrezioni quasi contemporanee verificatesi a quell'epoca nel mondo intero non hanno portato a una presa del potere, ma, nondimeno, hanno creato grandi rivolgimenti.
Nessuna aspirazione a prendere il potere
A differenza del 1848, o anche del 1968, gli insorti del 2011
non aspiravano a prendere il potere. Forse questo è ciò
che costituisce la loro singolarità. Se la rivoluzione
si definisce come una trasformazione del senso comune politico,
allora il 2011 è stato un anno rivoluzionario. A prima
vista, le strategie e le rivendicazioni possono sembrare simili
a quelle dei movimenti precedenti, ma le nozioni di democrazia
e di governo sono state così profondamente dissociate
che persino i militanti che propongono la creazione di istanze
rappresentative statuali adottano ormai strategie, sensibilità
e modi di organizzazione propriamente anarchiche. La prima incarnazione
di Occupy Central, che ha avuto luogo a Hong Kong dall'ottobre
2011 all'agosto 2012, costituisce una delle mobilitazioni più
lunghe. Sono state sufficienti alcune decine di tende e un centinaio
di occupanti per dare vita a nuovi modi di organizzazione e
di espressione democratica diretta, le cui implicazioni a lungo
termine si stanno ancora scoprendo.
Nel 2013 due universitari e un sacerdote emersi da questo movimento
hanno deciso di riorganizzare un accampamento, chiamato Occupy
Central with Love and Peace (OCLP), per chiedere che le
elezioni del 2017 per la designazione del capo dell'esecutivo
si svolgessero a suffragio universale. Per più di un
anno e mezzo, questa iniziativa è rimasta in sospeso.
Il 31 agosto, il governo ha annunciato che i cittadini avrebbero
potuto scegliere tra i candidati designati da un collegio di
1200 grandi elettori designati dal Partito comunista cinese.
La promessa “un paese, due sistemi”, fatta nel quadro
dell'accordo tra Cina e Gran Bretagna, è rimasta lettera
morta; l'attuale capo dell'esecutivo, Leung Chun-Ying, è
una marionetta di Pechino. Il 28 settembre, due associazioni
studentesche, stanche di aspettare che gli organizzatori ufficiali
di OCLP si decidessero a stabilire una data, hanno preso l'iniziativa
radunando 50.000 manifestanti.
La maggior parte di questi, per la prima volta nella vita, subivano
l'impatto dei gas lacrimogeni. Ben presto le occupazioni si
sono estese ad altri quartieri d'affari: Admiralty, Causeway
Bay, Mong Kok. L'ampiezza del movimento ha sorpreso tutti, ivi
compresi gli ispiratori di OCLP. Autisti di camion hanno bloccato
le strade, autisti di minibus hanno trasportato gratuitamente
gli studenti, gruppi di cittadini li hanno riforniti di viveri.
La polizia, sopraffatta, ha fatto fronte comune con le triadi
mafiose per domare l'insurrezione e terrorizzare i manifestanti.
Eppure l'occupazione continua.
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Hong Kong, 10 ottobre 2014 - Barricate per le strade |
Difendere la democrazia
Quali sono le ragioni? I manifestanti di Hong Kong affermano la propria volontà di difendere la democrazia, ma le rivendicazioni che li hanno condotti a scendere in piazza sono di ordine economico. Hong Kong è stato uno dei laboratori del neoliberalismo. Nel 1963, l'economista statunitense Milton Friedman (che, otto anni prima, descriveva Hong Kong come “una città povera e miserabile”) proponeva a Sir John J. Cowperthwaite, a quel tempo ministro delle finanze della colonia britannica, di dare vita a un esperimento audace: che Hong Kong, in opposizione alla Gran Bretagna socialista, adottasse il libero scambio.
Negli anni settanta/ottanta, apparentemente, le riforme hanno portato a un vero e proprio miracolo economico, con un prodotto interno lordo pro-capite ampiamente superiore a quello degli inglesi. In una conferenza tenuta a Chicago nel 1997. Friedman constatava: “Siamo più produttivi di Hong Kong. Ma noi abbiamo scelto, o siamo stati indotti a scegliere dai rischi della politica, di dedicare quasi la metà delle nostre risorse ad attività alle quali Hong Kong riserva soltanto il 15 o il 20%”. Friedman faceva riferimento ai fondi destinati alla cultura, all'istruzione e ad altri servizi pubblici, sacrificati invece da Hong Kong.
Variante ibrida e mutante
Dopo il ritorno alla Cina nel 1997, si è instaurato il modello neoliberale e Hong Kong ha elaborato una propria variante ibrida e mutante di autoritarismo di mercato. I fattori decisivi sono stati di permettere ai turisti della Cina continentale di recarsi a Hong Kong (Individual Visit Scheme), cosa che ha fatto di questa città un supermercato di prodotti di lusso. L'imborghesimento che ne è seguito ha accelerato la bancarotta dei commerci locali, la morte dei quartieri popolari e l'aumento vertiginoso dei prezzi nel mercato immobiliare.
Per altro verso, gli immobiliaristi, nuovi magnati di Hong Kong, si sono visti concedere la possibilità di invadere le zone rurali per unire la città con quella di Shenzhen, sul continente, senza che fosse previsto il minimo investimento in favore di case popolari. In questo modo i giovani sono stati condannati a vivere nella miseria. Tra il 2013 e il 2014, l'affitto degli appartamenti di superficie inferiore ai 40 m2 è aumentato del 28,3%.
Infine, la collusione tra alti funzionari e investitori, fonte di innumerevoli scandali di corruzione, non ha risparmiato la commissione indipendente di lotta contro la corruzione. Un ex responsabile dei servizi di polizia, Tao Siju, è arrivato persino a definire patrioti i capi delle mafie, che controllano la famosa industria del divertimento di Hong Kong.
Nel 2008, il capitalismo bacato, le malversazioni immobiliari e il crollo generalizzato del modello neoliberale hanno avuto conseguenze drammatiche. Nel 2013, sui 7 milioni di abitanti di Hong Kong, 1,31 milioni vivevano sotto la soglia di povertà. Il collettivo Occupy Central è nato da una presa di coscienza popolare: il governo fantoccio al soldo del regime comunista e gli ambienti affaristici di Hong Kong costituiscono un'unica e medesima cricca, di cui bisogna sbarazzarsi.
È precisamente questo tipo di deriva che i manifestanti di Occupy negli Stati Uniti intendevano denunciare in nome del “99%”. Nell'incriminare l'1%, non si trattava semplicemente di ridistribuzione delle ricchezze, né di giustizia sociale, bensì di potere di classe. L'1% è la percentuale della popolazione che utilizza le proprie ricchezze per ottenere un'influenza politica che, di converso, le consente di accumulare ricchezze ancor maggiori.
A Istanbul, São Paulo, in Bosnia
I movimenti simili che sono sbocciati a Istanbul, a São
Paulo, a Tuzla (Bosnia-Erzegovina) e in numerose altre città
si basano tutti su una medesima constatazione. Il governo, eletto
o imposto che sia, è percepito come lontano e, nel migliore
dei casi, inefficace: le istanze giuridiche, amministrative
e, soprattutto, “di sicurezza” dello Stato non devono
più render conto a quello che potremmo chiamare il “popolo”
e servono soltanto gli interessi della finanza mondiale.
Ecco qual è l'esito delle riforme neoliberali avviate
a Hong Kong tra gli anni cinquanta e settanta. Coloro che vogliono
sfidare il sistema di potere mondiale non prospettano più
la possibilità di sollecitare né di coinvolgere
lo Stato. I poteri costituiti possono essere travolti soltanto
dall'esterno. Si tratta dunque di creare un fattore esterno,
che può essere temporaneo, grazie ad assemblee democratiche
improvvisate, come abbiamo visto in piazza Tahrir al Cairo,
in piazza Syntagma ad Atene, e a Zuccotti Park a New York, o
permanente, come nelle comuni zapatiste del Chiapas o nel quartiere
boliviano di El Alto.
In questo paesaggio politico interamente riconfigurato, i risultati
dipendono spesso dalle alleanze complesse di forze disparate:
membri dell'apparato di sicurezza dello Stato, organizzazioni
operaie, studenti, mafiosi, nazionalisti di estrema destra che,
inevitabilmente, cercano di provocare violenze di piazza e si
alleano ora con la mafia, ora con le forze dell'ordine per ricondurre
il movimento in ambito statale. Sono tutti protagonisti che
si sono confrontati gli uni con gli altri in modi differenti
in Grecia, in Egitto o in Ucraina, e hanno prodotto risultati
altrettanto differenti. Com'è evidente, la stessa scena
è presente a Hong Kong. Ma quale sarà la conclusione?
Per il momento, sembrerebbe che si sia arrivati a un punto morto.
Il Partito comunista teme che un compromesso incoraggi eventi
simili nella Cina continentale. I manifestanti paventano il
ripetersi del massacro di Tienanmen e cercano di mobilitare
la comunità internazionale.
La volontà di instaurare una democrazia elettorale è
solo l'inizio di un movimento di resistenza più ampio
contro la governance neoliberale autoritaria. Una popolazione
che ha assaporato la democrazia diretta, la formazione del consenso
e l'autorganizzazione costituirà il peggior incubo del
governo a venire. Hong Kong rischia forse di diventare meno “produttiva”, per riprendere le parole di Milton
Friedman, ma è possibile che conferisca un nuovo significato
alla democrazia in Cina.
David Graeber e Yuk Hui
traduzione di Luisa Cortese
Originariamente apparso in Le Monde il 12 ottobre
2014 con il titolo Le mouvement Occupy se mondialise.
David Graeber, docente di antropologia alla London School
of Economics, ha scritto tra l'altro Debito. I primi 5000
anni (il Saggiatore, Milano, 2012), Oltre il potere e
la burocrazia. L'immaginazione contro la violenza, l'ignoranza
e la stupidità (Elèuthera, Milano, 2013), Critica
della democrazia occidentale. Nuovi movimenti, crisi dello Stato,
democrazia diretta (Elèuthera, Milano, 2012), Frammenti
di antropologia anarchica (Elèuthera, Milano, 2011);
è uno degli ispiratori del movimento contro il capitale
finanziario Occupy Wall Street. Yuk Hui è un filosofo
e militante di Hong Kong, docente-ricercatore presso l'Università
di Leuphana in Germania. E il movimento, intanto, si estende
a macchia d'olio. |