La dittatura del volontariato
Samir arrivò in stazione
alle 22.40 di un giorno di dicembre dell'anno 5 dE (dopo Expo).
Indossava una tunica arancione e sandali di cuoio. Luci rosse
lampeggianti informavano che la temperatura in città
era di otto gradi. Non certo la giornata ideale per sfoggiare
abiti tradizionali, ma a Samir questo importava poco. Contava
di più correre verso la metropolitana per imboccare la
direzione che gli aveva indicato il suo più caro cugino.
Dopo tanti anni si sarebbero rivisti, e l'eccitazione dell'attesa
aveva reso più distratta la scelta del corredo.
Samir aveva freddo e voglia di raggiungere la fermata della
metropolitana. La stazione ferroviaria era grande, sormontata
da un'enorme volta che pareva alitare un respiro metallico sugli
ultimi passeggeri che si affrettavano a imboccare l'uscita.
Le decorazioni natalizie che incombevano sui chioschi chiusi
evocavano un senso di resa.
Era il vuoto di prospettiva a colpirlo, l'insieme di desolazione,
e non ebbe più voglia di soffermarsi sui dettagli.
<Cugino, arrivo> disse, seguendo le indicazioni per il
metrò.
<Fermati, amico, dove stai andando?>
Un tipo robusto sulla trentina lo prese per un braccio badando
a non stringere troppo, come volesse sottolineare il lato consensuale
dell'incontro. Sul suo giaccone trapuntato spiccava una piccola
tessera plastificata che ricordava quelle che si portano ai
congressi. Nome, cognome, associazione di appartenenza.
<Piacere,
sono Dario e faccio il volontario> disse l'uomo, senza badare
alle implicazioni ironiche di quell'accostamento in rima.
Samir lo fissò con un moto di stizza. Volontario? Che
diritto aveva quel tipo di divertirsi alle sue spalle?
<Mi lasci andare> disse.
<Un attimo di pazienza> replicò l'altro. <Prima
lascia che ti spieghi. Io lavoro in un centro di accoglienza
che garantisce pasti caldi, docce, tutto quanto occorre per
riprendere fiato e aspettare che la fortuna torni. Buon Natale,
amico, vieni con noi>
<Ma quale amico? IO STO ANDANDO DA MIO CUGINO, le ho detto
di lasciarmi andare >
<Cugino?> interruppe una terza voce che si materializzò
in una presa sull'altro braccio di Samir. <Allora siamo noi
a poterti aiutare. Vedi, mi chiamo Giovanni e lavoro come volontario
in un'associazione per il ricongiungimento dei parenti... Garantiamo
tempi certi, a differenza delle strutture burocratiche ufficiali...
Ti vedo perplesso. Mai stato all'anagrafe?>
Io sono già ricongiunto, si apprestò a
dire Samir, ma Dario il volontario lo bruciò sul tempo:
<Vedi di andare, l'ho visto prima io> disse all'altro.
<E chi l'ha detto? Hai testimoni?>
<Levati, testicolo, o ti farai male... Non rinuncio al contributo
per uno come te>
<Davvero? Allora tieni!>
Il sinistro rumore di una testata risuonò scricchiolante
sotto la volta della stazione, mentre Samir fissava inebetito
quella scena, pensando a uno scherzo del cugino, o una stramba
forma di benvenuto. Si stavano picchiando per lui. Forse c'era
del buono, ma quei due sanguinavano e lanciavano sbuffi ansimanti
di lotta a una distanza pericolosa, cosicché Samir cercò
di allontanarsi approfittando della ritrovata libertà
di movimento.
Fu un attimo, però, perché un altro tizio che
indossava una strana divisa azzurra in tinta con un basco gli
bloccò il passo: <Un attimo, prego> disse cingendolo
con un braccio, mentre altri tre uomini vestiti come lui stavano
separando i contendenti.
<Insomma, è un sopruso!> protestò Samir.
<Io non c'entro con quei due... mi hanno strattonato e poi
si sono picchiati. Che cosa volete da me? Ho mio cugino che
mi sta aspettando!>
L'uomo si presentò come volontario dell'ordine pubblico,
in servizio presso il corpo degli Angeli ferroviari che
garantiva la composizione delle liti notturne da quando i tagli
avevano ridotto il locale presidio di polizia. Gli Angeli
giravano volontariamente armati.
<Adesso devi venire con noi, se non ti spiace. Sei testimone
dell'accaduto, e in più devi fare alcuni accertamenti
sanitari obbligatori in casi del genere...>
Tutto nella testa di Samir si confondeva ormai in un mulinello
di frasi insensate, e quando il volontario azzurro trasmise
pochi dati a un ricetrasmettitore, lui capì di essere
spacciato. Tempo un paio di minuti, e due ambulanze arrivarono
dai lati opposti della stazione per prendersi carico dei feriti
e dei testimoni.
<Vi dico che non c'entro> implorò Samir, recalcitrante
in mezzo ai portelloni delle ambulanze che si stavano aprendo,
e da cui scesero quattro infermieri, due per parte.
I primi appartenevano all'Ordine dei volontari sanitari,
i secondi alla Benemerita associazione delle croci volontarie.
Estrassero in simultanea le lettighe, e si guardarono subito
in cagnesco.
<Guardate che siamo noi quelli titolati all'intervento>
disse un infermiere della prima ambulanza.
<Sciocchezze> replicarono quelli della seconda.
<La nostra convenzione parla chiaro> disse a denti stretti
il primo, sfogliando un manuale. <Pagina 7, articolo 6bis,
secondo paragrafo: “...i volontari di suddetto Ordine
potranno assistere cittadini stranieri senza rifugio...“>
<Ma io un rifugio ce l'ho!> intervenne Samir. <Mio
cugino mi ospita per...>
<Taci tu!> disse un infermiere della seconda ambulanza,
che si rivolse poi al collega concorrente. <La convenzione
dice che “potete“, non che avete l'esclusiva. E
se permettete questo carico di tre persone spetta a noi. È
tutto il giorno che fate incetta di ricoveri, adesso ci prendiamo
la nostra parte>
<E bravo stronzo... adesso ci fai i conti in tasca? Noi vantiamo
la migliore qualità, per questo i bisognosi scelgono
noi>
<Mani in pasta, altro che... Mafiosi!>
<Che cosa hai detto?>
Le coppie di infermieri si avvicinarono come sfidanti di un
doppio incontro di boxe. Quando i primi pugni partirono, anche
gli altri due volontari che erano appena stati separati ripresero
a picchiarsi sotto gli occhi angelici dei vigilantes, ormai
in numero insufficiente per arginare la rissa, ma riluttanti
a ricorrere alle pistole.
Furono spinte, dita negli occhi, cazzotti, calci e sputi. Samir
ne uscì indenne con un'accorta strategia di fuga facilitata
dalla generale disattenzione. Una ritirata prima lenta, poi
sempre più veloce verso le scale che scendevano sottoterra.
Una discesa a precipizio nelle bocche della metropolitana.
Era stato vittima di una specie di stalking filantropico,
ma i pericoli non erano finiti. Doveva essere cauto. Era solo
a metà strada. Altri volontari si annidavano probabilmente
nelle viscere della città, lungo il tragitto che portava
a casa di suo cugino. Adesso capiva perché quello stronzo
non era venuto a prenderlo in stazione.
Paolo Pasi
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