La società de li bamboccioni
Ottorino Gangi si presentò
al primo giorno di lavoro arrivando su uno strano mezzo che
ricordava un passeggino rinforzato di dimensioni sproporzionate.
I genitori, spingendo, lo accompagnarono a pochi metri dall'ingresso
per salutarlo con tenere lacrime e augurare a se stessi un po'
di relax.
Avevano dovuto sostenere per un decennio il peso economico del
programma governativo per l'inserimento crescente dei giovani
nel mondo del lavoro. Il loro figlio, che di anni ne aveva 35,
era diventato meno giovane, ma era cresciuto poco.
All'inizio Ottorino ci aveva provato. La paghetta d'ingresso,
però, non aveva potuto accettarla. Trenta euro alla settimana
per un lavoro ottuso non avrebbe neppure compensato le spese
per la mensa, tutte a carico del neoassunto. E così il
ragazzo ci aveva fatto l'abitudine, alla rinuncia, mentre la
famiglia aveva dovuto digerire per anni la censura sociale,
l'oscurità di troppe giornate vissute a denti stretti,
e tutto quel blaterare di fallimento e merito, di bamboccioni
e responsabilità...
Era dovuto intervenire il padre per convincere Ottorino a presentarsi
alle selezioni per quell'ultimo posto. E lui aveva superato
la prova. Dieci ore ininterrotte a cantilenare la stessa filastrocca:
<Buongiorno, la chiamo per l'ultima promozione delle tariffe
telefoniche scontate del gestore... >
Ottorino scese dal super-passeggino. Si guardò attorno
circospetto, con movimenti oscillatori da destra a sinistra,
prima di incamminarsi verso la barriera dei tornelli aziendali
presidiati dalle guardie.
<Ciao mamma, ciao papà> gridò con voce comprensibilmente
infantile, agitando la mano.
I genitori ricambiarono con partecipazione, si guardarono complici
e sorrisero. Poi seguirono il cammino del figlio che stava per
essere inghiottito dalla generosa bocca aziendale, e iniziarono
a immaginare...
I primi passi. Sei mesi senza stipendio.
I secondi passi. Sei mesi al minimo retributivo.
Altri contratti, altri piccoli passi.
Non importava. Contava andare, camminare, lavorare, come aveva
già cantato un certo Piero Ciampi.
Mamma e papà stavano spingendo il passeggino ormai vuoto
con una punta di malinconia, quando videro un quarantenne calvo
fiondarsi verso l'ingresso e superare di scatto il loro Ottorino.
Non si lasciarono prendere dallo scoramento. Era uno che aveva
fretta di arrivare primo, che sgomitava per la carriera, ma
che a uno sguardo più attento tradiva già i segni
della fatica, con quel ciuccio tra i denti che rendeva ardua
la volata finale.
Paolo Pasi
|