Movimento
anarchico/Per uscire dalle secche
La fotografia che “A” 392 (ottobre 2014) presenta
in copertina riporta una scritta che lancia un perentorio “Diffondi
l'autogestione” che insieme alla proposta di Nicosia
e Berti (di una
collaborazione politica tra anarchici e radicali commentata
da Paolo Papini, in “A” 394 (dicembre 2014/gennaio
2015) sotto il titolo: “Abbiamo davvero bisogno dei radicali?”)
rappresentano, a mio avviso, due S.O.S. lanciati al movimento
anarchico e libertario perché questo si decida a fare
qualcosa di concreto per uscire dalle secche della nicchia in
cui, per ragioni storiche e non, giace da troppo tempo per recuperare
quel protagonismo sociale che è parte non secondaria
della nostra natura e condizione irrinunciabile alla nostra
stessa identità ed esistenza. Le due proposte comunque
risultano di per sé irricevibili in quanto il futuro
del movimento, dopo l'esaurimento dell'aspettativa rivoluzionaria
(inadeguatamente sostenuta sempre e solo da elementi ideali
e ideologici), non può basarsi su proposte estemporanee
quali quelle che stiamo qui considerando, ma solo su un progetto
concretamente rivoluzionario che il movimento deve decidersi
a discutere e progettare (e organizzarsi per la sua attuazione)
del quale, più avanti, avanzerò una proposta.
Intanto:
a) “Diffondi l'autogestione” è un invito
(ovviamente di per sé positivo) che però non può
essere rivolto che a realtà culturalmente e politicamente
già predisposte a recepirlo, cioè a realtà
interne o vicine al movimento mentre sarebbe importante (per
le ragioni che stanno alla base del nostro isolamento sociale)
farlo pervenire alla fetta svantaggiata e numericamente maggioritaria
della società che, invece, resta fuori dalle nostre capacità
d'intervento. Essa sta vivendo una stagione di incertezze dovute
a una crisi scaricata tutta sulle sue spalle in contemporanea
alla perdita di ogni storico punto di riferimento politico volatizzatosi
insieme alla scoperta della sua incorreggibile natura truffaldina.
È questo un popolo allo sbando e, come tale, pronto a
tutto quindi - potenzialmente/teoricamente - pronto anche a
pratiche di autogestione se queste non gli apparissero cose
di un altro mondo rispetto a una assuefatta fiducia nel “sistema
democratico rappresentativo” ancora ritenuto valido da
questi come dal resto della società. Un primo atto per
il superamento del nostro isolamento sociale sarà un
capillare lavoro di demolizione di queste illusorie certezze “democratiche”; lavoro che richiederà un
nostro impegno completamente innovativo entro la società
rispetto a quanto abbiamo operato nel passato e ancora oggi
operiamo. Anche questo tema riprenderò più avanti
in quanto, a mio avviso, centrale nel definire il ruolo dell'anarchismo
nel XXI secolo.
b) Ancora più irricevibile la proposta di Nicosia e Berti
in quanto suona come una resa, un abbandono di ogni prospettiva
rivoluzionaria e genuinamente libertaria per le implicazioni
che tale scelta contiene: un “de profundis” alle
aspirazioni che supportano le stesse ragioni della nostra esistenza
che con il riformismo non può avere niente in comune
tanto più con un riformismo disposto a una flessibilità
a trecentosessanta gradi come Papini ben chiarisce nel suo intervento.
E questo quando le varie espressioni di quella “sinistra”
che hanno egemonizzato politicamente e culturalmente il XX secolo
- fossero esse riformiste o “rivoluzionarie”- hanno
dimostrato la loro incapacità strutturale a sostenere
una decisa opposizione al capitalismo essendo di questo solo
versioni diverse dal momento che - come il capitalismo - hanno
nella conquista del potere, - a esclusivo vantaggio dei gruppi
dirigenti e delle caste che da sempre il potere detengono -
il fine primo e ultimo della loro politica.
Comunque, al di la dei loro dichiarati intenti, “Diffondi
l'autogestione” e la proposta di Nicosia e Berti meritano
un positivo riconoscimento come preoccupati appelli tesi a sottolineare
l'urgenza, per il movimento anarchico e libertario, di prendere
iniziative che lo proiettino nella realtà del XXI secolo
con la coscienza che perseverare sulle consuete posizioni attendiste
significa votarsi all'auto-annientamento (pericolo agitato a
suo tempo da Nico Berti e affrontato da un mega dibattito ospitato
da questa rivista per oltre un anno). Dibattito che avrebbe
dovuto definire il ruolo dell'anarchismo nel XXI secolo, ma
conclusosi con un nulla di fatto come se invece di un tema fondamentale,
diciamo pure vitale per il nostro futuro si fosse disquisito
così a lungo solo per puro spirito accademico.
Riflettere su questa conclusione ci porta a chiederci se il
termine anarchismo ha assunto oggi un significato affatto diverso
da quello che a suo tempo Errico Malatesta definì in
maniera chiara e sintetica e cioè: essere lo strumento
- opportunamente e continuamente rivisitato e aggiornato sul
particolare momento storico - che agisce nella viva realtà
per affermare i principi propri dell'anarchia. Non cogliere
l'importanza che riveste, di volta in volta, la definizione
dell'anarchismo alla luce della realtà in cui deve operare
vuol dire che si hanno in serbo altre soluzioni per l'affermazione
di una società diversa, come il pensare, per esempio,
essere sufficiente conservare il pensiero anarchico, il mantenere
accesa la fiaccola per illuminare il momento in cui l'umanità
sarà pronta, per deterministica evoluzione, al grande
cambiamento.
Purtroppo osservando quanto sta oggi succedendo nel variegato
mondo dell'anarchismo penso (sperando di sbagliarmi) che l'atteggiamento
dominante sia proprio quello di una “aspettativa”
che il divenire dovrebbe comunque soddisfare mentre, nella realtà,
prende corpo e si realizza solo e soltanto ciò che l'uomo
progetta e costruisce usando idonei strumenti per cui, queste
mie note sono rivolte a chi (se esiste) e a coloro (se esistono)
che credono come me che il movimento anarchico e libertario
- nell'affrontare il problema del “che fare?” nella
realtà del XXI secolo - ha una sola risposta valida:
definire il ruolo di un anarchismo capace di progettare una
strategia rivoluzionaria da costruire su analisi realistiche
(“scientifiche”) a tutto campo, analisi che il movimento
dovrà dibattere con spirito costruttivo, cioè
con un dibattito che voglio definire adulto, che parta dalla
realtà e nella realtà porsi le sue conclusioni.
Ettore Pippi
Empoli (Fi)
Serve un elenco delle multinazionali (per farne a meno)
Buongiorno,
vorrei con questa mail proporre un tema di riflessione. Ultimamente,
specialmente in Italia, si tende in maniera particolare a criticare
senza fornire una valida alternativa. Un esempio è la
cosiddetta crisi economica. I parlamentari continuano a convincere
il popolo che aumentare le tasse sia giusto per far sì
che si torni a stare bene come un tempo. Ma io non sono d'accordo.
Per risollevare un Paese bisogna partire dal basso perché
dall'alto non ha mai funzionato. Io dal basso della mia ignoranza
oserei dare un suggerimento. Dato che per abbattere un potere
bisogna prima abbattere l'ignoranza del popolo (la storia ci
insegna), bisogna fare in modo che le persone sappiano a cosa
vanno incontro comprando determinati prodotti. Sì, sto
parlando delle multinazionali.
Come può andare meglio l'economia del nostro Paese se
continuiamo ad acquistare negli iperstore i soliti prodotti
forniti dalle solite 5 o 6 multinazionali?! L'economia dovrebbe
essere fatta girare dal basso e tutti dovremmo impegnarci a
comprare e sostenere le piccole aziende, andando a ricercare
non tanto la convenienza o il “gusto” del prodotto
quanto l'origine naturale del prodotto. Ma tutto questo non
vorrebbe per forza dire autarchia. Anzi sarebbe un'ottima merce
di scambio con i popoli stranieri rendendo il “denaro”
non più un valore che divide ma uno che unisce! Per questo
penso che sarebbe utile un elenco delle multinazionali e delle
varie marche che possiedono, in modo da poter scegliere responsabilmente
quali prodotti portarsi in casa.
Ognuno di noi può trovare questi grappoli di potere,
basta una connessione internet. Non basta lamentarsi e fare
critiche per migliorare la nostra situazione, per raggiungere
un obiettivo bisogna agire ora.
Vi chiedo scusa per questo mio sfogo, ma voi siete le persone
che reputo più adatte ad ascoltare questo tipo di denuncia...
Nella speranza di non essere stato causa di una perdita di tempo,
vi porgo i miei migliori ossequi.
Paolo Sandrone
Cherasco (Cn)
A proposito di Mattarella e Tsipras
Il periodo a cavallo tra gennaio e febbraio di questo 2015 è
stato denso di avvenimenti in Italia e nel mondo.
In Italia, a fine gennaio si è votato per eleggere il
Capo dello Stato senza che nessun organo istituzionale abbia
potuto scegliere tra una rosa di eleggibili: con la solita arroganza
e disprezzo per le procedure consuete, con un colpo di mano
che, di fatto, ha esautorato il Parlamento, il presidente del
Consiglio ha imposto, il giorno prima del voto, al suo partito
prima e poi alle Camere riunite, il nome da lui prescelto e,
con ogni probabilità, concordato con il suo interlocutore
del Patto del Nazareno.
Intendiamoci: il nome di Sergio Mattarella non è discutibile
sul piano delle prerogative che devono essere proprie di un
Presidente della Repubblica. Uomo certamente colto, eccellente
costituzionalista, assai apprezzato come docente universitario,
malgrado la vocazione familiare per la politica attiva (il padre
Bernardo fu più volte ministro nei governi democristiani
che si succedettero dal 1953 in avanti; il fratello, Pier Santi,
Presidente della Regione Sicilia sino al suo omicidio ad opera
della mafia nel 1982), Sergio si mantenne sempre lontano dai
giochi di una politica dominata dai Gioia, dai Lima, dai Ciancimino
e dai tanti altri personaggi più o meno collusi con la
mafia. Soprattutto dopo la tragica morte del fratello accentuò
il suo impegno per la difesa dei principi giuridici e costituzionali
del nostro ordinamento, sino a rivestire il ruolo di giudice
della Consulta.
Proprio per queste sue caratteristiche di uomo ligio alle norme
resta incomprensibile la scelta di Renzi di proporlo seccamente
come unico nome da eleggere a Presidente di una Repubblica che,
anche e soprattutto per la sua pratica di governo, si è
distinta per la capacità di eludere le regole. Può
trattarsi di un calcolo azzardato di chi pensa che una volta
al Quirinale, l'uomo intransigente si pieghi alle ragioni di
una pratica politica spregiudicata, costantemente ricattata
da veti incrociati e tuttavia costretta ad arginare, con alibi
sempre meno credibili, la deriva di una comunità nazionale
avviata alla dissoluzione economica e sociale. Può trattarsi,
viceversa, di un calcolo sbagliato; può darsi che l'uomo
in grigio e dall'aspetto mite, interpreti pienamente il suo
ruolo di garante e inverta la tendenza sin troppo compromissoria
del suo predecessore. Non ci vorrà molto per scoprire
la soluzione del rebus.
A leggerlo superficialmente, questo che ho scritto può
apparire un atteggiamento legalistico, di chi attribuisca alle
istituzioni un ruolo che noi anarchici siamo sempre stati lontanissimi
dal riconoscergli. In realtà le cose non stanno così.
Quando in una collettività si consolida il convincimento
che la corruzione sia il cancro inguaribile che affligge la
società intera; quando le diseguaglianze tra i pochi
ricchi e i moltissimi poveri aumentano, e aumentano privilegi
e discriminazioni, allora collassano anche le più semplici
norme della convivenza civile, i conflitti tra le persone si
inaspriscono e si perde il senso della comunità. In un
contesto così devastato anche a noi anarchici è
difficile tornare a parlare dei valori che ci contraddistinguono
e che continuiamo strenuamente a difendere. Dove la sopravvivenza
è difficile e sempre più si afferma la legge dell'homo
homini lupus, non è facile parlare di libertà
e di eguaglianza, di anarchia, insomma!
Ecco perché un uomo normale come Sergio Mattarella, non
compromesso oltre certi limiti col mondo politico attuale, può
essere un inquilino del Quirinale migliore di tanti altri.
Pochi giorni prima dell'elezione di Sergio Mattarella a Presidente
della Repubblica italiana, il 25 di gennaio, si ebbe la travolgente
vittoria di Syriza alle elezioni greche, una massa di voti che
portò il leader della sinistra a sfiorare la maggioranza
assoluta in Parlamento.
Era un evento che sembrava andare molto al di là dello
specifico locale perché con il nuovo governo si apriva
un contenzioso che non coinvolgeva soltanto i rapporti tra lo
Stato ellenico e i vertici della Comunità Europea, ma
avrebbe inevitabilmente fatto emergere i forti malumori che
serpeggiavano tra i Paesi più penalizzati dalle politiche
di austerità imposte dal governo d'Europa. Il così
detto memorandum della Troika, infatti, aveva creato un tale
collasso della società ellenica da rendere la vita quotidiana
della popolazione un inferno. Ma non è che altri paesi
dell'Unione stessero meglio. Basta vedere quanto male siamo
messi noi italiani, che sopravviviamo meglio della Grecia solo
perché erodiamo i risparmi delle famiglie accumulati
in anni di sacrifici. Con quei soldi i nonni spesso mantengono
figli espulsi dal mondo del lavoro e nipoti che cercano invano
un'occupazione.
La proposta contenuta nel piano di Varoufakis, responsabile
dell'economia nel governo greco, era ragionevole ma indigesta
per i vertici dell'UE. Il piano, infatti, prevedeva il prolungamento
per altri sei mesi dei finanziamenti europei ed un piano di
rientro dello stato debitorio attraverso la trasformazione dei
debiti in bond, i cui interessi sarebbero solvibili solo se
cresce il Pil; la trasformazione in bond perpetui (che pagano
solo una cedola) dei bond detenuti dalla Bce. Il concetto su
cui si basa questo piano è che senza crescita nessun
Paese è in grado di pagare i suoi debiti perché
gran parte degli aiuti economici che riceve sarebbe impiegato
per pagare interessi. Insomma tutte note stonate soprattutto
per la Cancelliera Merkel e il suo ministro delle finanze Schauble.
D'altra parte, mettere il governo greco di fronte ad un rifiuto
netto, avrebbe significato spingerlo verso un irrigidimento
rischioso per la sorte dell'intera Unione. Infatti, dopo la
vittoria elettorale così netta, era impensabile che Tsipras
decidesse di deludere così presto le speranze dei suoi
elettori, facendo oltretutto marcia indietro su alcuni provvedimenti
già presi (ripristino della sanità pubblica, blocco
alle privatizzazioni, aumento degli stipendi ai lavoratori dello
Stato).
La situazione, quindi era assai intricata e occorreva nell'immediato
un compromesso che non la facesse precipitare. Si è arrivati
così alla decisione di prolungare per altri quattro mesi
i finanziamenti alla Grecia, accontentandosi, per il momento,
di assicurazioni generiche sulle misure da prendere per il rientro
del debito e le garanzie per i creditori esteri.
In realtà, la preoccupazione principale, esplicitata
da Barak Obama, ma presente in sottofondo in molte Cancellerie
europee, era che, chiusi i canali di credito europei, la Grecia
si lasciasse suggestionare dai pifferi russi e cinesi che, con
molto tempismo, si sono dichiarati pronti a subentrare ai partners
europei per il salvataggio dell'economia greca. E questa eventualità,
visti i venti di guerra che spirano in molte parti cruciali
del mondo, è assolutamente da scongiurare.
Antonio Cardella
I
nostri fondi neri
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Sottoscrizioni. Angelo Pagliaro (Paola –
Cs) ricordando Heinz di Urupia, 10,00; Claudio Cometta
(Arogno – Svizzera) 22,00; Marco Gastaldi (Colle
Val d'Elsa – Si) 60,00; Mauro Mazzoleni (Malnate
– Va) 10,00; Gaetano Ricciardo (Vigevano –
Pv) 15,00; Leo Candela (Milano) 20,00; Diego Fiorani
(Concesio – Bs) 10,00; Giorgio Bigongiari (Lucca)
10,00; A. L. Pala (Amsterdam – Paesi Bassi)
10,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Audrey Goodfriend
e David Koven, 500,00; Anna Ubizzo (Marghera –
Ve) 4,00; Gabriella Fabbri (Colognola ai Colli - Vr)
30,00; Anita Pandolfi (Castel Bolognese - Ra) 10,00;
Sandro Galli (Bologna) 10,00; Simone Alfredi (Genova)
10,00; Antonino Pennisi (Acireale - Ct) 20,00; Tomas
Scagliarini (Trani) 10,00. Totale € 1.075,00.
Abbonamenti sostenitori. (quando non altrimenti
specificato, trattasi di euro 100,00). Mario
Palattella (Mestre – Ve); Arturo Schwarz (Milano)
150,00; Marco Bianchi (Arezzo); Matteo Gandolfi (Genova);
Michele Piccolrovazzi (Rovereto – Tn); Gianluca
Botteghi (Rimini). Totale €
650,00.
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