No Expo Primo Maggio
Il prossimo primo maggio inizia a Milano Expo 2015.
Apriamo questo numero di “A” con un doppio dossier, in due parti.
Nella prima diamo voce alle compagne e ai compagni
della Rete NoExpo.
Nella seconda ci occupiamo della storia
del Primo Maggio, nato a fine Ottocento come giornata di lotta
dei lavoratori.
A fare da ponte tra le due parti, una presa di posizione dell' Unione
Sindacale Italiana che solidarizza con chi, anche e proprio
nella giornata iniziale di Expo 2015, non accetta di lavorare.
Il Primo Maggio non è in vendita, appunto.
No Expo
Attitudine No Expo
testi delle compagne e dei compagni della Rete No Expo
C'è innanzitutto il NO all'evento mediatico che per sei mesi si svolgerà a Milano, c'è la denuncia degli sprechi, delle modalità d'appalto, dei mille aspetti negativi che sono tracimati anche sui mass-media.
Ma contemporaneamente c'è il SÌ a un modello di vita e di organizzazione sociale opposto a quello veicolato dalla fantasmagorica vetrina milanese.
Riprogettare dal basso
Un modello alternativo e antagonista a quello messo in campo
da Expo. Un'opposizione radicale non solo ad un evento mediatico, ma
ad un progetto di società che va ben oltre i sei mesi
dell'Expo.
Se l'Esposizione universale ha una durata temporale e fisica
delimitata (6 mesi, nell'area di 1 milione di metri quadri tra
Rho e Pero, alla periferia nord di Milano), i meccanismi messi
in moto e le sue eredità continueranno anche in futuro,
segnando il futuro del territorio. Allo stesso modo le nostre
assemblee hanno voluto ribadire che anche la lotta NoExpo non
si pone una durata limitata, ristretta tra il periodo che ci
separa dal Primo Maggio e il 31 ottobre 2015, quando Expo finirà:
NoExpo si pone come percorso di lungo respiro, capace non solo
di inceppare il mega-evento, ma anche di radicarsi come pratica
di riprogettazione dal basso della città e del territorio.
Cosa si nasconde infatti dietro Expo2015? Il consolidamento
di un'economia metropolitana fondata sugli eventi e sugli spettacoli,
che prevede un'alta disoccupazione permanente e un lavoro stagionale,
precario e sempre più spesso volontario. Gli accordi
sindacali e lavorativi su Expo, superando i confini temporali
e spaziali del mega-evento, ci raccontano di una atomizzazione
radicale della forza-lavoro, sempre più privata, come
degli strumenti legali per l'auto-organizzazione e la lotta
sindacale: la precarietà è la vera scuola, che
inizia a 16 anni per una durata, quella sì, indeterminata.
Un modello di alimentazione e utilizzo delle risorse fortemente
iniquo, asservito agli interessi dei monopoli e costruito sul
territorio tramite un vasto reticolo di intermediari e distributori;
l'agroindustria è uno dei principali business internazionali,
fondata sulle braccia di lavoratori sfruttati e sottopagati,
è il motore che spinge gli interessi europei e americani
su Expo, il cui vero obiettivo appare sempre più il forzare
la mano sugli Ogm e sulla liberalizzazione del settore agricolo
e alimentare, nei paesi (in primis l'Italia) che ancora pongono
“eccessivi” vincoli. Come nel settore dell'acqua
in cui multinazionali e governi al loro servizio, come il nostro,
spingono sempre più verso la liberalizzazione e la privatizzazione,
laddove non c'è ancora. Il fatto che la piazzetta tematica
dell'acqua nel padiglione Italia sia stata appaltata alla Nestlè,
tra le maggiori multinazionali responsabili della mercificazione
dell'acqua, la dice lunga sul messaggio che Expo vuol dare.
Una retorica verso gli animali-cibo che fa proprie le sensibilità
e le parole d'ordine degli animalisti solo per creare consenso
e marketing, nascondendo le vere torture e dominazioni che,
invece, continueranno a perpetuare sui più deboli senza
nessun cambiamento esistenziale; un governo del territorio che
fa dello stato d'emergenza e d'eccezione la normalità
(giustificata da una grande crisi che ormai si rivela
strutturale), che ignora la volontà popolare e il principio
della trasparenza, esautora gli organismi elettivi, consegna
la pianificazione urbana e territoriale al mercato: nuovi dispositivi
di governo non solo legislativi, ma anche radicati nella città
attraverso la spartizione legale e illegale dei diritti edificatori,
che ridisegnano la geografia urbana (e l'intreccio di livelli
che si porta dietro: mobilità, cultura, alimentazione,
economia, formazione, lavoro).
Sovranità alimentare e sociale
La grande beffa è che tutto questo viene realizzato
indebitando ulteriormente la collettività: oltre 10 miliardi
di Expo e delle opere accessorie (in particolare il reticolo
autostradale, realizzato per un terzo), pesante zavorra che
purtroppo temiamo ci troveremo a dover subire per decenni quando
la sbornia expottimista sarà finita e la città
si ritroverà più povera, ingiusta, cementificata.
Come rete Attitudine NoExpo e come movimenti siamo consapevoli
che è arrivato il momento di unire le forze e intensificare
l'azione collettiva contro il modello Expo2015, ribadendo con
decisione il nostro antagonismo: la sovranità alimentare
e la sovranità sociale contro il modello dell'agrobusiness;
l'autorganizzazione, il diritto al reddito e la centralità
dei lavoratori contro la precarietà e lo sfruttamento
del lavoro ed il boicottaggio del lavoro volontario attraverso
campagne di sensibilizzazione, inchieste e subvertising
a partire dal mondo della formazione; la difesa della Terra
e il recupero del verde pubblico e dei terreni agricoli, rivalutati
in chiave di utilità sociale e collettiva; la riorganizzazione
di scuole e università liberate dall'asservimento al
mercato e alle aziende; una mobilità pubblica per tutte
e tutti; la priorità all'emergenza sociale della casa
e l'assegnazione alle famiglie senza un tetto; la crescente
sperimentazione di forme di socialità non assoggettate
al mercato, inclusive e capaci di riconoscere la dignità
dell'Altro in ogni suo desiderio o esistenza; l'acqua diritto
umano e non merce.
Per ribadire tutto questo è stato condiviso un programma
delle prossime iniziative, da svolgersi in parallelo alla costituzione
di un laboratorio aperto e collettivo sul diritto alla città:
30 aprile – Corteo studentesco per unire le forze
di studenti medi e universitari a livello nazionale e dimostrare
l'opposizione al sistema Expo: contro “Buona scuola”
e lavoro gratuito.
Inizio campeggio No Expo al cui interno si svolgeranno, anche
durante i giorni di mobilitazione, iniziative ludiche e incontri
politici e culturali.
1 maggio - Nel giorno dell'inaugurazione istituzionale
dell'Esposizione universale, May Day Internazionale contro Expo
– mega eventi – grandi opere – precarietà
e sfruttamento.
2 maggio - Seconda giornata di mobilitazione cittadina
e territoriale nel giorno di apertura al pubblico dei cancelli
di Expo.
3 maggio - Conclusione del campeggio internazionale NoExpo
e appello alle prossime mobilitazioni.
È tempo di dimostrare la percorribilità di un
modello sociale, di sviluppo e di civiltà alternativo,
antagonista, che abbia come principio di base l'uguaglianza.
Il lavoro al tempo di Expo
I passaggi e gli accordi che hanno reso Milano e la Lombardia
un laboratorio della precarietà. Come il megaevento trasforma
l'economia metropolitana.
Expo2015, l'abbiamo già detto più volte, è
un'occasione di accaparramento immediato e futuro di risorse
comuni e laboratorio per nuove forme di governo del territorio:
sul fronte della speculazione edilizia e finanziaria, su quello
dello sfruttamento intensivo ed estensivo del territorio e sulla
riorganizzazione della manodopera.
Come tutto nella storia di Expo2015, anche l'organizzazione
del lavoro prima, durante e dopo l'evento ha cominciato a prendere
forma con grande ritardo, quando in teoria tutto doveva già
essere se non pronto, quasi. Vediamo brevemente una cronologia
degli accordi e il loro significato:
• accordo Expo S.p.a. – sindacati confederali del
26/7/2013, relativo ai contratti di lavoro e alla regolamentazione
delle attività interne e/o collegate all'evento, con
la curiosità che la validità è estesa fino
a novembre 2016;
• accordo Comune di Milano – RSU (Rappresentanze
Sindacali Unitarie) del 30/7/2014, valido anche per le attività
collegate al semestre di presidenza italiana del Consiglio europeo;
• avviso comune Regione Lombardia – sindacati confederali
di estensione territoriale dell'accordo di luglio 2013;
• programmi di reclutamento “Università e
scuole per Expo2015”;
• deroga al Ccnl (Contratto collettivo nazionale del lavoro)
per gli operai del settore edilizia, impegnati 20 ore su 24
nei lavori del Sito Expo e nei cantieri delle opere collegate;
• deregulation totale per l'indotto e alcuni settori-chiave:
possibilità di muoversi al di fuori dei protocolli sindacali;
• possibilità per i paesi stranieri di non rispettare
la legislazione italiana sul lavoro nei loro padiglioni.
Legislazione speciale
Tralasciando un momento l'effettiva disponibilità della
popolazione a prestarsi come volontari per un evento che ha
già potuto usufruire di lauti finanziamenti pubblici
e di permessi speciali, questi accordi riguarderanno da un numero
minimo di 18.500 lavoratori (l'esercito di volontari e precari
di cui ha bisogno Expo) ad un massimo ancora difficile da calcolare,
ma che potrebbe a rigor di logica aggirarsi attorno alle diverse
centinaia di migliaia di persone, considerando la possibilità,
per numerose aziende, fino a novembre 2016 di usufruire della
legislazione speciale sul lavoro. Ad occuparsi del reclutamento
di volontari e stagisti per Expo S.p.a è ManpowerGroup,
azienda interinale che diviene di fatto l'unico intermediario
tra il singolo lavoratore ed Expo.
[...] Non si parla di “volontari”, ma si tratta
pur sempre di lavoro non retribuito, nel caso degli stagisti
che verranno per forza di cose impiegati nelle strutture alberghiere
o simili in prossimità di Expo2015 (o più semplicemente
“in zona”): per queste società è possibile
muoversi senza tener conto degli appositi protocolli sindacali,
che potrebbero avere la funzione di moderare le criticità
del grande evento (anche se, a ben vedere, i protocolli sin
qui firmati sono al contrario documenti che legalizzano rapporti
di lavoro prima impensabili e che si pongono come modello su
scala nazionale).
Il lavoro in somministrazione riguarda poi anche tutto il mondo
della formazione che, coerentemente con il progetto di riforma
di scuola e università del governo Renzi, viene presentato
come il naturale bacino di reclutamento di Expo. In particolare
nel caso degli studenti universitari l'arruolamento come volontario
nei propri settori di studio e specializzazione (ad esempio:
comunicazione, informatica, traduzioni) comporta un mancato
riconoscimento formale della professionalità personale.
Un trucco legale che però, se svelato, la dice lunga
sull'idea di istruzione e formazione che sta dietro il mega-evento.
L'eccezionalità del megaevento ed il “gioco di
squadra” che dovrebbe convincerci a concedere il sangue
in cambio della gloria appartengono alla stessa retorica della
crisi e dei sacrifici necessari per uscirne. I protocolli sindacali
sino a qui firmati hanno definito uno stato d'eccezione per
via di Expo2015 (e del semestre di presidenza europeo), in cui
la precarietà viene presentata come unico modello possibile
a sostegno del momento e in cui alle deroghe richieste (ancora
non concesse) rispetto al patto di stabilità seguiranno
debiti futuri nella Pubblica Amministrazione: contratti non
per adeguare la pianta organica, ma per pagare salari senza
detrazione di solidarietà agli stipendi superiori ai
90 mila euro (aggirando così il tetto massimo per manager
e a.d. pubblici); o per assumere illimitatamente personale a
tempo determinato e/o Co.co.co. (cosa che qualcuno teme risulterà
nel lungo periodo a scapito delle assunzioni a tempo indeterminato).
Inoltre è prevista la possibilità di contrarre
debito, sforando quindi il Patto di Stabilità, per attività
legate ad Expo2015.
Ancora più grave è il tentativo di sospensione
del diritto allo sciopero, per il semestre di presidenza europeo
e per il periodo di Expo, concretizzatosi nell'invito della
Commissione di Garanzia sugli Scioperi a porre una moratoria
sulle agitazioni sindacali. Per indire eventuali scioperi o
sospensioni dal lavoro occorreranno più passaggi (prima
uno tecnico, poi uno con un membro della giunta ed infine il
passaggio in prefettura, dove dietro l'angolo la moratoria minaccia
la precettazione dello sciopero). Sempre su questo tema, preoccupa
molto la tendenza (proveniente dai sindacati Confederali a dir
la verità, come nel caso del settore trasporti della
Cgil bergamasca) verso i cosiddetti “Patti Sociali per
il Territorio”, ovvero un accordo bipartisan di fatto
per garantire tutta una serie di servizi e attività strategiche
(in primis, la mobilità e i trasporti).
Nell'ultimo anno questa eccezionalità ha conosciuto un'estensione
territoriale che interessa tutta la Lombardia.
Il significato politico
Muoviamo alcune brevi considerazioni sul significato e il lascito
di questa lunga legislazione speciale sul lavoro.
Anzitutto da una lettura degli accordi, risulta evidente la
filosofia e i principi alla base: flessibilità estesa
e generalizzata; esclusione del tempo indeterminato dall'orizzonte
contrattuale; superamento, dove possibile, della stessa forma-contratto;
volontariato e presunta “ragione sociale” come sostituti
del lavoro salariato e retribuito. Infine, il fatto che nei
padiglioni stranieri viga la normativa del paese aderente, crea
di fatto delle Zone economiche speciali in miniatura per i lavoratori
(che potranno venire direttamente dall'estero).
Notiamo inoltre che il modello legislativo e organizzativo proposto
da Expo2015 è coerente con i processi di trasformazione
urbana e con la redistribuzione di reddito in corso, che non
solo Milano sta vivendo. Il default “a rallentatore”,
tecnico e controllato che l'Italia (come altri paesi europei)
subisce comporta e si intreccia con una serie di processi: impoverimento
generalizzato dei territori, con il suo portato di gentrification,
urbanistica affidata al mercato, perdita di sovranità
da parte delle istituzioni locali; aumento della disoccupazione
e della precarietà lavorativa, dove la ripresa economica
dei paesi e delle città appare sempre più come
un miraggio e nel migliore dei casi si tratta di una ripresa
senza occupazione; quindi città e territori impoveriti,
dove l'afflusso di risorse è slegato dalla vita concreta
delle comunità, ma viene affidato a operazioni speculative,
investimenti occasionali, attività a tempo e spazio determinati
(eventi e/o commercializzazione di singole zone); il lavoro
assume sempre meno forma di continuità e stabilità,
mentre si caratterizza come occupazione stagionale, precaria,
a tempo determinato, dove la tanto esaltata “scala sociale”
è bloccata.
In tutto questo assistiamo all'imporsi di una riorganizzazione
brutale del lavoro e dei lavoratori, come appunto avviene nel
caso di Expo: la retorica dell'Esposizione esalta i valori del
successo e dell'iniziativa individuale, rappresentati dal modello
della micro-impresa (start-up, auto-imprenditoria, ecc); si
propone un'ottica di sempre maggiore autonomia e indipendenza
degli individui, ottenute solo se meritate e precedute da una
fase (questa sì a tempo indeterminato) di sacrifici ed
“esperienza” (leggi: lavoro gratuito). Ma quello
che vediamo noi è invece una progressiva atomizzazione
del lavoro: il legame tra attività lavorativa e salario,
la tutela rappresentata dai diritti sociali e lavorativi, la
dimensione collettiva stessa: tutti questi non vengono più
considerati come elementi costitutivi del lavoro. Scorgiamo
un certo paradosso nel fatto che siano stati i sindacati stessi
a firmare la propria emarginazione e, di fatto, la fine della
propria funzione storica e sociale.
Somministrazione, volontariato, stage, individualità
del rapporto di lavoro, free jobs, deroghe speciali:
la riorganizzazione del lavoro al tempo di Expo priva nel concreto
i lavoratori degli strumenti legali utili alla tutela propria
e di quel più ampio gruppo sociale un tempo conosciuto
come “forza-lavoro”.
Fatta l'analisi è ora venuto il tempo della controffensiva.
Se Expo vuole rappresentare un laboratorio di sfruttamento e
precarietà, questo è allora un motivo in più
per rompere e bloccare la macchina del mega-evento. Restando
fedeli al principio del primo sindacato di precari, disoccupati
e stagionali della storia occidentale, i wobblies dell'Iww
(Industrial workers of the world): “don't mourn, organize''
[non lamentarti, organizzati].
Dietro la vetrina di Expo
Il 5 dicembre scorso, agli ingressi del cantiere di Expo 2015,
è stato distribuito un volantino ai lavoratori. Ecco
il testo.
Nei giorni in cui anche media e sindacati confederali cominciano
a dubitare dei numeri rispetto al lavoro creato da Expo (4.185
unità a oggi contro le 70.000 sbandierate da sette anni
a questa parte dagli expottimisti) abbiamo voluto incrociare
le vite di chi nei cantieri di Expo ci lavora e suscitare in
loro l'idea che Expo si possa scioperare, perchè dignità
e diritti non stanno di casa dove si lavora gratis o a ritmi
massacranti.
Expo 2015 è presentato, nella propaganda di tutti gli
schieramenti politici, come il grande evento che traghetterà
il paese fuori dalla crisi, innescando la tanto agognata ripresa
economica. Effettivamente, Expo 2015 ha già avviato una
ripresa: quella dei profitti e delle rendite, ottenuta grazie
a un intensivo sfruttamento dei lavoratori e del territorio.
Politici, imprenditori, faccendieri e mafiosi banchettano da
anni su appalti da milioni di euro secondo un scientifico e
ben oliato meccanismo di spartizione: ecco chi sono gli unici
attori che beneficeranno delle tanto decantate “opportunità
per il territorio”. Gli stessi che non spendono nemmeno
una parola sui ritmi di lavoro, sulla sicurezza, sugli orari,
sugli stipendi e sulle condizioni di lavoro di chi nei fatti
sta costruendo i padiglioni e le infrastrutture di Expo. Di
quanto succede nel cantiere, dietro la vetrina di Expo, non
si sa niente, neanche quando avvengono gravi incidenti che passano
nel silenzio.
Expo 2015 è un evento salvifico solo per chi sta sfruttando
la crisi per i suoi lauti guadagni, sottraendo miliardi di risorse
collettive per gli affari privati di “cupole” e
centri di potere legali ed illegali. Un evento che lascerà
in eredità solo debito, cemento e precarietà ai
territori che attraversa. Ma Expo è anche un grande laboratorio
che anticipa il paese di domani. È il caso del Jobs Act
– il provvedimento adottato dal governo Renzi che istituisce
la precarietà a tempo indeterminato, taglia i diritti
dei lavoratori, comprime i salari e lascia mano libera alle
aziende nei luoghi di lavoro – anticipato dall'accordo
del luglio 2013 tra Cgil-Cisl-Uil ed Expo 2015 S.p.A., che istituisce
persino il lavoro gratuito come spina dorsale dell'Esposizione
Universale del 2015.
E mentre Expo ti chiede di lavorare sempre più duramente,
anche di notte, per un salario da fame, che non è nulla
in confronto ai loro guadagni, i sindacati confederali firmano
tregue sindacali che limitano gli scioperi e accordi-truffa
che ti rubano reddito e diritti. Se anche tu non vuoi più
raccogliere le briciole che cadono dalle loro tavole imbandite,
unisciti a noi nello scioperare l'Esposizione Universale da
qui al 1 maggio del 2015 e oltre!
Le compagne e i compagni della Rete
NoExpo
Unione
Sindacale Italiana
Via Torricelli 19 -20136 Milano - Tel e fax 0289415932
Via Treviso 33 - 20136 Milano Tel. 0289919073 - 0289919075 -
fax 0240044537
http://www.usi-ait.org
“Il Primo Maggio non è in
vendita”
Renzi minaccia una precettazione ma il Primo Maggio resta la “FESTA DEI LAVORATORI”
con tutto il suo valore e la sua storia.
Istituita in Italia nel 1891 soppressa nel1925 e restituita
nel 1945.
EXPO immagine da tutelare? Bella immagine quella di EXPO
inquisita per collusione con la mafia. Ci chiedono di
lavorare sacrificando la nostra festa per salvaguardare l'immagine
di Milano,
dell'Italia, dell'Expo. Sempre i lavoratori in prima linea,
quei lavoratori che secondo Renzi non hanno diritto di tutele
quali l'articolo 18, devono essere sempre più precari
e flessibili, che non avranno diritto alla pensione, che quella
sbadata della Fornero ha riformato aumentando l'età pensionabile
e creando dal nulla i tristemente famosi esodati.
Adesso hanno bisogno di noi.
Il Primo Maggio non può essere usato come merce di
scambio da nessuno e da nessun sindacato.
Renzi dice di essere pronto a tutto pur di inaugurare EXPO (anche
la mafia è in trepida attesa per concludere i suoi affari)
il Primo Maggio alla Scala con la prima di Turandot ( che non
è neanche un prodotto scaligero).
CARO RENZI AND FRIENDS LA SOLUZIONE C'È: VIA LA CRAVATTA
E IMPUGNATE IL MARTELLO E INAUGURATELO VOI L'EXPO DEGLI SCANDALI
MAFIOSI ALLA SCALA DI MILANO.
Io non sono in vendita e il primo maggio non lavoro.
Un lavoratore della Scala aderente all'USI
– AIT
Come Unione Sindacale Italiana (USI –
AIT) esprimiamo tutta la nostra piena solidarietà ai
lavoratori della Scala che rivendicano il proprio diritto di
non prestare la loro opera nella giornata del 1° Maggio.
Il Primo Maggio, prima ancora di essere considerato una giornata
di festa irrinunciabile, è stato, e lo è tutt'ora,
una giornata di lotta e di rivendicazione, costata enormi sacrifici
alla classe lavoratrice. Ricordiamoci soprattutto delle sue
origini: la condanna all'impiccagione a Chicago per 5 anarchici
colpevoli di aver guidato la rivendicazione della giornata di
8 ore estesa a tutti i lavoratori e le lavoratrici.
Renzi può sbraitare quanto vuole, minacciando rappresaglie
contro quei lavoratori della Scala non disponibili a sacrificare
il Primo Maggio in omaggio all'apertura dell'Expo decisa in
quella giornata.
Un Expo che per noi significa, al di là delle balle che
le Istituzioni raccontano, enorme spreco di denaro pubblico,
devastazione ambientale, regalo alle cosche mafiose; significa
essere al sevizio delle multinazionali nella loro opera di speculazione
e di controllo nell'affare della distribuzione del cibo nel
pianeta; significa sfruttamento della mano d'opera giovanile
praticando contatti di lavoro pagati 1 euro al giorno.
Noi, contro tutto ciò, ci opporremo fermamente!
USI – AIT Sezione di Milano
continua
la lettura del dossier
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