educazione
Pratiche della filosofia
di Silvia Bevilacqua e Pierpaolo Casarin
Due esponenti della Philosophy for children-community (un variegato orizzonte educativo con possibili sfumature libertarie) presentano le narrazioni e le riflessioni emerse durante due recenti seminari. Per promuovere altre esperienze di pratiche filosofiche e favorire lo sviluppo di un pensiero critico e autonomo.
L'insieme di pratiche filosoficamente
autonome è un progetto, un cammino, un orizzonte desiderante.
Un invito che intende promuovere e intrecciare esperienze di
pratiche della filosofia, filosofia con le bambine e i bambini,
philosophy for children-community, in grado di coinvolgere
diversi stili, visioni e modalità.
Una possibilità di concatenare esperienze e occasioni
riflessive al fine di creare tempi, spazi e condizioni in cui
la philosophy for children, la pratica della filosofia,
possano estendere il proprio orizzonte di riferimento, allargare
i propri confini, forse confonderli. Creare un progetto filosofico
e politico in grado di coinvolgere, stabilire legami, articolare
nuovi linguaggi, approfondire ulteriori ricerche. A partire
da questa premessa abbiamo dato forma ad alcune proposte seminariali
come occasione di dialogo e approfondimento intorno ad alcune
questioni. Sono stati organizzati, negli scorsi mesi di novembre
e febbraio, due momenti che hanno messo in gioco le pratiche
della filosofia e la philosophy for children in relazione
a due dimensioni: quella politica e quella legata alla paradigmatica
figura del maestro Socrate.
I seminari, intitolati Propositi di filosofia, portano
con sé l'idea stessa del proposito, ovvero del
momento riflessivo connesso all'esperienza, al particolare,
ad un movimento che sa tenere armonicamente in considerazione
intenzionalità, istanza riflessiva e dimensione pratica.
In questo contributo proveremo a sintetizzare i passaggi significativi
delle giornate seminariali, attraverso la voce dei partecipanti,
immaginando che questo possa costituire il punto di partenza
per ulteriori spunti di riflessione.
Tutto ciò al fine di scorgere e sostenere, nella philosophy
for children e nelle pratiche della filosofia, un clima
capace di favorire lo sviluppo e la diffusione di una dimensione
critica in grado di coniugare approfondimento riflessivo a sensibilità
libertaria. In questa luce parole come ironia, autoironia, potere,
sapere, ruolo, comunità, educazione solo per nominarne
alcune, hanno finito con il diventare termini decisivi per inaugurare
un laboratorio di pensiero in chiave critica e autocritica.
Si sono alternate molteplici voci: Cristina Bonelli e Marisa
Cogliati, professoresse del Liceo Gioia di Piacenza che da anni
propongono la philosophy for children-community nelle
loro classi. Giuseppe Ferraro, filosofo impegnato in attività
di filosofia in carcere e nelle scuole. Felix Garcia Moryon
di Madrid, professore di filosofia attivo nel movimento della
philosophy for children da molti anni. Roberto Peverelli
filosofo e dirigente scolastico, esponente del variegato mondo
delle pratiche filosofiche. Walter Kohan, professore di filosofia
dell'educazione presso l'Università di Rio de Janeiro,
Rosella Prezzo filosofa e saggista, Roberto Franzini Tibaldeo
ricercatore.
Il seminario di novembre ha preso il nome di Propositi di
filosofia. Riflessioni ed esperienze fra pratiche della filosofia,
politica e libertà. Un invito ad esplorare le differenti
declinazioni che assume il termine politica, lasciando, così,
spazio alla possibilità che intorno a questo concetto
si accolgano approfondimenti e trasformazioni. Un proposito
che pensiamo ci riguardi e ci coinvolga nel nostro impegno filosofico
e politico. Il primo terreno su cui ci siamo addentrati è
stato accompagnato proprio dalla riflessione di Roberto Peverelli
sulle possibili tracce di pratiche della filosofia nel pensiero
di Alain. Roberto, presentandoci il suo contributo come
un cantiere, un lavoro aperto, ha messo in luce alcuni aspetti
dello stile di Alain a suo parere vicini all'idea della pratica
della filosofia. Alain, maestro di Simone Weil, proponeva un
modo di intendere la filosofia in grado di manifestarsi attraverso
un coinvolgimento, un pensare attivo fatto di riflessioni, esercizi
di scrittura, dissertazioni, dialoghi in cui gli studenti e
le studentesse, non apprendevano passivamente la filosofia,
ma ne risultavano coinvolti. Rifiutò la carriera universitaria
per restare a insegnare nel liceo.
Propositi di pensiero
La sua idea di filosofia è riconducibile al concetto di costante impegno mentale che ci costruisce, che ci fa e che vogliamo. L'umanità, secondo Alain, prende forma in questo slancio, animato da un dialogo costante di meraviglia e generosità fra corpo e mente. Roberto ne mostra le caratteristiche libertarie, evidenziando nella postura del maestro Alain colui che: dispone ad una condizione di pensiero libera, generosa, aperta caratterizzata dal dubbio, dall'oblio, da un movimento incessante di fare e disfare che ritrova in questo la sua stessa libertà allontanandosi dall'idea che la filosofia sia una riproposizione del già pensato. Alain, come professore di filosofia, non esigeva l'apprendimento, ma invitava a pensare, a rintracciare connessioni a scrivere ciò che un atto della mente ha incontrato, consapevole che è con i dubbi, i giri e rigiri dell'osservazione che si fa vivere un'idea (Alain, Cento e un ragionamenti, Einaudi, Torino, 1960, p. 10). Con questa traccia, Roberto, restituisce, attraverso Alain, una traiettoria di riflessione sulla possibilità della pratica della filosofia, invitandoci a pensare ad un certo stile di filosofo che si scrolla e si libera di certezze dogmatiche, di poteri sapienti e di forze eccessive di sicurezza. Alain è un maestro del fare filosofia, non della filosofia, è un maestro nel senso che rappresenta un esempio di stile del filosofo che fa della fiducia radicale, della generosità e del proposito a pensare, i movimenti indispensabili della filosofia. In seguito al contributo di Roberto ha preso corpo una discussione molto partecipata intorno al tema del politico e dell'insegnamento della filosofia.
Philosophy for children e dilemmi morali
Anche il contributo di Felix Garcia Moryon procede in questa direzione. Felix propone un'esperienza di dilemma morale, offrendoci una prospettiva differente rispetto alla tradizionale procedura della philosophy for children. Ci invita, successivamente, ad alcune riflessioni di carattere politico e sociale. La questione fondamentale, secondo Felix, sta in un rapporto di relazione stretta fra philosophy for children e politica. La philosophy for children nella sua relazione con il pensiero di Dewey sostiene l'idea che l'educazione al pensiero sia un aspetto necessario, ma non sufficiente per pensare una società democratica, e ci invita a riflettere alla possibilità della filosofia in questa direzione. La comunità di ricerca, secondo la prospettiva della philosophy for children, sarebbe l'occasione attraverso cui gli/le insegnanti non trasmettono solo conoscenza, ma aiutano a crescere, pensando autonomamente. La comunità è un modello democratico, politico e, sottolinea Felix, risulta fondamentale comprendere che non è possibile uscire dal compromesso politico e dal politico. Felix ricorda che Matthew Lipman aveva in mente anche l'anarchismo di Lev Tolstoj. “Purtroppo”, aggiunge Felix, “noi in Spagna, ma anche in Italia, abbiamo come sola idea quella dell'anarchico che passa e mette la bomba, che l'ha già messa o è amico/a di chi metterà la bomba”. L'idea a cui invece fa riferimento Felix è, da un lato, l'idea anarchista di Tolstoj, una figura particolare, cristiano e pacifista che aveva un'idea di scuola, Jasnaja Poljana, che praticava l'idea di comunità come possibilità di crescita libera e autonoma a partire dal pensare; dall'altro l'anarchismo della disobbedienza civile di H. D. Thoreau come possibilità di poter fare ciò che si pensa sia giusto fare anche se altri non sono d'accordo. Alla luce di queste riflessioni Felix ci propone di metterci in gioco in un dilemma morale. Il problema del conflitto morale è fondamentale, secondo Felix, per lo sviluppo della pratica filosofica. Nel dilemma morale si allarga la possibilità pratica della philosophy for children non solo come metodo curriculare, ma come contesto, strumento di altre possibili esperienze riflessive. La comunità di ricerca, la domanda e il dialogo, secondo Felix, caratteristiche essenziali della philosophy, offrono una situazione importante per provare ad affrontare, comprendere dilemmi morali con un attento lavoro di discussione e ricerca di ragioni.
In questo senso la philosophy for children ha già, nell'origine, un chiaro coinvolgimento politico che sostiene le ragioni dell'impegno filosofico e di come questa prospettiva tenga in considerazione principi fondamentali del libertarismo e dell'anarchismo pacifista quali l'attenzione al soggetto nella sua condizione di scelta libera, consapevole ed etica.
Il tema del potere, del rapporto con l'autorità, si riprende anche nell'attività pratica curata da Cristina Bonelli e Marisa Cogliati. Marisa e Cristina propongono un'attività pratica a partire da un pretesto filmico: Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri con Gian Maria Volontè; film del 1970 che bene si presta a riflettere sulle questioni in gioco: potere, complicità, autorità, professione. La proposta dell'attività intende aprire non solo una riflessione sul tema, ma altresì una meta-riflessione sull'uso di pretesti filmici nella pratica della philosophy for children, che tradizionalmente non li prevede. La ricerca di Marisa e Cristina emerge da percorsi nelle classi, da esperienze molteplici di utilizzo del film come pretesto. In particolare sottolineano l'importanza, nella società contemporanea, del lavoro sulle immagini attraverso uno sguardo filosofico che valorizzi la domanda e la riflessione. Il testo filmico ha attinenza con il filosofare soprattutto in relazione all'intreccio in cui lo spettatore si trova. Lo spettatore, immedesimandosi in ciò che vede, dal punto di vista emotivo, trae problematizzazioni universali. Si alterna, così, un'esperienza emotiva che sostanzia la riflessione, giocando nel soggetto una partecipazione molto attiva. Si conclude con queste riflessioni la prima giornata densa di domande e sollecitazioni. La mattina seguente si apre con il contributo di Giuseppe Ferraro. Giuseppe, nella prima parte, ci offre un momento di dialogo particolarmente intenso; a seguire viene proiettato il cortometraggio, a cura di Ilaria d'Atri, che narra l'esperienza di filosofia fuori le mura a Sulmona. Giuseppe apre, invitando tutti e tutte, ad essere più che facilitatori, “felicitatori” e “felicitatrici”, pensando che nel momento in cui si fa filosofia, nelle scuole, nel carcere o in altre situazioni si entra innanzitutto in un sentire comune. Questo è lo spirito che anima il Seminario di Camerota da più di trent'anni, una tensione al fuoriuscire dai luoghi classici della filosofia per incontrare un senso di appartenenza ad una comunità fatta di legami; una comunità che sa stare anche in strada, senza particolari appartenenze di metodo o scuola, ma per incontrare il cammino della filosofia stessa.
Alla ricerca del ritmo
Giuseppe osserva che il pensare della filosofia potrebbe essere
preso in considerazione come un pendolo e il ragionare come
l'orologio che scandisce le ore; Il ritmo del tempo sarà
quello del pendolare. Emerge un'idea di filosofia e pratica
che non ha un metodo, ma cerca una strada, un ritmo proprio.
Pensare è pendolare. Uno scandire il tempo interiore.
La filosofia ponendosi domande estreme, ultime, dovrebbe andare
sui luoghi estremi, fuori le mura, ai confini della città,
per sentire cosa ha ancora da dire per non essere messa via
come un gioco rotto. Da questa premessa, narra Giuseppe, è
cominciato il suo andare sui confini. Carceri, periferie, città,
toccando non solo i limiti esterni segnati dalla territorializzazione
urbanistica, ma anche interni, quelli delle voci, dei silenzi,
delle grida di disperazione. L'essenza della pratica della filosofia
è nel dare voce alla parola e parola alla voce, come
risonanza, evocazione di luoghi e persone.
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Sborzani (Pc), 28 novembre 2014 - Il momento di apertura del primo seminario presso il Centro Miripiri |
Filosofia fuori le mura
l dialogo, l'insegnamento, la scuola sono pratiche e luoghi di restituzione di un sapere che non è possesso. Che ne è dunque, lì, della filosofia? Che ne vogliamo fare? Chiede Giuseppe. In questi luoghi estremi la filosofia è chiamata al politico, chiamandosi all'ordine degli esclusi, fuori luogo, concretamente presente sui confini ultimi. Anche ai confini della pena che talvolta ha come “fine pena” la data 31 dicembre 9999, ovvero non avrà fine. Quel confine di data è l'assurdo della legge che si fa assurda, questo è ciò che va portato fuori perché nessuno lo vede. Per fare questo, sottolinea Giuseppe, per fare questa politica della filosofia, non può esserci una modalità, un metodo, un curricolo, poiché ognuno deve necessariamente trovarlo da sé. Siamo dunque a propositi non finali ma di altri inizi. Inizi che siano sollecitazioni, riflessioni, possibilità di ricerca generosa, aperta, per aprire ad altro le nostre visioni, le nostre metodologie. In questa direzione è centrale la riflessione che abbiamo inaugurato a partire da Lipman e dalla pratica della philosophy for children, sia per quanto riguarda le sue possibili intersezioni con una prospettiva libertaria dell'educazione sia con altre possibilità pratiche che mantengano al centro alcuni degli aspetti rilevanti della prospettiva lipmaniana. Si è aperta l'idea di una possibilità per la filosofia di lasciare spazio all'ingenuità del pensare filosofico, come diceva Alain, disimparando posture concettuali, di ruolo, di metodi automatici per lasciare spazio alla parola e al pensare a singolarità differenti. Il primo seminario si conclude con un proposito lasciato da ciascuno in una busta, il nostro era quello di incontrarsi nuovamente a febbraio.
Così è stato. A febbraio s'incontra anche la neve, una straordinaria coltre bianca ci accoglie. Miripiri, la bellissima struttura che ci ospita, è avvolta da oltre cinquanta centimetri di neve. Una nevicata che permette un ulteriore fioccare di pensieri di origine incerta, sconosciuta, molteplice come molteplice è la forma di ogni fiocco nevoso. Il seminario di febbraio ha come titolo-proposito Socrate fra luci e ombre: maestro? Educatore? Facilitatore? ed intende attraverso questi interrogativi offrire un'occasione di ricerca a pratica intorno alla figura paradossale di Socrate.
Un Socrate che, nella tradizione ha indicato una traiettoria precisa nel panorama del pensiero filosofico occidentale e delle sue pratiche educative. Durante il seminario abbiamo cercato di esplorare questa figura in un confronto costante con le pratiche filosofiche e la philosophy for children con un'attenzione particolare al concetto di ricerca e alle sue possibili modalità pratiche.
È Rosella Prezzo che apre la strada, partendo da una domanda: di cosa vive la filosofia? E il suo pensiero? Rosella invita ad intercettare argomenti impliciti, esclusi e sotterranei della figura di Socrate provando a pensare in altra luce come recita il titolo di uno dei suoi saggi sul pensiero di Maria Zambrano. Rosella ci mostra altre strade attraversando la figura di Socrate. Lo indica, con ironia, il santo patrono della filosofia, a cui tutti si rifanno, il soggetto del supposto sapere filosofico. Socrate, dice Rosella, ritorna quasi come un tormentone ogni qualvolta c'è crisi. Socrate è il personaggio della filosofia, il mito più grande di Platone, sua metà indiscutibile. Platone e Socrate coppia originaria della filosofia.
Poter ridere la verità
Origine plurale, dunque. Personaggio che Platone mette in scena per far fronte alla crisi della democrazia, utilizzando la forma del teatro per ricostruire una coscienza collettiva. Infatti, quando Platone scrive i suoi Dialoghi, Socrate è morto e la democrazia ateniese assiste così alla sua messa in crisi. Socrate è eirôn la maschera comica, ironica, colui che sa di più di quanto dice, fingendo di non sapere, che interroga alazôn il fanfarone che mostra e si gloria del suo sapere. La tensione fra queste due maschere, è la tensione che nel teatro greco costruiva la comicità. Questa la cornice entro cui si muove il personaggio Socrate di Platone. Sono proprio le cornici, sottolinea Rosella, a essere fondamentali in tutta l'opera di Platone. Quelle cornici che fanno scorgere sempre altro da ciò che sembra essere il centro della questione, quelle scene di vita quotidiana che fanno vacillare, attorcigliare ciò che sembra la verità del dialogo. Questo fuori scena della filosofia, questa vita presente alla filosofia, la sua corporeità vitale, è ciò che Rosella invita a guardare come il dritto e rovescio dell'origine della filosofia, selvatica, “bastarda” che non ha, nella verità e nella compiutezza astratta, la sua unica possibilità di lettura.
In questo senso, tornare all'infanzia della filosofia, all'origine, alla figura Socratica è tornare a questa scena che si alimenta di esperienza, di comico e di tragico al tempo stesso; di questo, sottolinea Rosella, vivono pensiero e filosofia; purtroppo è la filosofia stessa ad aver messo tutto sotto il tappeto, mostrandosi così sola, senza il suo doppio, palesando esclusivamente ciò che, in questo personaggio, c'era di pedagogico e normativo, o/e di vero.
L'invito a riflettere di Rosella s'interseca con un'esperienza di pensiero proposta da Walter Kohan che parte da un'affermazione-provocazione: inventare ed errare. A partire da questo Walter traccia una traiettoria riflessiva. Apre dicendo di essere stato sedotto lui stesso da Socrate al punto tale da cercare quella figura in altri personaggi, in particolare dell'America Latina.
Inventare ed errare
Una fra le figure è Simon Rodríguez, maestro
di Simone Bolivar, chiamato da quest'ultimo il Socrate di Caracas
sua città natia. Simon, abbandonato dalla sua famiglia,
trova sulla sua strada la passione per insegnare, ma, in quanto
orfano, non potendo accedere al sistema scolastico decise di
auto-formarsi e a soli venti anni viene riconosciuto come maestro.
Maestro errante, si “deslocava”, non aveva un luogo
fisso e impegnato nella rivoluzione educativa. Perché,
dunque, Socrate di Caracas? Secondo Walter sia in Socrate sia
in Rodríguez è difficile separare l'educatore
dal filosofo, in entrambi, la filosofia vive nell'educazione
e l'educazione nella filosofia, intese non come professionalità
ma come maniera di essere nel mondo. Secondo Walter la figura
di Rodríguez ha, tuttavia, caratteristiche ancora più
interessanti rispetto a quella socratica. In particolare, per
la sua insistenza al popolare, per aver dato un senso
specifico a questo concetto attraverso la nascita della scuola
popolare. Una scuola rivolta a tutti, agli esclusi, invertendo
così il meccanismo tradizionale di selezione esclusiva
della scuola monarchica di quel tempo. La scuola di Rodríguez
era una scuola per tutti, nessuno escluso, una scuola senza
condizioni. A questo si affianca l'elemento dell'erranza che,
nella sua duplicità di significato, mette in discussione
l'idea della conoscenza, metaforicamente intesa come albero,
preferendo a questa la metafora dell'aria, del sole e dell'acqua
ovvero delle cose che si muovono e non hanno radici.
Lo stesso Socrate non ha luogo. Emerge dunque, secondo Walter,
l'idea di un'educazione e filosofia che non si conforma ad un
esercizio, ma abita il pensiero, errante nella sua stessa essenza,
che inventa la sua forma. Le questioni che Walter fa emergere
introducono bene la riflessione che Roberto Franzini Tibaldeo
ci propone sulla figura del facilitatore1
rispetto alle modalità che propone la philosophy for
children. Roberto, percorrendo due testi, presto ci invita
a riflettere su alcuni aspetti essenziali. Il primo, “Una
zuppa di Sasso”, mostra come il Lupo di questo racconto
vinca, utilizzando la metafora calcistica, uno a zero su Socrate;
in particolare per un elemento essenziale: l'ospitalità.
Questo Lupo è capace di far esplodere le differenze ed
includere. Aspetto che, sottolinea Roberto è una disposizione
fondamentale del facilitatore rispetto alla sua intenzione dialogica.
Il lupo include mentre Socrate escluderebbe; il facilitatore,
dal canto suo, dovrebbe includere, tenendo dentro le certezze
contraddittore che un certo metodo socratico non ammette. Il
facilitatore che emerge, dunque, non è tanto un esecutore
di procedura, ma una figura che, con estro e autonomia, sa tradurre
e gettare ponti.
Parallelamente a questo Roberto ci mostra come un altro racconto,
Il castello dei destini incrociati di Italo Calvino,
possa suggerire riflessioni interessanti per l'esperienza della
philosophy for children e per le sue modalità
pratiche. In questo racconto ci si trova in un contesto comunitario,
in cui diverse persone sono attorno ad un tavolo, ma nessuno
parla. Solo ad un certo punto l'oste, il presunto facilitatore,
invita a dire, non direttamente, ma attraverso un gioco, le
carte dei tarocchi, la propria storia. Da questo gioco, pretesto
per iniziare un discorso, si evidenziano aspetti comuni ad una
sessione di ricerca filosofica comunitaria. L'apertura
del facilitatore crea la condizione perché ognuno possa
esprimersi, anche in quelle situazioni in cui nessuno parla
o è rassegnato a non parlare. Il facilitatore dunque,
anche qui ospitale, apre alla parola, alle storie di ognuno,
invitando a intersecare spunti, favorire reciprocità,
mettendo in gioco la propria identità, dicendo la propria
idea. Il dialogo che ne emerge non potrà essere per queste
ragioni lineare, logicamente dedotto, ma si mostrerà
un po' come le storie che, nel racconto di Calvino, si sono
intrecciate, confuse, mescolate nelle loro differenze. Il dialogo
sarà una fuga in avanti con differenti frenate e accelerazioni
disordinate, talvolta casuali e contraddittore, generando anche
incomprensioni e difficoltà.
Non vi è, pertanto, una modalità normativa univoca,
possono emergere direzione differenti se, dice Roberto, si è
ospitali rispetto alle differenze. Non è tanto la normatività
procedurale ad entrare in gioco in un'esperienza di ricerca
filosofica comunitaria quanto piuttosto la costante apertura
a far accadere.
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K.
Malevich, Paesaggio con cinque case |
Il facilitatore/trice riluttante
Qui termina l'ultimo contributo delle giornate. Ma non finiscono le riflessioni che ci piacerebbe accennare in queste ultime righe che non esauriscono certo la questione. Il ruolo del facilitatore, a nostro parere, eccede, talora, in una sorta di nascondimento del proprio punto di vista. Si pretende, nelle procedure formative abituali di philosophy for children, da chi facilita, un non dire apertamente ciò che pensa. Perché questa richiesta? L'idea che la anima è indubbiamente positiva e risiede nell'intenzione a non condizionare troppo con il proprio ruolo-potere. Ma siamo certi che se da un lato questa sottrazione è un bell'esercizio dall'altro, al contrario, non manifesti una presunzione da parte del facilitatore stesso che si percepisce, così facendo, potente al punto tale da condizionare, con il suo dire, la discussione?
Il dominio nel dire e nel non-dire
Questa idea, che richiama anche il possibile inganno socratico del sapere di non sapere, ma che alla fine si mostra anch'esso come un sapere anzi come sapere “migliore”, ovvero sapiente proprio perché sa di non sapere, è proprio necessario sia permanente? In un percorso non è necessario prima o poi che il facilitatore o la facilitatrice dicano, esprimano il loro pensiero, consapevoli anche del fatto che ciò che dicono non sia poi così importante? La sua astensione, paradossalmente, non genera forse un alone di supposto sapere e, inevitabilmente, di potenziale potere, altrettanto rischioso rispetto a quello di una presunta direttività? Ciò che è in gioco non è tanto il dire o non dire, ma il dominio che agiamo sia nel dire che nel non dire. Non si può dunque assumere come certo che la sospensione da parte del facilitatore del suo punto di vista sia una garanzia di assenza di potere, verità o direttività. La domanda che pensiamo possa invitarci a riflettere potrebbe essere la seguente: quale potere mette in gioco, l'apparente sottrazione di sapere, o meglio, di espressione del proprio pensiero?
La posto in gioco critica di questo approccio sembra essere quella di far nascere alcune riflessioni sulle metodologie che agiamo e che riteniamo corrette. L'attività che, nelle molteplici pratiche della filosofia (con bambini e bambine e adulti) e nelle loro possibili connotazioni, non dovrebbe stare tanto in una competizione di maggiore o minore gradiente di metodo. La riflessione, a nostro parere, sta nell'essere coinvolti criticamente e auto criticamente, in queste pratiche, lasciando che le situazioni, i contesti, scuole comunità, possano permettere incursioni vitali, traiettorie impreviste. Traiettorie che diano spazio ad un pensare da sé come relazione autonoma, libera, rifuggendo da meccanismi di copia, dando voce, aprendo spazi.
Questo pensare da sé non ci riporta necessariamente al conosci te stesso, non ha una connotazione analitica o intimista, ma è un partire da sé, cogliendo quella parte silenziosa, quel dialogo con noi stessi che ci mostra come molteplici plurali. Pensare da sé fra l'altro incontra dunque un'accidentale altro dentro e fuori. Questo fra è l'intermezzo, quell'interstizio, quello spazio che possiamo vedere e non vedere, che può prendere forma in modo accidentale, non un blocco rigido, ma interruzione, assenza d'appiglio.
Ma la filosofia è sempre stata pratica
Non smettere dunque di pensare, non solo quando riteniamo abbia
un valore educativo e pedagogico per i bambini e le bambine,
ma perché è pratica della filosofia farlo. La
filosofia è pratica non perché si rivolge a,
o perché è strumentale a, la filosofia
ha in sé l'elemento pratico che la riguarda perché
è attività di discorso e parola umana, libertà.
È possibile accorgersi che la filosofia, nelle sue molteplici
voci, è sempre stata pratica; ciò che talvolta
è mancato alla filosofia è la possibilità
che questa sua essenzialità pratica potesse raggiungere
il mondo non solo per merito, ma per uguaglianza di possibilità.
Silvia Bevilacqua e Pierpaolo Casarin
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1. Il termine facilitatore è la
figura che nella philosophy for children anima il dialogo
nella comunità di ricerca filosofica. |