potere
Il futuro è già qui
di Andrea Papi
Le politiche economico-finanziarie odierne stanno guidando la popolazione mondiale verso derive distopiche.
Tecnologie e metodi sofisticati vengono proposti per aumentare l'automazione in tutti gli ambiti della vita umana, incrementando il controllo e limitando l'autonomia.
Per assoggettarci e costringerci ad agire seguendo percorsi obbligati.
Siamo completamente immersi in
una trasformazione allo stesso tempo antropologica, tecnologica,
culturale ed esistenziale. Ma facciamo fatica a renderci conto
della sua reale entità. Oppressi quotidianamente dai
problemi che ci costringono a subire siamo portati a supporre
che siano gli unici veri, non i più impellenti per noi.
Di conseguenza indirizziamo i nostri sforzi per esserne travolti
il meno possibile. Eppure per una comprensione dei veri profondi
problemi che spietatamente ci attanagliano e un avvio di soluzione,
dovremmo uscire dall'apatia intellettuale e dal nichilismo della
coscienza che ci avvolgono, per immergerci nell'avventura di
comprendere come si muove il contesto che c'imprigiona e quale
orizzonte si dispiega al nostro sguardo.
Il presente è già futuro – Il futuro
non è più quello di una volta – Il presente
è già passato, non sono più slogan
solo ad effetto. Esprimono una realtà viva che ci sentiamo
addosso, che già viviamo emotivamente, ma di cui abbiamo
una percezione confusa, facilmente molto imprecisa. Che ne siamo
consapevoli o no ci troviamo tutti all'interno di una mutazione
epocale, la quale progressivamente, con sempre maggiore velocità,
sta cambiando qualità delle relazioni, modi di essere,
collocazioni sociali, proiezioni immaginative, orizzonti prospettici.
Siamo già nel futuro senza esserci fino in fondo.
Stanno uscendo saggi, studi, articoli che da diversi punti di
vista affrontano le mutazioni che si stanno verificando e gli
impatti, né indolori né irrilevanti, che hanno
cominciato a generare. Mi soffermerò brevemente su alcune
tematiche particolarmente significative.
Visetti su “La Repubblica” dell'8 maggio riporta
che la Cina ha ufficialmente annunciato che sta ultimando la
prima fabbrica al mondo «operaio zero». Il 90% della
massa lavorativa umana sarà sostituita da un esercito
di robot, 1600 su 1800, mentre per ora si salveranno circa 300
tra programmatori, addetti ai software e manager. Il governo
regionale del Dongguan ha dichiarato che nei prossimi tre anni
è deciso a spendere 150 miliardi di euro per sostituire
gli operai con i robot. Sono convinti che l'esempio sarà
seguito dai più importanti distretti industriali cinesi.
Pure il destino di manager e impiegati è in fase terminale,
dal momento che hanno l'intenzione di affidare ai computer anche
decisioni strategiche e gestioni. Il “potere all'informatica”
dunque! Siamo al di là del futuro, siamo già
in pieno nella fantascienza.
«Il potere si concentra nelle mani di chi controlla la
programmazione e noi rischiamo di diventarne sudditi inconsapevoli»,
afferma in modo esplicito Nicholas Carr in La gabbia di vetro
(Raffaello Cortina Editore). Il problema che sottolinea è
che sempre più gli algoritmi guidano le operazioni fondamentali,
dal pilotaggio aereo alle transazioni finanziarie, sostituiscono
mansioni intellettuali ed anche manuali, fino a decidere quali
contenuti possano essere esposti in rete. Ma più che
renderci stupidi, l'automazione ci sta rendendo meno capaci
di agire in autonomia, «...è che la stiamo progettando
in modo stupido. Così, invece di darci la possibilità
di espandere le nostre prospettive e conoscenze le sta rimpiazzando,
rendendo le nostre vite più semplici, ma meno soddisfacenti
e interessanti... non esistono algoritmi neutrali: sono persone
a programmarli, coi loro interessi e i loro difetti».
(intervista di Fabio Chiusi, “Repubblica” 15 maggio)
Sempre su “Repubblica” (16 maggio 2015) Federico
Fubini ci avverte che il governo danese «...ha proposto
una misura che forse in futuro verrà ricordata come il
punto di non ritorno; nel 2016 commercianti e imprese avranno
diritto per legge di rifiutare pagamenti in monete o banconote
di carta o in metallo... sarà obbligatorio saldare con
un mezzo elettronico se richiesto da chi incassa.» È
“l'inizio della fine” dell'uso del denaro concreto,
quello palpabile che fruscia fra le dita. È l'inizio
del dilagare del denaro virtuale, che non percepiremo più
attraverso i sensi, come ogni altra cosa, ma che verrà
accuratamente registrato in server appositi e potrà apparire
solo sottoforma di cifre sugli schermi dei computer e dei cellulari.
Sempre in questa rivista avevo accennato a una tale prospettiva
para/finanziaria in “Euro
e antieuro” (“A” 390, giugno 2014) scrivendo:
«Nel 2040, o giù di lì, saremo pienamente
entrati nell'era post-monetaria. Il denaro non si userà
più perché ogni acquisto ci verrà addebitato,
senza neanche accorgercene, direttamente sul conto personale
aperto sullo smartphone, oppure identificandoci pupille, impronte
digitali e impronte facciali con tecniche biometriche. Pagheremo
tutto non con monete tradizionali, come euro o dollari, ma con
monete virtuali emesse da Google o Facebook, oppure con crediti
accumulati attraverso le spese su Amazon o i Tunes.» Era
lo scenario prospettato dall'esperto di finanza Sorkin sul “New
York Times” del 3 aprile, di cui riferiva Rampini. Il
denaro come lo conosciamo è destinato a scomparire. Ora
non è più solo uno scenario prospettato, ma ormai
una realtà vera e programmata.
Due gigantesche tendenze dunque hanno già cominciato
a prendere corpo: scomparsa dell'operaio umano sostituito da
robot e informatica, scomparsa del denaro come mezzo di scambio
sostituito dall'uso massificato di strumenti informatici. Non
potremo più spendere neanche un centesimo senza essere
controllati e registrati, se non addirittura indotti. Probabilmente
se spenderemo in modo non gradito ai “domini della rete”
verremo redarguiti e sgridati a dovere, non escludendo sanzioni
e induzioni per “riportarci sulla retta via”. Il
tutto ingabbiato dentro una programmazione gestita da computer
e algoritmi che, come afferma giustamente Nicholas Carr, ci
farà diventare molto più “sudditi inconsapevoli”
di quello che già siamo.
La rivoluzione dei potenti
Al di là delle nostre volontà, in moltissimi casi
delle nostre consapevolezze, siamo pienamente nel tritacarne
di una rivoluzione in piena regola. Non è quella dei
nostri sogni e delle nostre aspirazioni utopiche però.
Al contrario una vera e propria rivoluzione del potere, che
sta affinando il suo dominio per assoggettarci definitivamente,
approntando tecnologie e metodi sofisticati in grado di annichilire
ogni velleità ribellistica, ogni aspirazione emancipatrice.
Ci avvolge e c'impasta, tentando di renderci intimi complici
del nostro servaggio, creando condizioni oggettive e imprescindibili
capaci di costringerci ad agire in percorsi obbligati e obbliganti.
È infatti sempre più inesistente ogni possibilità
di muoversi diversamente.
Dovrebbe essere chiaro che non abbiamo più a che fare
con un nuovo re o una nuova borghesia, con le loro sedi e i
loro palazzi, né con strutture e classi egemoni dipendenti
da bisogni di profitto o di comando, tutti identificabili e
colpibili.
Non più sistemi organici, strutture, apparati, mostri
individuabili chiaramente dall'altra parte della barricata,
che si potevano combattere e contrastare in modo diretto attraverso
cuore, forza e intelligenza. Il nuovo Leviatano è una
rete avvolgente, sia seduttiva sia obbligante, che ci sovrasta
e c'induce, che agisce in modo concreto attraverso sistemi virtuali
e “liquidi”, per dirla alla Bauman. Puoi solo esserne
incluso senza poterlo abbattere, conquistare o gestire, tanto
meno avversare lottando secondo gli schemi, ormai classici stereotipati
e obsoleti, della lotta di classe e della rivoluzione.
Personalmente mi sembra d'identificare un'unica grande possibilità
per sperare di non essere sopraffati da questo mostro soffocante
e avvincente. È quella di sottrarsi alle sue spire, creando
spazi e luoghi dove approntare e sperimentare modalità
di relazione inclusive non soggette alle spirali finanziarie,
dove ciò che conta e dà senso sono la condivisione,
la solidarietà, la reciprocità, la mutualità,
accompagnate da un rifiuto condiviso dell'appropriazione egoistica,
del cinismo sociale e dei muri identitari che tendono ad escludere
e sottomettere invece di accogliere e facilitare l'aiutarsi
l'un l'altro.
In fondo i sistemi di dominio imperanti sono sempre di più
immensi “non luoghi”, che si realizzano attraverso
scialbe massificazioni schiacciate da leaderismi medio-informatici
e dipendenze totali da sistemi informatizzati anonimi. Noi dobbiamo
ricreare luoghi veri che non siano dipendenti da protesi virtuali
i cui effetti fondamentali sono sudditanza involontaria e completa
mancanza di autonomia.
Andrea Papi
www.libertandreapapi.it
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