Anno fine coraggio: mai
Qualche mese fa una studentessa universitaria incontra Carmelo
Musumeci al polo universitario del carcere di Padova e dopo
l'incontro scrive questa lettera.
Caro Carmelo,
mi chiamo Giulia, se ti ricordi ci siamo incontrati la settimana
scorsa, quando sono venuta in visita al Polo Universitario per
il mio progetto di tesi.
È difficile spiegare cosa ho provato a conoscerti e a
conoscervi. Credevo di arrivare libera da ogni pregiudizio,
invece mi sono stupita del clima che ho trovato, delle piacevoli
conversazioni che ho avuto, dell'acutezza e profondità
delle cose che mi avete raccontato. Ti assicuro che il 70% delle
conversazioni che ho qui fuori è di un livello nettamente
più basso. Mentre guidavo per tornare a casa ho capito
che questo mio stupore era figlio di un pregiudizio che non
sapevo di avere. Non mi stupirei di passare un pomeriggio piacevole
al bar con persone qualunque, perché mi devo stupire
del tempo ricco e arricchente che ho passato con voi? Quindi
innanzitutto ti ringrazio e vi ringrazio perché mi avete
ricordato che il pericolo dello stereotipo è sempre in
agguato, la nostra mente tende a semplificare il mondo che ci
circonda se non la teniamo allenata a ricercare sempre la profondità
e la complessità delle cose. Grazie ancora per la disponibilità
con cui mi avete accolta, trovare l'apertura proprio in un carcere
era l'ultima cosa che mi aspettavo. Se puoi ti prego di estendere
il ringraziamento a tutti tuoi colleghi.
La
seconda parte di quello che ti vorrei dire è più
difficile per me da esprimere perché tocca le corde più
profonde del mio cuore. Sono rimasta colpita, tra le tante cose
che mi hai detto, da una tua frase: “Studiare ti fa sentire
molto di più il dolore della pena”. Ho pensato
tanto a questa frase, è stata per me una chiave che ha
aperto un mondo al quale non avevo mai dedicato la giusta attenzione.
Mi ha fatto cambiare totalmente la prospettiva con la quale
voglio scrivere la mia tesi, che non sarà di sicuro un
trattato a livello internazionale, ma è mia, e anche
se non la leggerà nessuno, voglio che tratti il tema
dalla giusta prospettiva: la vostra.
La sera stessa avevo una cena con alcune mie amiche, non potevo
smettere di parlare di te. Del modo in cui ti sei raccontato.
Ancora una volta parlando con loro ho scoperto il pericolo del
pregiudizio, attaccato, incrostato dentro di me.
Mentre mi parlavi non ho mai mai mai visto, neanche per un secondo,
un criminale. Chi credevo di trovare? Hannibal Lecter? Davanti
a me ho visto un papà, un nonno, una persona colta ed
intelligente, un uomo dotato di grande empatia e doti comunicative.
Ho visto il mio papà, che è anche nonno, e che
è anche uomo intelligente, me lo hai ricordato tanto.
Sarà che lui è il papà più bravo
del mondo, ma in te ho rivisto il papà più bravo
del mondo.
Insieme alle mie amiche quella sera abbiamo letto tante cose
su di te, la tua storia, la tua famiglia, il tuo percorso. Io
inizialmente non volevo sapere per quale reato fossi stato condannato.
Avevo paura di poter cambiare idea su di te, di spaventarmi
delle emozioni che ho provato ascoltandoti. Ho avuto paura di
non riuscire più a vederti come uomo ma solo come delinquente.
E invece no, conoscere la tua storia mi fa essere ancora più
vicina a te come persona e alla tua causa. Anzi è proprio
la tua storia a dare il vero senso alla tua lotta.
Mi indigno con te di vivere in una società che non offre
un'altra possibilità ad un uomo, papà, nonno come
te. E a tanti altri come te. Mi indigno di un sistema penale
che mette anno di fine pena 9999, una grottesca ironia, una
sadica dicitura, una presa in giro. Mi chiedo dove sarei adesso
se quando ho sbagliato nessuno mi avesse perdonato.
Ti ringrazio per il coraggio e la forza che metti nel cercare
di cambiare le cose. Non solo per te, ma in nome di un senso
di giustizia più grande. Forse non conterà molto,
ma conoscerti, leggere ciò che scrivi, ascoltare le tue
interviste, mi ha fatto cambiare idea, mi ha tenuto il pensiero
e il cuore impegnati per giorni. Ho riflettuto tanto sul significato
delle parole che usiamo superficialmente tutti i giorni: colpa,
colpevole, criminale, pena, buoni, cattivi. Il tuo definirti
“cattivo”, in contrapposizione ai “buoni”
che ti condannano ad una punizione senza vie d'uscita, è
un contrasto così forte che ci costringe a rimettere
in discussione la nozione stessa di bene e di male. La parola
“cattivo” non sta bene con i tuoi occhi, con i tuoi
modi, con la tua umanità, è un po' come il calzino
con i sandali dei tedeschi per capirci, non ci sta.
Ho parlato di te al mio amore, alla mia famiglia, ai miei amici
e anche alla mia nipotina, che come sempre, con i suoi 4 anni
ha più ragionevolezza della maggior parte degli adulti.
Forse non conterà molto ma come disse Madre Teresa, se
non mettessimo la nostra piccola goccia, l'oceano sarebbe un
po' più vuoto. Forse non conterà molto ma se posso
fare qualcosa, ci sono.
Grazie per la tua forza, per il messaggio che passi ai più
giovani, per l'impegno, per non fermarti mai di dire, scrivere,
raccontare. Anno fine coraggio: mai.
Ti abbraccio,
Giulia Duca
Nello scorso numero abbiamo parlato del libro Totu
sa Beridadi, autobiografia di Mario Trudu, ergastolano
ostativo, condannato per sequestro di persona, in carcere da
35 anni. Uscito in anteprima con l'associazione Strade Bianche,
è pubblicato ora nella collana Eretica di Stampa
Alternativa. Da febbraio in libreria.
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