persone
Soldatini d'inchiostro
di Giuseppe Ciarallo
La satira antimilitarista nei racconti di Anton Germano Rossi.
Sotto il fascismo.
Se fosse possibile seppellire
il potere, qualsiasi potere, con una risata, l'armonia regnerebbe
sovrana sulla terra visto che l'atto del ridere è quasi
automatico nell'uomo, in qualsiasi situazione, e questa esplosione
liberatoria non può essere repressa né controllata
da alcun regime dittatoriale o fondamentalismo religioso. Purtroppo
però la storia insegna che le dittature si rovesciano
con la forza e la ribellione popolare, e che la satira non ha
miracolose capacità taumaturgiche in grado di sconfiggere
i mali sociali.
La satira, l'ironia, lo sberleffo possono però sottrarre
consenso, possono cancellare l'aura di sacralità o di
grandiosità che ogni tiranno tende a cucirsi addosso,
possono riportare in basso, tra il popolo, ciò che tende
a innalzarsi sopra di esso, possono insomma denudare il re e
smascherarne la vulnerabilità quando non addirittura
la pochezza.
A
tal proposito mi viene in mente che in molte località
catalane, artigiani locali creano statuette in terracotta raffiguranti
i cosiddetti potenti (da re Filippo VI all'ex sovrano Juan Carlos
e annessa famiglia reale, a Obama, al papa, ai primi ministri
e presidenti di altri stati) placidamente assisi su un water
nell'espletare quell'atto che, nell'immaginario popolare, rende
uguali tutti gli uomini della terra, dal più umile al
più autorevole.
Uno dei più efficaci modi di fare satira è però
quello di smontare il linguaggio del potere, amplificandone
la vena retorica fino al parossismo, fino a renderlo ridicolo.
Su questo registro si posiziona, ad esempio, l'attore Paolo
Poli quando nel suo spettacolo Mezzacoda, del 1979, passa in
rassegna mezzo secolo di cultura italiana attraverso la canzone,
particolarmente soffermandosi e versando fiumi di soda caustica
sui roboanti inni patriottici di inizio '900 e sulle marcette
militari di epoca fascista (La madre dell'alpino, Inno
dei tubercolotici trinceristi, Soldatini di ferro,
Balilla cuor d'oro, La canzone dei picchiatelli,
Mister Churchill come va?, La sagra di Giarabub,
I lanciafiamme, La canzone dei sommergibilisti)
con un uso della voce teso a depotenziare il vigore e la carica
persuasiva delle parole, in qualche modo a “effeminare”
quanto di più macho ci possa essere, e cioè l'uomo
guerriero.
Un'operazione simile, ma in campo grafico, fa Maurizio Bovarini
nel suo libro Eia Eia Trallallà, del 1975. Con
un tratto potente fatto di graffi di china che sembrano frammenti
di una bomba esplosa, Bovarini mette alla berlina le parole
d'ordine del fascismo; i tragicomici personaggi di quella macabra
commedia, i reduci, i gerarchi, gli squadristi, lo stesso duce
vengono impietosamente ritratti come putrescenti cadaveri che
vomitano i loro motti vuoti, inutilmente altisonanti, in alcuni
casi autoassolventi come quando fa recitare ai macellai in camicia
nera la nota frase “la nostra violenza deve essere cavalleresca,
aristocratica, chirurgica, e quindi in un certo senso umana”.
Più scanzonati e canzonatori i soldatini di Bonvi, le
famose Sturmtruppen, che il fumettista modenese disegna e pubblica
a partire dal 1968. Qui i piccoli soldatini nazisti, che parlano
un buffo italiano “germanizzato”, sono il mezzo
attraverso il quale l'anarchico (nell'accezione più ampia
del termine) Bonvi sbeffeggia le perversioni che sono parte
integrante di ogni sistema bellicistico, quali la disumanizzazione
del soldato, il concetto di cieca obbedienza, il rigore, la
follia e l'ego smisurato dei generali, l'esercizio del potere
per il potere. Nelle trincee tedesche si snodano una serie di
situazioni surreali e grottesche tanto che, nel vedere e ascoltare
poi discorsi nostalgici di quel triste passato, difficilmente
non si scoppierà in una sonora risata ripensando ai ridicoli
soldatini di carta.
Gli esempi di satira antimilitarista sin qui riportati sono
però del periodo post bellico, addirittura di un momento
molto fervido della giovane democrazia italiana, quali furono
gli anni '70. Ma, mi sono chiesto più volte, sarebbe
stato possibile esercitare una critica al sistema della dittatura
fascista e a quel suo organizzare in senso militare la vita
dell'intera nazione, inquadrando i cittadini fin dalla più
tenera età (figli e figlie della lupa, balilla e piccole
italiane, avanguardisti e giovani italiane, Gruppi Universitari
Fascisti, corporazioni)? E se sì, in che modo ciò
sarebbe stato realizzabile?
Il quesito è rimasto in sospeso nella mia testa fino
al giorno in cui ho avuto tra le mani un libro di Anton Germano
Rossi, autore di cui non avevo mai sentito parlare in precedenza,
e col quale entrai in contatto per puro caso.
La contronovella
Ma chi è Anton Germano Rossi?
Le notizie che si possono rintracciare sul web sono poche e
frammentarie. Di lui si sa che nacque a Parma nel 1899, che
morì nel 1948, che visse a Roma, che scrisse sul Marc'Aurelio,
che fondò Il Giornale delle Meraviglie e che la
morte lo colse prima di riuscire a pubblicare la sua rivista
Il Giornalaccio.
Dalle note tratte dall'antologia Ridi Poco – Umoristi
Italiani Contemporanei veniamo inoltre a sapere che Anton
Germano Rossi fu direttore de Il Caffè, condirettore
de Il Travaso, collaboratore de La Stampa e altri
quotidiani. Un'importante notizia che le note del libro, pubblicato
nel 1943, ci danno, è che lo scrittore “richiamato
quale capitano di fanteria, è a combattere valorosamente
sul fronte russo dove è stato anche decorato sul campo”.
Non mancano invece giudizi sulla sua scrittura. Dalle annotazioni
che accompagnano alcuni suoi racconti, si può notare
la distanza tra il modo in cui il mondo accademico ed editoriale
“legge” la prosa di Rossi, definita “di forza
comica aggressiva, petroliniana, dirompente [...] malgrado la
mancanza di ogni ambizione letteraria e di ogni letteraria civiltà”,
e il fastidio con cui l'autore guarda all'aggettivo “umorista”,
che sempre vede accompagnare il termine “scrittore”,
quando a lui riferito. A tal proposito Rossi scrive: “quello
che impropriamente si chiama umorismo, e che sarebbe l'arte
di far apparire come naturale ciò che non dovrebbe normalmente
accadere, non può in letteratura essere arte staccata,
ma è uno dei mezzi dello scrittore”. Rivendicando
così la dignità letteraria dei suoi scritti. E
aggiunge, a proposito della forma “contronovella”
dei suoi racconti: “le contronovelle vanno molto più
in là di un espediente per divertire: volevano essere
la satira di un mondo fossilizzato; quando furono scritte cercavano
di rendere quel qualcosa di staccato e di automatico che si
era formato nel sentimento della gente, volevano sintetizzare
l'esasperato convenzionalismo che era in ogni gesto e in ogni
atto della società, che per tre quarti sulla via della
pazzia, si credeva perfettamente sana”. E ancora, sulla
tecnica: “occorre che il cervello rimanga come continuamente
a fuoco perfetto sul soggetto centrale, facendolo muovere senza
che neppure per un millesimo di secondo tocchi i bordi del campo,
pena l'immediata sfocatura e la precipitazione nell'assoluta
mancanza di senso comune”.
Fatte le dovute presentazioni, vorrei concentrare l'attenzione
sulla raccolta di racconti Porco qui! Porco là!,
pubblicato per la prima volta nel settembre 1934, anno XII dell'era
fascista. “Brevi storie surreali, di una gelida comicità,
dove egli effettua con rigore sperimentale un totale capovolgimento
o stravolgimento delle situazioni più banali e correnti.
Una galleria assurda e divertente di vecchiette che saltano
sugli alberi, di cadaveri, di bambini presi a calci in appositi
negozi: il tutto in uno stile strano, antiletterario, mosso
dal ritmo irregolare della vita e dei discorsi di ogni giorno”.
Questa la nota che accompagna la pubblicazione di una contronovella
sulla rivista Il Delatore, n. 1, 1964.
Mi permetto di sottolineare, anche se già fatto, che
la data di pubblicazione del libro risale al settembre 1934.
Dal 1932 Mussolini cercava un pretesto per aggredire e conquistare
l'Etiopia. Nel 1934 il duce del fascismo indirizzò ai
militari vari promemoria che fissavano l'obiettivo di una conquista
totale del paese. Alla fine dello stesso anno, un incidente
di confine tra la Somalia italiana e l'Etiopia, nei pressi di
Ual Ual, diede modo al regime di denunciare un'aggressione abissina
alla colonia italiana e il 30 dicembre Mussolini inviò
ai suoi generali “Direttive e Piano d'azione per risolvere
la questione italo-abissina”, in preparazione dell'invasione,
senza preavviso né dichiarazione di guerra, che ebbe
inizio il 3 ottobre del 1935.
Inutile ricordare che in quell'epoca l'intera società
italiana era militarizzata. Per i giovani venivano approntati
annualmente i Campi Dux, che avevano la finalità di “accertare
l'efficienza effettiva dei comitati, accertarsi dei risultai
conseguiti nella formazione fascista degli avanguardisti, accertarsi
del grado di addestramento militare degli avanguardisti, accertarsi
della capacità dei graduati avanguardisti in relazione
al grado che rivestono”. Il tutto attraverso un concorso
che comprendeva il campeggio, attività ginnico sportivo
militari, convegno internazionale di ginnastica, gare speciali
per reparti mitragliatrici, gare speciali per reparti cannonieri
e altre similari attività. Questo, mentre “diecimila
persone entusiaste assistono al varo dell'incrociatore Raimondo
Montecuccoli, per virtù del clima fascista che fa di
ogni italiano un soldato leale della grande causa”. (La
Stampa, venerdì 3 agosto 1934). Queste due notizie sono
state da me prese a caso da quotidiani dell'epoca.
Ecco, incomprensibilmente è in questo clima che vede
la luce Porco qui! Porco là! Incomprensibilmente
perché oltre ai personaggi che scombussolano la “normalità”
fascista, intesa come ordine, legalità, consuetudine
e dunque assenza di elementi di disturbo (vecchi paralitici
malmenati, anziane signore scaraventate dai finestrini di un
autobus, giovani donne insidiate da vecchi borghesi, un dinamitardo
che non riesce ad accendere la sua miccia, soccorso e aiutato
da gentili passanti, assassini che raccontano il loro crimine
a poliziotti accondiscendenti), nel libro è contenuto
un intero capitolo dal titolo Il prode capitano o L'arte
della guerrache è una sorta di surreale diario diviso
in tredici giornate, più un capitoletto conclusivo, La
vittoria.
La guerra, un giochino scemo
Di seguito, una carrellata di personaggi e dialoghi insensati
contenuti nel libro.
- Chi è lei? Cosa vuole? – Gridò a un
tratto il prode capitano a un vecchio fuciliere che passava.
- Buongiorno – disse il vecchio fuciliere – io sono
il nemico: devo andare avanti con alcuni amici a conquistare
quella collina.
- Non si può! – ribatté il prode capitano
– per conquistare quella collina bisogna passare sul corpo
dei miei vecchi granatieri.
- Lo lasci andare – suggerì il vecchio granatiere
– e la finisca con questa storia di farci sempre passare
il nemico sul nostro corpo. In un mese, per gusto suo, son ridotto
che non mi posso chinare tanto son pieno di dolori.
- Attenzione! – gridò il prode capitano –
Viene il nemico!
- Senta – disse il vecchio granatiere – non è
per me, ma queste cose vanno dette gradatamente, ci sono dei
malati di cuore.
- Oggi – gridò il prode capitano – ci copriremo
di alloro.
- Tutti i gusti son gusti – commentò seccato il
vecchio granatiere – ma con questa storia di coprirci
di alloro, uno la sera si ritrova tante foglioline nel colletto.
- È venuto il nemico a lamentarsi – disse il vecchio
granatiere – sono già due volte. Dice se possiamo
sparare più piano. C'è gente che dorme.
- Hanno ragione! – rombò il prode capitano –
Cosa diresti se lo facessero a noi?
- Ecco il biglietto per l'attacco – disse la staffetta
impolverata – c'è mica un gabinetto da queste parti?
- Siete venuto ventre a terra? – domandò il prode
capitano.
- Non me ne parli – sbuffò la staffetta impolverata
– con questa storia del ventre a terra è un guaio
serio: ci vuole un vestito la settimana.
Nel capitolo relativo all'undicesima giornata il sergente si
è dimenticato di spedire la dichiarazione di guerra al
nemico...
- Ma c'è proprio bisogno della dichiarazione di guerra?
– azzardò timidamente il valoroso sergente.
- Ma vedi che modo di ragionare! – urlò il prode
capitano – Neanche fosse la prima volta che fa la guerra...
- Ma senta... abbiamo fatto tante volte la guerra senza
dichiarazione... – insisté il valoroso sergente.
- No, no... – disse scuotendo il capo il prode capitano
– si ricorda poi che grane vennero fuori?
- Si può sapere che vuoi? – gridò il prode
capitano spazientito e aprendo di colpo il cassetto –
Vuoi una medaglia? Tie'! – disse porgendogli una medaglia
d'argento – e non mi rompere più le scatole.
- Senta – disse il vecchio artigliere sorridendo furbescamente.
- Che c'è? – minacciò il prode capitano
– la vuoi o no?
- La gran croce non si può avere? – disse timidamente
il vecchio artigliere allungando lentamente la mano.
- Se non te ne vai subito senti! – gridò il prode
capitano lanciandogli la medaglia.
- Hai sentito? – gridò il vecchio granatiere al
vecchio artigliere che passava in quel momento – Abbiamo
vinto la guerra.
- No! – esclamò fermandosi il vecchio artigliere.
- Proprio così – disse il prode capitano.
- No, lei scherza... lo fa per pigliarmi in giro –
si schermì il vecchio artigliere sorridendo con lo sguardo
al vecchio granatiere e al prode capitano.
- No, no... – disse il vecchio granatiere seriamente
– ha vinto la guerra sul serio.
- Oh! Ma come son contento! – esclamò il vecchio
artigliere giungendo le mani – Chissà come sarà
contenta la mia vecchia!
A nascondino col regime
Ecco, in Porco qui! Porco là! la guerra diventa
un giochino scemo giocato da mocciosi stupidini che continuano
a farsi scherzi e dispetti, che rispondono al linguaggio retorico
e tronfio del regime sottolineando fino a destrutturarli i tanti
luoghi comuni usati (passare sul corpo del nemico, coprirsi
d'alloro, correre ventre a terra) e depotenziando quei termini,
“gloria”, “onore” con annesse medaglie
e decorazioni, che sempre sono premio e vanto dei peggiori massacri
provocati e subiti.
Ma Anton Germano Rossi va oltre, e nel suo romanzo L'Anticamerone
(che nel titolo ricorda e fa la parodia al capolavoro di Giovanni
Boccaccio), del 1943, nel bersaglio della pungente satira finiscono
nientemeno che i servizi segreti (all'epoca, la tristemente
famosa OVRA, polizia segreta del regime fascista che operò
dal 1930 al 1943, e poi nella Repubblica Sociale Italiana sino
alla definitiva sconfitta del fascismo). Nell'episodio La
storia di Kroff, Rossi narra le buffe vicende di un sedicente
agente segreto che millanta il possesso di documenti di estrema
importanza contenuti in una misteriosa busta nera contrassegnata
dalla sigla AK. I servizi informativi di molte potenze straniere
cercano di arrivare a quelle informazioni utilizzando ogni metodo,
principalmente quello della seduzione da parte di incantevoli
spie, donne conturbanti che si concedono al nostro agente nel
tentativo di carpirne i segreti. Il racconto si risolve nel
dialogo tra l'agente segreto e un suo amico che si domanda come
egli faccia ad avere sempre donne bellissime al suo fianco.
- Ma... dovrai spendere un monte di quattrini... quelle son
donne che...
- Neanche un soldo... sai che cosa vuol dire neanche un soldo?
- Ben, senti... – fece l'amico cambiando posizione sulla
poltrona – io non capisco proprio come tu faccia... perché
da quello che ho potuto notare poi... si danno a te con trasporto,
con entusiasmo... con ansia...
- Altroché! E nota: hanno un pregio che poche amanti
possiedono... quello di andarsene... non farsi più vedere...
non insistere, insomma, con scenate od altro, quando tutto è
finito tra noi...
- Ma come fai? Come fai? – riprese l'amico – Dopo
tutto, scusa sai, ma vi sono centinaia di uomini più
belli, nobili, ricchi, che darebbero chissà cosa per
avere una sola di quelle donne.
Il giovanotto possessore della busta ebbe uno strano sorriso
e poi abbassando la voce disse: Avvicinati... siccome di te
mi posso fidare, te lo voglio proprio dire... ma per carità,
acqua in bocca! Si tratta di questa busta dove dentro non c'è
che un pacco di giornali vecchi... e di una mancetta che ho
dovuto dare ad un mio amico, usciere all'ufficio segreto di
polizia politica, che ha messo la mia fotografia al posto di
un'altra in un certo cassetto...
Sembra quasi che Anton Germano Rossi abbia giocato a nascondino
col Regime, facendosi fine e sottile, o folle e imprevedibile,
tanto da passare attraverso il severo setaccio della censura
fascista. Non so come abbia fatto, ma i suoi lavori stanno a
testimoniare che anche le più feroci dittature non sono
in grado di arginare la naturale tendenza dell'uomo al sarcasmo
e alla (liberatoria) risata.
Giuseppe Ciarallo
Leggere
Rossi
Il Delatore (Rivista), n. 1 La Follia (Ed. La Cartaccia,
1964)
Ridi Poco – Umoristi italiani contemporanei
(a cura di Buzzichini e Ferrieri), (Ulrico Hoepli Editore,
1943)
Anton Germano Rossi, Porco qui! Porco là!
(Edizioni Corbaccio, 1934)
Anton Germano Rossi, L'Anticamerone (Rizzoli, 1943)
Anton Germano Rossi, Il sesto continente (De Carlo
Editore, 1944)
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