Terre recuperate, cooperative e lavoro collettivo
testo e foto di Orsetta Bellani
La riforma agraria compiuta dagli zapatisti ha permesso la ripartizione e la gestione collettiva dei terreni. Negli ultimi decenni sono nate diverse cooperative agricole, promosse per accrescere la coesione sociale e il benessere economico. Ma sono in molti a decidere di emigrare.
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Mural nel Caracol di Oventic |
Da bambino Francisco1 lavorava
nella fattoria Santa Rita, vicino alla città di Ocosingo,
dove il padrone Adolfo Nájera lo pagava 3 pesos al mese
(circa 20 centesimi di euro). Nel 1989 l'indigeno maya tzeltal
si trasferì con la sua famiglia nel Rancho Santa Lucía,
un terreno di 481 ettari da cui si può godere di una
bella vista sulle gole tra i monti che circondano la città.
“Il padrone della fattoria, Gilberto Bermúdez,
ci trattava un po' meglio. Pagava 200 pesos al mese (poco più
di 11 euro) e ci regalava vestiti e scarpe”, racconta
Francisco2. Quando poi, nel 1992,
ricevette la visita di un gruppo di persone che si presentarono
come guerriglieri dell'EZLN, Francisco accettò l'invito
ad entrare nell'organizzazione.
L'insurrezione zapatista del 1994 cacciò Gilberto Bermúdez
dal rancho Santa Lucía e Francisco divenne padrone, insieme
alla sua comunità, della terra che prima lavorava come
bracciante-schiavo. Oggi al posto della fattoria sorge un villaggio
zapatista di otto famiglie, ognuna delle quali possiede un appezzamento
di terra che coltiva individualmente, e uno in cui lavora insieme
alle altre famiglie3.
Nel suo decimo articolo, la Ley Revolucionaria de Reforma
Agraria dell'EZLN stabilisce la modalità di ripartizione
delle terre: “L'obiettivo della produzione in collettivo
è soddisfare in primo luogo le necessità del popolo,
creare la coscienza collettiva del lavoro e del beneficio, creare
unione nella produzione e nella difesa, e il mutuo appoggio
nell'agro messicano. Se in una regione non viene prodotto un
bene, verrà scambiato con le regioni in cui viene prodotto,
in condizioni di giustizia e uguaglianza. Gli eccedenti della
produzione potranno essere esportati in altri paesi se a livello
nazionale non esiste domanda del prodotto4”.
Con la sua insurrezione, l'EZLN ha attuato in modo unilaterale
la riforma agraria - ossia la ripartizione della terra ai contadini
che ne erano privi - proclamata il 6 gennaio 1915 e mai applicata
efficacemente in Chiapas. Nel 1994 la guerriglia indigena costrinse
molti proprietari terrieri5 ad
abbandonare le loro fattorie e del loro fuggi fuggi ne approfittarono
anche gruppi non zapatisti, occupando6
i terreni abbandonati. In totale, dal 1994 si sono registrate
circa 1700 occupazioni che hanno permesso ai contadini di recuperare
più di 150mila ettari7.
Per avviare costosi iter di richiesta della terra, fino agli
anni '90 molte famiglie dovevano viaggiare fino a Tuxtla Gutiérrez,
capitale del Chiapas, o a Città del Messico. Erano pratiche
che spesso non portavano a nulla; la comunità San Miguel
Chiptik, ad esempio, avviò un lungo e tortuoso processo
che terminò con la consegna di un solo ettaro a famiglia8.
Gli intoppi burocratici, che sapevano a tentativo di raggirare
la riforma agraria, divennero legge nel 1992, quando il governo
neoliberista di Carlos Salinas de Gortari riformò l'articolo
27 costituzionale, sospendendo la ripartizione delle terre.
La controriforma agraria del '92 fu uno dei detonanti dell'insurrezione
dell'EZLN9.
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Ejido Los Llanos, Municipio di San Cristóbal de Las
Casas |
Il caffè zapatista
Fernando10 afferra con delicatezza
una foglia di caffè dal suo cafetal11
spoglio.
“Questa è la roya”, dice preoccupato. Mostra
delle macchie gialle sulla superficie e con un gesto della mano
abbraccia tutto il campo, come a dire che la roya si trova dappertutto12.
Fernando fu tra i fondatori, nel 2001, della cooperativa di
caffè biologico zapatista Yachil Xojobal, con
sede nel Caracol di Oventic. Nel 2010 abbandonò l'organizzazione
e fondò una nuova cooperativa di 200 famiglie, ma tre
anni più tardi la roya - un fungo devastatore che secondo
Coordinadora Nacional de Organizaciones Cafetaleras (CNOC) ha
colpito il 50% delle coltivazioni di caffè del Chiapas
- ha iniziato a mangiarsi le sue piante. Oggi la roya è
la preoccupazione principale per i produttori di caffè
messicani, anche per quelli zapatisti.
Il Messico è il decimo esportatore mondiale di caffè
e in Chiapas viene raccolto il 40% dei chicchi prodotti nel
paese. Si tratta per il 97% di caffè arabica di alta
qualità, coltivato sui terreni scoscesi di montagne che
si trovano ad un'altezza superiore ai 1200 metri sul livello
del mare. A differenza di molti altri paesi del mondo, in Messico
la produzione di caffè non avviene in terreni di grandi
dimensioni: il 90% dei coltivatori possiede in media un solo
ettaro e il 60% di loro sono indigeni. Sono per lo più
persone umili, la cui precaria economia famigliare dipende dalla
vendita del grano.
Dalle montagne messicane proviene una parte del caffè
che beviamo tutti i giorni. I contadini che lo seminano e raccolgono,
e che lo fanno seccare nei loro cortili durante i secchi e soleggiati
inverni messicani, sono vittime delle fluttuazioni del prezzo
internazionale e dei ricatti dei coyotes, intermediari
che comprano i chicchi a un prezzo anche tre volte inferiore
a quello di mercato. Per questo, i contadini cercano compratori
che acquistino direttamente il caffè.
Uno dei canali che permettono ai produttori di caffè,
anche zapatisti, di vendere il loro raccolto a un prezzo giusto,
sono quelli legati al commercio equo e solidale. La Giunta di
Buon Governo de La Garrucha scriveva in un documento del 2006:
“Nel tempo abbiamo cercato modi per commercializzare la
nostra produzione attraverso canali equi, perché la nostra
commercializzazione sia diretta, cercare accordi per poter vendere
la nostra produzione, forse formando cooperative, cercando reti
con gente solidale. Siamo riusciti a fare poco perché
è molto difficile andare contro il capitalismo, però
stiamo portando avanti molti sforzi per poter vendere a un prezzo
equo i nostri prodotti13”.
Il caffè zapatista viene venduto soprattutto all'estero
grazie alla relazione che le cooperative hanno costruito negli
anni con gruppi solidali di vari paesi del mondo, in Italia
con le associazioni Ya Basta e Tatawelo14.
I compratori fanno ordini annuali alle cooperative zapatiste
e, attraverso una campagna di prefinanziamento, pagano i costi
di produzione. A causa dell'epidemia di roya la produzione zapatista
è scesa in picchiata, costringendo gli importatori a
trovare sistemi alternativi per rifornirsi di caffè.
“Abbiamo calcolato che nel 2014 sono state danneggiate
più dell'80% delle piante”, spiega un integrante
della cooperativa zapatista Yochin Tayel Kinal, che si trova
nella zona di Morelia. “Dovremmo riseminarle tutte, il
problema è che ci vogliono 3 o 4 anni perché inizino
a produrre. Stiamo utilizzando dei prodotti organici per contrarrestare
la roya, ma abbiamo iniziato ad applicarli quando era già
in stato molto avanzato15”.
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Alunno della scuola autonoma zapatista durante un concorso
per la produzione di pan dulce |
Lo stigma della migrazione
La organizzazione Desarrollo Económico y Social de Los
Mexicanos Indígenas (DESMI) appoggia i promotores
de agroecología16
zapatisti nell'elaborare un piano di azione per affrontare la
roya, nelle tre cooperative zapatiste come dei collettivi di
produttori di caffè formati dalle basi d'appoggio dell'EZLN.
“Abbiamo creato una ricetta di prodotti organici da applicare
alle coltivazioni. Le piante che dall'anno scorso abbiamo iniziato
a trattare con questi organismi stanno dando buoni risultati;
ora i danni si sono stabilizzati, in media, al 50%”, spiega
Rigoverto Albores di DESMI17.
In generale, gli zapatisti promuovono la creazione di cooperative
e il lavoro collettivo. Esistono gruppi di agricoltori, allevatori,
piccoli commercianti, gestori di progetti ecoturistici18,
di produzione artigianale o dolciaria. Il collettivo italiano
Nodo Solidale organizza corsi nei territori autonomi zapatisti
per la produzione di pan dulce, un tipo di pane zuccherato
che si consuma in Chiapas. “I corsi sono rivolti a studenti
e gruppi di donne. L'idea è che attraverso la vendita
del pane abbiano un'entrata economica capace di rafforzare il
processo di costruzione dell'autonomia”, spiega una integrante
di Nodo Solidale. “Inoltre il lavoro collettivo crea coesione
sociale e, soprattutto per le donne, rappresenta un'occasione
per allontanarsi qualche ora dalla propria famiglia, uno spazio
per potersi confrontare con altre donne e costruire legami di
amicizia e solidarietà19”.
Di fronte alle difficoltà economiche, alcune basi d'appoggio
dell'EZLN scelgono la migrazione. Nei primi anni '90 i flussi
migratori chiapanechi si rivolgevano soprattutto alle località
turistiche della costa caraibica messicana, come Cancún
e Playa del Carmen, ma alla fine del decennio s'iniziarono a
muovere anche verso gli Stati Uniti.
La migrazione è un fenomeno sempre più massivo
tra gli zapatisti e normalmente sono gli uomini i primi a migrare.
Spesso tornano alla comunità dopo qualche tempo, altre
volte la moglie li raggiunge all'estero, ma può anche
succedere che se ne perdano le tracce. “Come dappertutto,
nelle comunità zapatiste la migrazione causa una rottura
delle relazioni famigliari. È aumentato il numero di
donne abbandonate, o che riscontrano malattie sessuali quando
i mariti vanno e vengono. Se invece una donna decide di raggiungere
il marito, spesso lascia i figli con i nonni o gli zii”,
spiega Guadalupe Cardenas Zitle del Colectivo Femenista Mercedes
Oliveira (COFEMO)20.
Nelle comunità zapatiste la migrazione causa una frattura
del tessuto sociale particolarmente grave, perché da
molti viene vista come un tradimento del progetto politico dell'organizzazione,
“una malattia contagiosa” che può mettere
in pericolo la comunità.
Alejandra Aquino Moreschi racconta l'esperienza del villaggio
zapatista María Trinidad e della base d'appoggio Silverio,
uno dei primi ad annunciare all'assemblea la sua volontà
di allontanarsi per un periodo21.
Era il 2003 e la decisione di Silverio venne percepita dalla
maggior parte della comunità come un abbandono del progetto
di resistenza. Per l'assemblea comunitaria, la scelta di migrare
significava anteporre un progetto personale e i valori individualisti
capitalisti all'organizzazione collettiva.
Nel corso degli anni, seppur scoraggiata, la migrazione venne
gradualmente accettata come un fenomeno inevitabile, e regolata.
Chi decide di abbandonare la comunità deve oggi chiedere
permesso all'assemblea, che normalmente lo concede fino a cinque
anni, e una volta tornato dovrà pagare una somma che
compensi i lavori comunitari abbandonati durante il tempo della
migrazione.
Spiega Silverio: “Io non mi sono arreso, non ho tradito
il movimento, non sono diventato priista22,
continuo a pensare che il movimento ha ragione, quello che rivendica
è giusto, solo ho bisogno di riposare alcuni anni e provvedere
alla mia famiglia23”.
Secondo molti zapatisti, chi decide di lasciare la propria comunità
non lo fa per una necessità reale, ma per poter beneficiare
dello stile di vita delle classi alte urbane e della possibilità
di soddisfare bisogni indotti dai media. Los norteños24,
come vengono chiamati i migranti di ritorno alla loro comunità,
parlano e si vestono in modo differente, hanno stivali e pantaloni
nuovi e possono, almeno per i primi mesi, beneficiare di un
livello di consumo che crea squilibri economici all'interno
delle comunità.
Alcuni zapatisti decidono di migrare per motivi economici, altri
per liberarsi del controllo della comunità, una “grande
famiglia” che in certe fasi della vita può essere
percepita come una presenza soffocante. E c'è chi migra
per conoscere il mondo al di fuori della propria comunità,
nuovi paesaggi, volti, lingue. Spesso i giovani zapatisti, come
tutti i loro coetanei, migrano per curiosità.
Orsetta Bellani
@sobreamerica
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Foglia di una pianta di caffè colpita dalla Roya |
Note
- Nome fittizio, per motivi di sicurezza.
- Intervista di Orsetta Bellani a un base d'appoggio zapatista,
Caracol de La Garrucha, gennaio 2014.
- La Ley Revolucionaria de Reforma Agraria dell'EZLN
stabilisce che le terre vengano coltivate collettivamente e
che il raccolto sia suddiviso secondo i criteri decisi dall'assemblea.
Nella pratica si è stabilito che ogni famiglia possa
usufruire anche di un appezzamento individuale. La terra continua
ad appartenere alla comunità e, se esce dalla comunità
zapatista, la famiglia perde i suoi diritti su di essa.
- El Despertador Mexicano, dicembre 1993.
- Molti di loro sono stati indennizzati dallo stato.
- Gli zapatisti parlano di terre “recuperate”, perché
considerano che siano da sempre appartenute ai popoli indigeni,
e che i bianchi e i meticci gliele abbiano rubate ai tempi della
conquista.
- Gemma Van Der Haar, Autonomía a ras de tierra. Algunas
implicaciones de la autonomía zapatista en la práctica.
In Marco Estrada Saavedra, Chiapas después de la tormenta.
Estudios sobre economía, sociedad y política,
Distrito Federal, México, 2009, pag. 537.
- Molto spesso si tratta di famiglie numerose, che alla seconda
generazione devono dividere quell'unico ettaro tra vari figli.
- Richard Stahler-Sholk, Autonomía y economía
política de resistencia en las cañadas de Ocosingo.
In Bruno Baronnet, Mariana Mora Bayo, Richard Stahler-Sholk
(a cura di), Luchas “muy otras”. Zapatismo y
autonomía en las comunidades indígenas de Chiapas,
UAM, México, 2011, pag. 409-445.
- Nome fittizio, per motivi di sicurezza.
- Campo di caffè.
- Intervista di Orsetta Bellani a un coltivatore di caffè
del Municipio di Pantelhó, Chiapas, febbraio 2015.
- ”Lo que se ha hecho en proyectos de comunidades
zapatistas”. Documento pubblicato sulla parete della
Commissione di Vigilanza del Caracol de La Garrucha, 20 dicembre
2006.
- Per maggiori informazioni:
http://www.caffezapatista.it/index.php e http://www.tatawelo.it.
- Intervista della Red ProZapa alla cooperativa Yochin Tayel
Kinal, Caracol di Morelia, gennaio 2015.
- Zapatisti formati come esperti di agroecologia, un metodo
che coniuga i saperi tradizionali degli agricoltori con i principi
della scienza occidentale.
- Intervista di Orsetta Bellani a Rigoverto Albores, San Cristóbal
de Las Casas, aprile 2015.
- Nel Caracol di Morelia esistono i centri ecoturistici di
Agua Clara e Tzaconejá, gestiti dalle basi d'appoggio
zapatiste, dove si può pernottare sulle rive di un fiume
che scorre in mezzo alla selva.
- Intervista di Orsetta Bellani a un integrante del collettivo
Nodo Solidale, San Cristóbal de Las Casas, aprile 2015.
- Intervista di Orsetta Bellani a Guadalupe Cárdenas
Zitle, San Cristóbal de Las Casas, aprile 2014.
- Alejandra Aquino Moreschi, Entre el “sueño
zapatista” y el “sueño americano”.
La migración a Estados Unidos en una comunidad en resistencia.
In Bruno Baronnet, Mariana Mora Bayo, Richard Stahler-Sholk
(a cura di), Luchas “muy otras”. Zapatismo y
autonomía en las comunidades indígenas de Chiapas,
UAM, México, 2011, pag. 447-487.
- Simpatizzante del conservatore Partido Revolucionario Institucional
(PRI).>
- Alejandra Aquino Moreschi, Entre el “sueño
zapatista” y el “sueño americano”.
La migración a Estados Unidos en una comunidad en resistencia.
In Bruno Baronnet, Mariana Mora Bayo, Richard Stahler-Sholk
(a cura di), Luchas “muy otras”. Zapatismo y
autonomía en las comunidades indígenas de Chiapas,
UAM, México, 2011, pag. 463.
- Nordici.
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