ricordando Franco Serantini
Ricordando Franco Serantini
43 anni dopo
La Biblioteca Franco Serantini, come ogni anno, ricorda il
giovane anarchico morto tragicamente nelle carceri di Pisa il
7 maggio 1972 e in questa occasione, con lo scopo di preservare
la memoria della vicenda, la Biblioteca ha iniziato la divulgazione
di tutti i documenti relativi a questo caso in suo possesso,
che verranno gradualmente pubblicati sulla propria piattaforma
digitale (http://bfscollezionidigitali.org).
Quest'anno però la Biblioteca vuole richiamare l'attenzione
di tutti, dal momento che sono passati molti anni, sulla dinamica
che portò alla morte di Serantini.
Il 5 maggio 1972, a Pisa la polizia caricò violentemente
una manifestazione di protesta contro il comizio elettorale
del MSI, investendo non solo i manifestanti ma anche semplici
passanti.
Il giovane Franco Serantini sorpreso isolato, inerme e in atteggiamento
non aggressivo durante una carica effettuata in Lungarno Gambacorti,
venne duramente e ripetutamente percosso in parti vitali da
un gruppo di agenti del battaglione mobile della Celere di Roma.
Trasportato in stato di fermo alla caserma di PS, Serantini
fu trasferito verso le 4,20 del giorno successivo nelle Carceri
giudiziarie di Pisa e rinchiuso in una cella di isolamento.
Nel
tempo trascorso tra l'incarceramento e l'interrogatorio da parte
del Procuratore della Repubblica, che ebbe luogo alle 12,30
del 6 maggio, Serantini era in condizioni fisiche assai precarie,
come apparve chiaro a quanti ebbero modo di incontrarlo.
Serantini, oltre ad affermare la propria convinzione politica
anarchica, davanti al Procuratore precisò di essere stato
colpito alla testa da una decina di poliziotti, senza che li
avesse in alcun modo provocati, e dichiarò di accusare
forti dolori al capo.
Nelle ore successive Serantini restò in cella senza neppure
consumare i pasti e uscire per l'ora d'aria, a testimonianza
ulteriore delle sue precarie condizioni fisiche.
Al termine di una notte passata senza cure adeguate - il medico
del carcere si era limitato a prescrivergli farmaci ordinari
e una borsa del ghiaccio -, la mattina del 7 maggio le condizioni
di salute di Serantini si aggravano, trasportato d'urgenza al
centro clinico del carcere, muore alle 9,45 senza riprendere
coscienza.
Recentemente, la Corte europea dei diritti umani ha condannato
l'Italia non solo per il pestaggio subito da uno dei manifestanti
(l'autore del ricorso) durante il G8 di Genova, ma anche perché
non ha una legislazione adeguata a punire il reato di tortura;
un vuoto legislativo che, nonostante l'Italia abbia firmato
il 10 dicembre 1984 la Convenzione dell'ONU contro la tortura,
ha consentito ai colpevoli di restare impuniti.
I giudici europei hanno deciso all'unanimità che lo Stato
italiano ha violato l'articolo 3 della convenzione sui diritti
dell'uomo dove recita: “Nessuno può essere sottoposto
a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti“.
La Corte di Strasburgo ha stabilito dunque che il trattamento
che è stato inflitto al ricorrente deve essere considerato
come “tortura”. Ma nella sentenza i giudici sono
andati oltre, affermando che se i responsabili non sono mai
stati puniti, è soprattutto a causa dell'inadeguatezza
delle leggi italiane, che quindi devono essere cambiate. “Questo
risultato”, scrivono i giudici, “non è imputabile
agli indugi o alla negligenza della magistratura, ma alla legislazione
penale italiana che non permette di sanzionare gli atti di tortura
e di prevenirne altri”. La mancata identificazione degli
autori materiali dei maltrattamenti è dipesa, accusano
poi i giudici, “in parte dalla difficoltà oggettiva
della procura a procedere a identificazioni certe, ma al tempo
stesso dalla mancanza di cooperazione da parte della polizia”.
Nella sentenza si sottolinea, quindi, che la mancata considerazione
di determinati fatti come reati non permette, anche in prospettiva,
allo Stato di prevenire efficacemente il ripetersi di possibili
violenze da parte delle forze dell'ordine.
In Italia in questi ultimo decennio, per non andare indietro
troppo nel tempo, purtroppo i casi simili a quello di Franco
Serantini, anche se maturati in contesti storici diversi, si
sono ripetuti, basta ricordarne alcuni nomi tra i più
noti come Stefano Cucchi, Federico Aldrovrandi, Franco Mastrogiovanni,
Gabriele Sandri, Giuseppe Uva, Michele Ferrulli, Stefano Brunetti
e Riccardo Rasman.
Una domanda ci poniamo in questi giorni in cui ricorre il 43°
anniversario della tragica morte di Franco Serantini: dal momento
che non è mai stato individuato dal punto di vista giuridico
alcun responsabile - come nel caso di Genova la mancata identificazione
degli autori materiali della violenza subita da Serantini è
dipesa dalla difficoltà oggettiva della Procura a procedere
a identificazioni certe, ma al tempo stesso dalla mancanza di
cooperazione da parte delle forze di polizia - nonostante nella
catena degli eventi, dal momento dell'aggressione in Lungarno
Gambacorti fino al decesso in carcere, si siano avvicendati
con ruoli diversi vari rappresentanti delle istituzioni, è
possibile che in uno Stato di diritto, che dovrebbe fondarsi
sul concetto di dignità umana e che veda l'uomo come
fine e non tolleri alcuna “eccezione”, non si possa
avere giustizia e verità? È possibile che nelle
istituzioni giuridiche e politiche tutti si siano dimenticati
di questo caso nascondendo la verità dietro un “omertoso”
silenzio?
Di fronte a tale atteggiamento rimane la verità storica,
quella dei testimoni dell'epoca e dei documenti, una verità
incancellabile, Franco Serantini, giovane anarchico, venne picchiato
brutalmente dalla polizia durante una manifestazione antifascista
e morì in conseguenza di quel pestaggio nel carcere del
Don Bosco il 7 maggio 1972.
Biblioteca Franco Serantini
Pisa, 30 aprile 2015
segreteria:
via I. Bargagna 60 - 56124 Pisa
tel. 050.9711432
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