Milano/
“Attenzione caduta anarchici”
A 45 anni dalla morte del compagno Giuseppe Pinelli troppe
ombre attorniano la vicenda. Nel corso degli anni le istituzioni
hanno cercato di seguire la via della pacificazione e della
mediazione: nessuna vittima, nessun carnefice.
Al giorno d'oggi, però, non se ne parla più. Tra
i giovani miei coetanei, pochi, anzi pochissimi sanno chi era
Pinelli. Non ci si pone neanche più la domanda: il disinteresse
è totale. Sebbene la versione ufficiale sancisca la tesi
del suicidio, resteranno sempre troppi dubbi e incongruenze
a riguardo. L'omertà ha vinto coprendo un omicidio di
Stato e difendendo l'atto squadrista di quattro poliziotti.
Il 27 ottobre del '75 tutti gli imputati furono prosciolti “perché
il fatto non sussiste”. Di tutto questo non se ne parla
più, e cosa ci rimane? Niente! Ecco perché bisogna
tener viva la memoria!
A tal proposito, un gruppo di ragazzi appartenenti a diversi
licei milanesi, hanno deciso di lanciare da una finestra della
rispettiva scuola, un manichino con stampata sul volto l'immagine
di Pinelli. Questi ragazzi, appartenenti a Milano Attiva (un'associazione
che si occupa di informazione e cultura a livello giovanile),
hanno fatto partire la campagna “Lancia il Pinelli”.
L'iniziativa è stata colta con entusiasmo principalmente
dai ragazzi appartenenti ai vari collettivi, e successivamente
ha suscitato interesse anche negli altri. Manzoni, Vittorio
Veneto, Parini, Bottoni, Beccaria, Brera, Boccioni, Virgilio:
moltissimi sono i licei che hanno aderito. Ciò è
servito ad informare tutti quei giovani che non sanno cosa accadde
in quegli anni. Ogni scuola ha documentato il tutto con uno
smartphone; i vari video sono stati assemblati e poi diffusi
sul web ottenendo un discreto successo. “Aspetta a buttarlo
giù, fagli avere prima un malore!”, grida un ragazzo
che riprende la scena col telefonino mentre un altro lascia
un cartello con su scritto: attenzione caduta anarchici.
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A sinistra: Un gruppo di studenti del collettivo del liceo scientifico milanese Vittorio Veneto. A destra: Uno dei manichini utilizzati |
Con un gesto semplice e un pizzico di ironia si è riusciti
a riportare nelle scuole un senso critico e coscienza storica.
Una manifestazione del genere non poteva che colpire e suscitare
interesse perché “la memoria è un presente
che non finisce mai di passare”, o almeno così
dovrebbe essere.
Tommaso Proverbio
Milano
Caso Mastrogiovanni/
A Salerno si processa la tortura, reato che (ancora) non
c'è
La prima udienza del processo d'appello
Si è tenuta venerdì 7 novembre 2014, presso un'affollata
aula del Tribunale di Salerno la prima udienza, subito rinviata,
del processo d'appello per la morte di Franco Mastrogiovanni.
Dei sei medici imputati e condannati in primo grado a pene variabili
da due a quattro anni, era presente solo Michele Della Pepa,
mentre dei dodici infermieri, tutti incredibilmente assolti,
solo cinque hanno ritenuto di doversi presentare in aula. Il
Presidente della Corte d'Appello di Salerno, Michelangelo Russo,
in apertura dell'udienza, ha dichiarato, così come fece
Elisabetta Garzo, Presidente del Tribunale di Vallo della Lucania
nel processo di primo grado, di voler calendarizzare le udienze
e concludere il processo emettendo la sentenza entro il mese
di dicembre 2015.
Alla prima udienza, oltre ai famigliari del maestro cilentano,
erano presenti numerosi componenti del Comitato Verità
e Giustizia, i legali e i rappresentanti delle associazioni
che si sono costituite parte civile e l'operaio Giuseppe Mancoletti,
compagno di stanza di Mastrogiovanni che, come si vede nel “video
dell'orrore”, legato al letto di contenzione, per poter
bere poche gocce d'acqua dovette far cadere una bottiglia sul
tavolo. Scene allucinanti che hanno fatto il giro del mondo
e che fanno rabbrividire perchè ricordano i lager nazisti,
i gulag staliniani e le carceri allestite dai torturatori dei
regimi latinoamericani.
Il video dimostra che in Italia
la tortura esiste
Dopo la vergognosa, quanto clamorosa, sentenza Cucchi vogliamo
evitare che anche il processo d'appello per la morte di Mastrogiovanni
abbia lo stesso esito. Mentre nel caso di Stefano Cucchi si
spera che qualche testimone racconti la verità sugli
autori dei due pestaggi e sulle violenze alle quali è
stato sottoposto Stefano, per Mastrogiovanni la prova è
agli atti ed è il “video dell'orrore” che
dimostra che in Italia esiste la tortura. Il filmato della durata
di oltre 83 ore costituisce una prova “inoppugnabile”
e “incorruttibile” di ciò che è drammaticamente
successo.
Per questi aggeggi elettronici è evidente che non valgono
le false testimonianze, gli stati di rimozione e negazione e/o
le alchimie processuali. I tentativi di scaricare il barile
addosso ad altri (in genere ai sottoposti) si infrangono come
onde del mare sugli scogli davanti alla dura realtà delle
immagini che si fanno verità, storia e memoria di una
morte disumana, priva di pietas e di dignità dove
l'uomo, il medico, l'operatore sanitario ha annullato la propria
coscienza non sappiamo ancora in nome di quale routine
o ubbidienza. Nonostante la sentenza di primo grado abbia assolto
i dodici infermieri siamo convinti che, nel processo d'appello,
il comportamento gravemente negligente del personale sanitario
in servizio sarà rianalizzato.
A suo tempo, i consulenti tecnici del GIP Rotondo, dottori Maiese
e Ortano, parlarono, per il personale medico e paramedico, nella
loro perizia, di negligenza commissiva nel mettere in
atto una contenzione fisica con le modalità sopra descritte
e di negligenza omissiva nel non controllare, monitorare
e nutrire il paziente per tutto il periodo del ricovero. Da
parte nostra vogliamo ribadire, come dimostra il filmato, che
i dodici infermieri del reparto di psichiatria di Vallo della
Lucania sono stati soggetti attivi nelle 83 ore di contenzione
di Francesco Mastrogiovanni e hanno agito in prima persona (con
autonomia di scelta e responsabilità così come
prevede il codice) e quindi avevano l'obbligo di denunciare
gli abusi e i comportamenti disumani che si verificavano sotto
i loro occhi.
“Se si potesse chiederemmo che siano condannati ad essere
semplicemente dei buoni medici ed infermieri”.
Con questa battuta il Presidente del Comitato Verità
e Giustizia per Franco Mastrogiovanni, Giuseppe Tarallo, ha
sintetizzato lo spirito che ha mosso, sin dall'inizio, i tanti
cittadini che tanto hanno dato e continuano a dare tutto il
loro apporto affinché venga affermata un po' di giustizia
visto che la verità, su quanto è accaduto all'insegnante
anarchico, ce l'ha raccontata un video della durata di oltre
90 ore.
La prossima udienza è fissata per il 10 marzo 2015.
Angelo Pagliaro
angelopagliaro@hotmail.com
del Comitato Verità e Giustizia per Francesco Mastrogiovanni
La tortura? Un reato
Chiediamo,
oltre all'introduzione nel nostro ordinamento del reato
di tortura, che sia garantito ai familiari e alle associazioni
l'accesso in ogni momento ai reparti, che i pazienti siano
trattati nel rispetto della propria dignità personale
conservando i propri abiti civili e gli effetti personali,
che siano posti nelle condizioni di poter comunicare con
l'esterno, sia attraverso i personali telefoni cellulari
che con i telefoni di reparto e che sia riconosciuto
loro il diritto alla propria difesa e immediata opposizione
al Tso, anche attraverso l'intervento di familiari, associazioni
o legali di fiducia.
Comitato Verità e Giustizia per Francesco Mastrogiovanni |
Novara/
Il monumento al disertore
In piazza delle Erbe a Novara, il 2 novembre è stato
inaugurato il Monumento al Disertore. A cento anni dallo scoppio
della grande guerra, vogliamo tornare a gridare la nostra opposizione
all'idea che ci sia sempre un nemico oltre la frontiera. Il
nostro nemico non è oltre la frontiera, ma è tra
noi. È colui che si arricchisce e manipola l'informazione
e trova in altri la responsabilità delle nostre miserie.
È colui che ogni giorno toglie a noi un pezzo di vita
per non perdere i propri attuali privilegi e l'acquisizione
di nuovi.
Movimento NO-F35 del novarese
www.noeffe35.org
- info@noeffe35.org
fb: Movimento NO F35 del Novarese
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