Mitizzazione delle identità
Stiamo vivendo anni complessi, mentre scrivo sono molte le
guerre e gli scontri che si stanno consumando e la maggior parte
di questi sono dettati da un “delirio“ identitario.
Sono sempre più convinto che nella società contemporanea
ci sia un eccesso di identità, che ci sia una manipolazione,
strumentalizzazione del fattore cultura, come dice Amselle;
l'adozione di una prospettiva culturalistica, finalizzata a
legittimare la realtà sociale nascente.
Assistiamo sempre di più a fantomatici richiami alle
origini e alla purezza, (fondamentalismi religiosi o politici)
che sono in realtà proiezioni all'indietro di necessità
attuali; il passato usato, manipolato in funzione di bisogni
presenti.
Spesso tramite la violenza si inventa l'identità, violenza
intesa non solo come atto di forza fisica, ma anche come imposizione
o classificazione attraverso l'azione politica basata su un
rapporto di forza asimmetrico.
Le élites dominanti creano, modellano e utilizzano
categorie come: tradizione, etnicità, cultura, per perseguire
determinati obiettivi politici. Esistono forme di identità
indotte dall'alto e altre che nascono dal basso, ma molto più
spesso sono indotte dalle classi dominanti. Il recupero delle
tradizioni o la loro invenzione da parte delle élites
serve per giustificare la loro leadership, devono creare
un loro campo di dominio, sia esso un'etnia, un popolo, o una
nazione. Le identità collettive non si creano con un
atto amministrativo, quindi occorre creare un retroterra culturale
che renda partecipi le comunità coinvolte.
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Jean-Michel Basquiat, Riding with Death, 1988 |
Nel mondo della globalizzazione sembra che la paura di essere
uguali agli altri ci porti a creare tante identità chiuse,
culture serrate da recinti invalicabili. Questo tipo di società
diventa un unico grande ghetto sociale nel quale le diverse
comunità etniche che lo vivono, indipendentemente dalla
loro ricchezza sono ostili e quindi si generano conflitti interni.
Tutto questo sembrerebbe in contraddizione con un'analisi adeguata
del mondo contemporaneo, dove i mondi locali si articolano in
riferimento a strutture aperte sulla realtà globale,
producono forme di immaginazione che si fondano sulla relazione
fra contesti diversi e non solo in riferimento al contesto legato
a un'unica dimensione territoriale. È anche nei mondi
“nuovi“ creati dall'immaginazione che gli individui
riformulano le proprie identità e le proprie culture.
L'immaginazione consiste nel rappresentare realtà che
sono esperite non solo personalmente, ma anche da altri, nel
quotidiano questo consiste nel pensarsi in congiunzione ad altri
soggetti aventi lo stesso tipo di immaginario. Da questo contesto
nascono entità nuove, delle comunità immaginate.
Il fatto che dobbiamo prendere in considerazione la dimensione
dell'immaginario significa che non possiamo più limitarci
ad analisi che hanno come riferimento dei territori ben definiti.
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Jean-Michel
Basquiat, dipinto senza titolo, 1984 |
La creazione di identità culturali non è più
costruita solamente da persone che abitano lo stesso territorio;
gli uomini circolano sempre più nel mondo globalizzato
con i propri significati, i significati con il tempo trovano
modo di circolare anche senza chi li aveva fatti migrare e i
territori cessano di essere i contenitori privilegiati delle
culture. Si crea un'immagine di cultura che non dà per
scontato il vincolo con territori e popolazioni particolari,
bensì prevede come punto di partenza un mondo più
aperto, interconnesso. La deterritorializzazione costituisce
una delle forze più potenti del mondo contemporaneo,
in quanto coincide con lo spostamento e la dispersione di masse
di individui che elaborano concezioni particolari della loro
esistenza e sentimenti di appartenenza e di esclusione nei confronti
sia della nuova dimora sia della patria originaria, per questo
l'immaginario di individui e gruppi non fa più riferimento
a un luogo, a un territorio come punto di ancoraggio della propria
esperienza e identità.
D'altro canto la nascita in questi ultimi anni di svariati gruppi
identitari, fondamentalisti, chiusi e fortemente legati al vincolo
territoriale, sembrerebbe una risposta al fenomeno del mescolamento
culturale, in quanto questi gruppi vivono uno spaesamento, assistono
a una perdita dell'identificabilità e quindi acutizzano
la voglia di identificare.
Diventa una vera e propria ossessione: trovare l'origine pura
del gruppo di appartenenza, una lotta di identità, territorio
contro l'inevitabile, complessa e meravigliosa ibridazione culturale
e meticciamento.
Andrea Staid
Consigli di lettura
Benedict
Anderson, Comunità immaginate, Roma, Manifestolibri,
1983.
François Laplantine, Identità e meticciato,
Elèuthera, 2011.
Arjun Appadurai, Sicuri da morire, Roma, Meltemi,
2005.
Marco Aime, Eccessi di culture, Torino, Einaudi,
2004.
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