Rivista Anarchica Online





Sul numero di gennaio-febbraio dello scorso anno della rivista Ristretti Orizzonti (vedi pagina seguente) è apparso uno scritto del mio caro amico Lorenzo Sciacca, detenuto nello stesso carcere in cui mi trovo attualmente ristretto. Mi fa piacere dargli spazio in questa “mia” rubrica.

Carmelo Musumeci
www.carmelomusumeci.com


Un giorno particolare

Abbiamo incontrato una classe di ragazzi sordomuti, il loro silenzio non lo sentivo, certo può sembrare un controsenso, la realtà è che vederli comunicare con il loro alfabeto è stato straordinario.

Lorenzo Sciacca


Grazie al progetto di confronto tra scuola e carcere, che vede entrare migliaia di studenti qui dentro ogni anno, c'è stato un giorno speciale, un giorno che ricorderò per sempre.
Questo progetto ha come scopo portare a conoscenza che il carcere è una parte della società e non qualcosa che riguarda solo i predestinati ad essere cattivi. Entrare in carcere può capitare a tutti, nessuno se ne può sentire escluso. Confrontarsi con gli studenti porta a rivedere il proprio vissuto cercando di capire il perché di certi comportamenti. Per esempio io ho fatto una scelta di vita e credevo che tutto fosse legato all'aspetto economico, visto che i miei reati sono contro il patrimonio, ma la realtà è molto diversa. Ci sono problemi che mi porto dietro fin da bambino, ma il punto del mio discorso non è questo.
Ieri ho capito quanto sia importante la comunicazione, il suo valore è immenso. In mattinata è venuta una classe di studenti sordomuti. ll loro silenzio non lo sentivo, certo può sembrare un controsenso, la realtà è che vederli comunicare con il loro alfabeto è stato straordinario, la sensibilità che esprimevano e che mi hanno trasmesso è stata molto forte. Finalmente ho la piena consapevolezza che la comunicazione, il mettersi a confronto è possibile farlo con tutti. Penso a tutte quelle persone che sentono ma che fanno finta di non sentire, di non sentire tutte quelle urla di dolore che possono levarsi nella società, e quando dico società includo anche il carcere perché è davvero parte integrante di essa. Non avrei mai creduto di poter raccontare la mia storia a ragazzi così, è stato molto difficile perché ogni mia singola parola veniva tradotta da un professore e la paura di andare veloce o magari perdere il filo era tanta. La realtà è che si sono dimostrati ottimi ascoltatori, ragazzi normalissimi e forse più sensibili.
Ho passato una vita intera ascoltando solo i miei sentimenti di vendetta e non mi fermavo mai a guardarmi attorno, non pensavo mai al prossimo, il mio ego era l'attore principale.
Mi sento in dovere di ringraziare la Redazione di Ristretti Orizzonti per questa opportunità che mi sta dando, e anche se ho il fine pena lontanissimo, nel 2037, la mia crescita interiore mi dà la forza di andare avanti in posti bui come è oggi il carcere, dove in molti casi si spegne anche la speranza di un futuro diverso.
Ringrazio le scuole che partecipano, e tutti gli studenti che grazie alle loro domande, a volte anche scomode, mi permettono di riflettere, di confrontarmi con me stesso e con le persone che mi circondano.
Sono convinto che se le persone, che si sentono potenti perché hanno in mano il potere di decidere del destino di tanta gente, assistessero a un incontro, ne guadagnerebbero in umanità. Non confondete le mie parole, non sono in cerca di clemenza, questo progetto la prima cosa che provoca è di farti assumere la tua responsabilità per quello che sei o che hai fatto, anche se viviamo in una società che poco ha di umano, basti pensare che per affrontare i problemi delle carceri si pensa solo a costruire altri “contentenitori sociali”.

A cosa serve il carcere?

Ormai sono anni che giro le carceri, ho 37 anni di cui 17 scontati dietro a muri e sbarre. La mia è stata una scelta di vita dovuta a un profondo odio che provavo verso le istituzioni e la società che mi circondava. Avevo una visione della vita completamente distorta, causata dal fatto che questi posti li conosco dalla nascita avendo avuto un padre carcerato fin da quando ero piccolo. Questo mi ha portato a sentirmi a disagio nel rapportarmi in ogni contesto sociale, le regole me le facevo io a mio piacimento. Ma dopo tutte le carcerazioni che ho fatto, può essere che non mi siano servite a capire che stavo buttando via la mia vita? Oggi mi ritrovo a scontare una pena di 30 anni, il mio fine pena sarà nel 2037. Perché devo arrivare solo oggi a capire, o quanto meno, a chiedermi il perché di tutto questo? Ho girato tante carceri nella mia vita, nord, sud, centro ma non ho mai avuto stimoli per voler cambiare. Oggi mi ritrovo a Padova e mi ritengo, paradossalmente, fortunato ad essere qui. Faccio parte della redazione di Ristretti Orizzonti. Ma cosè questa grande fortuna che ho? È dovuta al fatto che oggi ho intrapreso un percorso sulla mia persona che mi sta portando a chiedermi cose che mai avrei pensato. Nella nostra rassegna stampa ho letto un articolo che ha scritto Agnese Moro, figlia dello statista ucciso dalle Brigate Rosse per “Famiglia Cristiana”. È sorprendente che una vittima con una storia pesante come la sua possa parlare del reinserimento di persone che hanno commesso errori. Leggere le sue parole fa riflettere. Credo che per una vittima parlare di reinserimento per il detenuto, di dignítà e del fatto che nessuno debba essere buttato via, dimostri una grande consapevolezza del dolore che le è stato provocato e nello stesso tempo la forza di decidere di non ripagare questo dolore con altro dolore.

Ristretti Orizzonti è il periodico realizzato
da detenuti e volontari nella Casa di
reclusione di Padova e dall'Istituto di pena
femminile di Venezia. È possibile
sottoscrivere un abbonamento alla rivista
tramite il sito www.ristretti.org. Per
maggiori informazioni: redazione@ristretti.it

Il significato del reinserimento

Ma quello che mi chiedo io è se con la giustizia che abbiamo in Italia sia possibile non buttare via nessuno. Assolutamente no. La risposta è semplice perché in ltalia abbiamo condanne che come fine pena hanno il 9999: l'ergastolo. Non è possibile rieducare una persona con una condanna a vita. Anche se questa persona facesse un percorso rieducativo, di effettivo reinserimento, a cosa servirebbe portarselo nella tomba? Chi ne usufruirebbe?
Un altro problema che abbiamo in Italia è che queste attività che potrebbero portare a un cambiamento è raro trovarle nelle carceri. Come si spiega il fatto che io dopo tanti anni di carcere solo oggi riconsidero quelle che sono state le mie scelte e arrivo alla consapevolezza di avere commesso tanti errori? lo ero convinto che facendo dei reati contro il patrimonio vittime non ne avevo, la realtà è che ne ho e parecchie. Grazie al progetto di confronto tra la Scuola e il Carcere che abbiamo in Redazione incontriamo migliaia di studenti, ed è proprio questo progetto che mi aiuta a vedere una possibilità di vita diversa da quella vissuta finora. Trovarsi di fronte a studenti, raccontare come sei arrivato a commettere dei reati, rispondere alle domande, a volte scomode, ti mette in gioco, apre la tua mente a riflessioni che mai avresti potuto fare, da solo e buttato in sezione a fare nulla. Si parla tanto di costruire nuove carceri per combattere íl sovraffollamento, vista la condanna dall'Europa che si avvicina, ma non è questo il punto. Possono costruire altri palazzi di cemento vicino a discariche e nelle periferie della città, ma se non si pensa a un carcere “utile” non si risolverà mai il vero problema che è quello del reinserimento. Io provo a immaginarmi un progetto come il nostro all'interno di un carcere minorile. Sono convinto che troverebbe un'utilità formidabile, questa sarebbe vera prevenzione.
Possibilità, credo che questa parola debba entrare a far parte della vita di ognuno di noi, anche di chi come me ha commesso errori, perché prima di tutto devo partire da me per volermi dare una possibilità di riscatto, ma poi se all'esterno mi trovo un altro muro, come quelli che oggi mi circondano, a cosa sarà servito il mio percorso di cambiamento?

Lorenzo Sciacca

Originariamente apparso in Ristretti Orizzonti (anno 16, n. 1, gennaio - febbraio 2014).